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Arte e produzione  0

Il processo economico e produttivo è nato dalla necessità  e dello stimolo della  sopravvivenza, perseguito per raggiungere una vita migliore. Per far questo è stato gioco forza l’appropriazione della natura e dello sviluppo produttivo con conseguenze nefaste per l’eco-sistema.  L’evolversi del sistema produttivo ha inciso in misura notevole anche su comportamenti e  la cultura. Il progresso della scienza ha eliminato superstizioni e tabù, ma ha anche impresso alla società una buona dose di spregiudicatezza, l’aspetto materiale ha assunto un ruolo dominante. L’istituzione politica ha esteso il controllo in ogni ambito sociale dando vita ad una sorta di democrazia “formale” . La produzione artistica ha subito l’influsso economicistico adattandosi sia nelle forme produttive che alle modalità del mercato divenuto deux ex machina del sempre più complesso sistema dell’arte.  La critica, diventata megafono del mercato,  è andata banalizzandosi nella misura in cui si espandeva con articoli su giornali ed un profluvio di pubblicazione libraria, si abbassato il livello generale dell’informazione dell’arte. L’arte ha per così dire, preso sempre più le distanze dal naturalismo, scimmiottandone alcuni aspetti, ha perso soprattutto le caratteristiche  che la distinguevano dalla scienza. Attribuiamo alla scienza la proprietà di ’elaborazione del pensiero astratto in vista di un fine pratico. Al contrario l’arte si realizza attraverso un sapere pratico in vista di un fine astratto, cioè il significato dell’opera è necessariamente autoreferenziale, non porta alla concretezza di un fine. L’arte non si usa, si ammira. Da tempo l’arte ha perso la su caratteristica descritta da Kant nella Critica del Giudizio. Non è più realizzata senza fini di lucro, non è più volta a  realizzare la mimesi della natura. Al contrario l’arte ha essenzialmente a fini di lucro. Gli artisti  sono coinvolti in un vero e proprio processo produttivo per rispondere alle esigenze del mercato. Se anche è possibile che l’artista coltivi determinate idee originali, suo malgrado costretto a produrre  opere che rientrano, per così dire,  nella produzione seriale di massa. E’ surreale che artisti, pur consapevoli di essere imprigionati nella camicia di nesso del mercato, ritengano di realizzare opere che, nelle loro intenzioni, danno forma a  concetti. Quando l’arte si avvale della tecnologia, è come se rinnegasse se stessa. In questo senso è paradossale che il l’industria cinematografica venga definita la settima arte. Il cinema  è sempre più orientato a rinunciare alla recitazione di attori in carne e ossa, ricorrendo a cartoni animati, effetti speciali, strumenti tecnici di vario genere. La produzione della settima arte  bastava  una cinepresa,  attori,  regista. Oggi la produzione cinematografica è  estremamente  complessa e costosa. Produce a ritmo serrato per miliardi di persone che 24 ore su 24 seguono televisione, cinema, informazione documentata da immagini. In queste condizioni è possibile, anzi necessario, perfezionare la qualità tecnica, non vi è più tempo, e forse neppure interesse, a curare i contenuti, a mantenere la qualità della produzione. Il cinema si è piegato alle esigenze della produzione, come è accaduto per l’arte.

