Una filosofia si annuncia e si rivela fin dai suoi primi distinguo. Si offre tutta intera in questo gesto inaugurale. Prima spiega, prima scissione. Dalla piega annunciata scaturiscono più versanti che daranno vita a opposizioni e moltiplicheranno il senso. Sì creeranno piani, livelli, interpretazioni. Tutto il percorso servirà a ristrutturare ed arricchire il pensiero. Uno dei meriti del platonismo, lo sappiamo, è di aver esplicitato nella filosofia occidentale, la demarcazione iniziale, e anche quando sarà critica, non per questo cesserà di servire da riferimento. “Bisogna cominciare con il distinguere”. dice Platone, “in modo ricorrente nei passi fondamentali”. Nelle sue opere (Repubblica IV 507b;Politico 269d, Timeo 28°) da una parte l’essere eterno “che non nasce” dall’altra “quello che nasce sempre e non esiste mai”. Il primo che solo l’intelletto, il ragionamento afferrano è invisibile, mentre il secondo “che non esiste mai realmente”, si offre alla sensazione. Tale sarà dunque l’inizio, secondo i due significati del termine: punto di partenza, ma anche ciò che “fa la distinzione” nel cuore del reale e lo separa internamente; l’effimero visibile è solo apparenza opposto alla verità dell’eterno. Non è che un teatro di ombre, la caverna dove, voltando le spalle alla luce, sono seduti i prigionieri. Cosa impedisce i prigionieri di uscire dalla caverna? Di cosa sono prigionieri? Domande alle quali la filosofia non ha trovato risposte convincenti impegnandosi a descrivere nel dettaglio le ombre e negando di fatto l’esistenza di una realtà diversa. La caverna è la nostra debole e distorta volontà schiava del sensibile. L’urlo del desiderio dell’animale prevale sulla flebile voce della ragione. La materia incombe sull’anima e gli impedisce di volare. Le ali del pensiero tarpate dal desiderio del corpo. Leibniz aveva immaginato la protezione delle monadi le cui pareti si sono rivelate troppo fragile, la bestia è fuggita.
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