Contraddizioni della ragione.  0

È necessaria una distinzione tra i concetti dell’intelletto e concetti della ragione. Nel primo caso la base dell’esperienza sensibile è soggettiva e prescinde dalla conoscenza dell’oggetto. Nel secondo caso si tratta di una elaborazione astratta della ragione che presuppone quantomeno un tentativo di conoscenza dell’oggetto. La ragione è la facoltà che  ci consente di agire in vista di un fine.

Se rapportiamo queste considerazioni alla prassi di critica e filosofia dell’arte, constatiamo che il processo analitico dell’opera, non solo non è mai  riferito all’oggetto, pittura, scultura, disegno, ma solo un ipotetico significato che non chiarisce la finalità, vale a dire il senso, di ciò che è rappresentato.

Se l’osservatore esprime un giudizio basato sulla sensazione, quindi soggettivo, non è ovviamente tenuto a fornire una motivazione della sensazione provata.

Al contrario chi pratica  critica e filosofia dovrebbe dare un riscontro logico convincente alle proprie teorie ermeneutiche.

Mentre la sensazione è appagante in se, la lettura razionale dell’opera si scontra con le difficoltà di superare le contraddizioni che la ragione ha con sé stessa.

In breve, mentre la critica d’arte quando si limita ad illustrare i dati oggettivi relativi all’opera potrebbe essere utile all’osservatore, la filosofia, nella sua pretesa di definizioni di significati indimostrati e indimostrabili,è  si riduce a una narrazione quasi sempre senza esito logico.

Le idee sul significato sono rappresentazioni riferite a un oggetto, ma non possono mai avere un contenuto di conoscenza dell’oggetto stesso. Esse sono frutto di una intuizione secondo un principio puramente soggettivo di immaginazione e intelletto.

Allo stesso modo una idea estetica non può diventare conoscenza, perché essa è un’intuizione dell’immaginazione. Un’intuizione empirica può essere provata con un esempio che dia  un risvolto logico alla intuizione. Ora, poiché  riportare una rappresentazione della immaginazione è necessario far ricorso ai concetti, l’l’idea estetica si può definire una ipotiposi non esponibile. Il gusto estetico ha un fondamento soggettivo a priori. Di conseguenza la pretesa di valore universale è infondata.

Dunque la narrazione filosofica dell’arte manca dei presupposti necessari a giustificare l’attribuzione di significato alle opere che prende in esame.

David Hume nella sua discussione sulla regola del gusto (1752), osserva che, se è vero che la grandezza di un’opera dipende da un’opinione, è anche vero che alcune opinioni sono più fondate di altre. Fondate su cosa? Visto che l’arte non è soggetta a logica, ne esiste metodo certo per definire le opinioni sul gusto, problema di fronte al quale si sono arresi  Kant, Hegel e tutti i filosofi che hanno affrontato il tema.

I filosofi statunitensi hanno allargano il campo, fitta la confusione di Howard S. Becker che  emerge da “I mondi dell’arte”, nel quale Becker teorizza, sulla scia di Cohen e Dickie, la commistione delle diverse espressioni artistiche, presumendo che tutte abbiano diritto ad essere considerate arte. Per sostenere tale tesi apodittica cita inevitabilmente Duchamp e tutti i suoi nipotini fino ad arrivare al Brillo di Warhol.

Il problema è che Becker, come lui altri filosofi dell’arte, usa come megafono una cattedra universitaria. Ciò gli conferisce titolo per sostenere truismi e anacoluti. In questo modo, anziché istruire i giovani che seguono i suoi corsi, si limita a suggestionarli. I risultati sono visibili nella opere  di gran parte degli artisti contemporanei.

 

Immagine: Ugo Nespolo: Al Museonespolo_ugo-new_york_met-500

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