Si dice che Marcel Duchamp abbia esitato tra la professione di pittore e quella di umorista. Alla fine pare abbia optato per la scelta di essere un pittore-umorista, certo nemmeno lui si sarebbe aspettato tanto successo. Duchamp nasce in Francia nel 1887 a Blaville- Crevon, figlio di un notaio. All’inizio della sua carriera dipinge con stile che emula gli impressionisti, opere di scarsa originalità e di modesta fattura. Nel 1905, a Montmartre,scopre lo spirito burlone di un gruppo di persone che si definiscono gli “Incoerenti”. Nel 1909 comincia a dipingere secondo lo spirito cinetico e bergsoniano e crea la sua prima opera “originale” che tuttavia si richiama a Boccioni, “Nudo che scende le scale”, realizzata nel 1912 ed esposta all’Armory Show a New York grazie all’l’appoggio della sua mecenate americana, Katherine Sophie Dreier. Nel 1917 acquista in un negozio di servizi igienici un comune orinatoio, modello Bedfordsgire , firma l’oggetto con lo pseudonimo “R.Mutt” e lo presenta in una mostra alla Stable Gallery. In precedenza aveva presentato “Ruota di bicicletta”, un ready-made che, a differenza dell’orinatoio, richiedeva un minimo di manualità. Come abbiamo indicato più sopra, prima della guerra 1915/1918, Duchamp dipinse opere di fattura classica, sia pure di non eccelso livello. Risalgono al 1902 “La chiesa di Blainville” , “Ritratto di Marcel Lefrancois, 1904. Ritratto di Yvonne Duchamp , 1909. “Nudo in calze nere” . 1910, dello stesso anno ritratto del padre dell’artista. Potremmo elencare altre opere dipinte fino al 1911. Va da se che tutte quelle opere passarono inosservate per la scarsa qualità pittorica. Su questo punto la critica d’arte dovrebbe chiarire le ragioni per cui un mediocre pittore, non appena si abbandona alla provocazione diventa immediatamente un maestro. Certo il sostegno della ricca americana Katherine Sophie Dreier ha avuto un peso non indifferente nell’introdurre Duchamp negli ambienti artistici newyorkesi in quegli anni alla ricerca di uno spazio nel panorama mondiale dell’arte. Gli squilionari statunitensi avevano scarsa cultura artistica e molto denaro da impiegare per imporre l’arte americana nel mondo. Duchamp, con la sua modesta dimensione artistica e la propensione alla provocazione era il giusto cavallo di Troia. E’ da notare che negli USA furono attive soprattutto le donne nel promuovere i fenomeni artistici emergenti, oltre alla Dreier sono numerose le donne che promossero l’arte di rottura. Anche il petroliere miliardario John D. Rockefeller diede appoggio ad un arte che, come poi si è visto, era propedeutica alla promozione degli artisti statunitensi. L’obiettivo di trasferire dall’Europa, in particolare da Parigi, il baricentro dell’arte a New York riuscì perfettamente. Oggi l’arte statunitense domina il mercato, peccato che nel frattempo cultura e arte abbiano subito una netta separazione. 
Considerazioni sull'arte
La storia dell’arte è del tutto incompatibile con la realtà dell’arte come è presentata oggi. La società contemporanea è condizionata da propensioni ludiche, compulsioni consumistiche. Per la loro sensibilità gli artisti subiscono influssi e condizionamenti in base ai quali producono le loro opere. A partire dalla Pop-Art , che non a caso ha avuto origine negli USA, è stata posta la parola fine a ogni idealità artistica. Neppure la distruttiva contestazione DADA era giunta a tanto. Non pare che critica e filosofia dell’arte abbiano preso coscienza di questa realtà, e ne siano consapevoli, o forse, per ragioni di bottega, preferiscono ignorarla. La Pop-Art, nata per esaltare il consumo, dare impulso alla pubblicità dei prodotti da supermarket, ha eseguito perfettamente la propria missione al punto da diventare essa stessa oggetto di consumo e realizzare una autoreferenzialità di tipo pubblicitario. Era l’inevitabile esito. Dopo il processo di pauperizzazione dell’arte, sono presi di mira anche i luoghi nei quali l’arte è esposta, che diventano oggetto di profanazione. Si moltiplicano le manifestazioni estemporanee, sfilate di moda, selfie, mondanità di varia natura. La Biennale di Venezia del 2017, diretta dalla francese Macel, nomine omine, ha aggiunto alle celebrazioni mondane anche i raduni conviviali per pochi intimi, rigorosamente scelti dalla zarina di turno. Alcuni artisti, forse consapevoli della fine dell’epifenomeno arte, prendono di mira i musei, anzi, creano essi stessi luoghi in cui raccolgono “opere”. Già alla fine degli anni ’60 del secolo scorso Claes Oldemburg , pioniere della Pop Art statunitense, creò un contenitore a forma di testa di Michey Mouse dentro cui accumulò centinaia di oggetti della più varia provenienza. Mike Kelly, altro artista statunitense, ha realizzato un luogo denominato “Harem”, nel quale ha raccolto oggetti inutili, alcune immagini pornografiche e altre cianfrusaglie. Jim Shaw per decenni ha accumulato materiale che egli considerava pedagogico, per lo più d’impronta religiosa. Molte altre iniziative dovrebbero essere citate. Marcel Broodthaers nelle sue installazioni ha messo in scena una parodia del Museo per ridicolizzarlo. Appare evidente che gli artisti, cioè coloro che dovrebbero essere produttori e cultori dell’arte, hanno perso ogni fiducia in quello che l’arte dovrebbe rappresentare e si accaniscono in azioni di demolizione. Ci troviamo di fronte a una chiara conferma della incompatibilità dell’arte con la società e la cultura contemporanee. Un museo di Marsiglia, il MUCEM, ha proposto come opere d’arte i rotocalchi femminili in voga tra gli anni ’40 e ’70 del XX secolo. Si continua a valorizzare simulacri, prodotti commerciali, ai quali pervicacemente viene associato , in modo del tutto improprio, il sostantivo arte.










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