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Post by Category : Conversazioni sull’Arte

La filosofia dovrebbe stabilire un legame tra ciò che è dipinto e ciò che è pensato.  0

Scrive Marcuse: “ Un intima necessità distingue l’opera d’arte autentica da quella non autentica, e questa è l’impossibilità di cambiare di una sola riga un singolo suono”. Si tratta certo di una “tirannia della forma”. Tuttavia con ciò non viene meno l’immediatezza dell’espressione, ma solo la falsa immediatezza, falsa nella misura in cui trascina con sé il mondo riflesso di una realtà mistificata.

In difesa della forma estetica,Bertolt Brecht osservava nel 1921: “Mi accorgo di diventare sempre più un classico”. Sono vani tutti gli sforzi esasperati dell’impressionismo per espellere con ogni mezzo certi contenuti banali destinati a diventare  prima o poi classici.

Si rimprovera ai classici la sottomissione alla forma mentre in realtà, in un’opera riuscita,  è la forma ad essere sottomessa.

In ogni caso, se la tesi di Marcuse è corretta, dovremmo concludere che tre quarti delle opere teatrali classiche sono state cancellate dalla lettura e messa in scena in chiave contemporanea. Significa che l’arte web, che ha la pretesa di attuare una interpretazione in chiave tecnologica  di opere classiche,  è totalmente negativa.

L’essenzialità, o se si preferisce l’aridità formale di molte opere contemporanee, deriva dalla incapacità di trasfigurazione estetica di una realtà che si fa materia di pensiero.

Alcuni personaggi letterari sono entrati a far parte del nostro immaginario, dei nostri ricordi, abbiamo l’impressione di avere condiviso con loro una parte della nostra vita, la parte immaginaria nella quale loro sono stati protagonisti.

E’ questa creazione di una realtà separata che si radica nella nostra memoria  la differenza sostanziale tra l’arte vera e  opere che sono solo frutto di velleità  concettuali,  facili ricorsi alla ormai inutile provocazione.

L’arte è parte di un gioco linguistico le cui regole sono costantemente violate in una prassi che contrasta lo spirito di Wittgenstein quando  sostiene che padroneggiare il linguaggio è base di una corretta comunicazione. La filosofia dovrebbe stabilire un legame tra ciò che è dipinto e ciò che è pensato. Non a caso il linguaggio del segno finisce per dover ricorrere a una narrazione verbale, un’ermeneutica che altro non è se non una forzata attribuzione di significato.

Già ai primordi della filosofia, l’ontologia di Eraclito, il lessico dei sofisti, nell’offrire l’abbrivio alla elaborazione del pensiero filosofico hanno creato le basi per la conoscenza.

Aristotele raccoglie e amplifica il pensiero di Eracle l’oscuro, in uno spazio di riflessione dialettica nella quale include gran parte del sapere dell’epoca in cui visse. Il suo impegno gli valse il titolo di: maestro di coloro che sanno.

L’arte moderna è lontana anni luce dalla profondità di pensiero che ha articolato la storia della evoluzione culturale. Con supponenza gli artisti hanno attuata un cesura con il sapere “inutile”, secondo la definizione di Bertrand Russell, ed hanno optato per la tecnologia finendo per diventare una parodia triste, priva di vera capacità creativa, adagiata sulla pretesa apodittica di chi attribuisce a se stesso lo status di artista e si attribuisce capacità che non possiede. Purtroppo nel vuoto culturale del nostro tempo tutto viene accolto e celebrato per ragioni che sarebbe forse  interessante quanto inutile indagare.

Scrive Max Scheler :”L’uomo contemporaneo tende a trascendere se stesso in quanto essere naturale, in questo modo avvia l’estinzione della civiltà come è andata configurandosi nei millenni”.

 

MADRE CORAGGIO-500

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L’eccesso di leggerezza porta all’evaporazione del pensiero.  0

Di cosa si nutre, di cosa potrebbe nutrirsi il pensiero creativo? Se anche un artista sceglie la solitudine, decide di  vivere lontano dalla confusione urbana, resta comunque influenzato dalla realtà che filtra inevitabilmente nel suo quotidiano.

