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La filosofia dell’avvenire che non c’è.  0

I filosofi si sono affannati a descrivere il mondo, ma non hanno avuta la capacità di cambiarlo, o quanto meno contribuire a migliorarlo. La corrente che orientò a sinistra la filosofia di Hegel si è trovata di fronte al fallimento decretato dalla storia.

Ludwig Feuerbach  rappresenta la dissoluzione della filosofia hegeliana è il termine di passaggio dall’idealismo al positivismo. Intanto sembra azzardato definire positivismo idee la cui incidenza sul reale è sbagliata ed errata nello stesso tempo. Nel suo libro “Principi della filosofia dell’avvenire” pubblicato nel 1844, egli sosteneva che, quando le masse fossero state liberate dalla miseria e dal bisogno, si sarebbero orientate verso la cultura e l’arte. Mai previsione fu più errata, come ciascuno può constatare ai giorni nostri.

La filosofia in tutto il suo corso storico appare a Feuerbach come una consapevole o inconsapevole teologia, cioè un’alienazione dell’essenza dell’uomo nell’essenza di Dio, e quindi una mistificazione dell’uomo. Anche la filosofia di Hegel,  la più grandiosa e conseguente di tutte le filosofie tradizionali, è essa stessa un’immensa teologia, è teologia razionalizzata, cioè  l’inversamente e il coronamento del pensiero teologico. Feuerbach invece tenta di creare una nuova filosofia, la trasformazione completa, assoluta, coerente, della teologia in antropologia. Per lui l’uomo non è quale si rivela nella comunicazione con Dio, ma quale viene configurato nella vita sociale e dalla comunicazione con gli altri.

Il grembo in cui si feconda e il bisogno, è l’atto essenziale della sua umanità, l’amore dei suoi simili.   Secondo Feuerbach, dove non vi è amore  non vi è verità. Non essere nulla e non amare nulla  sono tutt’uno.

Come dal singolo di Kierkegaard, recisi  i legami che lo uniscono a dio, nascerà l’esistenzialismo, l’essere per la morte  di Heidegger.  Così dall’uomo concreto di Feuerbach , quando l’essere sarà liberato dalla menzogna, nascerà  una spinta verso una maggiore elevazione delle masse. Oggi la menzogna è l’asse portante dell’intera società, dalla politica alla comunicazione, dall’arte alla promozione del consumo, siamo sommersi da messaggi decettivi.

Resta vera l’affermazione di Nelson Goodman: “ Mentre la scienza si giudica in base alla verità, l’arte si giudica in base alla soddisfazione”. L’esperienza estetica diventa una sorta di esercizio ginnico, dove sinfonie e arte rappresentano gli attrezzi che usiamo tanto per l’autopromozione sociale quanto per costruirci un’immagine di cultura spendibile sul mercato, campo nel quale il il falso e il truismo  costituiscono risonante banalità sostituendo le ipotesi elementari ed esitanti la cui conferma si realizza nell’opera.

George Frosz - 500

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La passione: patologia dell’anima.  0

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L’età moderna ha tentato inutilmente di rimuovere antichi timori per l’incertezza, l’instabilità e la  indecifrabilità del destino in cui affonda il domani. La condanna medievale della passione, compresa la più intellettuale, la curiosità.

Le passioni sono una sorta di patologia dell’anima, crescono con il declino o il non controllo della ragione, cessano di apparire solo effetto della tentazione diabolica, per occupare uno spazio riconosciuto nella riflessione antropologica

Erasmo da Rotterdam segnala come un paradosso la necessità di ribaltare i modi consolidati, pensare la realtà, per tentare di capirla solo attraverso la follia  che egli pone come protagonista del suo notissimo “Elogio della follia” . Come spiegare ciò che muove davvero il mondo? Non certo la ragione,cara ai filosofi.

La filosofia non è riuscita a spiegare esaurientemente cosa significa la realtà dell’essere umano nel proprio sentire, l’ordine fittizio della commedia  umana che recita se stessa sulla scena del mondo sempre uguale nei millenni al di là delle lingue e dei costumi. Niente sembra risolvere in profondità il destino dell’umanità che si batte contro se stessa per le più effimere e crudeli ragioni.

