La folla solitaria.
Dovendo parlare d’arte inevitabilmente si parla di politica. Perché l’arte è politica. Lo è nella forma subdola del disimpegno, lo è nella scelta della forma propria del linguaggio dell’arte. Questo accade in modo più evidente oggi. Nell’attuale società capitalistica, gli esseri umani vivono in un mondo reificato, il cui dinamismo disgrega tutti gli elementi intermedi tra individui e società, quindi riduce tutte le relazioni a mera astrazione e/o funzionalità economica, sessuale, di opportunismo pragmatico. Tutto condizionato dal cieco entusiasmo per il progresso tecnico. Il sociologo americano David Riesman ha coniato un felice neologismo che descrive la situazione odierna, nel titolo del suo libro “La folla solitaria” (1956). Infatti da un lato tutta la vita dell’individuo, dal lavoro al tempo libero, appare dominata da totale astrazione. Nel campo culturale la nostra epoca si distingue dalla precedente per l’alto grado di inconsapevolezza, che non elimina, anzi accentua le conseguenze del nostro agire. La moda, le forme di fruizione del tempo libero sono condizionate da comportamenti indotti, la cui cifra è il consumo e l’edonismo. Di recente una nota rivista di “cultura” della sinistra italiana ha avviato un dibattito sulla sessualità femminile lasciando ampio spazio alle opinioni delle donne. Né è venuto fuori un quadro francamente desolante. Il tema dominante è la ricerca del piacere. Anche il sesso, di fatto, è vissuto come pratica “collettiva”, disumanizzata. Radio, tv, cinema, Internet, sono strumenti che si prestano all’esibizione, trionfo dell’apparenza. Il contrasto tra generi è in molti casi un comodo alibi. La pubblicità si rivolge alle masse adottando i criteri dell’arte: estetica del desiderio. Fa leva sulle inclinazioni delle masse, sulle peggiori, più volgari propensioni. Il paradosso è che, si sublima il desiderio suggerendo che attraverso l’uso del tal prodotto, l’acquisto del tale oggetto, ci si distingue dalla massa. In realtà si favorisce anonimato consumistico, si induce all’uso puramente tecnologico anche dell’apparato mentale, con totale scetticismo verso ogni forma di ideologia e di credenza, che non sia l’edonismo hic et nunc. La natura astratta del desiderio che non s’identifica con un ben definito soggetto, semmai è il soggetto che deve corrispondere al desiderio. Siamo ben oltre l’abisso intellettuale e morale. Lo conferma il dibattito sulla sessualità femminile sopra citato. Capita che in queste circostanze l’atteggiamento scettico-critico si trasformi in panico, allora ci si aggrappa a qualsiasi appiglio in mancanza del quale si affonda inesorabilmente. La cronaca ce ne dà conferma ogni giorno, l’arte lo certifica attraverso la totale vacuità, mancanza di senso delle opere. Dietro a questi fenomeni sociali emerge il problema, acutamente evidenziato da Tolstoj, della vita insensata. Max Weber spiegava lo stato d’animo dell’individuo contemporaneo, la sua fragilità psicologica che lo induce, dopo avere abbandonata la religione, a prestare fede all’astrologia come surrogato. Prigioniero di un cerchio chiuso senza uscita, come il leggendario Sisifo. Il confronto con Sisifo è autentico, in senso esistenzialistico, risale infatti a Camus. Il vero profeta dello stato in cui l’uomo contemporaneo si è venuto a trovare è Kierkegaard, che vide con lucida chiaroveggenza l’inevitabile esito del nichilismo materialistico della borghesia. Oggi non esiste distinzione tra classi e ideologie accomunati dall’ansia di possesso che alcuni soddisfano, mentre altri sono privi del necessario, ma non per questo cessano di desiderare il superfluo, la droga, l’alcol, il sesso occasionale. Miti e riti sono omologati per tutte le classi, inclusi gli intellettuali assorti più a giustificare i propri vizi, che a suggerire una via d’uscita dal baratro in cui ci troviamo.