Il pregiudizio riflette semplicemente il livello di conoscenza e di condizionamenti ideologici e culturali, oltre alle convinzioni o assenza di convinzioni etiche. Questi sono i presupposti sui quali s’incardina il sapere di ognuno. In questa prospettiva, coloro che si scagliano contro il pregiudizio, sono mossi da pregiudizio. Non solo, ma spesso non conoscono affatto l’argomento al quale si dichiarano avversi. Quando ai primordi della civiltà nasce la “cultura”, essa si manifesta in forme articolate sulla spinta della curiosità e dal bisogno. L’arte figurativa, a esempio, precede la scrittura, è la forma primitiva di comunicazione , strumento per esprimere le emozioni, le paure, l’ansia dell’immaginazione evocativa. Nelle grotte di Lascaux la pittura non era attività ludica, costituiva la semplice speranza per la cattura di una preda, ovvero il ricordo per il buon esito della caccia. Solo molto più tardi nasce la capacità di tradurre il suono vocale in segno. La scrittura da prima è essenziale per poi articolarsi in forme sempre più complesse. Il pensiero si affina attraverso l’elaborazione della scrittura che lo esprime. Da quel momento l’immagine non è più la sola possibilità di espressione. Nasce la storia. In parallelo con lo sviluppo della parola, cresce la possibilità dell’inganno che solo la parola consente. La nascita del teatro rappresenta l’unione di gesto e parole, il gioco tra verità e menzogna. Platone sosteneva che il maggior valore non era contenuto nello scritto, ma solo nell’anima. Eschilo mette in bocca alla sentinella in apertura del suo Agamennone:” Io volentieri a coloro che sanno parlo, a coloro che non sanno mi nascondo”. Ciò ci riporta alla sapienza millenaria indiana contenuta negli antichi Veda, scritti volutamente in modo criptico perché solo gli indiziati potessero capire. Anche Pitagora metteva in guardia dal concedere l’accesso alla conoscenza a persone malvagie. Il mondo contemporaneo appare una conferma di quanto fosse giusta la credenza degli antichi sapienti. Le parole servono anche a descrivere gli aspetti umani più ignobili, l’arte contemporanea ha cancellato la nozione di bellezza. Siamo lontani dalla convinzione di Gadamer secondo Il quale : “…..la bellezza può anche essere percepita come il risplendere di qualcosa di ultraterreno, e tuttavia è presente nel visibile”.
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