E’ ardua la comprensione dell’esistenza di ogni essere umano, la verità non sta neppure nel tirare giù la maschera, piuttosto nel seguire lucidamente le millefoglie di autoinganno per smascherarle per capirle per risolvere in noi stessi questa difficoltà di comprensione e perseguire, rendere sopportabile la felicità disponibile più legata all’illusione che alla saggezza.

La spregiudicatezza di Erasmo sta nel mettere a fuoco con chiarezza la illogicità della maggioranza delle azioni umane. La difficoltà di comprendere le molte facce della verità  posta sul piano pluridimensionale dei desideri che gli umani vivono, temono, sognano.

Come scrisse Jacque Monod nel saggio “Il caso e la necessità” è praticamente impossibile stabilire sequenze logiche degli eventi.

Anche in pittura, anzi soprattutto nell’arte, esiste una buona dose di casualità. E’ noto l’episodio del pittore Apelle,  il quale frustrato nel suo intento di dipingere in modo realistico la schiuma alla bocca di un cavallo, al culmine dell’ira gettò la spugna intrisa di colori contro il quadro incompiuto. Ne ottenne con stupore l’effetto desiderato.

L’unico motivo per coltivare la riflessione per cui vale la pena di sviluppare le risorse logiche e dialettiche, è imparare il controllo di sè attraverso il pensiero, come suggerisce la filosofia buddista. Detto in altre parole, noi non possiamo dominare il mondo, la realtà che ci circonda, ma possiamo imparare a dominare noi stessi ed attrezzarci spiritualmente per affrontare le evenienze che la vita ci impone.

Purtroppo avviene esattamente il contrario. La nostra presunzione antropologica ci illude di avere il controllo della realtà, ci fa credere che le nostre scelte siamo sufficientemente motivate. Scambiamo  la nostra psicogorrea per profondità.

 

Immagine: Hans Memling. La passione, olio su tela, 1470

 

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“La filosofia è puro stare a vedere” Hegel  0

Inconoscibilità di ciò che è noto Quanto conosciamo delle motivazioni in base alle quali conduciamo la nostra vita? Viviamo in una società conformista e reazionaria; cultura e informazione inventano una realtà declinata al femminile che non esiste. Non abbiamo il senso di ciò che effettivamente accade, condizionati da una comunicazione tanto assordante quando decettiva.

Jὔrgen Habermas ha affrontato il tema in “Agire comunicativo e logica delle scienze sociali”. Le discordanze fra positivisti e filosofi del linguaggio ordinario oscillano tra differenze ed enfasi su vari aspetti della comunicazione socio-culturale. I filosofi del linguaggio ordinario si sono dedicati soprattutto all’uso delle parole trascurando i sottointesi semantici che si evolvono spesso in modo distorto. Questo processo di riproduzione di senso non è mai neutro, esso subisce i condizionamenti della ripetitività di una comunicazione finalizzata al consenso.

Noam Chomsky in “La fabbrica del consenso” affronta il tema in modo più specifico. Entrambi gli studiosi analizzano le cause, ma non propongono soluzioni, semplicemente perché le soluzioni implicano aspetti culturali e politici la cui modificazione, ove possibile, presuppongone la modifica di equilibri politici e culturali profondi, in breve concernono il modo in cui la società di evolve.

Max Horkheim e Theodor W. Adorno in “Dialettica dell’illuminismo”, tentarono di risalire all’origine del sistema mondo com’è andato configurandosi in occidente. I due studiosi rilevano come: “ la vita pubblica ha raggiunto uno stadio dove il pensiero si trasforma inevitabilmente in merce”. La più evidente dimostrazione di questo assunto sono critica e filosofia dell’arte. Il sapere, che spesso è costituito da spurie teorie di fatto al servizio del mercato o, nella migliore delle ipotesi, della ideologia. La creatività finisce per essere consolidata in patrimonio, distribuito a fini di consumo. Uno dei bersagli di Horkheimer e Adorno è l’illuminismo giustiziato, sostengono, da Kant, Sade e Nietzsche.

