L’arte dovrebbe mettere il reale con le spalle al muro, interrogarlo e costringerlo a dare il proprio contributo in modo che si preseti come insieme rappresentabile, si presti alla narrazione che possa essere dominata dallo sguardo e contribuire alla sensibilità di chi osserva.
Molti artisti si trovano nella condizione descritta da Musil in “L’Uomo senza qualità” : Ulrich era in preda a una forte emozione e disagio; gli sembrava difficile trovare la linea di confine tra criteri nuovi e criteri comuni…..”. La risposta a questa situazione consiste spesso nel ribaltare il tavolo, e cancellare le regole.
Nel 1975 Paul K. Feyerabend, filosofo della scienza, scrisse “Contro il metodo”, la cui unica conclusione è stata di dimostrare che ogni procedimento, ogni ambito culturale, è costretto nella camicia di Nesso di un metodo, si può definirlo rivoluzionario, ma non lo si può abolire. Purtroppo
le rivoluzioni non hanno cambiato il mondo, ma solo stabilito criteri diversi entro i quali di fatto si ripetono altri errori e si finisce per tornare a vecchi rituali.
Le avanguardie, a partire dai Dada, citati come non-metodo da Feyerabend, dopo le ansie distruttive, sono approdate nei musei. Di certo non hanno rispettato la legge di coerenza che risale a prima di Aristotele. Così, nello stesso museo troviamo capolavori del Rinascimento e opere di Fluxus, Dada, e di altre “avanguardie”. Questo conferma il fallimento degli artisti che si proponevano rivoluzionari e reclamavano la chiusura dei Musei dell’arte.
La creatività, nel pensiero contemporaneo occupa un posto profondamente ambiguo nel panorama socio-culturale. Investita da timori, rifiuti, rivendicazioni, utopie; dopo aver cancellata l’epistemologia, smarrita l’intuizione estetica, l’intelligenza che non sa e non riesce a capire, si adagia su mainstream e segue i gusti degli squilionari. Certamente, di fronte al proliferare di opere che per riscattare l’irrilevanza si affidano al tecnicismo dominante che dimezza l’intervento umano e riduce la creatività individuale. Resta la possibilità,forse la costrizione, di creare senza sosta “spontaneamente” forme che s’immagina possono condurre a un rapporto nuovo con il mondo con gli altri l’individui. Penso, per fare un esempio, a Jean-Michel Baquiat.
Con le avanguardie, a partire dal romanticismo ha preso corpo lo stereotipo dell’artista che per affermarsi nella società insorge contro tutti i conformismi, in un perenne antagonismo di facciata. Questa immagine, falsa, è costruita dai media, in realtà l’artista è al servizio del capitale forse più che nel passato. In questo atteggiamento manicheo, non c’è traccia di opposizione all’ordine, il dinamismo creatore si è arenato in quella che il lessico contemporaneo definisce alienazione, che non è più l’estraneità al reale, come era definita da Hegel, ma l’accettazione dello status quo, del conformismo, che comporta l’accettazione dell’anonimo dominio del mercato, orientato alla quantità rifiuta la qualità.
La critica d’arte procede nella narrazione eristica in aperto contrasto con la realtà storica. L’Uomo storico, l’uomo in divenire, si è rassegnato, ha rinunciato al tentativo di superamento, non accetta di confrontarsi con la materia e tentare, attraverso la forma, di rappresentare il pensiero.
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