Post by Category : arte e cultura

L’esperienza estetica è dinamica.  0

Una ostinata tradizione dipinge l’atteggiamento estetico come contemplazione passiva del dato immediato apprensione diretta di ciò che viene presentato, incontaminato da qualsiasi concettualizzazione, isolata da tutti gli echi del passato,da tutte le minacce e promesse del futuro.

Non c’è dubbio che filosofia e critica d’arte hanno creato e radicalizzato una serie di luoghi comuni che prescindono dall’osservazione e concretezza operativa e realizzatrice di un’opera.  E’ certamente difficile tentare di sgomberare il campo da riti falsamente purificatori che pretendono di spogliarsi di ogni pregiudizio nel momento stesso in cui lo creano.

Non esiste la possibilità d’interpretazione basata su una visione originaria, immacolata del mondo. E’ necessario sottolineare ancora una volta le aporie filosofiche e le assurdità estetiche che una siffatta concezione pretende di difendere. A meno che si ritenga di adottare un  atteggiamento passivo di fronte a un opera d’arte, in questo caso significa rinunciare alla comprensione. Forse il giusto atteggiamento è  osservare l’opera e tentare di leggerla cognitivamente al livello di cultura e conoscenza che ciascuno possiede.

La pittura, tanto quanto la poesia, realizzano un’esperienza estetica dinamica. Dobbiamo quanto meno tentare di operare le necessarie discriminazioni, evidenziare le delicate relazioni, le sottili identificazioni, riesumare sistemi simbolici e caratteri propri che il sistema dell’arte esprime, o dovrebbe esprimere. In breve, dovremmo tentare di porre l’opera all’interno di un sistema di significati, nel contesto del quale è realizzata e, in quell’ottica, tentare una lettura.

In questo processo si denota e si esemplifica l’interpretazione delle opere, si riorganizza nelle opere la lettura del mondo pro quota artistica. Il mondo, e gran parte delle nostre esperienze e delle nostre competenze hanno un ruolo importante, e possono essere trasformate dall’incontro tra l’opera e la nostra interpretazione, questo perché  l’atteggiamento estetico è un atteggiamento mobile di ricerca ed esplorazione.

Cosa distingue l’attività estetica dagli altri comportamenti intelligenti? Qual’è la nostra percezione dei fenomeni della vita quotidiana, la nostra condotta,nel rispetto della rappresentazione estetica? La risposta che viene solitamente data è che l’estetico, contrariamente alle nostre scelte ordinarie, non ha un fine pratico. Non mira alla acquisizione di beni necessari, non si pone come obiettivo il   controllo della natura. L’atteggiamento estetico non riconosce  scopi pratici al proprio operare.

Chi scrive ritiene invece che sia frutto di malafede culturale porre l’arte sull’altare della purezza creativa, assumendo che l’artista è avulso dalle realtà quotidiane. La nostra esperienza c’insegna che non è così. Anche senza ricorrere alla boutade di Andy Warhol che recita: “ogni artista è innanzi tutto un uomo d’affari”, sappiamo che l’artista non vive una realtà separata, lo stereotipo dell’artista con la testa nelle nuvole, non interessato e non coinvolto nella realtà, è una immagine falsa e retorica.  Ma anche supponendo assenza di scopi, questo  non è sufficiente a caratterizzare  l’atteggiamento estetico ed esplorativo e  dare valore e significato all’opera. Come scriveva Oscar Wilde: “ Le peggiori opera d’arte sono realizzate con le migliori intenzioni. La ricerca di conoscenza, l’accumulo di epistemologia, hanno necessariamente scopi e  conseguenze pratiche, l’artista è interessato al conseguimento di un risultato che acquista significato solo nel momento in cui è condiviso socialmente. Nessun artista lavora solo per se stesso, a meno di considerare rari casi di patologia mentale.

 

Victor Vasarely -500

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Traslitterazione estetica.  0

Una ostinata tradizione dipinge l’atteggiamento estetico come contemplazione passiva del dato immediato apprensione diretta di ciò che viene presentato, incontaminato da qualsiasi concettualizzazione, isolata da tutti gli echi del passato,da tutte le minacce e promesse del futuro.