La contemporaneità è caratterizzata dal disincanto che spesso tracima nel cinismo, le spinte ideologiche che muovevano gli artisti ancora 50 anni fa, si sono arenate nelle spire del ludico mondano, l’eccesso di leggerezza ha fatto evaporare il pensiero creativo ormai alieno ai fenomeni culturali perché assolto nella effimera prassi sociale.

Hegel  dichiara: “qualcosa è conosciuto come limite, come carenza, deficienza, solo quando quel limite e quella carenza sono state superate”.

Per Bertolt Brecht: “ Un’opera che non esibisce la propria sovranità nei confronti della realtà, non è un opera d’arte”. E’ necessario il superamento, una fertile dinamica mentale che non si areni nella estemporaneità.

Husserl ha affrontato il tema partendo dall’ontologia formale e la dialettica del superamento creativo. Il rifiuto della logica da parte degli artisti porta a procedere in modo oggettivistico ritenendo di essere possessori di verità. Ma, come affermava Nietzsche: “Una verità importante ha bisogno di critica, non di lode”. La critica d’arte enfatizza, non attua una reale ermeneutica dell’opera, attuando un procedere relativistico che Husserl ritiene insensato.

Quello che  costituisce valore e significato di un opera, non è quello che il singolo crede e pensa della sua creazione, bensì il rapporto tra la sua creazione e la realtà.

Dice Epicuro: “…Come giudichiamo positiva la scienza medica, non a cagione  della sua capacità stessa ma in ragione degli effetti sulla nostra salute. I fenomeni artistici, per loro natura, non sono soggetti alla codificazione e, come i fenomeni sociali, sono basati sulla apparenza, spesso estranei alla realtà storica in atto.

Heidegger intende la storicità un modo  dell’essere la cui filosofia deve riconoscere nell’uomo l’esistenza particolare, solo in questo modo originario anche l’arte può conferire senso alla narrazione storica.

Nietzsche  considera significativa l’arte quando è frutto di energia spirituale. In “ La nascita della tragedia”, a proposito dell’arte senza valore egli cita un proverbio indiano: “Rosicchiare un corno di vacca è inutile e accorcia la vita: ci si logora i denti e non se ne ricava alcun sugo”.

Propedeutica  all’arte statunitense è la filosofia di William James e John Dewey  il cui pragmatismo è l’esatto opposto dell’immaginazione che ha caratterizzato l’arte a partire dai greci.

Come viene  trattata l’arte nella filosofia e nella critica d’arte USA costituisce la rinuncia anche al concetto di creatività, a cominciare da ciò che definisce l’epistemologia artistica.

L’artista non eccederebbe in soggettivismo se solo riflettesse sul fatto che nessuno può vedere  se stesso, addirittura l’umanità, come se fosse un soggetto libero da determinate condizioni psicologiche, storiche, esistenziali.

Ernst Mach vede il problema dell’arte come un’azione che  trasformala la realtà nel momento in cui la rappresenta.il settimo sigillo - 500

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L’esperienza estetica è dinamica.  0

Una ostinata tradizione dipinge l’atteggiamento estetico come contemplazione passiva del dato immediato apprensione diretta di ciò che viene presentato, incontaminato da qualsiasi concettualizzazione, isolata da tutti gli echi del passato,da tutte le minacce e promesse del futuro.

Non c’è dubbio che filosofia e critica d’arte hanno creato e radicalizzato una serie di luoghi comuni che prescindono dall’osservazione e concretezza operativa e realizzatrice di un’opera.  E’ certamente difficile tentare di sgomberare il campo da riti falsamente purificatori che pretendono di spogliarsi di ogni pregiudizio nel momento stesso in cui lo creano.

Non esiste la possibilità d’interpretazione basata su una visione originaria, immacolata del mondo. E’ necessario sottolineare ancora una volta le aporie filosofiche e le assurdità estetiche che una siffatta concezione pretende di difendere. A meno che si ritenga di adottare un  atteggiamento passivo di fronte a un opera d’arte, in questo caso significa rinunciare alla comprensione. Forse il giusto atteggiamento è  osservare l’opera e tentare di leggerla cognitivamente al livello di cultura e conoscenza che ciascuno possiede.

