Secondo Bertrand Russel , “ nessuno può comprendere la parola formaggio, se prima non ha un’esperienza non linguistica del formaggio”. Roman Jakobson contesta l’assunto, a mio avviso con giuste argomentazioni, basate sulle distinzioni, non solo tra le varie lingue, ma anche nella definizione del genere. Qui non è possibile esporre le argomentazioni di Jakobson, basti dire che uno dei limiti della critica e filosofia dell’arte è riscontrabile nelle generalizzazioni linguistiche. Se ogni opera d’arte ha una propria definita ontologia, non è possibile un’ermeneutica critica che non si basi sulla singola opera. Spesso il riferimento della critica è ai generi, arte astratta, figurativa, Pop Art ecc. In moltissimi casi, con una sinèddoche , ci si sofferma sull’artista, ovvero sulla corrente a cui appartiene, anziché esaminare l’opera o le opere di cui ci si sta occupando. Questi espedienti narrativi sono utili per creare il mito del personaggio-artista ed esimersi dall’affrontare l’ontologia dell’opera. La narrazione si avvale spesso di riferimenti impropri, per esempio le neuro scienze, o attuando una sorta di copia incolla di etimologie filosofiche che stridono con l’evidenza che l’osservatore ha di fronte. Pratica e teoria dell’arte devono affrontare problemi complessi che spesso sono stati creati in un’ansia ermeneutica che nasce dalla necessità di creare una ragione di ricerca. Alla fine si sceglie di tagliare il nodo gordiano, elevando a norma l’impossibilità di una reale lettura dell’opera d’arte nelle forme in cui si realizza nella contemporaneità. Nel mettere in evidenza la complementarietà del linguaggio, oggetto e meta- linguaggio, Niels Bohr assumendo che: “..esiste una relazione complementare fra l’uso pratico di ogni parola e il tentativo di darne una definizione precisa”. L’ermeneutica dell’arte si affida esclusivamente alla narrazione, finendo per essere decettiva, senza chiarire il significato ontologico dell’opera ma accreditandolo come assioma.
Considerazioni sull'arte
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