I COLORI
Mostra personale di Marco Teatro Orea Malià
Via Marghera 18 (cortile interno) Milano
dal 27 marzo al 27 maggio 2014
LA MOSTRA
Una sterminata carriera stilistica e professionale caratterizza il percorso artistico di Marco Teatro, con una varietà di soggetti e tematiche che a fatica possono essere ricondotte allo stesso autore se non per certi dettagli di tecnica, riconoscibili soprattutto nelle vedute “aeree” (a detta dell’autore: “A volo di uccello”), con quelle prospettive più simboliche che reali, quasi oniriche, sorvolando paesaggi urbani e campestri, altre volte futuristi e immaginari.
Questa personale contiene parte di un percorso di ricerca post writing e post street art, anche se molti dei contenuti e in particolare modo dei paesaggi, sono gli stessi che Teatro ha sempre creato anche con le bombolette spray sui muri, semplicemente trasferendoli in versione ridotta su tela e usando i pennelli. Una piccola panoramica delle svariate facce di un artista poliedrico.
Osservando questi lavori senza conoscere il passato di writer dell’autore si fatica a immaginarne analogie con la street art. Teatro, infatti, è stato un artista sicuramente anomalo anche in essa.
L’influenza dei graffiti, del mondo dei fumetti e delle illustrazioni che hanno caratterizzato la storia di Teatro emerge nei dipinti, rendendoli talvolta quasi metafisici, dove spesso ad una prima vista non è possibile cogliere il vero soggetto: a volte, questo è lo scorcio di cielo tra i palazzi oppure è confinato in un piccolo angolo del quadro, altre volte è lo “sfondo” stesso il vero soggetto. E’ lì dove non guardiamo mai, quello che diamo per scontato, ciò a cui non prestiamo mai attenzione, né diamo valore.
I suoi paesaggi sono giochi a rimpiattino con la nostra visione della città e dello spazio, sono richiami di un tempo in cui si credeva che lo spazio prospettico potesse essere ancora spezzato e distorto in pittura, convinti che ci fosse qualcosa da rivoluzionare, secondo un concetto d’avanguardia progressivo e positivo del secolo passato.
Nei “Paesaggi allagati” di Teatro, mezze case emergono dall’acqua calma e quieta, dai riflessi dorati, come ciò che resta dopo il dramma già avvenuto, quando non c’è più niente da fare. Le case ricordano le villette monofamigliari, tipiche dell’aspirazione sociale contemporanea di massa, il luogo sicuro e tanto anelato, violato senza nessuna remora da una natura che si assesta sui nostri errori. Una ricerca della bellezza, della suggestione che può dare un paesaggio nuovo, ormai diverso, per sempre mutato dal divenire della materia.
“Strade obsolete” è il titolo delle opere che hanno per tema dei paesaggi alberati, dove alberi indefinibili che ricordano cipressi si distribuiscono indifferentemente anche nelle strade, creando un ambiente surreale, quasi metafisico, dando un senso d’abbandono civile, d’assenza umana e nello stesso tempo di pace; potrebbe ricordare un cimitero, ma nel senso rispettoso del mondo che non c’è concesso conoscere.
I soggetti urbani, invece, spesso sono solo incroci stradali di metropoli occidentali; sono sempre prive dei suoi abitanti, è presente solo ciò che rappresentano: edifici e macchine. Ambienti invasi da macchine, ovunque, puntinati in maniera quasi ossessiva da veicoli, i veri padroni di questi spazi, dettano l’architettura, le distanze e le regole da seguire. I presunti abitanti non possono fare altro che soccombere a questa presenza dominante che detta il tempo e la vita senza condizioni, costretti per qualsiasi bisogno, esigenza o spostamento spaziale, anche il più minimo o banale, a “rotolare” tre quintali di ferro e plastica nella totale non curanza dell’ambiente che li ha generati.
Gli insetti giganti sorvolano il paesaggio o si posano giganteschi, senza cura di ciò che li circonda. Altre volte si presentano come sciami di locuste o altri insetti non definibili, che sorvolano paesaggi aridi, dove tronchi d’alberi spogli rievocano una vita consumata e abusata oppure paesaggi allagati con rovine recenti di case moderne, a rappresentare quella “vita” altra, pronta a rimpiazzarci nel momento stesso della nostra dipartita.
Insetti come alieni, indifferenti ai sentimenti, indifferenti alla natura che saccheggiano, indifferenti anche a se stessi. Ma questi quadri sono rivolti a noi esseri umani, come un monito.
