La visita alla 56esimaBiennale d’Arte di Venezia del 2015, conferma, se mai fosse stato necessario, il successo delle deleterie teorie degli pseudo filosofi made in USA. Gli oggetti esposti nella sequenza di stand , fanno apparire l’esposizione simile ad un bazar, o un mercato di rigattieri. Il cosiddetto multiculturalismo appare una sorta di foglia di fico dietro cui c’è il vuoto. Osservando le opere, si trova altresì conferma della modesta base culturale degli artisti, la loro approssimazione è disarmante, le opere sono espressione degli stereotipi correnti. La mostra è in gran parte uno spot sull’immigrazione, tema senz’altro importante ma non tale da poter caratterizzare una Biennale che anche per questo appare assorta dal contingente fenomenologico. Sicuramente poveri i riferimenti culturali degli artisti. Si evince anche dalla lettura dei testi che accompagnano le opere. Certo, visto la tendenza contemporanea, non c’è da aspettarsi che abbiamo dimestichezza con autori come Nietzsche, Kierkegaard, Dostoevskij, Hegel, Schelling, Dilthey, Rilke, Trakl. Heidegger. L’ elenco non è casuale, sono autori che hanno tentato di approfondire l’essenza dell’essere, l’ontologia della forma nelle sue multiformi espressioni di cui l’arte è parte significativa. Di certo se la base culturale di questi nuovi, o seminuovi, artisti, sono filosofi delle ultime generazioni, tutto appare molto più chiaro, anche l’uso inappropriato, se non decettivo, delle preposizioni esplicative che dimostrano marcata ignoranza dell’etimo originario delle parole. L’opera di Helidon Xhixha, a mio parere, è la perfetta metafora non solo dell’arte, ma dell’intera società contemporanea,la quale si liquefa non nel senso che diventa liquida, aperta , mobile, ma nel senso che si dissolve in fatuità consumistica, orgogliosa della propria ignoranza. Ci allontaniamo dal pensiero fondamentale del l’occidente, la cui sedimentazione costituisce, o dovrebbe costituire, base e stimolo al pensiero creativo. Abbiamo l’ansia di andare oltre, senza tuttavia aver dimostrato di aver compreso le espressioni culturali autoctone e ancor meno quelle di altri popoli. La cultura non è più un percorso di conoscenza della coscienza comune, articolata in una socialità che solo grazie ad una effettiva consistenza culturale può aprirsi agli stimoli di espressioni diverse, anziché limitarsi ad assemblaggi di improvvisati e sociologismi d’accatto. Se è vero che non è compito dell’arte proporre soluzioni, è anche vero che rinunciando a priori ad ogni serio e fondato riferimento culturale l’arte rinuncia ad una incisiva rappresentazione, ovvero all’apertura di senso verso un’ontologia che stimoli la coscienza di sè e una positiva relazione con gli altri.
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