Il libro,  “Dialettica dell’Illuminismo” è l’archetipo di tutte le critiche della razionalità scientifica totalitaria. Max Horkheimer e Theodor Adorno non sembrano provare alcun imbarazzo a citare quello che viene considerato il campione del pensiero reazionario e tradizionalista Joseph de Maistre . “Anche secondo Bacone – scrivono- deve sussistere tra i sommi principi e le preposizioni empiriche , una connessione logica  evidentemente attraverso i vari gradi di universalità”.

I due filosofi tedeschi  e il conte savoiardo muovono da posizioni diverse, ma convergono nell’indicare la triade Bacone- Illuminismo- Scienza  come le cause  dello sfacelo della civiltà di fronte alla quale la filosofia è impotente. Hegel prende atto di questa impotenza quando, nella Fenomenologia dello spirito definisce la filosofia:  “Puro stare a vedere”.

La parziale resa della ragione ha creato le condizioni perché nella contemporaneità occidentale sopravvivano due religioni, il cristianesimo, per altro annacquato, e  il capitalismo. Partecipando al suo ultimo consiglio dei ministri, De Maistre, che  era cancelliere come Bacone, bocciò i progetti che gli erano stati presentati esclamando: “ Signori, la terra trema e voi volete costruire!”. Era quindi inevitabile che De Maistre venisse classificato come reazionario e posto ai margini. Poco importava che avesse visto giusto un secolo prima che avvenissero i disastri ai quali oggi assistiamo.

 

Immagine :Boy standing on the opened giant book with fantasy light, digita

Lungo l’infinita strada della conoscenza.

 

 

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All’inizio furono profezie e sogni.  0

 

L’arte da tempo ha abbandonata la rappresentazione di soggetti religiosi, e tuttavia da sempre gli esseri umani si sono affidati alle profezie e ai sogni. La paura creò la superstizione e da essa ebbe origine la religione, anzi le religioni. Neppure sull’idea di dio la specie umana riuscì a trovare un accordo. Platone nel decimo libro delle leggi  afferma che “l’universo è pieno di dei”. Ci siamo liberati degli dei, ora l’adorazione si riversa su personaggi di squallore infinito che i media trasformano in icone e le masse seguono con fanatico entusiasmo.

Per dare corpo alla sua teoria di superuomo Nietzsche riesumò la figura di  Zarathustra profeta iranico che a un certo punto della sua esistenza ricevette delle rivelazioni da dio Ahura Mazdä.

Artemidoro di Efeso scrisse  Oneirocritica sull’arte divinatoria, punto di riferimento fino a Freud per l’interpretazione dei sogni. Mai come oggi, con la dominante ansia progressista, si parla tanto di futuro, si ha fede nella scienza e nella tecnologia che condiziona e domina le nostre vite. Il nostro immaginario ancestrale è andato attenuandosi, le figure di Cassandra e Tiresia sono state sostituite dai chiromanti che vendono illusioni a povere donne confuse.

Michelangelo ritrasse alcuni profeti nella cappella Sistina. Le profezie, anche quelle enigmatiche e ambigue, hanno sempre trovato spazio nella mente umana. Eraclito sosteneva “il Signore di cui l’oracolo di Delfi, non dice e non nasconde: significa”. Eschilo descrive Cassandra che vede gli  assassini di Agamennone, e scopre per prima il cadavere di Ettore che giunge a Troia. Apollo desiderava Cassandra che si rifiuta,per questo il dio la condanna a non essere mai creduta.

Dante annuncia la sua visione del futuro dal Purgatorio e il celebre miniatore Oderisi da Gubbio mette in scena Cimabue e Giotto, entrambi innovatori e attenti alla narrazione religiosa dell’arte. Sulla scena mitologica si confrontano la dea del parto Lucina  e quella della morte Nenia che trascina innanzi il tempo.

L’armonia delle due nature, l’essere umano e l’universo, si è frantumata  nel ‘600 con l’esplosione del conflitto tra scienziati e umanisti. Frattura mai più composta. Anche Karl Jasper in “Origine e senso della storia” , propose la sua visione del futuro. Eric Arthur Blair,  meglio  noto come George Orwell, con il Grande Fratello  credette  di anticipare il futuro, non poteva immaginare che la modernità avrebbe ridotta la sua visione  ad  un squallido spettacolo televisivo nel quale, ancora una volta, l’uomo esibisce il peggio di se.

