Il libro “Dopo la morte dell’arte” di Federico Vercellone, è scritto e argomentato molto bene. Peccato che le sue tesi ricalchino le teorie di Belting, Danto, Dickie, siano contraddittorie, smentite dalla realtà fenomenica dell’arte. Warhol, Oldenburg e gli altri artisti della PopArt, propugnatori dell’arte cosiddetta “vicina alla realtà”, sono diventati rapidamente icone, venerate e costosissime , ospitate nei musei. Esattamente come l’arte che loro contestavano assumendo di produrre “arte democratica” . E’ il destino di tutte le avanguardie il cui fallimento è certificato dalla loro “finta” contrapposizione alla status quo che non è mai modificato, solo sostituito dalle nuove teorizzazioni. E’ risibile il susseguirsi di libri sull’arte contemporanea, per lo più angiografie, testi che ricalcano i Medioevali dibattiti sul sesso degli angeli, in una sorta di metafisica immaginifica e decettiva, a favore del sistema dell’arte, ovvero dei mercanti, specie i mercanti USA dotati di cospicue risorse finanziarie. Trattasi di un “hortus clausus” gestito da una oligarchia finanziaria, di spacciatori d’arte per soddisfare le manie di feticisti del possesso. L’inganno si avvale dell’ assunto “tutto è arte”. Affermazione apparentemente democratica, che però serve a rimuovere i riferimenti di qualità e valore. Mentre prima era possibile una distinzione, avendo come riferimento la qualità dell’opera, oggi la scelta è esclusivamente demandata alla ristretta cerchia di chi domina il cosiddetto mondo dell’arte, ovvero essenzialmente il mercato. Risulta falsa la tesi di Belting, il quale sostiene che:”…qualsiasi cosa stesse all’interno del museo era privilegiato nei confronti di qualsiasi cosa stesse fuori…” Oggi in realtà non è cambiato nulla. Semplicemente nel museo sono entrati Brillo Box, scope, tavole apparecchiate, tubetti di dentifricio usato, prodotti multi seriali e cartellonistici. In breve, l’assoluta banalità si è fatta “arte”. Il Museo era una realtà inaccessibile alla maggioranza degli artisti ieri, esattamente come ai più è inaccessibile oggi. La differenza consiste nel decadimento qualitativo delle opere ospitate nelle sale. Essere collocate nel museo equivale ad una consacrazione, si leggono i curriculum degli artisti, oggi come ieri sono elencati i musei che li ospitano, prodromo all’accesso ad aste milionarie. Si è prodotto un frame eletti stico di basso livello, che seleziona in base a criteri oscuri. Caduta ogni distinzione stilistica e di contenuto, il problema dell’artista non è più produrre opere di qualità, ma riuscire ad accedere alla ristretta cerchia di coloro che hanno il potere d’inserire le sue opere nel circuito commerciale, primo passo per ottenere l’accesso al Museo e quindi l’“incoronazione” di artista di successo. Non è affatto vero che ad essere andata in crisi è la mentalità idealistica e platonica dell’arte. Semplicemente la differenza ontologica dell’oggetto artistico è il background culturale che ha accompagnato la creazione artistica ha perso valore,non è più il riferimento. Accostare a William Morris e la Bauhaus al processo disgregativo dell’arte prodotta da Warhol & C. è vera falsificazione della realtà. Morris produceva oggetti utili e curava meticolosamente il design. Non spacciava tubetti di dentifricio usati e cartelloni pubblicitari come opere d’arte.
Considerazioni sull'arte