Posts by Author

Il sogno barocco.  0

 

Già nella cultura antica il sogno suscitò l’interesse di molti filosofi. Aristotele dedicò ben tre trattati al sogno che considerava parte della nostra capacità percettiva. Egli sosteneva che le immagini che vediamo durante il sogno hanno cause esclusivamente fisiologiche. Anche Epicuro sviluppò disamine sul sogno attribuendo ad esso cause materialistiche e sensistiche.

Leibniz contrastava l’idea barocca che la vita possa essere sogno, come argomentava Pedro Calderon de la Barca in : “La vita è sogno”. E’ del tutto contrario alla ragione l’ipotesi di un sogno lungo quanto la vita umana, tuttavia questa romantica prospettiva è stata usata da poeti e drammaturghi. Anche  Shakespeare non l’ha disdegnata in molte sue opere.

L’arte è per se stessa una particolare forma di sogno, essa è una sorta di metafora dell’oltre realtà. Nonostante la definizione di metafisica, dell’arte, è improbabile che De Chirico, seguace della filosofia di Nietzsche, aderisce alla metafisica così come la intendeva Platone, il quale descrive, certo il percorso dall’eros alla sapienza, ma assegna alle arti figurative  un rango ontologicamente inferiore.

Il surrealismo confonde il sogno con l’irrazionalità. A partire dal dadaismo,  le avanguardie si sono affidate a intellettualismi che, al di là delle forme provocatorie, erano sostanzialmente aridi e privi di poesia. Mentre Salvador Dalì usava la pittura per esprimere  fantasie contorte, Man Ray seguiva le teorie di Andrè Breton il cui pensiero, più che teoria dell’arte ,sconfinava nella psicanalisi  e nella parodia della forma.

Anche per l’artista, tra razionalità ed emozione, si dipana il percorso dell’esistenza, parola di cui, sosteneva Liebniz, non conosciamo il significato. Ribatteva Berkeley: “ Noi conosciamo molte cose, per le quali ci mancano le parole per esprimerle”.

La filosofia Barocca dibattè  sulla impossibilità di soddisfare la richiesta cartesiana di una prova dell’esistenza del mondo, tema intorno al quale Liebniz e Berkeley  avevano opinioni diverse espresse in contrastanti teorie.

Sulla scia dell’alone infinito di possibilità che assedia il nocciolo ristretto di realtà, l’arte tenta d’inventare  vie di fuga. Ogni progresso è formato da elementi così piccoli, fatti di ore e di giorni, entro i quali le griglie concettuali diventano troppo grossolane , immagini, paragoni, metafore, appaiono inefficaci per confrontare i piani della realtà in cui siamo immersi.

 

Piergiorgio Firinu. New Mexico. Luogo sacro di indiani Navajo,1974Luogo sacro indiano

Share This:

La parola e l’immagine.  0

In che misura un’opera d’arte si radica nella  memoria? Che tipo di riflessione sollecita in noi? Davvero opere di Hartung, Pollock,Manzoni,Burri hanno arricchita la nostra sensibilità e la nostra cultura?

Quasi sempre l’opera d’arte è correlata alla parola che ne spiega il significato. Dunque la parola  non è solo il segno del pensiero,se con ciò si intende un fenomeno che ne annuncia un altro, come il fumo annuncia il fuoco.

Com’è noto Socrate diffidava della parola scritta. Egli affidava il suo insegnamento alla sua voce, al dialogo con uomini vicini, in grado di essere interrogati e di interrogare a loro volta, uomini con i quali esercitare l’arte della reciproca persuasione. .

Evidentemente non sempre questo è possibile, specie oggi in un mondo sempre più affollato nel quale ogni giorno si pubblicano una quantità di libri e giornali. La parola e il pensiero, quando sono in relazione con l’opera d’arte, contribuiscono a chiarirne il significato, entrambe si avvalgono di un segno. Lo scritto, più dell’immagine, è polisemico.