Profeti e indovini non hanno mai anticipato nulla, hanno solo alimento le illusioni di un’umanità sempre più corrotta e confusa. Quasi un secolo prima che Sartre facesse dire al personaggio di un dramma: “L’inferno sono gli altri”, Melville era andato più a fondo: “L’inferno è l’esterno”. A giudicare dalla drammatizzazione per il forzato impedimento agli assembramenti nelle città, sembra che nell’infermo i contemporanei si trovino a loro agio.   Bajan Olgil .

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Sopravvivere al proprio divenire.  0

Nel dipanarsi del pensiero si attua il confronto con la realtà.  La mente raziocinante attraverso l’esperienza accumula e articola la conoscenza. All’inizio della logica Hegel esamina le varie eccezioni del concetto di pensiero. La prima, la più comune, e anche la più pericolosa, è il pensiero  come declinazione spirituale . Non esiste rappresentazione alcuna in cui non sia implicata la ragione che trasforma il pensiero in linguaggio o in arte. L’artista quando realizza un’opera non fa che socializzare il proprio sapere. La rappresentazione è sempre singola. Il passaggio dalla rappresentazione al concetto è quindi passaggio dalla singolarità all’unità espressiva.  La pretesa di attribuire a un soggetto che si definisce “artista” la facoltà di affermare “questa è arte” , non stabilisce qualcosa, ma prende apoditticamente posizione su qualcosa, prescindendo dalla ragione.  Kant esprime questa riflessione: “ La ragione è la facoltà dell’unità delle regole dell’intelletto sottoposte a principi”. I principi non sono altro che compendio della conoscenza. L’arte che si arena nella soggettività si sottrae alla condivisone critica, di conseguenza si banalizza in pleonasmi formali. Nella schiera dei sedicenti filosofi dell’arte, spicca per incongruenza logica George W. Bertram il quale, nel libro “L’arte come prassi umana” (Ed. cortina 2014), inanella una serie di anacoluti concettuali e truismi che per essere contestati richiederebbero ben altro spazio di questo breve scritto. Gli artisti moderni hanno eletto Ulisse come loro idolo, l’unico avventuriero a sopravvivere al proprio divenire. Per coerenza, quando hanno successo, dovrebbero voler uscire dai cataloghi e dalla storia dell’arte. Si usa spesso a sproposito la parola amore. L’espressione “amore dell’arte”  si traduce amore di ciò che  l’arte può dare.  L’amore vero sconfina con la pazzia, e non si limita certa alla “fedeltà”, cioè rinuncia al sesso con altro soggetto per pura libidine. L’amore vero dell’arte è una sorta di coinvolgimento totale, una sorta di libidine mentale totalizzante. La storia registra alcuni eccessi, soprattutto femminili, nei trasporti amorosi declinanti anche in chiave religiosa. Sono noti gli eccessi di Santa Teresa d’Avila durante le sue crisi mistiche. Mistica deriva dal greco myein, ossia “chiudere gli occhi”, quindi sottrarsi alla realtà  e alla ragione. La body art, è esattamente il contrario del misticismo, abbandonarsi al dominio del corpo, usarlo come strumento di espressione artistica. Gli esempi di amore vero sono rari nella storia. Abelardo e Eloisa, un amore che impose una rinuncia al sesso. Ma  più significativo l’amore di Artemisia moglie di Mausolo re di Caria: la quale così perdutamente amò il marito , che il corpo di lui morto  ridusse in polvere , e diluito nell’acqua lo bevve. rte linguaggio universale-500

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Linguaggio e pensiero.  0

Lenin sosteneva: la vita ci induce a rinunciare al raziocinio  insegnandoci la dialettica. In cosa consiste il concetto di dialettica non è così chiaro. Spesso la dialettica è un modo per oscurare il significato del sostantivo verità, in questo modo la verità diventa opinione, argomento filosofico apodittico.

Spinoza struttura la narrazione dell’Etica in questo modo; proposizione, dimostrazione, scolio, conclude con C.d.d. (come dovevasi dimostrare). Egli  sviluppa tesi, antitesi, sintesi senza contradditorio. Non vi è una reale concreta dimostrazione, solo una costruzione teorica senza riscontro oggettivo. Si presta quindi ad essere contraddetta. Cosa che puntualmente avviene.

