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L’eunuco femmina.  0

La “Nascita della tragedia” di Friedrich Nietzsche ha il sottotitolo “Considerazioni inattuali”. In effetti le considerazione di Nietzsche fanno riferimento all’antica Grecia,  sono  un prologo. La vera tragedia, nascerà con l’avvento della modernità. La realizzazione  di strumenti sempre più sofisticati consentono di raggiungere un maggiore benessere materiale, ma   infondono un illusorio senso  di sicurezza, quasi  d’onnipotenza. Viviamo su un palcoscenico in cui è in scena, ininterrottamente, il teatro dell’assurdo. Le parole hanno perso significato. L’arte abbandona  mimesi  ed estetica,ed  esalta la produzione industriale. Giaconi & Lenz presentano “Farmacropoli” . Medicinali come opere d’arte. L’arte è esposta nei supermercati, anzi ,sono arte gli stessi supermercati. Manca la consapevolezza che cancellare la memoria storica equivale a cancellare la civiltà costruita attraverso   regole e comportamenti che limitano l’aggressività umana. L’evoluzione sociale e civile ha dato vita a  una parvenza di società basata su libertà e rispetto. Oggi non è più così. Secoli di cultura sono stati archiviati assumendo che la libertà individuale debba prevale su tutto. I nani non salgono più sulle spalle dei giganti, si credono giganti. Diceva Platone a proposito di Aristotele:” anche solo lodarlo non è permesso a chi è da poco”. Così anche l’arte oggi è ridotta a parodia,  maieutica  tramite la forma. Come dice un antico detto della  saggezza indiana: “Rosicchiare un corno di vacca  è inutile e accorcia la vita: ci si logora i denti e non se ne ricava alcun sugo”. E’ quanto accade. Siamo in presenza di una pleonastica  dilatazione di paranoie personali scavate nel vuoto di coscienze senza peso. I pasdaran del progresso, sono simili alla duchessa Delaforte, la quale. conversando con Madame di Staềl diceva:” devo confessarlo, mia cara amica, non trovo nessun altro che abbia sempre ragione, se non me”. Per un eunuco, “una donna vale l’altra”, diceva Nietzsche . Oggi siamo oltre. Germaine Greer nel 1970 pubblicò “L’Eunuco femminina” , sulla scia della rivoluzione femminista,  l’implicita ammissione che un maschio vale l’altro. Ci sono conquiste che si pagano più delle vittorie, come ben comprese Pirro e come presto sarà evidente a molti.   aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaEunuco

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L’arte tayloristica.  0

La dedica di Nietzsche di “Così parlò Zarathustra” , “Per tutti e per nessuno” è, secondo Herbert Marcuse, applicabile anche all’unità dell’arte. Forse dovremmo aggiornare le affermazioni di Marcuse in ragione dello snaturamento dell’arte e al progressivo inaridimento creativo sostituito dal massiccio ricorso agli ausili tecnici. La critica, che non fa il suo mestiere, ricorre a procedimenti assiologici, estranei alla ortodossia ed epistemologia dell’arte. Al termine dell’Introduzione alla “Per la critica dell’economia politica”, Marx afferma: “Ancora oggi l’arte dell’antica Grecia esercita su di noi un grande fascino”. Questa affermazione, ha lasciato perplessi molti intellettuali “progressisti”. La modernità raramente affronta i problemi di cultura, ma pone attenzione alla tecnica. I problemi che non sa chiarire preferisce archiviarli. L’ontologia dell’arte è in carattere con la realtà produttiva di tipo fordista, non più in uso nelle fabbriche. L’arte rientra a tutti gli effetti nella generalizzata produzione di merci. E’ stata applicata in modo estremo l’affermazione di Walter Benjamin sulla perdita di aurea dell’arte come conseguenza della produzione seriale. Perché le attuali produzioni non possono rientrare nella categoria ontologica dell’arte? Semplicemente perché, a differenza della scienza che deve protocollare ogni nuova scoperta in modo da rendere possibile l’attuazione ad altri scienziati dello stesso procedimento, l’arte è per definizione non codificabile. Anche quando la stessa opera viene ripetuta, non è mai esattamente uguale alla precedente. Salvo i casi dell’arte seriale, serigrafie, incisioni ecc. Ma in quel caso, è scontato che l’opera riprodotta abbia un valore inferiore all’originale. A parte il fatto che anche per realizzare incisioni e serigrafie è necessario saper creare un modello originale, oltre a conoscere la tecnica di riproduzione, salvo il caso, in cui, come faceva Warhol, si riproduca una riproduzione fotografica. La gran parte delle opere dell’arte contemporanea, specie se di grandi dimensioni , non vengono realizzate dall’artista, ma da tecnici i quali adottano procedimenti in cui sono coinvolti fonderie, tecnici elettronici ecc. L’artista si limita ad offrire un’idea e si esime dalla realizzazione. Il taylorismo produttivo consente una grande produzione e giustifica i cospicui investimenti in pubblicità & marketing che sono la cifra dell’arte contemporanea. E’ successo qualcosa di simile, come denuncia Matthew Arnold: con l’avvento della industria culturale, nata per promuovere la cultura di massa e naufragata nel crollo esponenziale del livello culturale generale. Il mercato dell’arte può permettersi oggi di assoldare intellettuali più o meno noti per pubblicizzare fiere ed eventi, tentando per questa via di conservare una pallida impronta culturale a una produzione artistica che con la cultura ha lo stesso proverbiale rapporto del diavolo con l’acqua santa. Diana-Arbus-20

