La filosofia si è spesso interessata alla questione della coscienza, ovviamente in forme estremamente complesse ed articolate che non hanno una ricaduta diretta nella sostanzialità interpretativa della normale quotidianità.
In ogni ambito dell’attività umana la coscienza dovrebbe suggerirci comportamenti e decisioni giuste. Ciò che condiziona le nostre azioni è la realtà oggettiva/soggettiva nella quale si dipana la nostra esistenza. Presa di coscienza è sinonimo di consapevolezza.
Tuttavia, nonostante le complesse interpretazioni dei filosofi, resta difficile stabilire in cosa consiste la coscienza, soprattutto comprendere la ragione delle notevoli differenze tra individui.
Nel microcosmo dell’arte, il problema si pone in termini estetici – antropologici avendo presenti, per orientarci, richiami e riferimenti a Kant, Hegel, Schopenhauer, Nietzsche a cui potremmo aggiungere le riflessioni di M. Kähler, A. Ritsch. Infine la monografia di H.G. Stoker. Vasto ambito che andrebbe ulteriormente ampliato per mettere in luce le molteplicità di fenomeni di coscienza che caratterizzano criticamente i diversi modi possibili di considerare la fenomenologia dell’arte. L’ampia bibliografia, se pur incompleta, aiuta a inquadrare il tema.
Per quanto concerne la storia del concetto di coscienza, la monografia di Stoker si differenza dall’interpretazione esistenziale già nell’impostazione, quindi nei risultati, nonostante parecchie concordanze, Stocker non valuta sufficientemente fin dall’inizio le condizioni ermeneutiche per una descrizione della coscienza sussistente oggettivamente ed effettivamente; con ciò va di pari passo all’annullamento dei confini fra fenomenologia e teologia con danno di ambedue
Per quanto riguarda i fondamenti antropologici della ricerca mutuati dalla soggettività della scelta, la monografia di Stoker rappresenta un considerevole progresso rispetto alle interpretazioni precedenti, più per la trattazione complessiva dei fenomeni della coscienza e delle loro ramificazioni, che per l’analisi delle radici ontologiche del fenomeno.
Se dalle narrazioni concettuali della filosofia, ritorniamo alla concretezza di ciò che l’artista intende comunicare, ci troviamo di fronte a narcisistiche velleità. Effettivamente la comunicazione extramondana trascura il bagaglio epistemologico che dovrebbe essere la base per realizzare la visione soggettiva che l’artista intende rappresentare.
I barattoli di Manzoni, l’orinatoio di Duchamp, la rana crocifissa di Kippenberger, il crocifisso immerso nell’urina di Andres Serrano, sono tutte opere che sollevano perplessità, ci pongono di fronte alla domanda: quale tipo di coscienza muove queste azioni? Qual’è l’intento di quei sedicenti artisti? Lascio a chi legge l’onere della risposta.
Certo è problematico il confronto tra il discorso aureo sulla questione di coscienza, che include, ovviamente aspetti etici, e fatti artistici che riflettono un vuoto interiore, uno squallore esistenziale che sgomenta. E tuttavia tutto viene accettato in nome della cosiddetta libertà di espressione.
Mettere in vendita la coscienza soggettiva per un attimo di notorietà, vellicare gli aspetti peggiori della natura umana, sono forme di prostituzione socio-culturale che dovrebbero far riflettere.
Se è vero che la coscienza e un’entità soggettiva, è altrettanto vero che l’opera d’arte dovrebbe trasmettere valori con valenze universali agendo all’interno di una realtà antropologica e civile. Le opere citate, a cui se ne potrebbero aggiungere molte altre, sono espressioni di una realtà depravata. Realizzare simili opere non significa compiere un atto di libertà, come da più parti si sostiene. La libertà non può essere solo espressione di sterile cinismo. Le opere che abbiamo elencato non hanno alcun valore sul piano dell’etimologia artistica, tanto meno nella simbologia libertaria.
Jannis Kounellis. Scultura vivente. Nudo di giovane donna incinta. 1998
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