Post by Category : Conversazioni sull’Arte

L’artista costruisce la realtà con le proprie mani.  0

Attraverso quale processo culturale, antropologico l’artista diventa ciò che è? Attraverso le sue opere? C’è il detto: l’opera loda il maestro. L’artista è origine dell’opera. L’opera è origine  dell’artista. Nessuno dei due è senza l’altro. Artista e opera ogni volta sono, in se stessi e nel loro rapporto reciproco , in virtù di un terzo elemento, che è il vero, il primo elemento: l’arte, in quanto realtà conseguita, realizzata. Ne consegue che se l’opera non realizza ciò che è definito con il sostantivo arte, non  esiste neppure l’artista.

L’arte non  è nient’altro che una parola alla quale non risponde nulla di concreto. Ma poiché rimane aperto il problema di cosa sia l’arte, la ricerca di significato  può essere cercata solo nell’opera. E’ necessario rispondere alla domanda cos’è un’opera d’arte? Allegoria e simbolo delineano la prospettiva, l’ottica, entro la quale, da sempre si muove la caratterizzazione dell’opera d’arte. Sembrerebbe quasi che la realtà dell’opera d’arte sia una sorta di substruttura entro la quale e sopra la quale venga costruita la realtà immaginata dall’artista. E non è forse questa realtà che l’artista, in senso proprio, costruisce con le proprie mani?

Si ritiene che l’essenza dell’arte possa essere desunta da un’analisi comparativa delle varie opere d’arte esistenti. Tuttavia come possiamo essere certi che, alla base di una tale indagine, stiamo effettivamente ponendo delle opere d’arte se non sappiamo cos’è l’arte? Basta a risolvere il problema la provocatoria affermazione di Geoge Dickie secondo il quale: tutto è arte? Tale affermazione non risolve il problema, lo cancella.

Il quadro, la scultura, il disegno, depositati in una galleria o museo, offerti alla ammirazione, o almeno all’attenzione di chi osserva senza porsi il problema di cosa ha davanti, il contesto gli dice che trattasi di opere d’arte.

Ecco dunque che, tra equivoci e autoreferenzialità una persona si considera artista e si convince che ciò che produce sia un’opera d’arte, l’osservatore è convinto di stare osservando un’opera d’arte.

A complicare ulteriormente la situazione è stato lo sradicamento totale compiuto dalle avanguardie di ogni epistemologia ed ontologia dell’arte,così come erano venute delineandosi in due millenni. Dunque, in base alle considerazioni esposte, sembra proprio che il cosiddetto mondo dell’arte sia basato su un equivoco costruito non dalle opere, ma dalle parole che presumono di dare un significato alla opere.2

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Dissolta la coscienza critica.  0

Dobbiamo rassegnarci ed accettare che il predominio del mercato imponga la propria idea di arte? Dobbiamo prendere atto che il mercato è supportato proprio da quei movimenti che si dicono libertari, rumorosi e prevaricanti agglomerati sociali che strumentalizzano il genere, le tendenze sessuali, l’ideologia. L’arte parla attraverso le proprie opere, se l’opera ricalca il pensiero unico si traduce in tautologia.

Nell’opera d’arte è messa in opera la verità dell’Ente. L’arte è il mettere in mostra la verità. Questa la lettura dell’arte, forse troppo positiva, è di  Heidegger.

In realtà alla domanda : cos’è l’arte? non è stata data risposta. Questa mancanza costringe, chi scrive  sull’arte, a girare in tondo, ribadire concetti dati per scontanti, che  in realtà sono  ripieghi lessicali.

Intanto  le opere se ne stanno collocate e appese nelle collezioni e nelle mostre, oggetti inseriti in nel meccanismo dell’industria dell’arte.

Platone sosteneva che l’opere d’arte è una doppia imitazione. Copia l’idea e copia la realtà che l’idea esprime. Intenditori e critici s’impegnano per dare un significato a manufatti artistici con i loro approssimativi significati. Pistoletto, a esempio,ha presentato in varie sedi il simbolo dell’infinito,  adottando l’espediente di cambiarne la denominazione.