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Nuovi approcci all’arte.  0

Domenica 15 gennaio 2017, Lettura, l’inserto culturale del Corriere della Sera, ha pubblicato una specie di forum tra direttori delle tre principali fiere dell’arte italiane. Due sono donne. Tutti hanno ricchi curricula in campo accademico e incarichi nelle istituzioni artistiche. Dunque, persone come si dice, qualificate. Sorge spontanea una domanda: qualificate per cosa? Forse semplicemente a svolgere il compito che svolgono abitualmente nei loro interventi sui media, vale a dire fungere da cassa di risonanza per il mercato? I curricula servono a dare un’impronta culturale alle fiere dell’arte? Ma non è solo questo. A destare preoccupazione, per chi ama l’arte, è la mentalità di questi “esperti”. Voglio citare un brano in cui, Ilaria Bonacossa, la direttrice di Artissima, esprime il suo pensiero: “ Gli artisti italiani hanno un rapporto, come dire, paralizzato con la classicità. Qualsiasi che abbia, che so, fatto l’accademia, è tenuto a conoscerla. Ho studiato negli Stati Uniti, dove gli studenti finiscono invece per conoscere la storia dell’arte a spot, seguendo un corso sul Rinascimento un altro sul Settecento mentre manca quello che c’è nel mezzo. Questo però da loro la possibilità di un approccio molto più libero, appropriandosi della storia dell’arte, specie di quella del dopoguerra, in modo decisamente più personale, informale. Può essere limitante, si possono prendere cantonate assolute, ma c’è più libertà nell’acquisizione della storia dell’arte, perché non è necessario sapere che prima di Botticelli c’è stato Giotto”. Mi scuso per questa lunga citazione che ritengo utile, a parte la prosa della “direttrice” un po’ così, per capire la mentalità di chi in qualche misura influisce su produzione e consumo dell’arte. In breve per la Bonacossa, non solo non è necessario studiare a fondo il nostro straordinario patrimonio culturale, ma il farlo diventa una sorta di handicap che ci svantaggia di fronte all’ignoranza degli studenti statunitensi. E’ a persone di questo genere che le istituzione affidano la direzione di Enti per l’arte. Traspare una sorta di servilismo culturale purtroppo molto diffuso tra i nostri intellettuali, nonostante la perdita totale di credibilità degli USA dopo le politiche criminali di questi ultimi decenni, continuano a vedere negli Stati Uniti un faro di democrazia, civiltà e cultura. Se a questo si aggiunge l’impronta femminista di matrice USA, abbiamo la cartina di tornasole per valutare le scelte delle “nuove” critiche d’arte”., ormai larga maggioranza. More solito, è sottinteso che la libertà è più importante della conoscenza. Durante i miei corsi alla Pepperdine University a Malibù, CA, ho avuto impressioni diametralmente opposte a quella di Bonacossa. Gli studenti vorrebbero essere guidati alla conoscenza, sono interessati a conoscere a “fondo”, non per spot, la storia dell’arte che in larga misura coincide con la storia del nostro paese. Purtroppo in USA, e non solo, prevalgono soggetti come Arthur C. Danto e George Dickie, seguiti pedissequamente dalla critica europea e da queste nuove leve ai vertici delle istituzioni dell’arte. Il mercato dell’arte è esploso perché la finanza statunitense ha intravisto la possibilità di speculazioni milionarie. Dopo che la merda è diventata oggetto d’arte era inevitabile l’archiviazione del detto:”Il denaro è lo sterco del diavolo” . Dunque, la strada è tracciata. Il percorso produzione – consumo ha il pieno avvallo di chi domina il mondo dell’arte. aaaaaaaaaa-CXON-QUESTO-SEGNO-VINCERIAI

