Keats si rivolgeva all’arte greca ed esprimeva in una struggente poesia la malinconia che in lui provocava il contrasto tra l‘immutabile regno dell’arte e il fatale svanire della vita umana. Dell’arte contemporanea molta critica vanta la provvisorietà, quasi fosse una dote. In realtà le mastodontiche strutture prodotte con sistemi industriale che molti artisti, specie americani, presentano come arte, non sono tanto effimere quanto insignificanti. Platone, è noto, esprimeva ammirazione per gl’immobili schemi dell’arte egizia. In una opera scritta in tarda età, Le Leggi, egli biasimava l’eccessiva libertà che veniva lasciata agl’artisti greci. Lo stile concettuale dell’Egitto aveva un’impronta concreta sottolineata da Platone nel celebre passo della Repubblica. Egli sosteneva che la rappresentazione dell’arte è infida e incompleta; si appella alla parte inferiore dell’anima, alla nostra immaginazione, piuttosto che alla ragione e deve perciò essere bandita come agente corruttore. La polemica contro gl’inganni della pittura non varrebbe come critica all’arte moderna. Il compiacimento dell’artista che crea il trompe-l’oeil, ha lasciato il posto al nichilismo. Non sfugge neppure la figura umana. L’empietà verso la figura umana nel rappresentarla nel suo estremo degrado, promuove, attira, lascia intendere che l’artista nel rappresentarla muova una implicita critica. In realtà egli è perfettamente in accordo, partecipa, alimenta, fruisce del degrado che lo dispensa anche dalla necessità della ricerca di quel varco nel nulla contemporaneo che dovrebbe essere scopo di ogni arte. La mancanza di freni nell’espressione artistica non è che la manifestazione di un pericolo. Lo sfregio dura più a lungo nell’immagine che nella carne. Disintegrare un viso sulla carta, la tela, la pellicola, la scena è sempre l’espressione di una non piccola sconfitta.
Arte greca. Altare di Pergamo. 637X 376 – 80 a.C.