La pittura, tanto quanto la poesia, realizzano un’esperienza estetica dinamica. Dobbiamo quanto meno tentare di operare le necessarie discriminazioni, evidenziare le delicate relazioni, le sottili identificazioni, riesumare sistemi simbolici e caratteri propri che il sistema dell’arte esprime, o dovrebbe esprimere. In breve, dovremmo tentare di porre l’opera all’interno di un sistema di significati, nel contesto del quale è realizzata e, in quell’ottica, tentare una lettura.

In questo processo si denota e si esemplifica l’interpretazione delle opere, si riorganizza nelle opere la lettura del mondo pro quota artistica. Il mondo, e gran parte delle nostre esperienze e delle nostre competenze hanno un ruolo importante, e possono essere trasformate dall’incontro tra l’opera e la nostra interpretazione, questo perché  l’atteggiamento estetico è un atteggiamento mobile di ricerca ed esplorazione.

Cosa distingue l’attività estetica dagli altri comportamenti intelligenti? Qual’è la nostra percezione dei fenomeni della vita quotidiana, la nostra condotta,nel rispetto della rappresentazione estetica? La risposta che viene solitamente data è che l’estetico, contrariamente alle nostre scelte ordinarie, non ha un fine pratico. Non mira alla acquisizione di beni necessari, non si pone come obiettivo il   controllo della natura. L’atteggiamento estetico non riconosce  scopi pratici al proprio operare.

Chi scrive ritiene invece che sia frutto di malafede culturale porre l’arte sull’altare della purezza creativa, assumendo che l’artista è avulso dalle realtà quotidiane. La nostra esperienza c’insegna che non è così. Anche senza ricorrere alla boutade di Andy Warhol che recita: “ogni artista è innanzi tutto un uomo d’affari”, sappiamo che l’artista non vive una realtà separata, lo stereotipo dell’artista con la testa nelle nuvole, non interessato e non coinvolto nella realtà, è una immagine falsa e retorica.  Ma anche supponendo assenza di scopi, questo  non è sufficiente a caratterizzare  l’atteggiamento estetico ed esplorativo e  dare valore e significato all’opera. Come scriveva Oscar Wilde: “ Le peggiori opera d’arte sono realizzate con le migliori intenzioni. La ricerca di conoscenza, l’accumulo di epistemologia, hanno necessariamente scopi e  conseguenze pratiche, l’artista è interessato al conseguimento di un risultato che acquista significato solo nel momento in cui è condiviso socialmente. Nessun artista lavora solo per se stesso, a meno di considerare rari casi di patologia mentale.

 

Victor Vasarely -500

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La bellezza è compatibile con la società contemporanea?  0

La questione del bello in arte non è mai stata chiarita e forse non è possibile alcun chiarimento. La leggibilità del mondo, come recita il titolo di un libro di Hans Blumenberg, è particolarmente complessa perché attiene a scelte squisitamente soggettive. Nella critica del Giudizio Kant si dilunga in teorizzazioni che sicuramente hanno una loro validità, ma di certo non incidono sul complesso di scelte estetiche basate su prerogative personali.

Hermann dà un’esatta introduzione all’analisi sociale del Kitsch: “ Poiché il Kitsch non potrebbe nascere né sussistere se non ci fosse l’uomo Kitsch che ama il Kitsch, che come produttore d’arte lo vuol produrre, e come consumatore è pronto a comprarlo”. Quando parliamo di Kitsch l’idea corre a qualcosa di particolarmente brutto, il Kitsch è espresso soprattutto dalle persone. Certi abbigliamenti, certo esibizionismo sociale, e anche  piercing e tatuaggi,

Secondo Nelson Goodmann: “Il problema del brutto si dissolve; perché il piacere e la gradevolezza non definiscono  né misurano l’esperienza estetica”.

La dinamica del gusto , è spesso imbarazzante ma diventa anch’essa comprensibile alla luce dei comportamenti di massa.