La critica ha rinunciato da tempo ai concetto  di verità. Senza dubbio                                                                                                                                                                                                                                                                                                        l’arte non costituisce più il modo supremo in cui la verità giunge ad esistere. E’ cessata la diade concettuale materia-forma. Un opera poggia anche sul plesso morfo- iletico che ricorre solo nei vecchi vocabolari, lo stanziarsi, il radicamento comunemente impiegato nello spazio mentale in cui l’artista dovrebbe muoversi ha perso la distinzione fra materia e sagoma, che costituiva lo schema concettuale per ogni teoria dell’arte,

Il tentativo di fermare, porre in chiaro, il principio di coscienza creativa alla base di ogni estetica, è annegato nel mare del ludico contemporaneo, tanto che il filosofo americano Danto arriva a definire ciarpame, tesi, antitesi, sintesi indicate nella dialettica di Kant, che non sono altro che un richiamo a Platone, ripresi dall’idealismo tedesco a margine della critica dell’arte.

Sono archiviati i contenuti di espressi da allegoria e simbolo,  da sempre fondamentali per il linguaggio artistico. Siamo giunti al punto che la realtà di un opera d’arte, priva di metafora e di simbolismo, ha la stessa chiarezza, la stessa insignificanza, di un cartello stradale.  wassily-kandinsky-pittura-astratta-improvvisazione-35-1914-500

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Dalla Utoia alla Distopia.  0

L’intento delle avanguardie era visto da Herbert Marcuse, sotto la luce del duplice carattere dell’arte nella società borghese. Egli riteneva che, poiché l’arte è separata dalla vita concreta, in essa possono trovare sfogo quei bisogni il cui soddisfacimento è impossibile nella vita quotidiana, anche a causa del principio di concorrenza che domina tutti i campi dell’esistenza. Per questo avanzava l’ipotesi che valori come umanità, verità, gioia, solidarietà, estromessi per così dire dalla vita reale, fossero conservati nell’arte. L’idea appare oggi una delle utopie andate in frantumi nell’urto dell’arte con il mercato. Il ruolo dell’arte nella società borghese, fino a ieri contraddittorio, si è risolto nel momento in cui di fatto ha posto termine alla protesta contro l’ordine esistente ed ha accettato nella sostanza  e nella forma, le regole di produzione, mercato, consumo. Il duplice carattere dell’arte nella società borghese consisteva anche nella distanza del processo di produzione e di riproduzione sociale che conteneva una componente di libertà e un disimpegno dalla produzione ordinaria.Il tentativo delle avanguardie di riportare l’arte  nella vita concreta si è rivelata un’impresa contraddittoria. Infatti la relativa libertà dell’arte di fronte alla vita pratica è al contempo la condizione di possibilità di una conoscenza critica  della realtà. Un’arte che non sia separata dalla vita concreta, ma che da questa prenda in tutto e per tutto le mosse, perde con la distanza dalla prassi vivente anche la capacità di criticarla. All’epoca dei movimenti storici d’avanguardia il tentativo di superare la distanza tra arte e vita pratica poteva ancora rivendicare illimitatamente il pathos del progressismo storico. Nel frattempo però con l’industria culturale si è verificato un falso superamento del distacco tra arte e vita, per cui diviene anche evidente la contraddittorietà della posizione avanguardistica. Molte manifestazioni dell’avanguardia non hanno carattere di opera, ma sono eventi ai quali viene data un’impronta politica ritenendo sufficiente l’intenzione a prescindere da esiti e leggibilità. La firma che sancisce l’individualità dell’opera, cioè il fatto che deve la propria esistenza  a quel determinato artista, una volta posta su un prodotto di massa diventa segno di scherno nei confronti di ogni pretesa di creatività individuale. Le provocazioni volte a smascherare come istituzione sospetta il mercato dell’arte, dove la firma vale più della qualità dell’opera su cui è apposta, e mettere in discussione il principio dell’arte nella società borghese è fallita clamorosamente. Una volta che lo scolabottiglie firmato  da Duchamp  è stato accettato come oggetto che merita spazio in un museo, la provocazione cade nel vuoto e si volge nel proprio contrario. Se oggi un artista firma ed espone una pietra raccolta per strada, non denuncia in alcun modo il mercato dell’arte, ma al contrario vi si adegua.E0702 KLENZE 9463

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Mario Merz, il teorema di Fibonacci.  0

Che un soggetto di un ordine tra elementi si possa ricondurre analiticamente all’esistenza di una relazione asimmetrica transitiva tra di essi e che si presuppone necessariamente una relazione di questa forma, è stato mostrato particolarmente dal Russell, esso prende il nome dalla terminologia del presupposto fondamentale di Richter.

