Sappiamo cosa significa gnosi? Avere coscienza della pluralità dei punti di vista non significa che i livelli di conoscenza si equivalgano. ”Chi sapesse tutto e fosse trasparente a se stesso non avrebbe più niente da conoscere ed esperire, sarebbe morto” . E’ quanto sostiene Stefano Velotti in “Storia filosofica dell’ignoranza” . Quest’affermazione è icastica dimostrazione della psicogorrea di cui è preda la cultura dell’occidente. Intanto è assolutamente impossibile conoscere tutto, se non altro perché l’essenza della conoscenza è il divenire, quindi la conoscenza uscirebbe dal campo della cultura per sconfinare nel campo delle profezia, immaginando ciò che avverrà in futuro. Ma soprattutto il sapere è per lo più circoscritto in ambiti geografici e settori specifici di conoscenza. Non basterebbe una vita per conoscere e comprendere la filosofia cinese. Nel 1956 Mondadori ha pubblicato: “ Storia della filosofia cinese” di Fung Yu-Lan. Da allora leggo periodicamente questo libro e sono consapevole di non avere compreso interamente il pensiero che vi è esposto, troppe differenze nella forma mentale con i dotti cinesi. Può darsi che ciò dipenda dalla mia modesta intelligenza, certo la raffinatezza e profondità delle teorie filosofiche cinesi sono tali da assorbire il pensiero di menti molto più acute della mia. L’occidente è condizionato dal pragmatismo nel rapporto della realtà e linguaggio. Vi è una dispersione in domande retoriche che sembrano più tese ad attivare acquirenti di libri che affrontare davvero questioni importanti. In questo ambito colloco il libro pubblicato dal Mulino “ A cosa serve la verità”, autori Pascal Engel e Richard Rorty. Pilato pose la domanda: “cos’è la verità” , alla quale non è stata data ancora risposta. Il pensiero debole, ovvero il relativismo morale, ha tagliato il nodo della questione, assumendo che non esiste verità. In questa babele di dotta stupidità, spicca la filosofia dell’arte che nel solco del relativismo, crea illusionismi verbali il cui fine sembra essere soprattutto pro mercato. L’elenco di autori oggettivamente decettivi, sarebbe lunghissimo. Artur C. Danto, George Dikie, Tiziana Andina, Federico Vercellone, Nigel Warburton, sono alcuni dei filosofi che, partendo da ottiche diverse, hanno di fatto avvalorato la tesi: siccome l’arte è morta, tutto è possibile. Un modo infelice di parafrasare ciò che Dostoevskij fa dire a Ivan Karamazov: “ Se dio è morto tutto è possibile” . In realtà, come già sosteneva Pasolini, il senso di morte pervade da tempo tutta la società dell’occidente, volgare e materialista. L’arte si adegua essendo gli artisti imbevuti di una cultura che inneggia al mito della libertà di cui in realtà ignoriamo il significato. I media producono a ritmo costante nuovi idoli per incrementare e lucrare sulla dabbenaggine di massa, senza guardare troppo per il sottile. Qualche giorno fa giornali e tv hanno dato grande spazio a una poveretta che si è rifugiata nella scrittura. Amina Sboui autrice di “Il corpo mi appartiene” . Truismo povero come il bagaglio culturale di chi l’ha scritto. Per propagandare il libro l’autrice è apparsa nuda coperta di tatuaggi, la scritta “Fuck” a grandi caratteri sul seno. Questa è oggi la cultura di massa. Ogni commento è superfluo.
Piergiorgio Firinu