In un certo senso la “Fenomenologia dello spirito” di Hegel potrebbe essere vista come una sorta di storia della filosofia. Hegel traccia una serie di passaggi seguendo l’evoluzione del pensiero filosofico e politico di epoca in epoca.
L’impressione è che sopravaluti la creatività filosofica, ovvero la capacità dei filosofi d’incidere sul comportamento umano, dà per scontato, come quasi tutte le storie della filosofia, che la creatività filosofica degli autori coincida con la situazione culturale e civile dell’epoca,
in cui i vari filosofi sviluppano le loro teorie. L’esperienza insegna che non è così.
Gran parte delle esortazioni dei filosofi sono rimaste lettera morta. Molti filosofi hanno affrontato il tema della verità. Nel v secolo a.C. Parmenide pubblicò un poema; La verità e l’opinione. Egli sosteneva che ciò che regola la verità e la conoscenza è la verità ontologia, la verità dell’oggetto.
Cinque secoli dopo Pilato si chiede: cos’è la verità? Nel 2005, il pragmatismo americano emerge con Pascal Engel e Richard Rorty che pubblicano: “A cosa serve la verità?”.
Posizione più radicale del torinese Gianni Vattimo, che nel 1983 pubblicò il libro: “Il pensiero debole”. Sviluppando elaborate argomentazioni, sostenne che non esiste verità, e neppure i valori che dovrebbero orientare il comportamento delle masse.
Verso la seconda metà dell’800 di fronte all’oppressività del mondo industriale, alle metropoli percorse da folle immense e anonime, vi fu un tentativo di reazione alla prorompente modernità. Gli artisti si isolarono, esaltarono l’arte per l’arte, assunsero atteggiamenti snob. Come Villiers de L’isle Adam, il quale scrive: “Vivere? Ci pensano i nostri servi per noi”. Paul Verlaine paragona la sua epoca al mondo della decadenza romana e bizantina.
Hegel sosteneva che l’arte moderna ha avuto inizio con il cristianesimo in opposizione all’arte classica greca, La fine dell’arte quindi coincide con il venir meno dell’influenza politica e culturale del cristianesimo diventato istituzione, come tale condizionato da pragmatismo politico, quindi incapace di ispirare ancora l’idealità che è precondizione per la creatività. Finiscono per prevalere aspetti estranei all’arte. L’artista si rifugia nella provocazione destinata a fallire perché subito fagocitata dalla nascente borghesia, alla fine nel mondo dell’arte, prevale la rassegnazione, l’artista rassegnato ricorre alla tecnologia.
L’arte, com’è stata intesa nei millenni, è giunta dunque all’epilogo, immaginare che abbia subito un mutamento radicale per adeguarsi ai tempi, non basta a spiegare lo stato attuale della produzione artistica.
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