Un altro ricorrente soggetto nei lavori di Teatro è la voragine: anche in questo caso, sempre con la prospettiva verticale, si vedono terreni in cui si aprono profondi crateri regolari, a volte solitari, a volte incastonati tra palazzi e edifici in costruzione o già vissuti, come in un divenire d’attività meccanica: enormi buchi instabili, allagati, precari, con le loro strade che scendono a spirale quasi come danteschi richiami o percorsi che conducono in mondi sotterranei che non dobbiamo conoscere.
FAVELAS, L’INSTALLAZIONE
Genere: opera plastico e multimediale
Artisti: collettivo
Hamsters Studio (Davide Ratzo Ratti, Marco Teatro e Fabrizio Folco Zambelli) http://www.hamsterstudio.it
Installazione plastico: http://www.youtube.com/watch?v=G9CaORUo2MA
Favelas è un’installazione plastico e multimediale sul tema della metropoli a metà strada tra arte, architettura, scenografia e riflessione politica. Per questa occasione verrà esposto solo il plastico senza i supporti video.

Il concept. L’immensa quantità di materiali prodotti dalla società umana contemporanea è quasi totalmente fuori controllo e crea un’innumerevole quantità di rifiuti industriali, edili, d’arredo e tecnologici. Questi rifiuti prendono nuova vita nelle costruzioni precarie e spontanee in tutto il pianeta sotto le forme più svariate, questo avviene per compensare i fabbisogni immediati e più urgenti…”
L’installazione rappresenta una dicotomia concreta e reale che riguarda due differenti stili di vita presenti nella nostra società: al centro, la favela, rappresentata con un plastico in scala 1:43, è una ricostruzione immaginaria di una realtà d’oltre oceano, ma non solo, che solitamente è posta ai margini delle grandi metropoli. È un fenomeno sempre più comune e in via di espansione. In contrapposizione, una proiezione video che invece rappresenta il mondo urbanizzato, nella sua frenesia, nelle sue linee di forza per quanto riguarda la struttura dei palazzi e nei metodi comunicativi.
Il linguaggio telematico dell’informazione immediata e la velocità del susseguirsi delle immagini trovano un incontro forzato con il modello plastico solo nella sovrapposizione di contenuti nello stesso attimo. I due mondi sono limitrofi, adiacenti, ma non per questo simili. Il mondo dei vincitori rappresentato con il video ed il mondo dei vinti rappresentato con un modello statico descrivono i tempi di vita delle due realtà.
L’attenzione è concentrata sull’asfalto: al centro del racconto c’è un ambiente statico fatto da chi attende un futuro, dove gli attimi valgono una vita intera , dove la staticità del presente è dettata anche dall’inadempienza e dall’incapacità, e dove è possibile sperimentare forme di edificazione innovativa, magari inconsapevole. La vita di una favela viene così fotografata in un momento qualunque della sua giornata, dove individui intenti a vivere la propria vita suggeriscono allo spettatore un’umanità presa poco in considerazione, spesso per niente.
Lo sfondo di questa istallazione è la città, in perenne movimento 24 ore su 24, un fiume in piena di possibilità apparenti e non, dove l’apparenza è molto più importante della sostanza, dove la tecnologia comunicativa è più importante del contenuto e dove a volte diventa il contenuto stesso. Qui suoni, rumori, immagini ed interferenze si propongono in maniera caotica a descrivere anche un solo giorno di vita in contrapposizione totale alla stanzialità prodotta dall’inedia, dell’emarginazione e dalla povertà dalle condizioni di vita.
In questa maniera dalla prospettiva della povertà riprodotta in miniatura si può vedere un panorama fatto di skyline e messaggi telematici, un miraggio tecnologico e caotico, con l’augurio di lasciare allo spettatore un interrogativo: “Ma ne vale veramente la pena?”
Descrizione tecnica: un diorama iperrealista, di forte impatto visivo, in scala 1:43 – 120 x 120 cm. H 40 cm circa. Tecnica mista. Una città immaginaria che potrebbe situarsi in una qualsiasi delle metropoli del Sud del mondo così come sotto i cavalcavia delle autostrade di qualsiasi grande città europea.