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Ubi arte ibi motus  0

Nel 1956 Sellars scrisse “Empirismo e filosofia  della mente”. Un tentativo di caratterizzare gli eventi mentali  come costrutti esplicativi che svolgono un ruolo nel nostro schema concettuale in virtù della loro utilità descrittiva.  Sellars tentava di scalzare la tesi secondo cui la conoscenza dei propri eventi mentali  è intrinsecamente privilegiata e pone un ostacolo alla scoperta empirica che gli eventi mentali sono neuronali. Il materialismo ha guadagnato larghi consensi negli anni Sessanta, le questioni sollevate dalle pretese ideologiche del naturalismo rimanevano fortemente controverse. Putnam sollevò una grave obiezione alla teoria dell’identità di tipo del genere reso popolare da Smart. Putnam rilevò come sia implausibile  che una sensazione come il dolore sia identica a un unico stato neuronale in tutti gli organismi che provano dolore, considerata l’enorme diversità delle fisiologie. Egli inoltre osservava come sia altrettanto implausibile pensare che ogni dato tipo di pensiero, per esempio, il pensiero che tre x tre fa nove o che la situazione attuale è pericolosa, sia realizzato dallo stesso stato fisico in ogni essere pensante. La teoria dell’identità di tipo sembrava insostenibile non solo considerando la possibilità di esistenza su altri pianeti, le varietà di animali superiori, fino ad arrivare alla possibilità dei robot pensanti, ma soprattutto in ragione della plasticità del cervello. Gli stati mentali sembrano essere multirealizzabili, realizzabili cioè in modi diversi. Queste teorie filosofiche furono alla base dello sviluppo di alcune correnti artistiche. La body-art, con esperimenti sulle possibilità di reazione al dolore del corpo umano. L’effetto sulla stessa plasticità del corpo sottoposto a eventi che mettevano alla prova la resistenza fisica e la sopportazione di condizioni particolarmente critiche. L’ambiziosa pretesa di dare forma plastica a valori concettuali è stata in gran parte frustrata dalla approssimazione culturale dell’approccio. Così come il tentativo di usare il corpo umano come “oggetto artistico”  in molti casi è stato travolto dalla deriva pornografica. Restano comunque validi tutti i presupposti anche se attendono chi sappia darne una convincente realizzazione. Per esempio l’esperimento effettuato in California, che consisteva nel tentativo di “smaterializzare” l’opera  d’arte, e/o creare un’opera collettiva. L’esperimento avveniva in questo modo: un gruppo di non più di 10 artisti ascoltava la mia voce fuori campo che esponeva la dettagliata idea di un’opera d’arte. Ogni artista, partendo dall’imput   ricevuto realizzava un’opera. Curioso osservare come, avendo lo stesso riferimento vocale, ogni artista realizzava un’opera diversa. L’opera non era costituita dal singolo lavoro, ma dall’insieme dei lavori, dal momento che tutti partivano dalla stessa idea da me suggerita. Mi era parso un modo efficace per realizzare un’opera collettiva, consentire un confronto diretto sui diversi modi di concepire una stessa indicazione teorica espressa in forma vocale diretta. In questi miei esperimenti alla UdC  riscontravo una grande disponibilità mentale degli artisti a  percorrere il tracciato di una utopia progettuale da me pensata e da loro realizzata in perfetta sintonia mentale. Ogni opera era frutto della creazione di forme che scaturivano da una sensibilità assolutamente individuale. Malauguratamente il fattore economico ha finito per prendere il sopravvento sulla ricerca teorica disinteressata. La materializzazione dell’arte, il logo personalizzato, erano condizioni richieste dal mercato per poter impostare le operazioni di marketing. Il risultato oggi lo abbiamo sotto i nostri occhi.    anonimo