La filosofia può anche essere vista come confronto tra sistemi, o divisa, come sosteneva Willard Van Orman Quine tra concettuale  e  dottrinale.

Il linguaggio filosofico è inevitabilmente complesso, al limite della gergalità. Heidegger creò un proprio linguaggio. La lettura delle sue opere rende necessaria una sorta di traduzione simultanea.

La filosofia, come l’arte, è spesso appannaggio di dilettanti, ovvero di individui sprovveduti. Contro di loro si scaglia Hegel sostenendo che, mentre un calzolaio per realizzare una scarpa deve imparare il mestiere, in molti presumono che la filosofia non richieda apprendimento e fatica. Hegel non chiarisce la ragione per la quale ciò è possibile. La scarpa è oggetto la cui verificabilità è agevole, la filosofia, è soprattutto un esercizio mentale, sicuramente utile per sviluppare le sinapsi, ma di difficile verifica a posteriori.

Alcuni filosofi  hanno l’ambizione di insegnare a pensare. Heidegger ha scritto “Cosa significa pensare”, mentre Diego Marconi assume che il pensare sia un mestiere e espone questa sua convinzione nel libro, “Il mestiere di pensare”.

La filosofia dell’arte non solo pretende, per così dire, di sovrapporsi alle opere con un linguaggio additivo, ma, attraverso una più o meno dotta elaborazione linguistica, si propone di modificare la stessa ontologia dell’arte. Tra gli esponenti di questa corrente spiccano alcuni filosofi statunitensi, tra i quali Arthur C. Danto e George Dickie. Quest’ultimo autore è noto soprattutto per avere espresso la liberatoria e contraddittoria affermazione: tutto è arte. Così, i sopravvenuti filosofi del nuovo mondo, mandano al macero intere biblioteche  e secoli di studi e approfondimenti, da Giorgio  Vasari a Ernst H. Gombrich e moltissimi altri. Danto liquida la metafisica come “vacua e insensata” (pag. 134 “Dopo la fine dell’arte” Edizioni Bruno Mondadori).

Wittgenstein sosteneva che i problemi filosofici sorgono quando il linguaggio fa vacanza. Ma l’analisi del linguaggio  è di per sè una materia complessa tanto che, come detto sopra, in qualche caso i filosofi ritengono necessario creare linguaggi ad hoc con risultati che  John L. Austin definiva aberranti.     Donato_Bramante_-_Heraclitus_and_Democritus_-_500

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Beat Generation e Pantere Nere. Fino dell’innocenza, default morale degli USA.  0

E’ morto l’ultimo personaggio della Beat Generation Lawrence Ferlinghetti, aveva 100 anni. Scrittore, poeta, pittore, editore. In omaggio a Charlie Chaplin, alla sua libreria dette il nome : “City lights”. Nel 1951 pubblico il libro di Jack Kerouc, “Sulla strada”, praticamente l’unico libro di Kerouc. Cosa resta della folta schiera di provocatori  che negli anni ’50 dettero uno scossone al mondo della cultura statunitense? Per Hegel il tempo è divenire intuito. Ma di costoro restano i titoli di libri che pochi hanno letto allora, nessuno legge oggi. Basta provocare per fare cultura? Il libro di Allen Ginsberg “ Jukebox all’idrogeno”  suscitò all’epoca un certo scalpore. Molti della Beat Generation erano omosessuali, non a caso Ferlinghetti apri la sua libreria a San Francisco. Pubblicò “Pictures of the gone World”. Ogni libro era una serrata critica alla società dell’epoca accusata di perbenismo. Oggi non avrebbero argomenti.

Del gruppo facevano parte William S. Borroughs, Gregori Corso, Lucien Carr. La loro “cultura” preparò il terreno a quella che doveva essere la più colossale orgia di droga, alcol e sesso. Il festival è noto con il nome della località in cui avvenne:  Woodstock. Tre giorni dal 15 al 17 agosto del 1969. All’epoca la Beat Generation era ormai parte della establishment culturale ed aveva influenza nella  formazioni di   nuove tendenze, nel sorgere della cosiddetta controcultura che Theodore Roszak illustrò nel suo libro  che aveva per titolo appunto “La Nascita di una controcultura” pubblicato a New York nel 1969.