Nel 2007 Umberto Eco pubblicò “Storia della bruttezza” , una silloge d’immagini, di opere d’arte che, a giudizio dell’autore, sono rappresentative della bruttezza. Le opere comprendono arte classica e arte contemporanea. Mentre i soggetti dell’arte classica sono comunque realizzati con sapienza pittorica, l’arte contemporanea è spesso costituita da happening e trovarobato di cattivo gusto che in qualche caso pretende di avere   motivazioni ideologiche, in sostanza emerge il mito della libertà di scelta, pretesto che giustifica le scelte peggiori.

Nel volume “La scuola di Francoforte” pubblicato da Rolf Wiggershaus nel  1992 (Ed.Bollati Boringhieri) L’autore narra la storia delle tesi sociali che Adorno, Horkheimer, Marcuse tentarono di elaborare. Purtroppo tali teorie furono affossate dal ’68, nonostante i sessantottini affermassero di richiamarsi ai  pensatori francofortesi. Marcuse nel libro “La dimensione estetica”, prese le distanze dai movimento del ’68 e da certa arte femminista che proprio allora andava emergendo. A pagina 57 della edizione Oscar Mondadori pubblicato nel 1977, Marcuse scrive: “ Sebbene si sia cercato di sostenere che la pornografia e l’osceno rappresentano isole di comunicazione anticonformista, simili aree privilegiate tuttavia non esistono: da molto tempo l’osceno e la pornografia risultano infatti integrate  e recano anch’esse in quanto merci il messaggio della realtà repressiva”.  Ventidue anni prima, nel 1955, lo stesso autore pubblicò “Eros e Civiltà”.

E’ sempre valido l’ammonimento di Kant: “Nessuno riuscirà mai a raddrizzare il legno storto dell’umanità”.

Il bello dell’arte non è stato soppresso per  o con motivazioni socio-culturali o ideologiche, semplicemente la bellezza non può far parte del bagaglio culturale di una società i cui intellettuali anziché essere orientati dal “bello interiore”, lo considerano un impaccio. La cultura contemporanea attua il tentativo di trascendere l’essere umano come essere naturale. L’esito finale sarà presumibilmente una creatura bionica, senza etica e sentimenti.

 

Immagine Cindy Sherman, 1992, Senza TitoloCindy Sherman - 500

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Traslitterazione estetica.  0

Una ostinata tradizione dipinge l’atteggiamento estetico come contemplazione passiva del dato immediato apprensione diretta di ciò che viene presentato, incontaminato da qualsiasi concettualizzazione, isolata da tutti gli echi del passato,da tutte le minacce e promesse del futuro.

Non c’è dubbio che filosofia e critica d’arte hanno creato e radicalizzato una serie di luoghi comuni che prescindono dall’osservazione e concretezza operativa e realizzatrice di un’opera d’arte.  E’ certamente difficile tentare di sgomberare il campo da riti falsamente purificatori che pretendono di spogliarsi di ogni pregiudizio nel momento stesso in cui lo creano.

Non esiste la possibilità d’interpretazione basata su una visione originaria, immacolata del mondo. E’ necessario sottolineare ancora una volta le aporie filosofiche e le assurdità estetiche che una siffatta concezione pretende di difendere. A meno che si ritenga di adottare un  atteggiamento passivo di fronte a un opera d’arte, in questo caso significa rinunciare alla comprensione. Forse il giusto atteggiamento è  osservare l’opera e tentare di leggerla cognitivamente al livello di cultura e conoscenza che ciascuno possiede.

Una pittura, tanto quanto una poesia, realizzano un’esperienza estetica dinamica. Dobbiamo quanto meno tentare di operare le necessarie discriminazioni, evidenziare le delicate relazioni, le sottili identificazioni, riesumare sistemi simbolici e caratteri propri che il sistema dell’arte esprime, o dovrebbe esprimere. In breve, dovremmo tentare di porre l’opera all’interno di un sistema di significati, nel contesto del quale è realizzata e, in quell’ottica, tentare una lettura.

In questo processo si denota e si esemplifica l’interpretazione delle opere, si riorganizza nelle opere la lettura del mondo pro quota artistica. Il mondo, e gran parte delle nostre esperienze e delle nostre competenze hanno un ruolo importante, e possono essere trasformate dall’incontro tra l’opera e la nostra interpretazione, questo perché  l’atteggiamento estetico è un atteggiamento mobile di ricerca ed esplorazione.

