Esistono ancora artisti o ci sono solo più geni? Quando l’insieme dei saperi si arena in un solipsismo cinico, la ricerca di miti diventa una sorta di virus mentale, una via di fuga dalla razionalità pensante. L’annuncio di una mostra di Maurizio Cattelan, rigorosamente in inglese “Be right back” , la locandina pubblicitaria precisa: “il Genio che ha rivoluzionato l’arte contemporanea”. Sorge spontanea la domanda: quanti sono i “geni” che hanno rivoluzionato l’arte contemporanea? A partire dai Futuristi, Dada, Fluxus, Pop Art, Arte Povera, Transavanguardia, Punk Art. Tutti geni? Tutti rivoluzionari? La mia opinione è che si tratti per lo più di mediocri soggetti esaltati dalla critica e sostenuti dalla propensione al kitsch delle masse contemporanee. Basta fotografare clochard ed esporli in mostra per riscuotere il plauso della critica. L’arte non dovrebbe essere sociologia, ma rappresentare, in forma metaforica, aspetti della realtà. Si resta perplessi nel leggere su quotidiani nazionali, di proprietà di capitalisti, con redazioni di giornalisti garantiti e lautamente retribuiti, che nella presentazione di una mostra al PAC di Milano scrivono: “ ..c’è sempre qualcosa di dignitoso in queste persone (accattoni) che non riescono ad essere funzionali all’interno di un sistema corrotto e sfruttatore..”. Così il capitale e suoi accoliti recitano due parti in commedia, mentre i veri derelitti, che non sono solo gli accattoni, ma molte vittime di un potere che, si autodefinisce democratico, favorisce, anzi impone, forme di disordine e disgregazione sociale. Siamo di fronte a saperi negati senza che siano stati davvero compresi nella loro complessità socio-etica. Abbandono spurie teorie e semplificazioni ideologiche che pretendono di attuare un’ermeneutica della realtà. Chi parla, chi agisce, chi risolve; chi paga il prezzo delle semplificazioni teoriche o, nel caso dell’arte, dell’ossequio al mercato. L’arte costituisce anch’essa un piccolo tassello di una molteplicità sociale che agisce nel profondo delle coscienze, qualsiasi cosa si intenda con “coscienza”. Come scrivevano Deleuze e Guattari in Rizoma, il libro è una piccola macchina da guerra. Il problema è che gli intellettuali non la sanno usare e sparano a casaccio. I libri di oggi in generale non descrivono né informano, non nutrono la coscienza collettiva. L’arte ha cessato da tempo di imitare la natura, la scrittura ha cessato di occuparsi della realtà, per quella che è, non vista attraverso l’immaginazione di bolsi soloni al riparo dalla conseguenze del loro teorizzazioni. L’elenco delle correnti artistiche, elencate sopra, è in parallelo con le mode, gonne lunghe, gonne corte, voile o jeans. La massa,suggestionata dai media, seguirà passivamente. Conformismo rassegnazione e disgusto sono le cifre della modernità. 
Considerazioni sull'arte



Un tema interessante che riguarda l’arte ed aiuta a conoscere artisti e opere, è lo stimolo originario che induce un artista a denominare un opera. Come sceglie il titolo? Quando Robert Rauschenberg, presenta una scopa come opera d’arte, prendendo alla lettera l’affermazione di Leo Castelli: “ se un artista mi porta una scopa io la vendo come opere d’arte”. Il quel caso il titolo è quanto meno superfluo. Forse tutta l’arte contemporanea non è che un espediente commerciale. Jacques Derrida, come molti filosofi, si è interessato di arte. Nel 1979 scrisse: “ Penser à ne pas voir” Sottotitolo “ Ẻscrits sur les arts du visible”. Stranamente si occupò di artisti non particolarmente noti. Il libro è un dialogo tra il filosofo e gli artisti, a volte con l’intervento di una terza persona. In buona sostanza il libro, 387 pagine, è costituito da divagazioni per il gusto della parola una sorta di autocelebrazione del proprio pensiero. Tredici pagine con filo conduttore “Dessous” , parola ambigua dei molti significati, fondo, rovescio, parte inferiore retroscena, Biancheria intima. Nell’intreccio delle parole e del senso, c’è spazio per l’esaltazione del mercato e la promozione della Fondazione Maeght che ha pagato il suo intervento. Quando Derrida parla della rarità assoluta di un opera d’arte è chiaro che, ad essere gentili, dice una cosa inesatta. Non è necessario richiamarsi a Walter Benjamin e la sua nota tesi sulla perdita d’aura dell’opera d’arte in epoca di riproducibilità. Oggi siamo ben oltre. E’ vero che l’arte viene oggi feticizzata e sacralizzata oltre misura, ma questo non avviene per amore dell’arte ma per la speculazione sull’arte che oggi ha raggiunto livelli stratosferici. La rilettura critica della filosofia dell’arte ci porta a disarmanti considerazioni. Jacques Derida non s’inoltra nella filosofia del’arte, in 387 pagine gira intorno all’argomento con un lettura di opere di alcuni suoi amici, tra i quali Valerio Adami, lettura dalla quale non si ricavano lumi sui singoli artisti, tanto meno sull’arte in generale. Quando afferma che dovrebbe essere proibito descrive un quadro, è chiaro che contraddice se stesso. Considerata la statura filosofica che viene riconosciuta a Derride francamente c’è da trarre sconfortanti conclusioni .











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