L’impulso alla ribellione incoraggiò anche la rivolta dei neri. Il Movimento delle “Pantere nere” ebbe Malcolm Little, meglio noto come Malcolm X, tra i suoi capi. Vi fu un impulso alla cultura degli afro-americani. Malcolm X nel 1969 pubblicò la sua autobiografia. Ne venne fuori uno spaccato dell’America tutt’altro che perbenista. Le donne era già allora in prima fila. Malcolm annota che le moglie degli afro cacciarono le donne bianche dalle sedi delle pantere nere perchè, dissero, con la scusa di sostenere la loro protesta facevano sesso con i  loro uomini.

Molti afro pagarono con il carcere la rivolta che non si affidava solo alle manifestazioni di piazza, anche alla pubblicazione di libri, alcuni dei quali sicuramente significativi del clima dell’epoca. Nel 1969, dalla prigione in cui era rinchiuso, Eldridge Cleaver pubblicò “Anima in ghiaccio”. Nel 1971, uscito di prigione,colui che era considerato il più prestigioso leader  del “movimento di liberazione dei neri” pubblicò “Dopo la prigione”.

Altro esponente della cultura dei neri fu George Jackson che pubblicò un toccante libro sulla condizione carceraria  di allora, specie per i neri. Di quella situazione “I fratelli di Soledad”, pubblicato nel 1971, è una testimonianza storica di tutto rilievo.

Il gruppo  della Beat Generation  erano  soprattutto provocatori, ebbero però il merito di comunicare energia alla generazione di neri che gettò  le basi di una società nella quale il colore della pelle non doveva essere una discriminante.  Purtroppo viviamo in una società in cui tutto si tiene ma poco scuote davvero le coscienze.   I fratelli soledad

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La verità come ipotesi.  0

Quando apparve sulla terra, circa  500mila anni fa, l’essere umano era l’animale più indifeso, non aveva la velocità del ghepardo per fuggire alle insidie, non aveva gli artigli e la forza del leone per difendersi e cacciare, non possedeva la prerogativa dell’aquila di sollevarsi al di sopra dei pericoli, avrebbe dovuto soccombere, invece conquistò il mondo e piegò la natura ai propri bisogni utilizzando intelligenza e immaginazione.

Con l’intelligenza creò  condizioni e strumenti utili alla propria esistenza, la possibilità di difendersi, e costruì il proprio habitat

Con l’immaginazione creò  Dio e l’arte. Aprì uno spiraglio di speranza, per giustificare la propria esistenza con un fine superiore, andare oltre i limiti dell’essere animale,  imparare a controllare i propri impulsi con la volontà che Schopenhauer pone alla base della natura vegetale e umana. Questo proposito non ebbe esito.

Fin da subito l’essere umano rinuncio alla verità perchè in conflitto che ciò che egli è. Con la filosofia elaborò una serie di teorie funzionali che non approdarono a nulla. La verità restò allo stadio di ipotesi, non riuscì mai a superare le contraddizioni e i  limiti che consistono in ciò che di negativo è nella natura umana.

In “L’origine dell’opera d’arte” Martin Heidegger  pone una domanda “Che cos’è la verità?  La  risposta che egli formula, non è convincente, si perde nella astratto. Egli afferma:  l’arte è  il mettersi in mostra della verità.

Pascal Engel e Richard Rorty,  sulle orme di Pilato, scrissero un libro che  titolarono:   “A cosa serve la verità?” Domanda pertinente in una società nella quale tutto è funzionale a uno scopo pratico.

In realtà, nella impossibilità, o incapacità,  di modificare la nostra natura, abbiamo elaborato complesse teorie per giustificarla, arrivando a una tale esasperato antropocentrismo da immaginare Dio a nostra  immagine e somiglianza,senza prima aver mai chiarito il mistero della possibile esistenza di un essere supremo, forma pura di perfezione ed intelligenza. .

I graffiti nelle grotte di Altamira, Lascaux, Chauvet, sono la testimonianza che  l’essere umano fin dai primordi è alla ricerca del modo di rappresentare il suo mondo reale e immaginato.