Non c’è dubbio che filosofia e critica d’arte hanno creato e radicalizzato una serie di luoghi comuni che prescindono dall’osservazione e concretezza operativa e realizzatrice di un’opera d’arte.  E’ certamente difficile tentare di sgomberare il campo da riti falsamente purificatori che pretendono di spogliarsi di ogni pregiudizio nel momento stesso in cui lo creano.

Non esiste la possibilità d’interpretazione basata su una visione originaria, immacolata del mondo. E’ necessario sottolineare ancora una volta le aporie filosofiche e le assurdità estetiche che una siffatta concezione pretende di difendere. A meno che si ritenga di adottare un  atteggiamento passivo di fronte a un opera d’arte, in questo caso significa rinunciare alla comprensione. Forse il giusto atteggiamento è  osservare l’opera e tentare di leggerla cognitivamente al livello di cultura e conoscenza che ciascuno possiede.

Una pittura, tanto quanto una poesia, realizzano un’esperienza estetica dinamica. Dobbiamo quanto meno tentare di operare le necessarie discriminazioni, evidenziare le delicate relazioni, le sottili identificazioni, riesumare sistemi simbolici e caratteri propri che il sistema dell’arte esprime, o dovrebbe esprimere. In breve, dovremmo tentare di porre l’opera all’interno di un sistema di significati, nel contesto del quale è realizzata e, in quell’ottica, tentare una lettura.

In questo processo si denota e si esemplifica l’interpretazione delle opere, si riorganizza nelle opere la lettura del mondo pro quota artistica. Il mondo, e gran parte delle nostre esperienze e delle nostre competenze hanno un ruolo importante, e possono essere trasformate dall’incontro tra l’opera e la nostra interpretazione, questo perché  l’atteggiamento estetico è un atteggiamento mobile di ricerca ed esplorazione.

Cosa distingue l’attività estetica dagli altri comportamenti intelligenti? Qual’è la nostra percezione dei fenomeni della vita quotidiana, la nostra condotta,nel rispetto della rappresentazione estetica? La risposta che viene solitamente data è che l’estetico, contrariamente alle nostre scelte ordinarie, non ha un fine pratico. Non mira alla acquisizione di beni necessari o di lusso, non si pone come obiettivo il   controllo della natura. L’atteggiamento estetico non riconosce  scopi pratici al proprio operare.

Chi scrive ritiene invece che sia frutto di malafede culturale porre l’arte sull’altare della purezza creativa, assumendo che l’artista è avulso dalle realtà quotidiane. La nostra esperienza c’insegna che non è così. Anche senza ricorrere alla boutade di Andy Warhol che recita: “ogni artista è innanzi tutto un uomo d’affari”, sappiamo che l’artista non vive una realtà separata, lo stereotipo dell’artista con la testa nelle nuvole, non interessato e non coinvolto nella realtà, è una immagine falsa e retorica.  Ma anche supponendo assenza di scopi, questo  non è sufficiente a caratterizzare  l’atteggiamento estetico e esplorativo e  dare valore e significato all’opera. Come scriveva Oscar Wilde: “ Le peggiori opera d’arte sono realizzate con le migliori intenzioni. La ricerca di conoscenza, l’accumulo di epistemologia, hanno necessariamente scopi e  conseguenze pratiche, l’artista è interessato al conseguimento di un risultato che acquista significato solo nel momento in cui è condiviso socialmente. Nessun artista lavora solo per se stesso, a meno di considerare rari casi di patologia mentale.

 

Euro- 500

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Rappresentazione e metafora.  0

Le emozioni sono ovunque le stesse ma la loro rappresentazione artistica varia da un’epoca all’altra da un paese all’altro. Siamo educati ad accettare convenzioni in coerenza con la società nella quale viviamo. Purtroppo in questi ultimi decenni abbiamo perso il collegamento psico-sociale  della società così come è andata configurandosi negli ultimi decenni. Sembra che ci sia una diffusa incapacità di capire  cultura e l’arte che sono la nostra storia, la base stessa della nostra civiltà.