Una diversità  è data dalla caratteristica di ciò che costituisce l’elemento specifico della forma, il fenomeno primitivo logico. Conformemente a questi presupposti Richter giunge alla conclusione che nella sfera logica non c’è né ci può essere alcuna serie. Manca quindi l’elemento più importante è assolutamente indispensabile per la costruzione del numero. Non già questa la conseguenza, bensì la premessa che qui scaturisce viene contestata dalla critica gnoseologica dell’idealismo logico.

Il concetto della logica idealistica è completamente diverso, anche se molto si richiama Muller e allo stesso Richter.

Poteva certo sembrare che, da questo punto di vista, la polemica forse è stata ridotta a una semplice distinzione terminologica e fosse quindi sterile polemica.

Riguardo al suo valore oggettivo infatti chiunque è  libero di pensare di usare il termine logico nel modo che ritiene, se ne giustifica l’ontologia. Per esempio, l’artista è libero di definire concettuale la propria approssimazione formale,ma trascurando di definire le motivazioni della scelta cade in un anacoluto formale.

Significativa è a questo riguardo l’opera di Mario Merz che si richiama al matematico  Leonardo Pisano detto il  Fibonacci  ( 1170 – 1242). L’opera riproduce una serie di numeri la cui valenza estetica è nulla il cui significato sotto il profilo artistico e una pura ipostatizzazione.

Dovremmo  considerare il  significato: “opera concettuale”. Osservando ciò che contiene  la terminologia di Richter,Peirce, Boole, Frege, Peano,Schroder, la logica stessa della sua forma classica,  come nella moderna elaborazione avuta ad opera degli autori indicati, non può più essere definita come teoria dell’oggetto,dal punto di vista storico, non è mai esistita una scienza della logica che si sia limitata a ciò che si chiama “oggetto puramente logico”.

Una tale limitazione compare solo all’inizio della logica in Parmenide, per il quale in realtà l’intero problema della logica si esaurisce nell’identità e nella diversità dell’essere e del non essere, ma già il sofista platonico va oltre questo fenomeno primitivo dell’uno e dell’altro, il concetto della comunanza delle idee si trova in una posizione centrale che per la prima volta rende possibile una scienza logica, questa comunanza che si fonda su un rapporto di dipendenza sistematica dei concetti e dei giudizi nel rapporto di premessa è conseguenza che tra loro sussiste. La successione logica che ne deriva può essere dedotta dalla semplice identità e diversità.

Dunque l’arte concettuale si traduce in ossimoro per la contraddizione che si realizza tra concretezza estetica che assume ogni realizzazione formale, e l’estraniazione logica  alla base della formulazione del concetto.1972_01_01_MarioMerzFibonacciIgloo 500

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Superstizione e storia.  0

La superstizione accompagna  tutta la storia umana, è presente in ogni società. Si potrebbe dire che le stesse religioni sono la razionalizzazione della superstizione. Le religioni giudaica, cristiana e islamica, le cosiddette religioni del libro,nel momento cui si fanno istituzione diventano strumento di potere, tuttavia restano superstizione. Ciò a cui i praticanti credono non ha alcun riscontro, ne prova certa. Infatti è necessario l’appello alla Fede, che non è conoscenza ma appunto superstizione.

Vi sono vari livelli e tipologie di superstizione,alcuni popoli primitivi avevano una paura folle dell’arcobaleno perché pensavano che l’arcobaleno fosse una rete gettata in cielo dallo stregone malvagio per catturarli, quindi quando vedevano l’arcobaleno venivano colti dal terrore  e correvano a rifugiarsi  in luogo nascosto.

Superstizione e conoscenza s’intrecciano nel mito. Secondo Schelling la coscienza è solo il termine della natura, Ne consegue che, quanto più l’umanità si allontana dalla natura, tanto più la coscienza si affievolisce. Siccome il pensiero è in qualche mondo condizionato dalla coscienze, che vuol dire anche consapevolezza e limite. Questa perdita rischia, oltre a rimuovere i freni inibitori, di privare cultura e arte delle ragione per le quali esistono.

