Una delle teorie degli epigoni di Kant poneva la questione se l’à priori trascendentale della conoscenza non si trovi, anziché, almeno in parte nel cervello, nell’intelletto, nel linguaggio umano effettivo. Il nucleo di questa tesi risale a Wilhem von Humboldt, di gran lunga il più fortunato tra i successori di Kant. Le condizioni di possibilità dell’esperienza sono anche le condizioni che rendono possibile gli oggetti dell’esperienza. Detta in altre parole: al di fuori del linguaggio non ci sono esperienza né oggetti empirici.
Tuttavia sistemi simbolici più generali possono svolgere le veci del linguaggio. Nelle diverse etnie, gli antichi egizi, gli indiani Hopi, i giapponesi del XIX secolo, i rispettivi mondi empirici erano sistemi chiusi; ciò che non può entrare in essi non esiste, per loro non era un oggetto bensì un inconoscibile cosa in sé.
La globalizzazione sembra porre in forse la pluralità di mondi che si sono andati formando dall’origine dell’uomo sulla terrà. La ricerca d’identità individuale tenta di resistere alla crescente omogeneizzazione planetaria ma spesso non lo fa in forme innovative, ma solo di rifiuto. Non si afferma una propria convinzione, si nega semplicemente quella dell’altro.
Ernst Cassirer ha sviluppato il suoi studi sulla filosofia delle forme simboliche partendo dal principio che l’uomo non vive un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Invece di avere a che fare con le cose, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se stesso. Ha creato forme linguistiche, immagini artistiche, simboli mitici, riti e credenze religiose, la sua conoscenza è mediata da queste forme di comunicazione simbolica.
Gli universi simbolici sono distinti gli uni dagl’altri; ciascuno è caratterizzato per se, non sempre è possibile la comunicazione, quanto più ancorato al trascendentale, ogni universo simbolico è sistema e paradigma chiuso. La natura e le sue leggi sono state, salvo alcune particolarità, esplorate dall’uomo che le ha decifrate. Come diceva Fontanelle: al tempo di Omero gli alberi non erano diversi da come sono ora.
Lukàcs individua il compito dell’artista realista, in opposizione a quello di avanguardia in un duplice intervento. Innanzi tutto il riconoscimento della relazione tra realtà sociale e il momento della mimetizzazione artistica. Per Lukàcs la “mimetizzazione” non è altro che la creazione di un apparenza naturale. Va da se che, quanto più l’arte si allontana dalla mìmesi, tanto più si astrae, crea un proprio universo simbolico che, per complessità e frammentazione, rende difficile il processo di comunicazione attraverso il quale il linguaggio dell’arte era in parte riuscito a infrangere le barriere e comunicare anche con civiltà e sistemi culturali diversi. L’arte allontanandosi dalla natura rischia di ridursi a gergalità.