Da bambini, quando facevamo una marachella e venivamo ripresi dai nostri genitori, di solito adottavamo una delle seguenti linee di difesa. Negare tutto. Dare la colpa ad altri. Sostenere: lo fanno tutti. Questo resta per tutta la vita il leitmotiv del nostro comportamento. Ovviamente varia il livello e il campo: privato, culturale, politico. La sostanza però è la stessa, è difficile fare i conti con noi stessi. Questo vale a livello individuale come nel collettivo. Il male è sempre l’altro, è fuori di noi. Nella nostra era c’è stato un passaggio significativo, la giustificazione non è più necessaria. L’omologazione ha normalizzato ogni genere di comportamento per quanto trasgressivo. L’omologazione non richiede plausibilità, basta il richiamo al diritto di libertà. Fedone narra che i socratici vennero a contatto con Zopiro, affermava di saper capire il carattere di una persona osservando i tratti del volto. Gli presentarono il ritratto di Socrate, Zopiro non esitò a definire l’uomo del ritratto libidinoso, stupido e forse pederasta, suscitando l’indignazione dei socratici. Nonostante la contestazione, Zopiro insiste nel sostenere la sua diagnosi e chiede di incontrare personalmente Socrate. L’incontro avviene, egli immediatamente conferma le proprie affermazioni. Suscitando la collera dei discepoli di Socrate il quale invita alla calma e prende la parola per confermare che la diagnosi di Zopiro è corretta. Sono effettivamente il tipo di uomo che ha detto costui, afferma Socrate, ma mi controllo e cerco di fare emergere la mia parte migliore. Ecco dunque che Socrate, con umiltà, ammette quale è la sua vera natura. Quanti di noi avrebbero lo stesso coraggio e umiltà? La cultura non corregge i nostri difetti, e non elimina i nostri vizi, al più ci fornisce gli strumenti per giustificare gli uni e gli altri, ci lascia coltivare l’illusione di essere migliori. Per definizione l’illusione è cosa effimera, presto ci ritroviamo a fare i conti con noi stessi. In un racconto di Nathaniel Hawthorne, dal titolo “Capo Piumato” , una strega costruisce uno spaventapasseri con una piuma sul capo. Soddisfatta del proprio lavoro decide di animare il fantoccio e renderlo grazioso. Capo Piumato se ne va in giro soddisfatto fino a che non incontra l’avvenente Polly Gookin di cui si innamora. Hawthorne si dilunga in dettagli e descrizioni che qui non abbiamo modo di riportare, andiamo dunque alla conclusione. Un giorno Capo Piumato si trova nel salotto di Polly dove c’è uno specchio, si avvicina allo specchio e spinto da vanità invita la ragazza ad ammiralo, Polly volge gli occhi allo specchio e lancia un urlo, nello specchio appare un orribile spaventapasseri. A Capo Piumato non resta che fuggire, tornare a casa della strega la quale prende atto della situazione, smonta Capo Piumato in modo che di lui non resta che un mucchietto di stracci e legno. Morale della favola: se ci vedessimo davvero come siamo, forse non saremmo così orgogliosi di noi stessi. Quello che noi vediamo degli altri e di noi stessi è l’involucro, il contenuto ci è ignoto. Possiamo continuare ad accontentarci dell’apparenza, nella speranza che non ci sia uno Zopiro che ci riveli ciò che veramente siamo.
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