PRESS OFFICE | Barbara Cologni, tel. +39 393 8328145 – press@silviaranzi.com Corso Buenos Aires 23 – 20124 Milano – Tel. +39 02 83420920
Seguo da anni il vostro portale . Il blog rende tutto più facile. Graziè
Carlo
grazie per il vostro lavoro
Dove è possibile trovare riscontri sul costo delle opere. Grazie
I COLORI
Mostra personale di Marco Teatro Orea Malià
Via Marghera 18 (cortile interno) Milano
dal 27 marzo al 27 maggio 2014
LA MOSTRA
Una sterminata carriera stilistica e professionale caratterizza il percorso artistico di Marco Teatro, con una varietà di soggetti e tematiche che a fatica possono essere ricondotte allo stesso autore se non per certi dettagli di tecnica, riconoscibili soprattutto nelle vedute “aeree” (a detta dell’autore: “A volo di uccello”), con quelle prospettive più simboliche che reali, quasi oniriche, sorvolando paesaggi urbani e campestri, altre volte futuristi e immaginari.
Questa personale contiene parte di un percorso di ricerca post writing e post street art, anche se molti dei contenuti e in particolare modo dei paesaggi, sono gli stessi che Teatro ha sempre creato anche con le bombolette spray sui muri, semplicemente trasferendoli in versione ridotta su tela e usando i pennelli. Una piccola panoramica delle svariate facce di un artista poliedrico.
Osservando questi lavori senza conoscere il passato di writer dell’autore si fatica a immaginarne analogie con la street art. Teatro, infatti, è stato un artista sicuramente anomalo anche in essa.
L’influenza dei graffiti, del mondo dei fumetti e delle illustrazioni che hanno caratterizzato la storia di Teatro emerge nei dipinti, rendendoli talvolta quasi metafisici, dove spesso ad una prima vista non è possibile cogliere il vero soggetto: a volte, questo è lo scorcio di cielo tra i palazzi oppure è confinato in un piccolo angolo del quadro, altre volte è lo “sfondo” stesso il vero soggetto. E’ lì dove non guardiamo mai, quello che diamo per scontato, ciò a cui non prestiamo mai attenzione, né diamo valore.
I suoi paesaggi sono giochi a rimpiattino con la nostra visione della città e dello spazio, sono richiami di un tempo in cui si credeva che lo spazio prospettico potesse essere ancora spezzato e distorto in pittura, convinti che ci fosse qualcosa da rivoluzionare, secondo un concetto d’avanguardia progressivo e positivo del secolo passato.
Nei “Paesaggi allagati” di Teatro, mezze case emergono dall’acqua calma e quieta, dai riflessi dorati, come ciò che resta dopo il dramma già avvenuto, quando non c’è più niente da fare. Le case ricordano le villette monofamigliari, tipiche dell’aspirazione sociale contemporanea di massa, il luogo sicuro e tanto anelato, violato senza nessuna remora da una natura che si assesta sui nostri errori. Una ricerca della bellezza, della suggestione che può dare un paesaggio nuovo, ormai diverso, per sempre mutato dal divenire della materia.
“Strade obsolete” è il titolo delle opere che hanno per tema dei paesaggi alberati, dove alberi indefinibili che ricordano cipressi si distribuiscono indifferentemente anche nelle strade, creando un ambiente surreale, quasi metafisico, dando un senso d’abbandono civile, d’assenza umana e nello stesso tempo di pace; potrebbe ricordare un cimitero, ma nel senso rispettoso del mondo che non c’è concesso conoscere.
I soggetti urbani, invece, spesso sono solo incroci stradali di metropoli occidentali; sono sempre prive dei suoi abitanti, è presente solo ciò che rappresentano: edifici e macchine. Ambienti invasi da macchine, ovunque, puntinati in maniera quasi ossessiva da veicoli, i veri padroni di questi spazi, dettano l’architettura, le distanze e le regole da seguire. I presunti abitanti non possono fare altro che soccombere a questa presenza dominante che detta il tempo e la vita senza condizioni, costretti per qualsiasi bisogno, esigenza o spostamento spaziale, anche il più minimo o banale, a “rotolare” tre quintali di ferro e plastica nella totale non curanza dell’ambiente che li ha generati.
Gli insetti giganti sorvolano il paesaggio o si posano giganteschi, senza cura di ciò che li circonda. Altre volte si presentano come sciami di locuste o altri insetti non definibili, che sorvolano paesaggi aridi, dove tronchi d’alberi spogli rievocano una vita consumata e abusata oppure paesaggi allagati con rovine recenti di case moderne, a rappresentare quella “vita” altra, pronta a rimpiazzarci nel momento stesso della nostra dipartita.