Oggi la nostra società è femminilizzata, lacrime ed emozioni sono provocate dai più futili  stimoli. Ciò che accade ai confini dell’espressione,nella differenza del possesso del sapere, il metaforismo è sfumato nella estemporaneità e non meditata superficialità. La lettura dell’arte non è in chiave culturale ma mondana il che impedisce di veder le differenze sostanziali. Un quadro di Albert ha una determinata costruzione, certi colori, in che misura siamo in grado di leggere la relazione tra forme, dimensione, colori? La lettura di un’opera non è sempre facile, lo status di una proprietà non è solo la rappresentazione letterale, ma il significato che in qualche caso ha aspetti oscuri e profondi che andrebbero indagati.

Esprimere significa interpretare. La natura dell’arte è essenzialmente metaforica, intrepido scavalcamento dei confini della ordinaria visione.  Un acquarello di Dὔrer, un dipinto di Jackson Pollock, una litografia di Soulage, pur nella diversità della forme espressive e di valore, rappresentano un tentativo che verrà, o dovrebbe  essere sottoposto al giudizio critico.

Le analisi delle funzioni simboliche dell’arte sono state radicalmente sostituite da stereotipi convenzionali. Alcuni studiosi, in conformità al temperamento e alla loro cultura, hanno considerato l’espressione come qualcosa di superato, pleonastico,nella società del frettoloso consumo di immagini. E’ in questo modo che si è finito per attuare una sorta di traslitterazione dal pensiero creativo all’adattamento mondano. Basta variare l’etichetta applicarla a qualsiasi oggetto. Certa arte pretende di attuare una metafora letterale, il che è semplicemente un ossimoro. Si dimentica la differenza tra espressione e rappresentazione. Esprimere significa mostrare, raffigurare. Possono esserci  rappresentazioni stereotipate e pur tuttavia, anzi proprio perché stereotipate, possono più facilmente entrare nell’immaginario collettivo. La strada del successo può essere più facile con la banalizzazione. Warhol e molta arte statunitense ha percorso con successo questa strada. Come già detto, l’esemplificazione scontata è in genere più eloquente, può essere stimolante anche se banale. Una proprietà espressa per quanto debba trovarsi in una relazione costante con forme letterali, non coincide necessariamente in estensioni con alcune prevedibili descrizioni letterarie della natura della metafora che l’arte dovrebbe esprimere. La scopa di Robert Rauschenberg è una banalissima provocazione. L’attitudine caratteristica dell’espressione letterale quasi sempre include insinuazioni elusive e intrepido scavalcamento dei fondamentali.Gonzales - 500

