Come ho scritto in altri testi, è mia convinzione che l’arte è politica. Dovremmo dunque preoccuparci di considerare la situazione socio-culturale all’interno della quale il cosiddetto “sistema dell’arte” ,nasce e si sviluppa. Episodi come quelli accaduti a Milano il 1° maggio 2015, preceduti da una serie di episodi analoghi a Genova, Roma, Torino e altre città, confermano che viviamo in una società malata. Liquidare questi episodi con espressioni di sufficienza come ha fatto Renzi , visto il loro ripetersi, forse non è il modo migliore per trovare soluzioni. La storia ha il passo lento ma costante. Con l’istruzione obbligatoria abbiamo cominciato a insegnare l’arte della manipolazione delle idee. Viviamo in un mondo in cui la maggior parte degli individui è semianalfabeta, o per dirlo in modo più gentile, semiletterati, persone cioè che sono in grado di afferrare le idee, ma non hanno gli strumenti culturali per verificarle, e quindi seguono l’air du temps. Chi dice che la politica è l’arte del possibile usa un’espressione ad effetto, ma priva di senso. L’involuzione sociale acquista impulso fin dagli anni ’70 certificata da Theodore Roszak che scrisse”La nascita di una controcultura” , era la naturale conseguenza di quanto profetizzato da Tocqueville due secoli prima in “La Democrazia in America”. Seymour Martin Lipset scrisse che i movimenti estremisti trovano il loro terreno di cultura in individui psicologicamente disancorati da riferimenti culturali e sociali. Platone e Aristotele, erano assolutamente contro il principio di democrazia. Aristotele, indicato come il maestro di coloro di coloro che sanno, inascoltato quando il suo pensiero contrasta con il mainstream. Nel 1942 Joseph Schumpeter pubblicò “Capitalismo, socialismo e democrazia” , affrontando il tema della definizione di democrazia in risposta indiretta al politologo W.H.Morris Jones il quale scrisse un testo dal significativo titolo: “In difesa dell’apatia” (politica). Si aprì una battaglia contro l’idealismo hegeliano avanzando la tesi che gli obiettivi ideali costituiscono di per sè una minaccia. Il libro “La società moderna e suoi nemici” di Karl Popper è forse l’espressione più nota di opposizione all’idealismo. Isaaiah Berlin affronta il tema dei concetti “negativi” e “positivi” di libertà, in un’ottica di razionale confronto. Con l’avanzare della globalizzazione e i flussi migratori, è stata messa in forse la radice stessa di democrazia, così come era vissuta interpretata fino alla metà del secolo scorso. L’idea di welfare si va facendo astratta e impraticabile, sia per la scarsità di risorse da dividere con un sempre maggior numero di persone, sia perché gli stessi bisogni in una popolazione variegata, sono non di rado in contrasto. La libertà, intesa come possibilità di scelta razionale e autonoma, è resa problematica dal proliferare di conflitti, internazionali e interni alle nazioni. Anche i conflitti di genere acquistano una sempre maggiore rilevanza sociale. Tutte le teorie sociali sulle èlite di Pareto e di Mosca, le elaborazioni socio- economiche di Weber hanno perso ogni plausibilità pratica. Non si tratta più di distinguere una forma di Governo da un’altra, è il concetto stesso di governance che andrebbe riscritto. Il cambiamento semantico del concetto di democrazia impone una rilettura, dal punto di vista della mancanza di consenso sul significato di democrazia, come dimostra il susseguirsi di manifestazioni di piazza, più o meno violente, da parte di persone convinte di difendere il vero significato della pratica democratica. Per fare un esempio l’appoggio a MacCarthy del popolo americano venne considerato come difesa della democrazia,(H.MacClosky, Consensus and Ideology in Amertican Politics, 1964). Così come le guerre scatenate di Bush e da Obama in Iraq e Libia furono giustificate come difesa della democrazia. E’ noto che la “democrazia” è nata in Grecia, in contesti sociali assolutamente diversi, vorrei dire opposti, agli attuali. La parola “ demos” è una parola proteiforme con parecchi significati, tra cui “il popolo nel suo insieme” o per essere più precisi l’insieme dei cittadini. Fu Aristotele che offrì la formulazione sociologica più penetrante (Politica 1279b34-80°4) Per Aristotele, il pericolo insito nella democrazia era che il governo dei poveri degenerasse in un governo nell’interesse dei poveri. In realtà gli esiti sono stati assai peggiori, con il proliferare di “diritti” individuali che rendono praticamente impossibile una qualche armonizzazione sociale. Le “democrazie” contemporanee sono un coacervo di interessi in perenne conflitto tra loro.