Le pitture rupestri sono immaginazione, evocazione, racconto, magia. Con la modernità l’evoluzione dell’arte sembra avere voluto prendere le distanze dalla natura. In un percorso in cui  abbiamo , per così dire, alienato noi stessi. .

L’arte finisce per alimentare il nostro antropocentrismo, ci perdiamo nella esaltazione di noi stessi e tutto ciò che gravita intorno a noi. Una tautologia concettuale, imitazione, ripetizione.

Kandinsky  scrive cose bellissime sulla propria arte astratta, la giustifica sostenendo che è pura creazione perché, egli sostiene, non esiste nulla di simile in natura. La tesi, apodittica, trova smentita nelle infinite forme che la natura conferisce alle proprie creazioni, che noi solo in parte conosciamo.  Tutto ciò che la natura crea ha una ragione d’essere, non è così per le nostre realizzazioni.

La civiltà, nelle forme in cui è andata configurandosi, ha portato alla pauperizzazione dell’essere umano. Nonostante molte importanti conquiste, abbiamo fallito la sfida più importante: creare un essere umano migliore.

 

Immagine: Le parole insincere sfioriscono, non arrivano al cuore.

LA VERITA

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Coscienza è libertà.  0

 

 

La filosofia si è spesso interessata alla questione della coscienza, ovviamente in forme estremamente complesse ed articolate che non hanno una ricaduta diretta nella sostanzialità interpretativa della normale quotidianità.

In ogni ambito dell’attività umana la coscienza dovrebbe suggerirci comportamenti  e decisioni giuste. Ciò che condiziona le nostre azioni è la realtà oggettiva/soggettiva nella quale si dipana la nostra esistenza. Presa di coscienza è sinonimo di consapevolezza.

Tuttavia, nonostante le complesse interpretazioni dei filosofi, resta difficile stabilire in cosa consiste la coscienza, soprattutto comprendere la ragione delle notevoli differenze tra individui.

Nel  microcosmo dell’arte, il problema si pone in termini estetici – antropologici avendo presenti, per orientarci, richiami e riferimenti a Kant, Hegel, Schopenhauer, Nietzsche a cui potremmo  aggiungere le riflessioni di M. Kähler, A. Ritsch.  Infine la monografia di H.G. Stoker. Vasto ambito che andrebbe ulteriormente ampliato  per mettere in luce le molteplicità di fenomeni di coscienza che caratterizzano criticamente i diversi modi possibili di considerare la fenomenologia dell’arte. L’ampia bibliografia, se pur incompleta, aiuta a inquadrare il tema.

Per quanto concerne la storia del concetto di coscienza, la monografia di Stoker si differenza dall’interpretazione esistenziale già nell’impostazione, quindi nei risultati, nonostante parecchie concordanze, Stocker non valuta sufficientemente fin dall’inizio le condizioni ermeneutiche  per una descrizione della coscienza sussistente oggettivamente ed effettivamente; con ciò va di pari passo all’annullamento dei confini fra fenomenologia e teologia con danno di ambedue

Per quanto riguarda i fondamenti antropologici della ricerca mutuati dalla soggettività della scelta,  la monografia di Stoker rappresenta un considerevole progresso rispetto alle interpretazioni precedenti, più per la trattazione complessiva dei fenomeni della coscienza e delle loro ramificazioni, che per l’analisi delle radici ontologiche del fenomeno.

Se dalle narrazioni concettuali della filosofia, ritorniamo alla concretezza  di ciò che l’artista intende comunicare, ci troviamo di fronte a narcisistiche velleità. Effettivamente la  comunicazione extramondana  trascura il bagaglio epistemologico che dovrebbe essere la base per realizzare  la visione soggettiva che l’artista intende rappresentare.

I barattoli di Manzoni, l’orinatoio di Duchamp, la rana crocifissa di Kippenberger, il crocifisso immerso nell’urina di Andres Serrano, sono tutte opere che sollevano perplessità, ci pongono di fronte alla domanda: quale tipo di coscienza muove queste azioni?  Qual’è l’intento di quei  sedicenti artisti? Lascio a chi legge l’onere della risposta.

Certo è problematico il confronto tra il discorso aureo sulla questione di coscienza, che include, ovviamente aspetti etici, e fatti artistici che riflettono un vuoto interiore,  uno squallore esistenziale che sgomenta. E  tuttavia tutto viene accettato in nome della  cosiddetta libertà di espressione.