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Farfalle e avvoltoi.  0

Non c’è dubbio che la morale fai da te ha il vantaggio della comodità. Risponde a pieno titolo al mito della libertà assoluta che ha radici antiche. Francois Rabelais indica la regola dei telemiti, scritte sul frontone dell’abbazia di Theleme: “ Fa’ quello che vuoi”. Thelème  deriva dal greco “desiderio”. Se il mito della libertà non è mai stato facilmente realizzabile, tanto più difficile è oggi far coincidere libertà e complessità della vita moderna. Si è indotti a credere che la morale fai da te si applichi solo alla vita privata, ai gusti sessuali. In realtà non è così. Sollevare la questione se la morale abbia o meno radici religiose, addurre che, essendo nata dal pensiero umano, ha valore transitorio, è come parlare del sesso degli angeli, pleonasmi che preludono alla applicazione del detto dei telemiti. I fatti lo dimostrano. In politica, economia, nelle scuole di ogni ordine e grado, succedono cose impensabili fino a qualche decennio fa. E’ in corso una feroce polemica sui giornali che si occupano di finanza. E’ risultato chiaro che, alla base del disastro provocato dalla questione subprime, c’è stata totale assenza di moralità economica. Tempo f  le Borse di tutto il mondo furono sconvolte da un improvvisa crisi economica e bancaria. Uno dei responsabili del disastro, il signor James Cayne, ovviamente statunitense, mentre fioccavano i suicidi lui si dedicava al gioco del golf, al bridge, alla marijuana, come lui,  altri alti dirigenti responsabili del crollo che ha colpito molti risparmiatori. E’ di pochi giorni fa la notizia di un aereo in volo sul cielo di Washington  con il primo e secondo pilota che non rispondevano alla torre di controllo semplicemente perché dormivano. Alcuni tra i più importanti Istituti finanziari americani hanno fuorviato il mercato per il proprio tornaconto. Gli USA,che fanno guerre per esportare la democrazia, poi si ritrovano ai vertici di importantissime istituzioni finanziarie personaggi privi di moralità che con il loro comportamento producono danni enormi ai risparmiatori, e in definitiva alle economie di tutto il mondo. Non è necessario aver letto i libri che teorizzano e giustificano la morale fai da te, basta il martellamento dei media, la pressione verso il pensiero unico, in questo modo si creano situazioni ambientali, abitudini e tolleranze che si generalizzano. Forse la teoria delle catastrofi, il famoso esempio della farfalla che provoca l’uragano, vale anche in ambito sociale. Forse il richiamo molto più realistico ed efficace non è alla farfalla, ma agli avvoltoi.  america armata 500

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Non è l’artista che decide cosa è l’arte. Ma è la qualità delle opere che determina chi è un artista.  0

Cosa abbiamo in mente quando pensiamo al significato di un’opera d’arte? Per semplicità usiamo come esempio una classica opera pittorica su tela. Essa è costituita da telaio di legno, colore, tela.  Il materiale costituisce l’opera ma non esprime il suo significato. Il significato deriva dalla forma è contenuto  sulla tela. Come si desume il significato? Basta l’abilità con la quale è realizzata la figura, se si tratta di un’opera figurativa, o la gradevolezza emotiva di una pittura astratta?

Sappiamo che l’opera astratta non viene giudicata in base alla disposizione dei colori, esistono opere in bianco e nero, altre costituite di solo linee. Dunque qual’ è il riferimento del critico per esprimere la propria valutazione? Spesso nel descrivere le opere di Hartung i critici usano l’espressione: “Esprime la forza del segno”. A quale forza si riferiscono non è dato sapere.

L’arte, è noto, nasce come magia evocativa nei Graffiti delle Grotte di Addaura, Altamira, Lascaux. Questi ritrovamenti sono i più conosciuti, ma sono molti i reperti di pittura rupestre, anche in Italia.

Con il progredire delle tecnica del disegno l’arte si misurò con la mimesi, come narrano gli aneddoti sulla pittura di Parrasio, Apelle, Apollodoro, Aglafonte, Zeusi e  altri grandi artisti dell’antica Grecia.

Leggendo “Le vite – Dei più eccellenti pittori, scultori e architetti” di Giorgio Vasari, abbiamo un ampio spaccato di cos’era l’arte, possiamo agevolmente confrontarla che quello che è diventata.

A  partire dalla fine dell ‘800 la pittura  abbandona la mimesi  precisa e lascia ampio spazio alle articolazioni delle figure e del paesaggio, la tecnica pittorica, le pennellate, la disposizione del colore, viene messo in primo piano, le pennellate volutamente esibite. Pensiamo agli Impressionisti.

Con l’avvento delle avanguardie la tecnica del disegno e della pittura  perde importanza, viene introdotto il ready made, entra in campo l’arte concettuale, inizia la tendenza ad usare la provocazione come prassi. Gli artisti abbandonano l’epistemologia propria dell’arte, accumulata in duemila anni. L’arte da allora, si affida alla convenzione espressa nella tesi: è arte ciò che l’arista decide debba essere considerato arte. Una tautologia le cui conseguenze sono manifeste. Forse è vero il contrario; non è arte ciò che l’artista decide sia arte, all’opposto l’opera nella sua concretezza nel suo valore che qualifica la persona come artista.