Il  segno è espresso dalla parola, la parola si avvale di una gnosi che da senso alla narrazione. Non potremmo nemmeno ammettere, come si fa di solito, di considerare la parola come un semplice mezzo di fissazione, o involucro al vestito del pensiero. Perché mai sarebbe più facile ricordare parole e frasi, piuttosto che l’imput che abbiamo ricevuto direttamente dall’opera?

Come  ricordare i pensieri, se ogni volta le  immagini verbali hanno bisogno di essere ricostruite? E perché mai il pensiero espresso verbalmente, cioè attraverso la parola, dovrebbe essere più efficace e comprensibile?

Il  senso delle parole è nella forza del pensiero di cui sono espressione, se le parole sono di per sé stesse comprensibili, è perché  il parlare possiede un potere significante che può essere interpretato a vari livelli di gnosi.

Attraverso il linguaggio costruiamo il nostro sapere. Come scrive Baldassarre Graciàn: “La ragione favorisce ciò che esiste”. L’apprendimento avviene tramite la parola scritta o pronunciata, la quale  acquista significato, essa è lo strumento attraverso il quale si trasmette il sapere.

Solo quando è riuscita l’azione della parola, pronunciata o scritta, si installa nella memoria, costituisce un nuovo campo, l’arricchimento di una nuova dimensione alla nostra esperienza.

Più semplice e diretta l’esperienza della immagine pittorica che fa parte della storia dei mezzi estetici come stimoli formali di rinnovamento. Per questo, la pretesa delle avanguardie di rinunciare alla mimesi e allontanarsi dalla natura, è stata velleitaria, perché ha  creato un vuoto che ha colpita l’immaginazione produttiva menomandola e, per così dire, riducendo l’apporto culturale, rinunciando a  dare ciò che la natura non da.

Quanto più l’arte è diventata “comprensibile” o ha fatto credere di esserlo, tanto meno poteva restar “comprensibile”, come   la natura; la quale del resto aveva già cessato di essere comprensibile da quando risultò che il libro della natura è scritto in un linguaggio cifrato la cui comprensione richiede ben altro che l’ermeneutica.    .

Gigli 500

Share This:

Comprensione e consapevolezza.  0

Per quanto possa essere creativa l’immaginazione pensiamo sempre una realtà possibile, introiettata nella nostra memoria. Quindi possiamo esprimerci elaborando i nostri ricordi, consci e inconsci, ma restiamo prigionieri di quello che possiamo definire antropospazio.Ogni nostra intuizione e percezione è racchiusa nella camicia di Nesso della nostra realtà.

Ci sono due modi di essere e due soltanto: l’essere in se, che è quello della oggettività dispiegata nello spazio, e l’essere per se, che è quello della coscienza. La coscienza di me predispone alla comprensione di ciò che mi circonda.

Da questo dualismo Merleau-Ponty trae la convinzione che  la  percezione naturale può essere interrotta dalla consapevolezza. Ciò significa, secondo il filosofo, che percezione e razionalità sono aspetti diversi dell’approccio al reale, la  percezione vera sarà del tutto e semplicemente una vera percezione se l’immaginazione non sarà turbata dalla razionalità capace di distogliere dall’immersione nel momento,la sensazione,in quanto pensata, indurrà alla presa di coscienza che in qualche modo distoglie dalla percezione pura.

Questa considerazione del filoso francese ha un qualche collegamento con il danese Kirkegaard, il quale in Aut-Aut, attua un confronto tra etica ed estetica e formula la stessa tesi avendo come riferimento l’annullamento nel godimento, che, egli sosteneva, è tanto più totale quanto maggiormente la coscienza si annulla nell’attimo. Il piacere, frutto della percezione fisica con cui la ragione raramente e comunque solo parzialmente, coesiste.

Anche l’illusione è una sensazione nella quale è assente la razionalità, di qui la contrarietà di Platone a quella che egli definiva la doppia illusione dell’arte. Dunque la psicologia della forma ha basi opposte alla epistemologia della scienza. il processo creativo non può essere basato sulla sola immaginazione..

Tuttavia la peculiarità dell’illusione consiste proprio nel non darsi come illusione. Quando percepisco un oggetto reale, quasi istintivamente lo colloco in un contesto che gli conferisce un senso. Per non perdere di vista la realtà è necessario avere conferma  della percezione, avere cioè presa di coscienza.