Cosa distingue l’attività estetica dagli altri comportamenti intelligenti? Qual’è la nostra percezione dei fenomeni della vita quotidiana, la nostra condotta,nel rispetto della rappresentazione estetica? La risposta che viene solitamente data è che l’estetico, contrariamente alle nostre scelte ordinarie, non ha un fine pratico. Non mira alla acquisizione di beni necessari o di lusso, non si pone come obiettivo il   controllo della natura. L’atteggiamento estetico non riconosce  scopi pratici al proprio operare.

Chi scrive ritiene invece che sia frutto di malafede culturale porre l’arte sull’altare della purezza creativa, assumendo che l’artista è avulso dalle realtà quotidiane. La nostra esperienza c’insegna che non è così. Anche senza ricorrere alla boutade di Andy Warhol che recita: “ogni artista è innanzi tutto un uomo d’affari”, sappiamo che l’artista non vive una realtà separata, lo stereotipo dell’artista con la testa nelle nuvole, non interessato e non coinvolto nella realtà, è una immagine falsa e retorica.  Ma anche supponendo assenza di scopi, questo  non è sufficiente a caratterizzare  l’atteggiamento estetico e esplorativo e  dare valore e significato all’opera. Come scriveva Oscar Wilde: “ Le peggiori opera d’arte sono realizzate con le migliori intenzioni. La ricerca di conoscenza, l’accumulo di epistemologia, hanno necessariamente scopi e  conseguenze pratiche, l’artista è interessato al conseguimento di un risultato che acquista significato solo nel momento in cui è condiviso socialmente. Nessun artista lavora solo per se stesso, a meno di considerare rari casi di patologia mentale.

 

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Rappresentazione e metafora.  0

Le emozioni sono ovunque le stesse ma la loro rappresentazione artistica varia da un’epoca all’altra da un paese all’altro. Siamo educati ad accettare convenzioni in coerenza con la società nella quale viviamo. Purtroppo in questi ultimi decenni abbiamo perso il collegamento psico-sociale  della società così come è andata configurandosi negli ultimi decenni. Sembra che ci sia una diffusa incapacità di capire  cultura e l’arte che sono la nostra storia, la base stessa della nostra civiltà.

Oggi la nostra società è femminilizzata, lacrime ed emozioni sono provocate dai più futili  stimoli. Ciò che accade ai confini dell’espressione,nella differenza del possesso del sapere, il metaforismo è sfumato nella estemporaneità e non meditata superficialità. La lettura dell’arte non è in chiave culturale ma mondana il che impedisce di veder le differenze sostanziali. Un quadro di Albert ha una determinata costruzione, certi colori, in che misura siamo in grado di leggere la relazione tra forme, dimensione, colori? La lettura di un’opera non è sempre facile, lo status di una proprietà non è solo la rappresentazione letterale, ma il significato che in qualche caso ha aspetti oscuri e profondi che andrebbero indagati.

Esprimere significa interpretare. La natura dell’arte è essenzialmente metaforica, intrepido scavalcamento dei confini della ordinaria visione.  Un acquarello di Dὔrer, un dipinto di Jackson Pollock, una litografia di Soulage, pur nella diversità della forme espressive e di valore, rappresentano un tentativo che verrà, o dovrebbe  essere sottoposto al giudizio critico.

Le analisi delle funzioni simboliche dell’arte sono state radicalmente sostituite da stereotipi convenzionali. Alcuni studiosi, in conformità al temperamento e alla loro cultura, hanno considerato l’espressione come qualcosa di superato, pleonastico,nella società del frettoloso consumo di immagini. E’ in questo modo che si è finito per attuare una sorta di traslitterazione dal pensiero creativo all’adattamento mondano. Basta variare l’etichetta applicarla a qualsiasi oggetto. Certa arte pretende di attuare una metafora letterale, il che è semplicemente un ossimoro. Si dimentica la differenza tra espressione e rappresentazione. Esprimere significa mostrare, raffigurare. Possono esserci  rappresentazioni stereotipate e pur tuttavia, anzi proprio perché stereotipate, possono più facilmente entrare nell’immaginario collettivo. La strada del successo può essere più facile con la banalizzazione. Warhol e molta arte statunitense ha percorso con successo questa strada. Come già detto, l’esemplificazione scontata è in genere più eloquente, può essere stimolante anche se banale. Una proprietà espressa per quanto debba trovarsi in una relazione costante con forme letterali, non coincide necessariamente in estensioni con alcune prevedibili descrizioni letterarie della natura della metafora che l’arte dovrebbe esprimere. La scopa di Robert Rauschenberg è una banalissima provocazione. L’attitudine caratteristica dell’espressione letterale quasi sempre include insinuazioni elusive e intrepido scavalcamento dei fondamentali.Gonzales - 500