Insetti come alieni, indifferenti ai sentimenti, indifferenti alla natura che saccheggiano, indifferenti anche a se stessi. Ma questi quadri sono rivolti a noi esseri umani, come un monito.
Un altro ricorrente soggetto nei lavori di Teatro è la voragine: anche in questo caso, sempre con la prospettiva verticale, si vedono terreni in cui si aprono profondi crateri regolari, a volte solitari, a volte incastonati tra palazzi e edifici in costruzione o già vissuti, come in un divenire d’attività meccanica: enormi buchi instabili, allagati, precari, con le loro strade che scendono a spirale quasi come danteschi richiami o percorsi che conducono in mondi sotterranei che non dobbiamo conoscere.
FAVELAS, L’INSTALLAZIONE
Genere: opera plastico e multimediale
Artisti: collettivo
Hamsters Studio (Davide Ratzo Ratti, Marco Teatro e Fabrizio Folco Zambelli)
http://www.hamsterstudio.it
Installazione plastico: http://www.youtube.com/watch?v=G9CaORUo2MA
Favelas è un’installazione plastico e multimediale sul tema della metropoli a metà strada tra arte, architettura, scenografia e riflessione politica. Per questa occasione verrà esposto solo il plastico senza i supporti video.

Il concept. L’immensa quantità di materiali prodotti dalla società umana contemporanea è quasi totalmente fuori controllo e crea un’innumerevole quantità di rifiuti industriali, edili, d’arredo e tecnologici. Questi rifiuti prendono nuova vita nelle costruzioni precarie e spontanee in tutto il pianeta sotto le forme più svariate, questo avviene per compensare i fabbisogni immediati e più urgenti…”
L’installazione rappresenta una dicotomia concreta e reale che riguarda due differenti stili di vita presenti nella nostra società: al centro, la favela, rappresentata con un plastico in scala 1:43, è una ricostruzione immaginaria di una realtà d’oltre oceano, ma non solo, che solitamente è posta ai margini delle grandi metropoli. È un fenomeno sempre più comune e in via di espansione. In contrapposizione, una proiezione video che invece rappresenta il mondo urbanizzato, nella sua frenesia, nelle sue linee di forza per quanto riguarda la struttura dei palazzi e nei metodi comunicativi.
Il linguaggio telematico dell’informazione immediata e la velocità del susseguirsi delle immagini trovano un incontro forzato con il modello plastico solo nella sovrapposizione di contenuti nello stesso attimo. I due mondi sono limitrofi, adiacenti, ma non per questo simili. Il mondo dei vincitori rappresentato con il video ed il mondo dei vinti rappresentato con un modello statico descrivono i tempi di vita delle due realtà.
L’attenzione è concentrata sull’asfalto: al centro del racconto c’è un ambiente statico fatto da chi attende un futuro, dove gli attimi valgono una vita intera , dove la staticità del presente è dettata anche dall’inadempienza e dall’incapacità, e dove è possibile sperimentare forme di edificazione innovativa, magari inconsapevole. La vita di una favela viene così fotografata in un momento qualunque della sua giornata, dove individui intenti a vivere la propria vita suggeriscono allo spettatore un’umanità presa poco in considerazione, spesso per niente.
Lo sfondo di questa istallazione è la città, in perenne movimento 24 ore su 24, un fiume in piena di possibilità apparenti e non, dove l’apparenza è molto più importante della sostanza, dove la tecnologia comunicativa è più importante del contenuto e dove a volte diventa il contenuto stesso. Qui suoni, rumori, immagini ed interferenze si propongono in maniera caotica a descrivere anche un solo giorno di vita in contrapposizione totale alla stanzialità prodotta dall’inedia, dell’emarginazione e dalla povertà dalle condizioni di vita.
In questa maniera dalla prospettiva della povertà riprodotta in miniatura si può vedere un panorama fatto di skyline e messaggi telematici, un miraggio tecnologico e caotico, con l’augurio di lasciare allo spettatore un interrogativo: “Ma ne vale veramente la pena?”
Descrizione tecnica: un diorama iperrealista, di forte impatto visivo, in scala 1:43 – 120 x 120 cm. H 40 cm circa. Tecnica mista. Una città immaginaria che potrebbe situarsi in una qualsiasi delle metropoli del Sud del mondo così come sotto i cavalcavia delle autostrade di qualsiasi grande città europea.
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