L’artista conserva lo stupore di fronte al mondo,questo stupore lo stimola a tradurre la realtà, filtrata dalla propria immaginazione creativa, nel flusso del pensiero-immagine che da forma a ciò  non esiste quanto meno nella forma che egli ha immaginato.

Arte metaforicamente può essere simile alla scrittura, come nell’aneddoto usato da Roberto Grossatesta. Il filosofo medioevale usa la metafora della mano che scrive e attraverso il segno delle parole dettate dall’intelletto da senso al pensiero. L’arte mimetica segue il libro della natura e lo esalta attraverso l’immagine. L’agnosticismo contemporaneo privo di phronesis ha eliminato il percorso che nutriva cultura e fantasia.

 

Mano che scrive

Share This:

Percezione e consapevolezza.  0

Per quanto possa essere creativa l’immaginazione pensiamo sempre una realtà possibile, introiettata nella nostra memoria. Quindi possiamo esprimerci elaborando i nostri ricordi, consci e inconsci, ma restiamo prigionieri di quello che possiamo definire antropospazio.Ogni nostra intuizione e percezione è racchiusa nella camicia di Nesso della nostra realtà.

Ci sono due modi di essere e due soltanto: l’essere in se, che è quello della oggettività dispiegata nello spazio, e l’essere per se che è quello della coscienza. La coscienza di me predispone alla comprensione di ciò che mi circonda.

Da questo dualismo Merleau-Ponty tra la convinzione che  la  percezione naturale può essere interrotta dalla consapevolezza. Ciò significa, secondo il filosofo, che percezione e razionalità sono aspetti diversi dell’approccio al reale, la  percezione vera sarà del tutto e semplicemente una vera percezione se l’immaginazione non sarà, che una forma diversa d’intelligenza, non turberà l’immersione nel momento,.la sensazione, in quanto pensata, indurrà alla presa di coscienza che in qualche modo distoglie dalla pura percezione.

Questa considerazione del filoso francese ha un qualche collegamento con il filosofo danese Kirkegaard, il quale in Aut-Aut, confronto tra etica ed estetica,attuava la stessa formulazione avendo come riferimento l’annullamento nel godimento, che, sosteneva è tanto più totale quanto maggiormente la coscienza si annulla nell’attimo. Il piacere frutto della percezione fisica con cui la ragione raramente e solo parzialmente coesiste.

Anche l’illusione è una sensazione nella quale è assente la razionalità, di qui la contrarietà di Platone a quella che egli definiva la doppia illusione dell’arte. Dunque la psicologia della forma ha basi opposte alla epistemologia della scienza. il processo creativo non può essere basato sulla sola immaginazione..

Tuttavia la peculiarità dell’illusione consiste proprio nel non darsi come illusione. Quando percepisco un oggetto reale, quasi istintivamente lo colloco in un contesto che gli conferisce un senso. Per non perdere di vista la realtà è necessario abbia conferma  della percezione, abbia cioè una presa di coscienza.

L’artista conserva lo stupore di fronte al mondo,questo stupore lo induce a tradurre la realtà attraverso la propria visione nel flusso del pensiero-immagine egli trova lo stimolo per dare forma a ciò che non esiste. Lo sguardo modifica la percezione.

 

un mondo500

Share This:

Filosofia e tempo.  0

Non è solo nella raffigurazione di simboli l’arte rappresenta il tempo, ogni aspetto di un’opera ha inevitabilmente  richiami all’epoca nella quale è stata realizzata che la situano in un preciso periodo temporale,ovvero storico. La storia rappresenta il nesso tra il tempo e l’antropologia, vale a dire il tempo vissuto dall’essere umano.

L’arte ci aiuta a comprendere il tempo come soggetto storico. La temporalità originaria non è costituita da una sovrapposizione di elementi esteriori, essendo prerogativa dell’arte  di mantenerli insieme nella loro specificità.