Mettere in vendita la coscienza  soggettiva per un attimo di notorietà, vellicare gli aspetti peggiori della natura umana, sono forme di prostituzione socio-culturale che dovrebbero far riflettere.

Se è vero che la coscienza e un’entità soggettiva, è altrettanto vero che l’opera d’arte dovrebbe trasmettere  valori con valenze universali agendo all’interno di una realtà antropologica e civile.  Le opere citate, a cui se ne potrebbero aggiungere molte altre,  sono espressioni di una realtà depravata. Realizzare simili opere  non significa compiere un atto di libertà, come da più parti si sostiene. La libertà non può essere solo espressione di sterile cinismo. Le opere che abbiamo elencato non hanno alcun valore sul piano dell’etimologia artistica, tanto meno nella simbologia libertaria.

Kounellis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Jannis Kounellis. Scultura vivente. Nudo di giovane donna incinta. 1998

 

 

 

 

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Ludwig Wittgenstein: va bene così.  0

Con l’ultimo colpo di pennello il quadro è ultimato, oppure il pittore si ferma a ciò che Wittgenstein definisce: “ va bene così” Qual è il limite, la completezza della realtà ontologica dell’arte? Cosa è rimasto del rapporto tra arte e vita?

La filosofia antica, in parte ripresa da Heidegger, esamina un percorso dell’esistenza che si conclude con la morte. Il  destino dell’essere è un  insieme di frammenti temporali che chiamiamo vita, ne accettiamo tutte le inevitabili incompletezze.

Per l’estetica la completezza si realizza nella perfezione, mai raggiunta e non raggiungibile.

La vita si prolunga nella memoria di chi resta e nella testimonianza della poesia.  “Passi echeggiano nella memoria in quel corridoio che non percorremmo, verso quella porta che non aprimmo mai.”  (T.S. Eliot  Quattro quartetti) “Dove urlano le onde e il vento/ dove vola la procellaria e nuota il delfino”.

La pretesa di definire la vita in quanto significato escatologico è destinata a fallire. Platone ci mette di fronte ai nostri limiti con la parabola della caverna.

Talete anticipa con una metafora naturale la narrazione dell’eterno ritorno: “ Entriamo e non entriamo nello stesso fiume”. Il fluire inarrestabile del tempo.

Platone rileva che l’arte crea una doppia illusione, forse necessaria,  paradigma dell’esistenza  essa stessa illusione.

L’arte contemporanea rifiuta il bello, la storia, la mimesi, ma soprattutto rifiuta la poesia, sembra quasi che il bello, la poesia siano disturbanti quando entrano in esistenze vendute alla funzionalità senza scopo, che non sanno, non possono andare  oltre il presente.

La pedagogia ha rinunciato da tempo alla norma dei greci: Kalos kagathos”, Bello e buono. L’espressione Kalokagathia  si riferisce alla perfezione fisica e morale della scultura greca del V secolo a.C. L’umanità non ha più visto la perfezione delle sculture di Mirone, Policleto, Fidia, Prassitele, Skopas, Lisippo. I frammenti delle opere di questi artisti sono custoditi nei musei a ricordo di un Arcadia che ai primordi della civiltà ci illuse sulla possibilità che davvero il bello potesse salvare il mondo.

Forse l’umanità non vuole era salvata, non più di quanto una scrofa possa preferire il velluto al fango.

Per quanto si possa far ricorso a teorie spurie non possiamo nasconderci che il mondo così com’è lo abbiamo costruito noi. La nostra storia, la nostra arte, il nostro sistema economico produttivo, i nostri abiti, le nostre abitudini, tutto è frutto della nostra attività, delle nostre scelte, delle nostre azioni. Possiamo esserne orgogliosi? Ai contemporanei l’ardua sentenza.

Quello che è certo, non è stata la filosofia ad orientare le nostre scelte. L’auspicio di Kant: “ Il cielo stellato sopra di noi, la legge morale dentro di noi”,  non è mai stato un riferimento, una linea guida, il cielo lo abbiamo inquinato, la legge morale l’abbiamo cancellata.

 

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