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Arte, produzione, consumo.  0

Se per Nietzsche, agli inizi, il nemico principale era il commediante, per Platone era il mago, lo stregone, l’uomo della metamorfosi, colui che mutava aspetto. Platone aborriva la mutevolezza. Gli egizi avevano una propensione alla statica, era il loro modo per sfuggire alla inevitabile precarietà dell’esistenza. Secoli dopo Kierkegaard esprimeva l’elogio della ripetizione. La nostra epoca è invece ossessionata dall’ansia del nuovo a prescindere da valori e significati possibili. Prevale la ricerca del ludico, in contrasto con una realtà sempre più drammatica. L’arte è gioco. Prediamo sul serio i giocattoli perché non sappiamo cos’è serio e perchè siamo giocattoli noi stessi. Un dipinto si può osservare in molti modi: come rappresentazione di qualcosa che appartiene al mondo o come rappresentazione di qualcosa di invisibile. Comunque lo si voglia definire in entrambi i casi l’opera d’arte appartiene alla mimesi, imitazione che trascende la realtà per dare forma alla sensibilità della quale l’artista fa dono al mondo. Plotino distingueva con nettezza le due visioni. Se un dipinto si riconosce nel sensibile dell’imitazione nasce il pathos , l’emozione che si manifesta in un processo interno a chi guarda. Ma oggi è ancora così? Vi era una cultura popolare abbastanza diffusa che vedeva nell’arte romanica un’arte ingenua, al contrario dell’arte Gotica che si assumeva fosse stata inventata dai teologi. Ma in sostanza l’approccio all’arte, anche se non soprattutto, in epoca di bassa scolarizzazione delle masse, era di carattere contemplativo. Un’arte destinata a raccontare la storia e nutrire l’immaginario. Le sculture romaniche contenevano tracce di rappresentazioni simboliche della storia e del mito. L’elaborazione dei segni equivaleva ad elaborare un linguaggio la cui lettura era resa possibile a diversi livelli. A volte poteva dare l’impressione di una certa rozzezza , di infantilismo grafico che dava forme elementari a pensieri elevati. Inizia dal Gotico la marcia verso ciò che viene chiamato realismo nell’arte figurativa. Si manifesta il dispiegamento di un’abilità manuale che andrà perdendosi, scivolando nella maniera che consiste essenzialmente nel far bene cose delle quali sfugge il significato. Se consideriamo in un’ottica più generale, come chiarisce la bio -fisiologia sull’inevitabile degrado di tutto ciò che vive, la vitalità dell’arte non fa eccezione. Dopo avere raggiunto l’apice nel Rinascimento inizia un percorso di degradazione che consiste in primo luogo nell’ignoranza del significato del proprio agire. Con il prorompente sviluppo del mercato, sarà inevitabile passare il testimone alle classi e ai luoghi in cui il mercato maggiormente prospera. Amstedam, Londra, Parigi, New York approdo inevitabile alla Factory, fabbrica dell’arte che si avvale dei media per propagandare la propria produzione. Siamo ai giorni nostri . aaaaaaaaaaaDali

