Con l’ultimo colpo di pennello il quadro è ultimato, oppure il pittore si ferma a ciò che Wittgenstein definisce: “ va bene così” Qual è il limite, la completezza della realtà ontologica dell’arte? Cosa è rimasto del rapporto tra arte e vita?
La filosofia antica, in parte ripresa da Heidegger, esamina un percorso dell’esistenza che si conclude con la morte. Il destino dell’essere è un insieme di frammenti temporali che chiamiamo vita, ne accettiamo tutte le inevitabili incompletezze.
Per l’estetica la completezza si realizza nella perfezione, mai raggiunta e non raggiungibile.
La vita si prolunga nella memoria di chi resta e nella testimonianza della poesia. “Passi echeggiano nella memoria in quel corridoio che non percorremmo, verso quella porta che non aprimmo mai.” (T.S. Eliot Quattro quartetti) “Dove urlano le onde e il vento/ dove vola la procellaria e nuota il delfino”.
La pretesa di definire la vita in quanto significato escatologico è destinata a fallire. Platone ci mette di fronte ai nostri limiti con la parabola della caverna.
Talete anticipa con una metafora naturale la narrazione dell’eterno ritorno: “ Entriamo e non entriamo nello stesso fiume”. Il fluire inarrestabile del tempo.
Platone rileva che l’arte crea una doppia illusione, forse necessaria, paradigma dell’esistenza essa stessa illusione.
L’arte contemporanea rifiuta il bello, la storia, la mimesi, ma soprattutto rifiuta la poesia, sembra quasi che il bello, la poesia siano disturbanti quando entrano in esistenze vendute alla funzionalità senza scopo, che non sanno, non possono andare oltre il presente.
La pedagogia ha rinunciato da tempo alla norma dei greci: Kalos kagathos”, Bello e buono. L’espressione Kalokagathia si riferisce alla perfezione fisica e morale della scultura greca del V secolo a.C. L’umanità non ha più visto la perfezione delle sculture di Mirone, Policleto, Fidia, Prassitele, Skopas, Lisippo. I frammenti delle opere di questi artisti sono custoditi nei musei a ricordo di un Arcadia che ai primordi della civiltà ci illuse sulla possibilità che davvero il bello potesse salvare il mondo.
Forse l’umanità non vuole era salvata, non più di quanto una scrofa possa preferire il velluto al fango.
Per quanto si possa far ricorso a teorie spurie non possiamo nasconderci che il mondo così com’è lo abbiamo costruito noi. La nostra storia, la nostra arte, il nostro sistema economico produttivo, i nostri abiti, le nostre abitudini, tutto è frutto della nostra attività, delle nostre scelte, delle nostre azioni. Possiamo esserne orgogliosi? Ai contemporanei l’ardua sentenza.
Quello che è certo, non è stata la filosofia ad orientare le nostre scelte. L’auspicio di Kant: “ Il cielo stellato sopra di noi, la legge morale dentro di noi”, non è mai stato un riferimento, una linea guida, il cielo lo abbiamo inquinato, la legge morale l’abbiamo cancellata.