Ciò che noi chiamiamo natura è un sistema nascosto in una meravigliosa scrittura cifrata  che indusse Galileo a chiedersi se per comprendere la natura bastasse la matematica.

L’umanità ha abbandonato la superstizione,rimosso ogni inibizione e insieme ogni ideale che guida verso la realizzazione di ciò che da senso alla  esistenza. Tuttavia non si sente affatto libera. Resta la concreta esistenza animale con i suoi bisogni primari, la  storia ha perso significato nella dissolvenza di un futuro quanto mai nebuloso. L’arte e cultura privi di spiritualità ispiratrice, si riduce a riti mondani e sterili virtuosismi.

A ben vedere la superstizioni teneva aperti spiragli verso il possibile. Democrito sosteneva che “il senno dell’uomo è il suo demone”. Tanto più che la ragione non è in grado di spiegare tutto e tutto comprendere.

La ragione incompleta uccide la poesia senza sostituirla, accenta una forma ancor più distruttiva della superstizione che alimentava la fantasia degli uomini primitivi, una sorta di sottomissione alla tecnologia.

Anche la luce, uno dei riferimenti dell’arte pittorica, è stata snaturata. Già prima di Omero esisteva il culto della luce. La luce del giorno che risveglia alla vita, “venire alla luce” significa nascere. Euripide chiama pura la luce del giorno. Oggi viviamo per lo più sotto la luce artificiale, perché i ritmi di vita non sono più naturali, alba e tramonto non regolano più la nostra vita

La percezione del mondo non è più affidata alla coscienza con la quale vi era quanto meno una possibilità di attuare  un un tentativo di distinzione  tra apparenza e realtà. La civiltà dell’apparenza e dell’edonismo è prevalsa, il predominio del conformismo  tutto confonde e tutto ingloba in una confusa esistenza della quale non conosciamo più significato e scopo.

 

 

 

 

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La rinuncia alla fantasia per la tecnologia.  0

Descrivere e discutere la parabola dell’arte moderna, da Baudelaire all’attuale postmoderno: è quanto fa Compagnon nel saggio “I cinque paradossi della modernità”. Egli esplora i fondamenti stessi del mutamento, le ragioni costitutive di un’arte e di una letteratura che da un secolo in qua si sono poste sotto il segno del nuovo, della rottura con il passato e la tradizione. I cinque paradossi dell’arte moderna sono identificati in altrettanti momenti cruciali della tradizione moderna: la superstizione del nuovo, verso il 1860, tra Baudelaire e Manet; la religione del futuro, che caratterizza l’epoca di  Apollinaire e dei primi quadri astratti di Kandinskij; l’ansia della teorizzazione che trova espressione nel Manifesto del surrealismo del 1924; il richiamo alla cultura di massa, nella pop art del dopoguerra; la passione del rinnegamento, nel postmoderno degli anni Ottanta. Lo sconvolgimento di questa paradossale “tradizione del nuovo” che costituisce l’asse portante della vicenda artistica  tra Otto e Novecento era basata sull’idea che in arte esistesse un progresso, che l’evoluzione delle forme artistiche avesse un fine. Il postmoderno, che rinnega questa tradizione, non è, come ad alcuni appare, la fine dell’arte, ma il fallimento di quelle dottrine  che miravano a una spiegazione teologica dell’arte, e che sono state appunto alla base dell’arte moderna.escher5-U1020821050112J0B--640x360@LaStampa.it

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Conoscere significa sottomettere il molteplice all’intuizione.  0

Uno dei risultati più importanti della Critica Della Ragion pura consiste nell’aver dato al problema del rapporto tra concetto  e oggetto una forma del tutto nuova è un significato metodologico fondamentalmente diverso.

Questa trasformazione fu possibile per il fatto che Kant compie proprio a questo punto il decisivo passaggio dalla logica generale alla logica trascendentale.

Solo in virtù di questo passaggio la dottrina del concetto viene liberata dagli irrigidimento a cui la trattazione tradizionale l’aveva sempre condotta.

La funzione del concetto appare ora non più come una funzione analitica e formale, bensì come una funzione produttiva e costruttiva. Esso e non è più la coppia più o meno lontana è sbiadita di una qualche realtà assoluta in sé esistente,anzi è diventato un presupposto dell’esperienza e quindi una condizione della possibilità dei suoi oggetti. La questione dell’oggetto è diventata per Kant una questione del valore.