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Il corpo e il pensiero.  0

Siamo giunti al punto in cui è forse necessario un vero e proprio riposizionamento culturale. La cultura umanistica, anche quando non è accantonata del tutto, è comunque vista come una forma inutile di snobismo culturale, una forma di sapere che non serve alla produzione. La scuola deve preparare al lavoro. Questo è il leitmotiv trasmesso dai media. Il valore della vita umana non può, o non dovrebbe, essere orientato solo alla produzione. Anche l’arte è da tempo entrata in un circuito di produzione-mercato. Le risorse culturali che migliorano la nostra umanità vengono orientate in senso ideologicamente impuro. La cultura ha una posizione ancillare rispetto al mainstreem corrente. La letteratura non è più, come diceva Roland Barthes, “la ricerca della parola giusta”, ma piuttosto la ricerca dell’espediente che suscita curiosità, appare provocatorio. Non conta la forma ma il contenuto. La letteratura ha rinunciato al ruolo di orientamento scegliendo di seguire il pensiero unico, dandone un’interpretazione che trovi il consenso delle masse. L’etica è sicuramente estranea all’orientamento sociale generalizzato. Ne abbiamo conferma ogni volta che accendiamo la tv, apriamo un giornale, seguiamo un network. Vi è l’esibizione di un narcisismo pervasivo. Si discute da tempo sulla funzione del web, se renda stupidi o semplicemente amplifichi la stupidità. Quello di cui non si parla è la ragione per la quale sul web le ragazzine e le loro madri sentano la necessità di esibire la propria anatomia e gli organi genitali, molto più dei maschi. E’ possibile, come scriveva Nietzsche: “ Il ripetersi di esperienze di soli corpi , ci distoglie dal pensiero”. Vi è inoltre la paura della solitudine, incapacità di vivere davvero in modo autonomo la propria vita e quindi, come scrive Nietzsche:” Troppo frettoloso è il solitario nel tendere la mano a colui che incontra”. Anche nell’arte vale lo stesso concetto. Un personaggio come Picasso, che pure era immerso nella mondanità, arrivava a dire:” Senza grande solitudine nessun serio lavoro è possibile”. Ma c’è ancora qualcuno che apprezza un “serio lavoro” nell’arte, nella letteratura, nel teatro? Aggressività e competizione sono la cifra della nostra società priva di riferimenti etici, ma soprattutto priva di pace. Henry James il 28 ottobre 1895 annotò nei suo taccuino un breve incontro con Mrs Procter è l’affermazione di questi:” Nulla è più appagante che stare in compagnia di un libro” . I tempi sono cambiati e i libri pure, ma esistono pur sempre i classici che la maggior parte dei giovani non ha letto, Moby Dick. La commedia umana di Balzac. La vita e le opinioni di Tristram Shandy Gentiluomo. Di Laurence Sterne e un gran numero di altri libri a cui vale la pena di dedicare un po’ di tempo sottraendolo eventualmente a quello speso su network. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaS

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In forma di parole  0

Mentre l’arte, cosiddetta bella, divaga un forme improbabili, come i pensieri di chi la genera,ricorrendo sempre più spesso alla tecnica, la poesia e la letteratura attraverso le parole dovrebbe creare immagini destinate ad essere scolpite dentro di noi. Oggi questo è sempre meno vero La cultura contemporanea è sterile, vacua, tanto compiaciuta di se stessa da ignorare la torbida decadenza che infetta l’intera società. L’arte da parte sua deflagra in fantasiose insensatezze,raccogliticci reperti della società industriale presentati sotto forma di ready made come oggetti d’arte. Le parole sono puzzle che compongono immagini. Fino a quando? C’è il rischio che un paranoico tecnologizzato crei un robot in grado di sfornare romanzi. Come scrive Eliot:”… sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno/ avrebbe bisogno di essere buono..” . “ Chiamatemi Ismaele..”E’’ l’incipit di Moby Dick, il capolavoro di Herman Melville, resta nella memoria di chi ha assimilato il pensiero di un confronto dell’uomo con il cetaceo, simbolo demoniaco, con il quale dobbiamo confrontarci, anche se la nostra inconsapevolezza ci distrae Non serve la vista, ne sfoggiare immagini al museo per ottenere l’accredito nel mondo della cultura e dell’arte. Dovrebbe essere sufficiente la memoria per consentirci di riprendere il filo di riflessioni che ci riportano alle figure simboliche di esistenze create per metterci di fronte a noi stessi. La mitica figura del capitano Achab, preso dalle propria ossessione, è una traccia importante, uno specchio opaco di esistenza spesa in inutili giochi . “La città di Sofronia si compone di due mezze città” E’ l’inizio del quarto capitalo de “Le città invisibili” di Italo Calvino. Nomen omen, il rigore di colui che aveva l’assillo del rigore ha lasciato forse un erede. Il 6 giugno del 1984 Italo Calvino fu invitato dall’Università di Harvard a tenere lezioni alla Charles Eliot Norton Poetry Lectures. La morte lo colse prima che potesse adempiere l’impegno. Resta il libro “Lezioni americane” – Sei proposte per il prossimo millennio”. In esso vi è tutto il rigore di una mente creativa che cerca risposte. Quando troveranno un approdo i pensieri positivi, sani, capaci di aiutarci a dare un senso alle nostre vite? Magritte Castello dei Pireni

