Le parentele filosofiche si rivelano piuttosto insidiose per sostenere un certo livello di approfondimento traendolo dal brodo di coltura e ricostruzioni di varia natura e provenienza. Il rischio è di inscatolare ipotesi empiriche in arzigogolate parafrasi astratte, poggiando per così dire il cappello dove più fa comodo. Le teorie che vogliono costituire le basi ermeneutiche del processo creativo, risultano piuttosto instabili perché non si servono della conoscenza, ma della congettura, cercando di portare ai confini estremi le possibilità di teorie che, prive di fondatezza, restano nel campo delle supposizioni, fuori della portata di ogni verifica razionale. E’ quanto emerge dalla lettura dei libri di Danto, sui quali avremo modo di ritornare. Quello che viene proposto come il superamento della prassi, trascura di chiarire perché continuiamo ad usare lo stesso lessico, gli stessi riferimenti, le stesse forme di ragionamento, sia pure parzialmente capovolto, ma mai annullato. Detto in altri termini se riteniamo che l’epistemologia del fare artistico sia da annullare, dovremmo rinunciare per affrontare l’ermeneutica artistica a costruire strutture verbali che si avvalgono degli stessi riferimenti. Non si spiega altrimenti perché le teoria sembra aver come unico scopo sostituire un mito con un altro a scapito di razionalità ed empiria. L’esperienza di per sé non è in grado di fornire una giustificazione, di conseguenza, certe forme di ragionamento appaiono piuttosto conati conoscitivi il cui scopo è far spazio ad apodittiche realtà che non reggono ad analisi concettuali e sono prive di motivazioni razionali, anzi, spesso costituiscono vere e proprie favole con morale prestabilita. La percettività appartiene ad un altro ordine di fattori, materiali derivanti da singole esperienze. Il fatto che questi tentativi non abbiano alcuna giustificazione nella realtà ontologica delle opere, rende tutto il processo esclusivamente verbale e piuttosto confuso. Sarebbe necessario sviluppare considerazioni autenticamente epistemologiche su possibilità e limiti di una teoria rigorosamente verificabile, appaiono di difficile definizione certi procedimenti teorici ripetitivi e molto simili a truismi. Gran parte della filosofia dell’arte sembra non disporre delle risorse concettuali sufficienti per tentare di costruire una teoria che abbia un riscontro e un fondamento plausibili. La piattezza del tentativo di definizione porta inevitabilmente ad a priori che finiscono per essere accettati anche se non verificabili. Tanto che ormai non c’è più distinzione tra fumetti, street-art, realtà virtuale. Un pot-pourri culturalmente piuttosto insipido.
Immagine :Tadaomi Kawasaki. Senza Titolo. S.d.