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Arte povera Arte.  0

E’ in corso una mostra a Genova con la quale Germano Celant celebra se stesso. Nel  sottotitolo dell’articolo che recensisce la mostra  è scritto: “ Mezzo secolo fa un movimento rivoluziona l’Estetica. ≤ creare diventa un lavoro in cui ci si sporca le mani≥”. Intanto l’arte povera non rivoluziona nulla, semplicemente segue la scia di Dada e Fluxus , inoltre non vi è affatto l’utilizzo delle mani, sia perché abbondano i ready made e la fotografia, sia perché molte delle opere si avvalgono dell’ apporto di specialisti che non sono artisti, pensiamo all’uso abbondante di neon. L’arte povera quindi si limita a riprodurre le cifre  dell’arte che hanno accompagnato la produzione artistica dell’ultimo secolo. L’arte contemporanea si riduce a produrre un dettaglio, ricorre al riciclo sotto specie di ready made. Esaminiamo le opere che illustrano l’articolo su citato. Opera di Jannis Kounellis, senza titolo, del 1960, costituita da una tela con segni indecifrabili e numeri. L’opera di Pino Pascali, titolo “coda di delfino” 1966, rappresenta una sagoma di pesce abbozzata. Giovanni Anselmo, titolo “Torsione”  1968, appare una croce rovesciata, simili a un piccone. Michelangelo Pistoletto,titolo “lui e lei” 1968, rappresenta un uomo e una donna di fronte che si guardano negli occhi. Di Mario Merz è presente il ben noto igloo con luci al neon, titolo “Object rache” 1968-1977. Luciano Fabro esibisce la classica immagine dell’Italia, titolo “Nazione Italica” 1969. Segue Pier Paolo Calzolari che espone un’opera in cui è raffigurata una sedia  sovrastata da una scritta al neon,anno1970. Giulio Paolini presenta un nudo di donna in gesso, reperibile in qualunque gipsoteca, su di un cubo, titolo “1 e 2 come gli orienti sono due” 1970. Alighiero Boetti presenta una carta geografica, titolo “Mappa” 1989. Infine Giuseppe Penone, la cui opera raffigura quello che appare un albero secco con rami, titolo “Pelle di foglie” 2005. Mi sono dilungato nella descrizione, spero sufficientemente precisa, delle opere nell’impossibilità di presentare le immagini. Mi astengo dall’indicare le quotazione che sono indicate in calce alle opere stesse, il costo non costituisce  una eccezionalità, tanto più dopo la quotazione esorbitante dello squalo in formaldeide di Damien Hirst, la rana crocifissa di Martin Kippenberger , il lampadario costruito con tampax di  Joana Vasconcelos. Non mi pare oggi esistono più spazi per le provocazioni, anche se resta insuperato Piero Manzone con i  suoi barattoli di merda quotati 20000,00€. Non resta che prendere atto che l’arte si è arenata in un cul-de-sac  del non senso. Avendo puntato tutto sulla provocazione, l’arcinoto “épater le bourgeois” , in realtà non ha provocato nessuno, tutte le opere sono state prontamente assorbite dal mercato. All’arte non è rimasto spazio per ulteriori azzardi. In questi ultimi anni, a parte l’arte femminista che persiste nell’usare il corpo, la gran parte degli artisti, abbandonati gli schemi Dada, Fluxus, Arte Povera, si è rifugiata nel ludico tecnologico, nel citazionismo digitale. La lunga agonia dell’arte prosegue, tenuta in vita, per ragioni di lucro, dall’accanimento terapeutico del mercato.               MARIO-MERZA-PROSSIMA-NEWLETTER

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Il nobel e suoi disastri.  0