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Poeti e fucili  0

Il vuoto etico sociale degli Stati Uniti si manifesta anche attraverso poeti e critici, dispersi in un paese senza storia. Quando non espatriano, come hanno fatto,Thomas S. Eliot, Henry James, Ernest Hemingway, F.Scot Fitzgerald, e altri, inventano paesi immaginari come ha fatto William Faulkner con la sua Yoknapatawpha. Quelli che rimangono, nella migliore delle ipotesi, possono cantare la natura, non ancora del tutto annientata dal loro brutale materialismo, e la sessualità infelice. Davvero sorprendente come l’omosessualità influenzi un gran numero di poeti, artisti, scrittori americani, è quasi una tradizione il cui testimone è raccolto da molti artisti contemporanei, in particolare tra New York e Los Angeles. Nel resto del paese vi è ancora un residuo di una giovane storia, la cosiddetta nuova frontiera che consiste essenzialmente nel genocidio dei nativi verso i quali i poeti americani non sembrano nutrire alcun interesse. Se fosse in mio potere salvare qualcosa dell’America, sceglierei i pellerossa e ributterei in mare i Padri Pellegrini che hanno portato nel nuovo mondo il morbo inglese, l’ansia di sottomettere altri popoli e sterminarli. I poeti, i narratori cantano una America che non esiste, che non è mai esistita, non sono disponibili ad esami di coscienza. Harold Bloom, in una delle sue sillogi di letteratura statunitense, more solito, declina la narrazione critica in una strabica elegia. Dedica trenta pagine a Thomas S. Eliot, intrise di commenti sprezzanti, settantatre pagine ad Hart Crane al quale dedica entusiasti commenti. E’ comprensibile. Forse tra i due c’è un’affinità . Crane visse intensamente la propria omosessualità, che trova costanti richiami nelle sue opere. Morì suicida a 32 anni. Bloom conferma alcune mie convinzioni. Una cosa è conoscere, altro è capire. La sensibilità non si acquisisce sui libri. Le nostre azioni sono dettate dai nostri pensieri, da quello che siamo. Non è un caso che Bloom abbia una sorta di rifiuto di Thomas S. Eliot. Forse perchè cattolico, portato a una visione dell’esistenza più spirituale, meno condizionata dalla sessualità. La lettura dei poeti statunitensi è forse una chiave che ci aiuta a capire le ragione del trionfo del femminismo. Camilla Paglia è stata allieva di Bloom. Una mia mostra del 1977 “America wedding” l’amico Giorgio Brizio scrisse una critica con il titolo “America, quando ti toglierai i vestiti” . Non essendo mai stato negli USA Brizio scrisse un testo privo di senso. L’America non solo si toglie i vestiti, ma è talmente intrisa di materialismo da trasformare anche le religioni in un questione commerciale. Basta vedere la sequela di predicatori che cercano “clienti” tramite la tv alla domenica mattina. Gli USA hanno creato Hollywood la Sodoma del XX secolo e infestano il pianeta con la loro propaganda decettiva fatta di eroi di celluloide e femminismo aggressivo. I poeti sono stati in molti casi mosche cocchiere. Magritte Castello dei Pireni