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Farfalle e avvoltoi.  0

Non c’è dubbio che la morale fai da te ha il vantaggio della comodità. Risponde a pieno titolo al mito della libertà assoluta che ha radici antiche. Francois Rabelais indica la regola dei telemiti, scritte sul frontone dell’abbazia di Theleme: “ Fa’ quello che vuoi”. Thelème  deriva dal greco “desiderio”. Se il mito della libertà non è mai stato facilmente realizzabile, tanto più difficile è oggi far coincidere libertà e complessità della vita moderna. Si è indotti a credere che la morale fai da te si applichi solo alla vita privata, ai gusti sessuali. In realtà non è così. Sollevare la questione se la morale abbia o meno radici religiose, addurre che, essendo nata dal pensiero umano, ha valore transitorio, è come parlare del sesso degli angeli, pleonasmi che preludono alla applicazione del detto dei telemiti. I fatti lo dimostrano. In politica, economia, nelle scuole di ogni ordine e grado, succedono cose impensabili fino a qualche decennio fa. E’ in corso una feroce polemica sui giornali che si occupano di finanza. E’ risultato chiaro che, alla base del disastro provocato dalla questione subprime, c’è stata totale assenza di moralità economica. Tempo f  le Borse di tutto il mondo furono sconvolte da un improvvisa crisi economica e bancaria. Uno dei responsabili del disastro, il signor James Cayne, ovviamente statunitense, mentre fioccavano i suicidi lui si dedicava al gioco del golf, al bridge, alla marijuana, come lui,  altri alti dirigenti responsabili del crollo che ha colpito molti risparmiatori. E’ di pochi giorni fa la notizia di un aereo in volo sul cielo di Washington  con il primo e secondo pilota che non rispondevano alla torre di controllo semplicemente perché dormivano. Alcuni tra i più importanti Istituti finanziari americani hanno fuorviato il mercato per il proprio tornaconto. Gli USA,che fanno guerre per esportare la democrazia, poi si ritrovano ai vertici di importantissime istituzioni finanziarie personaggi privi di moralità che con il loro comportamento producono danni enormi ai risparmiatori, e in definitiva alle economie di tutto il mondo. Non è necessario aver letto i libri che teorizzano e giustificano la morale fai da te, basta il martellamento dei media, la pressione verso il pensiero unico, in questo modo si creano situazioni ambientali, abitudini e tolleranze che si generalizzano. Forse la teoria delle catastrofi, il famoso esempio della farfalla che provoca l’uragano, vale anche in ambito sociale. Forse il richiamo molto più realistico ed efficace non è alla farfalla, ma agli avvoltoi.  america armata 500