George Bernard Shaw, che in quanto a boutade non era da meno di Oscar Wilde, una volta disse: “si può perdonare ad Alfred Nobel di avere inventato la dinamite, ma non di aver creato il premio che porta il suo nome”. Con la scienza del poi, più che una boutade quell’affermazione appare una premonizione. E’ noto che la Svezia, come quasi tutti paesi del nord Europa, è  sempre stati all’avanguardia nell’omologare ogni forma di perversione, non a caso il potere femminile è prevalente da decenni. Questo finisce per costituire giustificazione ed alibi per altri  paesi, anche quando hanno tradizioni culturali e antropologiche agli antipodi dei paesi nordici.Perché questa digressione? Perché ci aiuta a capire le ragioni per le quali è stato dato il premio Nobel per la pace a Barak Obama prima ancora che salendo al potere dimostrasse di essere un uomo di pace; infatti, anche grazie  alla pressione e ai suggerimenti di Hillary Clinton, Obama ha scatenato guerra alla  Libia e alla Siria, finanziato l’ISIS che poi è diventata fucina di terroristi con i quali l’Europa deve fare i conti.. Qualcosa di analogo è accaduto con Aung San Suu Kyi, diventata un’eroina sotto la pressione delle potenti lobby femministe e liberal, una volta raggiunto il potere “l’eroina”non ha trovato di meglio che compiere una strage prendendo a colpi di mortaio il popolo Rohingya, minoranza etnica di religione islamica. Infine il brian trust di Stoccolma, ha pensato bene di assegnare  il premio per la letteratura allo statunitense  Bob Dylan, un cantante country . Simile decisione non costituisce certo incoraggiamento alla cultura, ma piuttosto sprone alle case discografiche che presto organizzeranno lobby per far ottenere il premio ai loro autori. Last but not lrast, c’è da tener conto degli effetti collaterali. Un autore a cui venga assegnato il Nobel, a prescindere dalla qualità del suo lavoro, vedrà aumentare le vendite. Gli editori raschieranno, come si dice, il fondo del barile per pubblicare tutto ciò che ha scritto, anche nei periodi di obnubilamento creativo che colpisce ogni autore. In conclusione affidare a un gruppo di vecchietti di non specchiata virtù il compito di indirizzare le masse verso un autore, è effettivamente un atto abominevole che solo all’inventore di uno strumento di distruzione di massa poteva venire in mente.  AlfredNobel_cropped

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Identità e differenza.  0

Che cosa è una differenza? Differenza è un concetto molto peculiare e oscuro. Non è una cosa, un evento. E’ una sensazione soggettiva. Se cominciamo a porci le domande sulla natura delle differenze abbiamo difficoltà a definirle. Una differenza che si produce nel corso del tempo viene definita “cambiamento”. Nelle scienze fisiche gli effetti delle differenze costituiscono condizioni concrete. Un nero è diverso da un bianco, un pezzo di legno è diverso da un pezzo di carta. Ma quando si entra nel campo della comunicazione, dell’organizzazione, gli effetti non sono più così evidenti. Quando io guardo carta  e legno, percepisco la differenza in quanto conosco a priori le caratteristiche della carta e  quelle del legno. In caso contrario non potrei rilevare la differenza, potrei constatare soltanto che le due materie hanno caratteristiche diverse. La differenza tra legno e carta viene rilevata dalla retina ed elaborata dal cervello. L’elaborazione è possibile in base alle mie conoscenze. Nelle mia mente il nulla, ciò che non esiste, non può essere elaborato. Il cervello funziona solo in base alla captazione di dati sensibili o in base a esperienze pregresse. Nelle scienze fisiche noi ricerchiamo le cause, partendo dal presupposto siano reali. Ma, esistono effetti che la nostra conoscenza-esperienza da per scontati. Chi mai ha visto l” energia” eppure sappiamo che esiste una forza che convenzionalmente viene definita “energia”. Si dice anche “energia dello spirito”. Buona parte di ciò che crediamo di sapere in realtà consiste in un atto di fede su fenomeni e materia che non siamo in grado di verificare e spesso neppure di capire interamente. Le analogie dalle scienze fisiche sono prese a prestito come base concettuale per costruire teorie psicologiche e del comportamento. Questa struttura alla Procuste è spesso insensata, sbagliata. La parola “idea” , nella sua eccezione più elementare , è sinonimo di differenza. Nella critica del Giudizio, Kant afferma che l’atto estetico più elementare è la scelta di un fatto; egli sostiene che in un pezzo di gesso c’è un numero infinito di fatti potenziali. La Ding an sich, il pezzo di gesso, non può mai entrare nella comunicazione  o nel processo mentale proprio a causa di queste infinite potenzialità. I ricettori sensoriali non possono intercettarle; le eliminano. Tra l’infinito numero di differenze ne scegliamo un numero limitatissimo, che diviene informazione. In effetti ciò che intendiamo per informazione , per unità elementare d’informazione, è una differenza che produce differenza.