Comprendere un opera, non significa farne la sintesi, il che sarebbe riduttivo, ma predisporsi a una identificazione semantica del campo percettivo arricchito da gnosi ed empiria, anche se i nostri limiti ci pongono spesso nella condizione denunciata da Socrate:  cosa cerchi se non sai cosa cercare?

Il tempo cronologico non sempre coincide con la nostra percezione. Come ci ricordano i versi di Montale: “Passarono anni brevi come giorni”. Altre volte per immergersi nella nostra soggettività annulliamo il tempo. Kierkegaard in Aut-Aut esplora la sensazione ludica del seduttore che, per raggiungere il piacere. si annulla nell’attimo durante il quale il tempo non esiste più.

Eraclito l’oscuro, fu il primo filosofo a porsi il problema del fluire del tempo usando la nota metafora: entriamo e non entriamo nello stesso fiume.

Agostino, con modestia, manifesta la sua difficoltà a definire il tempo quando scrive. Quando ci penso so benissimo cos’è, ma se debbo spiegarlo mi trovo in difficoltà. Egli sosteneva che per costituire il tempo serve una presenza del passato, una presenza dell’avvenire, oltre quella del presente.

Merleau-Ponty nel libro “ Fenomenologia della percezione” azzarda una articolata teorizzazione, in decine di pagine tenta di definire quanto meno il modo in cui noi percepiamo il tempo. Tuttavia le sue teorie non hanno basi scientifiche, quindi la sua, resta una visione filosofica che infatti è stata ripetutamente contraddetta.   serpente-morde-coda-2 500

Share This:

La fisionomia delle cose.  0

La pittura è un tentativo di ottenere la fisionomia delle cose e dei volti attraverso la restituzione integrale della loro configurazione sensibile, è ciò che la natura fa senza sforzo in ogni momento. Ecco perché i paesaggi di Cézanne sono quelli di un mondo in cui non c’erano ancora uomini, egli sosteneva  che il paesaggio dipinto deve emanare un profumo.

Percepiamo con il corpo, i sensi, la parola invece nasce dal pensiero e non ha forma. Ogni percezione è la materia che prende forma, il reale si distingue dalle nostre finzioni perché in esso il senso investe e penetra profondamente la materia attuando l’affermazione di di Hegel secondo cui il reale è razionale.

Quando l’artista sostituisce la parola alla forma, in pratica rinuncia all’arte plastica per richiamarsi al pensiero che è materia della filosofia.

Ma la filosofia è l’elaborazione del pensiero per arrivare al concetto,cioè alla sintesi, le poche parole che costituiscono l’opera non sono sintesi di nulla perché non precedute dalla elaborazione teorica, assumono quindi più che altro le caratteristiche di slogan.

Le opere di Isgrò,Ben Vautier,Chiari, per citare alcuni artisti che operano in questo modo, usano le parole come  metafora, con richiami a significati che però non sono visibili nell’opera, dunque non hanno valenza estetica ma solo concettuale.

Al contrario, la fenomenologia dell’Arte è il percorso attraverso il quale avviene l’elaborazione della forma. Plinio il vecchio narra che la pittura ha avuto inizio quando un pastore ricalcò la sua ombra e la colorò.

L’arte non può essere solo immaginazione, ma è gnosi. Plutarco ha tramandato un frammento di Eraclito che potrebbe valere come motto dell’illuminismo: “Eraclito dice che unico e comune  è il mondo per coloro che son desti, mentre nel sonno ciascuno si rinchiude in un mondo  suo proprio e particolare”. Quali sono le regole  e le leggi del mondo comune, del mondo della natura  delle azioni umane così come si manifestano? Il mondo comune è quello della ragione, dunque della conoscenza.

