Può scaturire la creatività da una umana incompletezza? La nostalgia per un mondo aristotelico trovava il suo obiettivo nella parola Cosmo, degenerato nella globalizzazione sempre più avviata verso una ginecocrazia che domina masse infantili di paranoici tecnologici, persone che tendono a perdere la forza di mantenere il controllo del loro spazio psichico riducendosi a individui isolati.
Ci troviamo di fronte al paradosso che il progredire della conoscenza ci mette di fronte alla nostra impotenza. Nell’infanzia della civiltà era possibile coltivare l’illusione che la scienza avrebbe migliorato gli esseri umani e reso possibile un futuro luminoso, anche selezionando i migliori, cosa oggi non più pensabile, in ragione di un ipocrita formalismo democratico.
Secondo la tradizione Platone avrebbe affisso all’ingresso della Accademia un cartello nel quale si chiedeva di astenersi dall’entrare chiunque non fosse esperto di geometria. Tale disciplina è stata fatta propria dall’arte moderna, diventata gioco, tautologia, ed ha finito per ridimensionare l’illusione della spazialità e dell’arte. L’elegia dell’arte astratta fatta da Kandinsky e dal filosofo hegeliano Kòjève suo nipote, è stata presto sommersa da una folla di epigoni privi di estro.
La filosofia scinde la società tra quelli che ricordano e quelli che non ricordano. La cultura è memoria e consapevolezza, con effetti non sempre positivi. Secondo Peter Sloterdijk, ricerca e presa di coscienza hanno trasformato l’essere umano in un idiota del Cosmo. Un idiota ansioso che faceva esclamare a Pascal: “ L’eterno silenzio degli spazi mi spaventa”.
Friedrich Nietzsche, ideatore di verità con le quali è difficile vivere, ma che l’onestà intellettuale ha difficoltà a ignorare, ho sostenuto che gli interpreti moderni di questo mondo hanno stabilito che vivere significa pagare il prezzo devastante della inadeguatezza umana. E’ perciò un bene che l’esistenzialismo abbia rivelato ciò che è essenziale per tentare di rompere il sigillo che la banalità pone all’intelligenza creativa. Quello che i filosofi contemporanei hanno chiamato oblio dell’essere, appare più che altro ostinata ignoranza, incapacità di superare la barriera dell’apparente.
L’arte non può nulla contro questa situazione. In ogni caso gli artisti, ormai massa, hanno rinunciato, non sono più in grado di dare forma al grido di disperazione che sale da masse spensieratamente ignare.
Edvard Munch “Ansietà” 1894