Se noi valutiamo sotto il profilo informativo un’opera d’arte, scopriamo che quello che ci viene comunicato non è informazione, se non in rari casi, ma piuttosto conferma di una visione stereotipata di una porzione di realtà-conoscenza. Un’opera che riproduce frutti o sottobosco in materiale plastico quale tipo d’informazione veicola? Una riproduzione seriale di una icona della modernità quanta informazione contiene? Siamo in presenza di espedienti elementari che fanno perno sul fenomeno di semplificazione psicologica basata sul riconoscimento, sul déjà vu. L’arte contemporanea, contrariamente a quanto presume, è essenzialmente coazione visiva, immersa com’è nel contingente mondano. La stessa serialità, se non è dovuta a una tendenza alla diplopia, è dimostrazione evidente della difficoltà degli artisti contemporanei di sottrarsi ai limiti della loro modesta cultura, ricorrendo modesti artifizi. Ogni opera degli antichi maestri, e dei migliori artisti moderni, fa storia a se, illustra stimola, propone, allude. Caratteristica dei pasdaran dell’avanguardia, è la cifra ripetuta all’infinito. E’ ciò che il mercato richiede, l’immediata univoca identificazione, stereotipi ripetuti, logo immediatamente identificabile.    AAAAAAAAAAAAAAAAREBEE-COX-500

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Le abitudini del pensiero  0

Cosa significa “agire razionalmente”? Le costruzioni linguistiche della filosofia e letteratura si limitano a descrivere e rendere intelligibili a se stessi gli esseri umani, o si propongono lo scopo di migliorarli? Ovvero ci migliorano per il solo fatto di farci riflettere? L’uomo contemporaneo è migliore del suo antenato di 5000 anni fa? Domande che la filosofia si pone alle quali solo trova raramente risposte. E’ un fatto che osservando la realtà, non sembra che gli stimoli al  pensiero, abbiano contribuito in modo determinate a modificare i comportamenti umani. Sembra prevalere l’atteggiamento di Mrs Grundy, celebre personaggio della commedia di Thomas Morton “Speed the Plough”, diventata proverbiale per indicare come la società si affidi alle abitudini di pensiero.  C’è chi sostiene che qualsiasi teoria filosofica vada contro il senso comune deve essere rifiutata. Un tesi spuria che rende di fatto superflua la filosofia dal momento che proprio per superare il senso comune la filosofia è necessaria, non convince il punto di vista espresso da Reid sulla questione, e nemmeno le teorie che, riecheggiando  le tesi di Reid esprimono G.E. Moore e J.L. Austin. La storia dimostra come sia abbastanza vera l’affermazione di Hume secondo cui l’uomo si affida più all’abitudine che all’intelletto. Heigegger sosteneva che la scienza è stupida. Di fatto è l’uomo ad essere molto più limitato di quanto crede. Tutta la storia della filosofia è il tentativo del pensiero di capire se stesso. Una sorta di psicogorrea i cui esiti sulla natura umana appaiono modesti. Ogni tentativo di  “anticonformismo”,  spesso costituito solo da  aspetti esteriori, o