Kant cita il motto di Eraclito nei sogni di un visionario chiariti con sogni della metafisica del 1776, nella fase  in cui si vede risvegliato, grazie allo scettico Hume, dal sonno dogmatico e dai sogni della metafisica. Deve il filoso rassegnarsi e dire alla fine con Voltaire: “Fateci attendere alla nostra sorte , lasciateci andare in giardino a lavorare”.  Significa cioè ritornare al significato originario del sostantivo Arte che implica fare.Cezanne 500

Share This:

La pittura ricrea il fascino del deserto.  0

Nel 1830 Algeri era diventata francese. Due anni più tardi Delacroix era in Marocco al seguito di una legazione francese. Nei disegni che ritraevano le sconfinate sabbie gialle del deserto e gli arabi nei loro burns bianchi sventolanti  mentre cavalcavano nel bruciante calore, l’artista fissò una vivace libertà ricca di colore, sacrificandola nel quadro: come illustratore della conquista coloniale favoriva inconsapevolmente la riduzione della libertà degli algerini. Infatti la libertà naturale per gli algerini non era se non impulso, passione, erotismo, gelosia, non privo di una certa dose di violenza e crudeltà. Per Delacroix, e per i suoi scialbi epigoni, tigri e stalloni arabi rappresentavano nulla più che soggetti, involucri della libertà, nella stessa misura in cui lo erano i cavalieri marocchini con i loro lunghi moschetti d’argento.Sotto la pienezza dei colori africani il pittore  subì una sorta di richiamo all’antichità, ai mitici tempi omerici, le stesse antichità religiosamente custodite nelle sale  dell’Accademia di Parigi. Un amico del comandante del porto di Algeri, che era riuscito ad esaudire il vivissimo desiderio di Delacroix di visitare un harem, racconta che alla vista delle floride  ospiti ammantate di seta l’impulsivo artista non cessava di esclamare: “ C’est beau! C’est comme au temp d’Homere !  L’antichità che l’artista scorge in quel luogo, non è quella fredda, cristallizzata, classica, ma piuttosto quella concreta della vita orientale nel suo abituale scorrere. La stessa antichità africana che gli svelava i corpi possenti delle tigri e il focoso temperamento selvaggio dei cavalli arabi da combattimento, come racconterà il suo biografo Silvestre. Erotismo della natura primitiva, intensità degli impulsi, “férocité e verve” :  ecco le categorie che affascinavano il pittore il quale scriveva in una lettera a un amico, nelle vie di Algeri puoi vedere sfrecciare l’incarnazione del sublime e la realtà tangibile di questa visione è in grado di ucciderti. Strettamente connessi l’un all’altro, il sentimento romantico per l’Africa e l’occupazione politica. Delacroix rimane comunque uno dei precursori di quella grande migrazione di pittori, scrittori, intellettuali che furono attratti del fascino dell’Africa. L’entusiasmo lastricò le città dell’Africa di cattive intenzioni. Non solo l’arte fu in molti casi una coloritura romantica al bieco colonialismo, ma rappresentava un paradosso:  artisti e scrittori che dovrebbero essere orgoglioso supporto alla civiltà che avevano contribuito a creare, freno per gli eccessi dell’ansia di conquista e sottomissioni di popoli africani, e non solo. Invece fuggirono dall’Europa, spinti dalla confusa ricerca dell’esotico, del “primitivo”, senza rendersi conto che dietro al folklore vi era un modo diverso di concepire l’esistenza, una civiltà nata dall’antica saggezza. I popoli africani tentarono, per quanto fu loro possibile, di sottrarsi al destino di essere fagocitati dall’occidente.  images

Share This:

La percezione sensibile.  0

Percezione e intuizione sono attitudini importanti per l’artista perché  gli consentono di avere contatto con la realtà che elabora e forma. E’ però necessario che queste attitudini siano integrate da acquisizione epistemologiche che gli consentano la pratica realizzazione dell’opera.

In questo ambito,la filosofia non offre soluzioni,da però un contributo alla riflessioni e consente, l’attribuzione di un razionale significato.

Nel suo progredire la riflessione rimuove se stessa, nel rinnovarsi  riscopre una soggettività vulnerabile destinata a modificarsi nel tempo con l’esperienza e il pensiero.

L’arte, nella sua illusione ingenua di creare, supera l’evidenza apodittica di qua dell’essere del tempo ma questa ingenuità, o se si preferisce riflessione incompleta, si perde nella coscienza formale dell’oggetto che crea.