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A priori epistemico.  0

Le parentele filosofiche si rivelano piuttosto insidiose per sostenere un certo livello di approfondimento traendolo dal brodo di coltura e ricostruzioni di varia natura e provenienza. Il rischio è di inscatolare  ipotesi empiriche in arzigogolate parafrasi astratte, poggiando per così dire il cappello dove più fa comodo. Le teorie che vogliono costituire le basi ermeneutiche del processo creativo, risultano piuttosto instabili perché non si servono della conoscenza, ma della congettura, cercando di portare ai confini estremi  le possibilità di teorie che, prive di fondatezza, restano nel campo delle supposizioni, fuori della portata di ogni verifica razionale. E’ quanto emerge dalla lettura dei libri di Danto, sui quali avremo modo di ritornare. Quello che viene proposto come il superamento della prassi, trascura di chiarire perché continuiamo ad usare lo stesso lessico, gli stessi riferimenti, le stesse forme di ragionamento, sia pure parzialmente capovolto, ma mai annullato. Detto in altri termini se riteniamo che l’epistemologia del fare artistico sia da annullare, dovremmo rinunciare per affrontare l’ermeneutica artistica  a costruire strutture verbali che si avvalgono degli stessi riferimenti.  Non si spiega altrimenti perché le teoria sembra aver come unico scopo sostituire un mito con un altro a scapito di razionalità ed empiria. L’esperienza di per sé non è in grado di fornire una giustificazione, di conseguenza, certe forme di ragionamento appaiono piuttosto conati conoscitivi  il cui scopo  è far spazio ad apodittiche realtà che non reggono ad analisi concettuali e sono   prive di motivazioni razionali, anzi, spesso costituiscono vere e proprie favole con morale prestabilita.  La percettività appartiene ad un altro ordine di fattori, materiali derivanti da singole esperienze. Il fatto che questi tentativi non abbiano alcuna giustificazione  nella realtà ontologica delle opere,  rende tutto il processo esclusivamente verbale e piuttosto confuso. Sarebbe necessario sviluppare considerazioni autenticamente epistemologiche  su possibilità e limiti  di una teoria rigorosamente verificabile, appaiono di difficile definizione certi procedimenti teorici ripetitivi e molto simili a truismi.  Gran parte della filosofia dell’arte sembra non disporre delle risorse concettuali sufficienti per tentare di costruire una teoria che abbia un  riscontro e un fondamento plausibili. La piattezza del tentativo di definizione porta inevitabilmente  ad a priori che finiscono per essere accettati anche se non verificabili. Tanto che ormai non c’è più distinzione tra fumetti, street-art, realtà virtuale. Un pot-pourri  culturalmente piuttosto insipido.

 

Immagine :Tadaomi Kawasaki. Senza Titolo. S.d.

kawasaki- 500

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Non è l’artista che decide cosa è l’arte. Ma è la qualità delle opere che determina chi è un artista.  0

Cosa abbiamo in mente quando pensiamo al significato di un’opera d’arte? Per semplicità usiamo come esempio una classica opera pittorica su tela. Essa è costituita da telaio di legno, colore, tela.  Il materiale costituisce l’opera ma non esprime il suo significato. Il significato deriva dalla forma è contenuto  sulla tela. Come si desume il significato? Basta l’abilità con la quale è realizzata la figura, se si tratta di un’opera figurativa, o la gradevolezza emotiva di una pittura astratta?

Sappiamo che l’opera astratta non viene giudicata in base alla disposizione dei colori, esistono opere in bianco e nero, altre costituite di solo linee. Dunque qual’ è il riferimento del critico per esprimere la propria valutazione? Spesso nel descrivere le opere di Hartung i critici usano l’espressione: “Esprime la forza del segno”. A quale forza si riferiscono non è dato sapere.

L’arte, è noto, nasce come magia evocativa nei Graffiti delle Grotte di Addaura, Altamira, Lascaux. Questi ritrovamenti sono i più conosciuti, ma sono molti i reperti di pittura rupestre, anche in Italia.

Con il progredire delle tecnica del disegno l’arte si misurò con la mimesi, come narrano gli aneddoti sulla pittura di Parrasio, Apelle, Apollodoro, Aglafonte, Zeusi e  altri grandi artisti dell’antica Grecia.

Leggendo “Le vite – Dei più eccellenti pittori, scultori e architetti” di Giorgio Vasari, abbiamo un ampio spaccato di cos’era l’arte, possiamo agevolmente confrontarla che quello che è diventata.

A  partire dalla fine dell ‘800 la pittura  abbandona la mimesi  precisa e lascia ampio spazio alle articolazioni delle figure e del paesaggio, la tecnica pittorica, le pennellate, la disposizione del colore, viene messo in primo piano, le pennellate volutamente esibite. Pensiamo agli Impressionisti.

Con l’avvento delle avanguardie la tecnica del disegno e della pittura  perde importanza, viene introdotto il ready made, entra in campo l’arte concettuale, inizia la tendenza ad usare la provocazione come prassi. Gli artisti abbandonano l’epistemologia propria dell’arte, accumulata in duemila anni. L’arte da allora, si affida alla convenzione espressa nella tesi: è arte ciò che l’arista decide debba essere considerato arte. Una tautologia le cui conseguenze sono manifeste. Forse è vero il contrario; non è arte ciò che l’artista decide sia arte, all’opposto l’opera nella sua concretezza nel suo valore che qualifica la persona come artista.

Va da se che simili spurie argomentazioni  approdano a pura convenzione catafratta in una presunzione involutiva che rinnega se stessa.

Quando ci riferiamo all’oggetto libro, lo consideriamo Istintivamente come oggetto, compatto,  unico. In realtà il libro è costituito da singole pagine, dall’inchiostro usato per la stampa, dalle parole poste in sequenza. Togliendo una di queste proprietà l’oggetto a cui ci riferiamo è ancora un libro? Allo stesso modo l’arte, privata dei suoi elementi costitutivi non è più arte se non per forzate convenzioni.

Sappiamo che in molte case esistono biblioteche costituite da libri finti, cioè solo la copertina Hanno una funzione estetica esibiscono un inganno è quanto avviene per molta arte moderna, non rappresenta nulla è solo apparenza senza contenuto né significato

RICCI-apelle-ritra-panscale- 500

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L’umorismo degli antichi filosofi cinici.  0

In “Ecce homo” Friedrich W. Nietzsche scrive:” Il cinismo è quanto di più alto può essere raggiunto sulla terra; per conquistarlo servono i pugni più forti e le dita più delicate”. Come sempre Nietzsche esprimeva ottimismo. Il cinismo oggi si fonde con l’intimismo ed ha carattere soprattutto femminilizzato, i contemporanei  non possiedono  la capacità di essere coerenti con le proprie scelte.  Da Antistene a Diogene a Cratete, dal IV secolo a.c.  al V secolo d.c. per un millennio c’è stata una filosofia cinica. Capi politici, gendarmi, delatori, per Diogene erano tutti meritevoli d’impiccagione. Una volta gli chiesero  quali fossero secondo lui le bestie più feroci. Senza esitazione rispose: esattori delle tasse e sicofofanti. Platone considerava Diogene un Socrate diventato matto.  La Fontaine ricorda che Diogene  si considerava alla stregua del lupo che condanna il cane  perché paga il cibo quotidiano al prezzo della libertà. E’ chiaro che, questi brevi cenni della filosofia cinica, nessun politico moderno può considerarsi un cinico. La cultura dell’occidente è stata inquinata, o filtrata, secondo i punti di vista, dalle infinite elaborazioni ideologiche il cui unico scopo è forse quello di creare uno spazio mentale nel quale  collocare i pensieri che contraddicono la realtà. Non è un caso che se gli empiristi classici, Locke, Berkeley, Hume, si affannarono per dare un senso alle azioni di personaggi politici il cui livello di ignominia non è mai stato esecrato dalla cultura successiva, così che i massacri e la sottomissione di altri popoli finiscono per essere celebrati con decorazioni ed encomi e sono prodromi alla presa del potere prima della “aristocrazia” e poi della borghesia.  L’ironia e l’umorismo degli antichi filosofi cinici ha perso gradatamente diritto di cittadinanza in un consorzio civile e nelle classi intellettuali che hanno da prima modificato gradatamente il significato del linguaggio, per poi lasciare libertà di dominio a elementi umani sempre più compromessi con la verità. Come scrive Oscar Wilde ne “La ballata del carcere di Reading; “E questo posso dire: che ogni legge creata dall’uomo per l’Uomo, dal tempo che il primo Uomo assassinò suo fratello ed ebbe inizio la pazzia del mondo, rende paglia il frumento e tiene in vita gli sterpi: allora si ingrandisce il male”.  Schopenhauer, misogino convinto, seppe distinguere il “Mondo come realtà e rappresentazione”, sulla scia delle ombre nella caverna di Platone. Le parole sono come l’ombra di Alessandro Magno, tolgono luce, distolgono e confondono, per obliterare la naturale cattiveria del genere umano.  L’uomo contemporaneo non conosce più la tristezza che presuppone il pensiero, ma solo la disperazione che il vuoto interiore produce.   Gustav corbet

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