effimere teorie, si traduce nel creare un conformismo di segno opposto. Marx  aveva proposto che i filosofi, che fino ad allora si erano limitati a descrivere il mondo, si adoperassero per cambiarlo. Non pare che ciò sia avvenuto. Tutti i tentativi di uscire dalle convenzioni si traducono nella creazione di nuove convenzioni. Le cosiddette “avanguardie” dell’arte moderna volevano abbattere le accademie, distruggere i musei, abolire l’istituzione dell’arte. Oggi le accademie sono occupate da ex  avanguardisti, nei musei ci sono le loro opere, l’istituzione arte è più forte che mai, anche se i prodotti sono in troppi casi francamente orrendi. La pretesa di originalità si è tradotta nel suo contrario, la diffusione delle opere seriali. Scriveva Spinoza: “ Noi non desideriamo niente per il fatto che lo giudichiamo buono, ma viceversa diciamo buono ciò che desideriamo, e di conseguenza cattivo ciò che non ci piace”. E ancora: “L’uomo libero è colui che vive soltanto secondo il dettame della ragione”. Ecco spiegato il senso di morte nella società contemporanea di cui scriveva Pasolini. E’ la ragione che produce la differenza. Infatti vi è una tale contiguità tra le opere dei contemporanei che spesso è difficile distinguerle le une dalle altre. La filosofia è ridotta per lo più a frammentata esegesi del pensiero degli antichi. Mai come oggi è stata forte la pretesa di originalità, mai come oggi vi è omologazione. I giovani vivono in grappoli, pensano collettivamente, vestono in modo che vuole essere originale ed è solo trasandato, sciatto, però con il logo ben in vista, anche sui capi intimi. Esattamente come per l’arte, non conta la qualità ma la firma imposta da marketing e pubblicità. Insensibilità e ignoranza si trasformano facilmente in cinismo, un paradiso per politici e sedicenti artisti miliardari. E’ il denaro infatti, null’altro, il segno di distinzione. L’amore è della specie descritta da Sant’Agostino: “Ci amiano come si ama il cibo: per consumarci.      barlume-del-tramonto

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Riflessioni,prassi,intuizioni.  0

Alcuni filosofi attribuiscono a Kant la tesi secondo cui l’arte sarebbe una prassi riflessiva, principio che pare essere  accettato da Hegel.  In realtà il concetto di riflessione  non  si concilia con la facoltà che viene vista come una prerogativa degli artisti: l’intuizione. Grazie alle opere d’arte, sostiene Bertram, le pratiche vengono messe alla prova, e solo dopo sono confermate  o trasformate. Concetto estremamente vago. La riflessione si nutre di conoscenza, i nostri pensieri sono frutto di un sapere che ha contenuti e dimensioni diverse. Il patrimonio di conoscenza accompagna e guida l’esperienza che è   squisitamente personale. La  “cultura” al contrario, è costituita dalle esperienze e  pensieri degli altri. Letteratura, filosofia, scienza  costituiscono forme di conoscenza che si protrae senza cesure fin dal giorno in cui il primo uomo tracciò un segno su una tavoletta d’argilla. Le nostre azioni e decisioni si attuano in ragione della commistione di sapere e di esperienza. Se quanto precede ha qualche fondamento, la definizione di creatività artistica impone un  riesame al fine di stabilire la vera natura della creatività, dopo averla  sfrondata dal mito della “intuizione”. Tale espressione è  usata come  passe-partout  per l’attribuzione di  indefinibili significati. Nel solco di Baumgarten, Herder, Hegel  l’oggetto “arte” è rimasto indefinito,  sicuramente lontano da ciò  che per Hegel  era la dimensione spirituale dell’arte. Storia, critica, filosofia dell’arte non hanno fin’ora colmata la cesura che si è venuta a creare allorchè le “avanguardie” hanno ribaltato il tavolo assumendo la necessità di azzerare  valori e attuare una radicale modifica della prassi. E’ vero che Kant, Hegel, Shopenauer , Schiller, Nietzsche  e altri hanno sviluppato le loro teorie  in  un contesto storico e culturale diverso. Oggi  però non avviene nulla di diverso, se i filosofi del passato erano condizionati dalla situazione socio-culturale nella quale  vivevano, la stessa cosa avviene oggi, a valori capovolti. Detto in altre parole, coloro che attuano l’ermeneutica dell’arte contemporanea  sono gli stessi che determinano il contesto culturale in cui tale arte  si realizza. Vi è tuttavia una differenza importante. Potrebbe essere espressa richiamando il noto slogan applicato in altro contesto: sapere meno, sapere tutti. Se nel ‘700-‘800 la cultura era appannaggio di una élite, oggi la cultura, con esclusione di quella  scientifica,  si richiama al passato,   parafrasando Roland Barthe, è scesa al grado zero, arte inclusa. Questa è una delle conseguenze delle presunzione delle cosiddette avanguardie  e degli intellettuali che non sono stati in grado di dare un senso alla cesura tra arte  e cultura di ieri e di oggi.             aaaaaaaaaaaaaaaaaaaa-OGGI-9