La coscienza del proprio cominciamento appare autentica creazione,un mutamento di struttura della coscienza di cui le opere sono il frutto. Ciò significa che non è possibile assimilare le percezione alla sintesi. Il  campo percettivo è riempito di riflessi, scricchiolii,  fugaci in impressioni tattili che non sempre l’artista è in grado di connettere in modo preciso al contesto percepito, quindi si perdono immediatamente in confuse farneticazioni.

L’artista sogna delle cose, immagina oggetti o persone la cui presenza non  è necessariamente incompatibile con il contesto,anche se non si mescolano al mondo perché sono oltre il mondo, si muovono in un teatro dell’immaginario.

La pereidolia rappresenta il sintomo, quasi istintivo,del bisogno di ricercare il senso in ogni forma visibile, anche se la percezione autentica si esplicita nel distinguere a poco a poco dai fantasmi della immaginazione, e, attraverso un travaglio critico, dare ad essi un significato che li giustifichi..

Se fosse fondata solo sulla coerenza intrinseca della rappresentazione la realtà della percezione dovrebbe essere sempre esistente, affidata a congetture improbabili. In ogni momento, si dovrebbe poter disfare di sintesi illusorie e realtà immaginate per integrarle al presente.

I fenomeni della percezione non sempre si traducono nella evidenza formale. L’artista attua una sorta di selezione e annette i fenomeni  più sorprendenti, mentre respinge altri aspetti della  immaginazione, anche se più verosimili, anzi proprio perché più verosimili.

La percezione non è che una possibilità di approccio al reale, non è nemmeno un atto, ma una presa di posizione dalla quale scaturisce l’intuizione, uno sfondo sul quale si attuano gli atti. Da questi presupposti prende forma la soggettività della creazione. Tema sul quale ritorneremo.

Pareidolia_-_Chiesa_Madre_di_Nereto_-_Teramo,_Italy

Share This:

La dimensione ontologica dell’arte.  0

La dimensione ontologica dell’arte è stata definita in vari modi ed esaminata nell’ambito di una conoscenza storica ed epistemologica fino all’avvento delle cosiddette avanguardie che hanno non modificato, ma eliminato ogni approccio di carattere culturale in omaggio ad aspetti di estemporaneità sociale e di mercato..

La matrice primitiva della conoscenza in cui la realtà del mondo esterno è già stata qualificata da termini di un dominio secondo una legge che regola o forma in ordine di successione che ignora  la natura della visione nell’ottica della conoscenza scientifica propriamente detta. Questo approccio intuitivo viene detta : creatività.

L’artista costruisce e da  la forma alla materia attraverso la sensibilità. Così facendo persegue inconsciamente un costante coefficiente di deformazione della realtà percepita soggettivamente senza preoccupazioni di  un rispecchiamento che  corrisponda alla natura delle cose.

Attuando questa deformazione, imposta da questo specchio imperfetto,l’immaginazione umana segue uno schema di  percezione in  termini di pura apparenza, restando nell’ambito della soggettività.

L’artista opera nello spazio e sulla materia utilizzando una epistemologia di tutt’altra natura di quella utilizzata dalla scienza.

Non si pone infatti il problema dello spazio nella stessa ottica posta, a esempio, dal francescano Roberto Grossatesta il quale nel suo testo “ Metafisica della luce”.aveva teorizzato un concetto di spazio il cui dettaglio concettualizzato apriva ampi spiragli di conoscenza scientifica, immaginando  una estensione fittizia, priva di materia, supponendo potesse essere una fonte di energia. Tale ipotesi era stata approfondita da Hobbes, mentre   Giordano Bruno avanzava un diverso schema di  spazio,vuoto e infinito. Non è questa le sede per approfondire tale materia. La citazione serve a chiarire che la filosofia orienta alla conoscenza delle cose le cui proprietà possono essere acquisite a partire dalla percezione sensoriale, sottoposte ad articolazione analitica. Ecco perché Gassendi e Marsenne ipotizzarono l’impossibilità  dell’uomo di comprendere la causa prima delle cose. Essi sostennero che siamo in grado di conoscere la struttura dei fenomeni, ma quasi mai la ragione per cui avvengono. Sappiamo, a esempio, che solo il 5% della materia dell’universo ci è nota, il resto è costituito da buchi neri, ma non conosciamo la ragione del loro formarsi.