Il concetto infatti è l’ultimo è più alto grado in cui il sapere s’innalza dal progresso della conoscenza oggettiva alla sintesi dell’apprensione dell’intuizione.

Alla produzione della immaginazione si aggiunge una chiave di volta nella costruzione della sintesi espressa dal concetto, ovvero della sintesi della condizione gnoseologica..

Conoscere un oggetto non significa altro che sottomettere il molteplice dell’intuizione a una regola che lo determina in rapporto all’ordine che gli è proprio.

La premessa è necessaria per chiarire che quando l’artista si appresta a trasformare l’intuizione in concetto, o quanto meno in rappresentazione formale dell’idea, dovrebbe render chiaro a se stesso significato e funzione. Questo non accade

Helmholtz nella sua teoria della percezione mette in evidenza l’importanza della cooperazione della primaria elaborazione della forma espressiva, L’intuizione non rimane legata alla realtà delle cose, ma si eleva fino alla libera costruzione del possibile nel quale il reale costituisce pretesto per la sineddoche universalistica,

L’arte non può essere legata alla nuda realtà delle cose, ma deve innalzarsi alla libera costruzione del possibile. Definire “concettuale” un oggetto che si ferma alla rappresentazione della materia bruta costituisce è un anacoluto logico.

Husserl ha fatto acutamente notare che di deve attuare una distinzione tra i segni simbolici e segni puramente indicativi. Quando, come in gran parte dell’arte contemporanea, non vi è contenuto simbolico ne significato, l’opera si riduce a pura inespressiva raffigurazione estemporanea. .     .                                           Anselm_Kiefer_©_Georges_Poncet- 500

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Monetizzare la propria vita.  0

Periodicamente emergono fenomeni di commistioni illecite tra politica ed economia. Dal momento che nella nostra società, materialista ed atea, il denaro è la cartina di tornasole, i giornali dedicano per settimane e settimane le prime pagine agli episodi di criminalità economica. In realtà, è noto a tutti,  non solo l’economia, ma tutta la società italiana è dominata dal fenomeno politico denominato “sotto-governo”.  Cardini della complessa macchina sociale vengono affidati molto spesso non in base alle competenze, ma a persone che hanno i giusti referenti politici. Questo spiega in buona parte il regresso dell’Italia in tutte le classifiche internazionali. Non si sottrae a questo perverso meccanismo nessun settore della vita sociale. Cultura, scuola, università, accademie finiscono per vedere operare corpi docenti con scarsa cultura ma con radicate convinzioni politiche. Faziosità a prova di logica. Siccome la politica priva di ideali, è solo contrapposizione di potere e di interessi, resta la prassi generalizzata di un  ancor maggior spazio al pragmatico cinismo da sempre nel nostro dna. Tutto ciò non può non avere disastrose conseguenze sulle nuove generazioni. Metafora  della situazione in atto è l’arte  sempre più solo oggetto di feticismo e di speculazione economica. Quando si parla di un artista, delle sue opere, non ci si chiede più quanto vale, ma quanto costa. Alessandro LUPO (1876-1953)  (2)500

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Confronti  0

 

 

Nel 1568 l’aretino Giorgio Vasari pubblica “Le Vite”, il testo si ispira alla novellistica fiorentina, descrive il mondo artistico e letterario della sua epoca nel quale la cultura aveva richiami al mondo classico che da impronta al suo lavoro, non solo ricco di episodi storici con aneddoti sulla vita degli artisti, ma anche molto curata sotto il profilo letterario. Un parallelo tra cultura, storia e arte. Per avere un’idea della cura con cui fu redatto il testo, basti dire che il lavoro di revisione, oggi diremmo l’editing, durò ben 15 anni. E’ noto che  il Vasari è considerato il precursore della critica d’arte, nelle Vite non si è occupato soltanto della descrizione delle opere degli artisti, ma, come si evince dal titolo, ha redatto una serie di brevi biografie di ogni singolo artista. Vasari era implicato in molti dei fenomeni che descrive ed era posseduto da un pessimismo implicito che emerge dalla narrazione della parabola da Cimabue a Buonarroti.

Oggi quella che per comodità viene ancora definita critica d’arte non ha più le caratteristiche di approfondimento di opere e personaggi., nei migliori dei casi ha forte connotazione sociale come “ Storia sociale dell’arte” di Arnold Hauser.

Più spesso si tratta di racconti parziali su determinati fenomeni. Ogni studioso tende a specializzarsi su una determina forma artistica, o corrente, proliferate con l’avvento delle avanguardie. Raramente il critico si sofferma sul background dell’artista e sul mondo nel quale vive e opera, quando lo fa, traccia per lo più un racconto privo di approfondimenti e ricco di elogi. Diciamo che la critica d’arte ha assunto il compito di promozione commerciale più che di narrazione vera dei fenomeni artistici.

Forse uno degli ultimi critici d’arte, per cosi dire, per vocazione, fu Charles Baudelaire. Il poeta francese visse in un periodo di fulgore dell’arte francese, tra il 1821 e il 1867, egli apparteneva al movimento del simbolismo ed estetismo che esprimeva la decadenza nonostante la Belle Epoque. Baudelaire scrisse sul  Salon des Refusés, insieme a Emile Zola.

Se pensiamo al grande scalpore che suscitò l’opera di Edouard Manet, “ Le Déjeuner sur l’herbe”, solo perché appariva un nudo, e lo paragoniamo a cosa rappresentano gli artisti oggi, dopo appena  160 anni, davvero dovremmo interrogarci sulla natura di quello che viene definito progresso dell’arte.

Gradatamente la funzione si approfondimento critico viene assunta dai filosofi. Da prima con citazioni en passant nei testi con i quali era contenuto un richiamo a forme estetiche, fino ad arrivare a produrre una ricca serie di pubblicazioni di filosofia dell’arte con  l’ambizione più o meno esplicita di chiarire i fenomeni artistici e dare significato alle opere. Raramente le loro considerazioni trovano riscontro nella osservazione del comune osservatore.

Non è questa la sede di approfondimenti circa gli esiti dell’entrata a gamba tesa della filosofia nel mondo dell’arte. Mi auguro che i brevi qui contenuti possano indurre ad approfondire il vasto tema della realtà artistica di ieri e di oggi.

Confronti

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La propedeutica dell’Intuizione.  0

 

 

 

L’arte consiste nel raccogliere l’infinito molteplice dei fenomeni reali ed esprimerli con pochi accorgimenti tecnici, ovvero secondo l’epistemologia propria dell’arte, in relativamente pochi tratti con cui ordiniamo un sistema tramite il quale abbiamo pienamente il potere e la capacità di rappresentazione di ciò che colpisce la nostra immaginazione.

Passione e intuizione sono due aspetti dello stesso misterioso impulso che muove l’artista. L’ultima opera di Cartesio ha per titolo un ossimoro: “ Le passioni dell’Anima”. Per definizione l’anima non prova passioni,anche i grandi filosofi cadono in truismi verbali.

Questo richiamo ci aiuta comunque a capire l’affermazione di Hegel secondo il quale: l’arte è il pensiero che prede forma.

La domanda che sorge spontanea è: di cosa si nutre, come si forma il pensiero propedeutico alla creazione artistica?

Secondo Kant la conoscenza avviene attraverso l’intuizione, la cosiddetta intuizione artistica sarebbe una sorta di anticipazione della conoscenza di ciò che non esiste, nella migliore delle ipotesi espressione parziale di un pensiero in divenire.

Altro tema è capire di cosa si nutre il pensiero per produrre le intuizioni che si esprime nella forma. Questo il punto cruciale che spiega il decadimento dell’arte contemporanea in quanto priva di pensiero.

Altra cosa è il significato contenuto nell’opera. Parafrasando l’affermazione di Hegel: non vi è nesso tra la forma dell’uva e il gusto del vino. Questo per dire che la forma non esprime necessariamente un significato, ma  nell’opera d’arte, è già sempre legata all’unità di forma e significato.  .

Oggi l’arte ha rinunciato al bello, alla mimesi, ma sopratutto ha rinunciato all’uso simbolo della forma. In “Verità e Metodo, Gadamer sostiene che il simbolo è l’idea stessa che si da esistenza nel momento e rappresenta il non visibile.

Immagini della fantasia. Fondazione Zavrel.

 

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