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Arte e cucina.  0

Vi è una relazione tra cucina e arte. L’argomento potrebbe essere declinato in vari modi, anche se sono lontani i tempi in cui lo stereotipo dell’artista era rappresentato da un individuo abbigliato in modo bizzarro, sempre affamato. I francesi, che alla cucina hanno sempre dedicata molta attenzione, chiamano la manipolazione che l’artista fa dei colori, la sua cuisine. Esistono dipinti destinati alla sala da pranzo. Vi sono ristoranti, come l’Asino d’Oro di Saint Paul de Vence, tanto ricco di opere d’arte alle pareti da apparire più una galleria d’arte che un luogo di ristoro. Certo la pittura non è tutta qui. La Venere di Botticelli, o un autoritratto di Rembrandt hanno altre dimensioni pittoriche. I critici hanno imparato a tout comprendre c’est tout pardonner, al punto che considerano opere d’arte le stoviglie usate, le cicche nel piattino del caffè, gli avanzi di cibo, non dipinti, ma semplicemente incollati alla tavola e chiusi in un contenitore di plexiglas  pronti per essere esposti nei musei. Sono opere del nouveau rèalisme di cui Daniel Spoerri è uno tra i maggiori esponenti. Tali opere, sono  trattate da importanti gallerie,  esposte in musei. Il minimo che si possa dire, senza entrare nel merito del gusto, e un’evidente mancanza di fantasia. Viene in mente la famosa boutade di Oscar Wilde “ chiunque chiami zappa una zappa dovrebbe essere costretto a usarla”. Minaccia vana. Non c’è da meravigliarsi se per l’arte non c’è più “critica” sostituita dall’”apologetica”, molto ben retribuita e, per dirla con i teologi in partibus infidelium. Ma si sa, il mercato ha le sue regole e non sarà certo il “culturame” a frenare l’impeto produttivo dei “nuovi maestri”. Duilio-Gambino

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Brevi cenni sull’origine dei fumetti.  0

 

Fu l’umorista e disegnatore ginevrino Rodolphe Topffer  con il suo pamphlet  sulle espressioni fisionomiche pubblicato nel 1845, a dare inizio ai disegni satirici, progenitori dei cartoni animati e fumetti ai quali Disney avrebbe dato lo sviluppo che conosciamo. In realtà il termine e l’uso della caricatura risale al Cinquecento. Gli inventori del genere furono artisti raffinati come i fratelli  Carracci.   Spetta Comunque a Topffer il merito, se vogliamo chiamarlo così, ad avere per primo utilizzatoil racconto a figure, o fumetto. Le storie comiche di Topffer, la prima delle quali ebbe l’ammirazione di Goethe, che  incoraggiò l’artista a pubblicarle. Sono gli antenati degli odierni cartoon fabbricati in serie. Un altro precursore tra i disegnatori comici fu Wilhelm Busch in Germania. Come spesso accade nella storia dell’arte, anche in questo caso un fattore personale e uno tecnico sono all’origine dell’invenzione. Topffer era figlio di un pittore paesaggista, divenne egli stesso pittore seguendo la scuola del padre. Ma una malattia agl’occhi gli impedì di proseguire l’attività e lo indusse a dedicarsi alla scrittura. Divenne noto pubblicando brevi racconti che vennero annoverati tra le gemme della letteratura svizzera. Tuttavia, benché i suoi occhi non gli consentissero di applicare una tecnica meticolosa, egli era attratto dal disegno  e sentì l’impulso di dedicarsi all’arte figurativa. L’invenzione di nuove tecniche grafiche gli fornirono l’occasione propizia. La litografia gli permise di disegnare senza impaccio e poter far riprodurre a poco prezzo i suoi disegni. Egli scrisse anche un breve trattato sull’espressione fisionomica che, alla luce dei successivi sviluppi, appare profetico. Hogarth utlizzo le indicazione di Topffer in una sequenza di immagini intitolata “Marriage à la Mode”. L’invenzione del ritratto caricaturale fu reso possibile dalla scoperta teorica della differenza tra verosimiglianza ed equivalenza. Vi  è ampia documentazione che anche il Bernini conosceva alla perfezione l’arte di trasformare le fisionomie. Divenne celebre la caricatura di Luigi Filippo che Philipon, l’editore di Daumier,  trasformò in una pera. Per questo denunciato e condannato, primo di una lunga serie di disegnatore satirici che subirono la stessa sorte.     aaaaaaaaaaaaaa-Superman