L’arte non  pone problemi di conoscenza, limita la propria sfera all’apparenza delle cose. Uno dei tanti truismi che costellano la storia dell’arte afferma: l’arte inizia dove la scienza si arresta. Questa affermazione conferma che l’arte rappresenta la più enfatica esaltazione antropocentrica, e porta a valorizzare oltre misura tutto quanto attiene agli esserti umani,secondo un propter quid la cui origine è la religione.

Non c’è dubbio che l’apporto gnoseologico dell’arte è modesto. Delle due forme del sapere, intuitivo e analitico, l’arte segue il primo. Forse dovremmo dire seguiva, in quanto l’arte contemporanea ha percorsi affidati alla estemporaneità mondana, realizza opere nelle quali si i limita all’apparenza senza preoccupazioni di significato.  pittura religiosa spagtnola500

Share This:

Logica e sensibilità.  0

Per Platone la filosofia è conoscenza di oggetti che sfuggono ai sensi,per Kant e conoscenza razionale per concetti puri, in questa prospettiva sembrerebbe senza senso consegnare riflessioni filosofiche a un’immagine. Questo scettico luogo comune suggerisce un’ermeneutica delle  opere solo attraverso l’intuizione, lasciando da parte teorie, concetti, richiami filosofici. In realtà sappiamo che nei pittori del rinascimento, ad esempio nella Scuola di Atene di Raffaello, ai Tre filosofi  di Giorgione, fino a Rubens, Goya, De Chirico, Magritte si sviluppa  un originale percorso euristico attraverso le immagini.

 

Il tema, considerato sotto l’aspetto iletico contemporaneo  suscita la domanda: ha ancora senso attribuire all’arte un contenuto o richiamo filosofico, vale a dire valenza universale?

Di certo molta acqua è passata nei fiumi del mondo da quando Occam  proponeva  che dall’incontro della logica con l’epistemologia, si deducesse la possibilità di dare un significato concettuale al segno, e alla narrazione linguistica volta a indagare il significato delle cose percepite sensibilmente, una sorte di cenegesi culturale con cui arricchire la forma. La percezione sensibile è punto di partenza, che non può considerarsi l’approdo gnoseologico relativo alla lettura di un opera d’arte.

 

La tradizione aristotelica e scolastica avevano accordato uno statuto sostanzialistico alla impostazione astratta e tutti gli schemi di generalità in funzione dei poteri di simbolizzazione della mente umana. L’arte rientra in questo ambito espressivo, perché riconducibile al potere di simbolizzazione, capacità propria della mente umana esercitata nella indagine logica.

 

Anche Zabarella, filosofo della Università di Padova effettuò studi per indagare la natura del significato ontologico dell’arte, prendendo in esame le tecniche e le procedure nelle arti avendo per oggetto i grandi pittori veneti ed emiliani della sua epoca. Frequenti i richiami a Hobbes e ad approfondimenti  sul concetto di verità e falsità attraverso l’inferenza circa la proprietà non delle cose,ma del pensiero logico espresso attraverso le immagini.

 

Quando Danto archivia la metafisica, che presumibilmente non conosce, come inutile vecchiume, di fatto butta via, insieme al bambino, anche l’acqua e la bacinella che contiene entrambi, azzera cioè, non un bagaglio di conoscenze, ma un metodo mediante il quale si attua il percorso che indaga l’ontologia dell’arte.

 

I filosofi del tardo Medioevo, Occam, Hobbes, Zabarella, Grossatesta, affrontarono la questione se l’approccio al sapere dovesse privilegiare la sensibilità o la logica. Detto in altri termini, se dovesse prevalere il metodo naturale o l’artifizio logico costruito dall’uomo del quale si serve anche la scienza per indagare la natura delle cose. Oggi sembra prevalere l’opzione sensibile, cioè emotiva,  che trascura il bagaglio di sapere a vantaggio della percezione immediata.

Goya copia500

Share This: