A prescindere da religione e morale, è ancora possibile supporre che esista una interiorità negli esseri umani? Il carattere formale dell’opera d’arte è situata in un medio che, dovrebbe, riflettere valori posti tra soggettività e oggettività. La soggettività ha, per così dire, carattere privato, mentre l’oggettività è l’atto che la ragione compie prendendo una distanza dalle cose per meglio osservarle. Il pensiero, precede l’azione realizzatrice dell’opera, la soggettività dell’essere umano, per dirla in altro modo, parte da ciò che egli ha dentro. L’opera d’arte è il medio che realizza una sintesi armonica tra soggettività e oggettività, tra apparenza ed essenza. Nella storia dell’arte ogni creazione è legata, nei suoi elementi essenziali, al momento storico in cui è prodotta. Una natura morta di Chardin, per esempio, non rappresenta soltanto un insieme di determinati oggetti, ma soprattutto il modo in cui alla metà del XVIII secolo il borghese francese viveva il suo ambiente. Basta confrontare un’opera di Chardin con una natura morta olandese del XVI secolo o con opere di Courbet o Cézanne per leggere nella forma di ciò che è rappresentato, delle trasformazioni storiche avvenute. Se in ogni opera d’arte l’hic et nunc è ineliminabile, significa che l’artista è influenzato dalla società che rappresenta. Non è compito della critica e filosofia dell’arte indagare i processi psicologici, ma è legittimo chiederci quale influenza avrà avuto su Francis Bacon la sua vita alquanto “disordinata” . E’ senz’altro vero che il giudizio riguarda l’opera e non l’autore, ma in questo modo si da per scontata la discrasia tra operare e pensare. Diceva Goethe: “l’uomo più insignificante può essere completo se si muove entro i limiti delle sue capacità e abilità; ma anche i bei meriti sono oscurati , annullati e distrutti se viene meno quella preposizione indispensabile “. Quindi s’imporrebbe un ritorno alle origine, la pittura come lavoro artigiano, manuale, senza pretese di trascendenza e rappresentazioni dell’inconoscibile astratto. Bacon usa la sua capacità tecnica per descrivere il suo inferno interiore. La pretesa universalità dell’arte, già contraddetta per altri versi, trova qui il limite nella soggettività. Dunque l’enfatizzazione di molti artisti si conferma, anche per questa via, una semplice operazione commerciale. Viene in mente Goethe. Nella replica finale Meister Friedrich apostrofa così il protagonista: “mi sembri come Saul, il figlio di Kis, che andò a cercare le asine del padre e trovò un regno”. Non pochi artisti contemporanei si trovano nelle stesse condizioni. L’opera d’arte è, o meglio era, il paradigma della perfezione. Una cosa fatta a regole d’arte era cosa perfetta. L’arte è allegoria che trasforma il fenomeno in concetto. Abolita la regola, l’arte diventa un manufatto come tanti. Ė questo, per concludere, il percorso a ritroso dell’arte priva di spinta interiore dell’artista, ignora la tecnica, rifiuta l’estetica. Tutto è affidato ai sofismi di una critica raramente padrona dei propri strumenti.
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