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La forma della luce  0

La tematica della luce  è stata affronta da filosofi e studiosi. Intorno al 1200 d.C  il francescano Roberto Grossatesta scrisse un libro, pubblicato in Italia nel 1986, con il titolo “Metafisica della luce”. La luce è  stata la base stessa della pittura. I pittori dei Paesi Bassi, van Dyck, Rubens, van Eych, Rembrandt, fecero di necessità virtù dipingendo la luce delle candele, interni tenebrosi e suggestivi. Gli  Impressionisti dipinsero la luce che dà forma a paesaggi e figure. Ma dall’inizio della storia della pittura la luce è una componente fondamentale dell’arte. La luce che cade dall’alto e illumina la scena di Paolo di Tarso caduto da cavallo nell’opera di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. Episodio sul quale anche Pieter Bruegel aveva  realizzato un’opera dal titolo “La conversione di San Paolo”. La luce è ciò che dava significato alla pittura. Certo, la pittura cartellonistica di Warhol come di buona parte dell’arte contemporanea, non utilizza la luce, che forse non saprebbe neppure dipingere. Sono molti gli artisti che usano la luce fredda dei neon, più adatto ad insegne di locali commerciali che all’arte. Nel 1998 a Torino viene dato il via a una manifestazione denominata “luci d’artista” che consiste nel dare il nome di un artista a una luminaria costruita da un comune elettricista. La cosa non stupisce visto che il sindaco dell’epoca era Piero Fassino,  riuscito ad ottenere la laurea in scienze politiche alla tenera età di 49 anni, nonostante la ben nota tolleranza verso l’ignoranza delle Università italiane, ex comunista poi PDS, ora PD costui, per quanto insignificante, costituisce un sintomo del livello culturale della classe politica, la stessa che nomina direttori, per lo più direttrici, di musei, biennali, fiere e tutta la schiera di istituzione che non sono create per favorire davvero la conoscenza dell’arte, ma piuttosto, come dimostra il caso di Torino, per autopromozione dei politici. Non a caso, il compagno di partito di Fassino, il ministro della “cultura” Dario Franceschini, che in fatto d’ignoranza fa il paio con Veleria Fedeli ministro PD della Università, ha abolito l’accesso gratuito ai musei  per le persone oltre i 65 anni. In compenso, come abbiamo già segnalato,  finanzia cene e bagordi alla Biennale di Venezia del 2017, direttrice la francese  Macel, nomen omen. Ecco che in questo brevissimo escursus abbiamo tracciato la parabola discendente dell’arte grazie al  connubio  tra la modesta cultura degli artisti, ormai soggetti all’influenza USA, e la politica “culturale”. Per la cronaca  fin dagli anni ’60 del secolo scorso Sol LeWitt e Dan Flavin, due artisti USA,  realizzarono opere con i neon. Dunque dalla magia della luce, indagata da Roberto Grossatesta, usata dagli artisti fiamminghi  e dagli impressionisti, siamo approdati alla banalizzazione anche della luce, in un percorso di discesa dell’arte agli inferi  che non sembra avere fine. astratto-24

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