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Memoria  0

Siamo in tempi in cui sono finiti i grandi sogni. Come dice Imre Kertész:” addormentarsi è inutile svegliarsi è superfluo”. Vi è un grande abisso tra la realtà naturale è il pensiero. Dove mai troveremo un uomo giusto? A Sodoma era rimasto Lot, l’unico giusto. Oggi chi salveremmo in questo pianeta in disfacimento ? Un dipinto di Corot rappresenta la distruzione di Sodoma. Un immagine fatale di abbandono. Non sono pensieri con i quali iniziare il giorno mentre guardo dalla finestra del mio studio. La fitta nebbia è una coltre che nasconde ciò che non voglio vedere, così un’inutile memoria vorrei fosse cancellata da una felice smemoratezza. Il linguaggio è strumento di menzogna, lo usiamo anche per ingannare noi stessi. Cosa significa l’espressione: mi guardo in dentro? L’occhio è pragmatico. Vede solo il presente. L’occhio della mente è daltonico. Colora i ricordi grigi. Mi sono sempre chiesto le ragioni che spingono a scrivere biografie. Leggere la vita degli altri non arricchisce la propria. La vita è una corsa ad ostacoli. Siamo come levrieri in un cinodromo che è il mondo. La finta lepre è il futuro che immaginiamo sempre migliore del presente. Ci portiamo dietro il corpo con sempre maggiore fatica. Pensieri e sensazioni sfuggono. I vecchi ai quali la vita ha consentito di maturare senza diventare troppo bacati, guardano con commiserazione le vuote frenesie delle nuove generazioni . Assorte in quella che credono vita, commettono gli stessi errori. I più hanno una vita virtuale, avranno ricordi virtuali, numerosi , fatui, inutili come i loro numerosi e frammentati amori. Ogni vero ricordo è cenere che ancora brucia nelle ossa. I poeti sono forse i soli ad avere capito il senso degli inutili tentativi che chiamiamo vita. “Passarono anni brevi come giorni”. Durante i quali raramente abbiamo saputo orientare la nostra esistenza. “Passi echeggiano nella memoria, in quel corridoio che non percorremmo, verso quella porta che non aprimmo mai” Il mestiere di vivere s’impara quando ormai non serve più. Se è vera l’affermazione di Goethe: “ nulla è più prezioso di un ricordo”. È vero che il ricordo non lo utilizzi fino a quando sei assorto nella vita. Chi ha tanta vita ha pochi ricordi. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaanewsletter

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Memoria e poesia.  0

Siamo in  tempi  in cui sono finiti i grandi sogni. Come dice Imre Kertész:” addormentarsi è inutile svegliarsi è superfluo”. Vi è un grande abisso tra la realtà naturale è il pensiero. Dove mai troveremo un uomo giusto? A Sodoma  era rimasto Lot, l’unico giusto. Oggi chi salveremmo in questo pianeta in disfacimento ? Un dipinto di Corot rappresenta la distruzione di Sodoma. Un immagine  fatale di abbandono. Non sono pensieri con i quali iniziare il giorno mentre guardo dalla finestra del mio studio. La fitta nebbia  è una coltre che nasconde ciò che non voglio vedere, così  un’inutile memoria vorrei fosse cancellata  da una felice smemoratezza. Il linguaggio è strumento di menzogna, lo usiamo anche per ingannare noi stessi. Cosa significa l’espressione: mi guardo in dentro?  L’occhio è pragmatico. Vede solo il presente. L’occhio della mente è daltonico. Colora i ricordi grigi. Mi sono sempre chiesto le ragioni che spingono a scrivere biografie. Leggere la vita degli altri non arricchisce la propria. La vita è una corsa ad ostacoli. Siamo come levrieri in un cinodromo che è il mondo. La finta lepre è il futuro che immaginiamo sempre migliore del presente. Ci portiamo dietro il corpo con sempre maggiore fatica. Pensieri e sensazioni sfuggono. I vecchi ai quali la vita ha consentito di maturare senza diventare troppo bacati, guardano con commiserazione le vuote frenesie delle nuove generazioni . Assorte in quella che credono vita, commettono  gli stessi errori. I più hanno una vita virtuale, avranno ricordi virtuali, numerosi , fatui, inutili  come i loro numerosi e frammentati amori. Ogni vero ricordo è cenere che ancora brucia  nelle ossa. I poeti  sono forse i soli ad avere capito il senso degli inutili tentativi che chiamiamo vita. “Passarono anni brevi come giorni”. Durante i quali raramente abbiamo saputo orientare la nostra esistenza. “Passi echeggiano nella memoria, in quel corridoio che non percorremmo, verso quella porta che non aprimmo mai” Il mestiere di vivere s’impara quando ormai non serve più. Se è vera l’affermazione di Goethe: “ nulla è più prezioso di un ricordo”. È vero che il ricordo non lo utilizzi fino a quando sei assorto nella vita. Chi ha tanta vita ha pochi ricordi.     aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaanewsletter

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Socrate e Capo Piumato  0

Da bambini, quando facevamo una marachella e venivamo ripresi dai nostri genitori, di solito adottavamo una delle seguenti linee di difesa. Negare tutto. Dare la colpa ad altri. Sostenere: lo fanno tutti. Questo resta per tutta la vita il leitmotiv del nostro comportamento. Ovviamente varia il livello e il campo: privato, culturale, politico. La sostanza però è la stessa, è difficile fare i conti con noi stessi. Questo vale a livello individuale come nel collettivo. Il male è sempre l’altro, è fuori di noi. Nella nostra era c’è stato un passaggio significativo, la giustificazione non è più necessaria. L’omologazione ha normalizzato ogni genere di comportamento per quanto trasgressivo. L’omologazione non richiede plausibilità, basta il richiamo al diritto di libertà. Fedone narra che i socratici vennero a contatto con Zopiro, affermava di saper capire il carattere di una persona osservando i tratti del volto. Gli presentarono il ritratto di Socrate, Zopiro non esitò a definire l’uomo del ritratto libidinoso, stupido e forse pederasta, suscitando l’indignazione dei socratici. Nonostante la contestazione, Zopiro insiste nel sostenere la sua diagnosi e chiede di incontrare personalmente Socrate. L’incontro avviene, egli immediatamente conferma le proprie affermazioni. Suscitando la collera dei discepoli di Socrate il quale invita alla calma e prende la parola per confermare che la diagnosi di Zopiro è corretta. Sono effettivamente il tipo di uomo che ha detto costui, afferma Socrate, ma mi controllo e cerco di fare emergere la mia parte migliore. Ecco dunque che Socrate, con umiltà, ammette quale è la sua vera natura. Quanti di noi avrebbero lo stesso coraggio e umiltà? La cultura non corregge i nostri difetti, e non elimina i nostri vizi, al più ci fornisce gli strumenti per giustificare gli uni e gli altri, ci lascia coltivare l’illusione di essere migliori. Per definizione l’illusione è cosa effimera, presto ci ritroviamo a fare i conti con noi stessi. In un racconto di Nathaniel Hawthorne, dal titolo “Capo Piumato” , una strega costruisce uno spaventapasseri con una piuma sul capo. Soddisfatta del proprio lavoro decide di animare il fantoccio e renderlo grazioso. Capo Piumato se ne va in giro soddisfatto fino a che non incontra l’avvenente Polly Gookin di cui si innamora. Hawthorne si dilunga in dettagli e descrizioni che qui non abbiamo modo di riportare, andiamo dunque alla conclusione. Un giorno Capo Piumato si trova nel salotto di Polly dove c’è uno specchio, si avvicina allo specchio e spinto da vanità invita la ragazza ad ammiralo, Polly volge gli occhi allo specchio e lancia un urlo, nello specchio appare un orribile spaventapasseri. A Capo Piumato non resta che fuggire, tornare a casa della strega la quale prende atto della situazione, smonta Capo Piumato in modo che di lui non resta che un mucchietto di stracci e legno. Morale della favola: se ci vedessimo davvero come siamo, forse non saremmo così orgogliosi di noi stessi. Quello che noi vediamo degli altri e di noi stessi è l’involucro, il contenuto ci è ignoto. Possiamo continuare ad accontentarci dell’apparenza, nella speranza che non ci sia uno Zopiro che ci riveli ciò che veramente siamo. parigi-di-sera-500

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