Le opere della pittura classica sono diventate estranee alla nostra realtà, non solo per la foggia dei vestiti, per i contenuti rappresentati, per la grande abilità pittorica dei maestri del passato, sono estranee soprattutto perché gli spettatori, e non solo il paradigmatico “uomo della strada”, non hanno una adeguata preparazione culturale che consenta di “leggere” il racconto dell’opera. Gli contemporanei “artisti” sono in maggioranza nella stessa situazione. Per avere conferma basta una visita alla Biennale in corso. Quando Raffaello dipinse l’opera denominata “La Scuola di Atene”, creava l’immagine di un mondo scomparso da circa due millenni. Non era pittura celebrativa, ma epidittica, richiamava valori culturali “laici” profondi, anche se i suggerimenti per la realizzazione dell’opera provenivano da dotti componenti della curia Vaticana. L’opera è stata studiata e analizzata da un gran numero di studiosi, filosofi, letterati, anche in epoca recente, sono stati scritti importanti saggi, così come è accaduto per molti altri maestri, Giorgione, Rubens, Rembrandt. Poussin nella sua opera “Et in Arcadia ego” tratta temi non certo a lui contemporanei, dipinge icone simboliche di un mondo situato tra mito e storia. La ricchezza di richiami alla cultura classica fa della sua opera argomento di riflessione sempre stimolante e attuale. L’opera “Las Meninas”, di Diego Velàzques, ha un’incredibile ricchezza di contenuti, allusioni multi- semantiche. La costruzione del quadro rivela grande sapienza pittorica tanto che davanti all’opera pare che Thèophile Gautier abbia esclamato “Dov’è dunque il quadro?”. La grande cultura era alla base delle opere dei classici, vituperati dalle così dette avanguardie. L’apodittica convinzione che la pittura sia inadeguata a rappresentare la realtà contemporanea, appare una deformata metonimia. E’ vero che la realtà di oggi è piatta, squallida, ma questo non esime dal raffigurarla, a condizione di “saperla vedere” in modo non superficiale, ovvero non in un’ottica solipsistica come fanno “artisti” generalmente poveri di fantasia, scarsa cultura, incappaci di rappresentare la realtà, di superarla, tutto ciò che riescono a fare è rappresentare le loro personali nevrosi. Non mi sembra esistono molti “capolavori” d’arte d’avanguardia che offrano spunti per approfondite ermeneutiche . L’artista contemporaneo, malgrè lui, riflette il vuoto che c’è intorno e dentro di lui.
Considerazioni sull'arte