L’età moderna registra il perpetuarsi di una decadenza che dura da Platone è pure capace di convincersi che la propria insipienza sia il superamento della tradizione. Ciò porta esperienze che sono il vivere la propria banale mediocrità ed accettare lo sgretolamento dei principi che hanno reso possibile il costituirsi della società civile.
Anche l’arte è asservita al consumo veleggiando all’interno di una cultura della superficialità e cecità riguardo al nucleo essenziale di ciò che costituisce la crescita umana, la inconsapevolezza di ciò che Nietzsche per la prima volta ha riconosciuto come nichilismo. Il nichilismo di Nietzsche è rimasto tutt’ora incompreso, soprattutto non ha portato alla meditazione. Se così non fosse non sarebbero sorte le avanguardie artistiche con l’avvallo di una filosofia da rotocalco.
Nel vuoto, trova ampio spazio la tecnica , la quale si fonda epistemicamente sul sapere matematico in grado soggiogare la natura e dominarla. A ciò corrisponde al modo in cui si giunge al sapere e alla diffusione rapida e di massa di conoscenze mal comprese tra il maggior numero di persone possibile e nel più breve tempo possibile; la scolarizzazione che nella pratica odierna capovolge lo stesso significato del sapere. Tutto questo diventa inquietante quanto meno è appare, quanto più facilmente diventa quotidianità.
Questa aridità culturale e mentale è perfetto terreno di coltura della emotività e di un piatto sentimentalismo privo di autenticità. Prende spazio il vissuto, l’accumulo di esperienze per colmare il vuoto che deriva dalla difficoltà di capire. L’Essere diventa preda della caccia di esperienze vissute.
Diceva Giovanni Scoto Eriugena: “Non serve cercare nell’esperienza ciò che l’esperienza non ci può dare, ma cercare in noi stessi e portare alla consapevolezza dello spirito tutte le nostre virtualità”. Un simile preposizione nella contemporaneità non ha significato ne senso.
L’arte contemporanea si affranca dall’esperienza di vita vissuta? Oppure cambia solo ciò che viene vissuto addirittura in modo tale che adesso il vivere diventa ancora più soggettivo? Il vissuto diviene l’indole tecnologica dell’impulso creativo stesso, il come del fare e dell’inventare informale e le relative distonicità e vuotezza del simbolo il quale rimane ancora metafisica del vissuto, dell’Io come unico, discontinuo riferimento, dal cui vuoto nascono gli incubi di esistenze infelici.
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