Va da se che simili spurie argomentazioni  approdano a pura convenzione catafratta in una presunzione involutiva che rinnega se stessa.

Quando ci riferiamo all’oggetto libro, lo consideriamo Istintivamente come oggetto, compatto,  unico. In realtà il libro è costituito da singole pagine, dall’inchiostro usato per la stampa, dalle parole poste in sequenza. Togliendo una di queste proprietà l’oggetto a cui ci riferiamo è ancora un libro? Allo stesso modo l’arte, privata dei suoi elementi costitutivi non è più arte se non per forzate convenzioni.

Sappiamo che in molte case esistono biblioteche costituite da libri finti, cioè solo la copertina Hanno una funzione estetica esibiscono un inganno è quanto avviene per molta arte moderna, non rappresenta nulla è solo apparenza senza contenuto né significato

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L’umorismo degli antichi filosofi cinici.  0

In “Ecce homo” Friedrich W. Nietzsche scrive:” Il cinismo è quanto di più alto può essere raggiunto sulla terra; per conquistarlo servono i pugni più forti e le dita più delicate”. Come sempre Nietzsche esprimeva ottimismo. Il cinismo oggi si fonde con l’intimismo ed ha carattere soprattutto femminilizzato, i contemporanei  non possiedono  la capacità di essere coerenti con le proprie scelte.  Da Antistene a Diogene a Cratete, dal IV secolo a.c.  al V secolo d.c. per un millennio c’è stata una filosofia cinica. Capi politici, gendarmi, delatori, per Diogene erano tutti meritevoli d’impiccagione. Una volta gli chiesero  quali fossero secondo lui le bestie più feroci. Senza esitazione rispose: esattori delle tasse e sicofofanti. Platone considerava Diogene un Socrate diventato matto.  La Fontaine ricorda che Diogene  si considerava alla stregua del lupo che condanna il cane  perché paga il cibo quotidiano al prezzo della libertà. E’ chiaro che, questi brevi cenni della filosofia cinica, nessun politico moderno può considerarsi un cinico. La cultura dell’occidente è stata inquinata, o filtrata, secondo i punti di vista, dalle infinite elaborazioni ideologiche il cui unico scopo è forse quello di creare uno spazio mentale nel quale  collocare i pensieri che contraddicono la realtà. Non è un caso che se gli empiristi classici, Locke, Berkeley, Hume, si affannarono per dare un senso alle azioni di personaggi politici il cui livello di ignominia non è mai stato esecrato dalla cultura successiva, così che i massacri e la sottomissione di altri popoli finiscono per essere celebrati con decorazioni ed encomi e sono prodromi alla presa del potere prima della “aristocrazia” e poi della borghesia.  L’ironia e l’umorismo degli antichi filosofi cinici ha perso gradatamente diritto di cittadinanza in un consorzio civile e nelle classi intellettuali che hanno da prima modificato gradatamente il significato del linguaggio, per poi lasciare libertà di dominio a elementi umani sempre più compromessi con la verità. Come scrive Oscar Wilde ne “La ballata del carcere di Reading; “E questo posso dire: che ogni legge creata dall’uomo per l’Uomo, dal tempo che il primo Uomo assassinò suo fratello ed ebbe inizio la pazzia del mondo, rende paglia il frumento e tiene in vita gli sterpi: allora si ingrandisce il male”.  Schopenhauer, misogino convinto, seppe distinguere il “Mondo come realtà e rappresentazione”, sulla scia delle ombre nella caverna di Platone. Le parole sono come l’ombra di Alessandro Magno, tolgono luce, distolgono e confondono, per obliterare la naturale cattiveria del genere umano.  L’uomo contemporaneo non conosce più la tristezza che presuppone il pensiero, ma solo la disperazione che il vuoto interiore produce.   Gustav corbet

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Monadi inespressive.  0

 

Nel momento in cui l’artista abbandona la mimesi e si orienta alla rappresentazione di concetti, come scriveva Hegel , finisce per trattare il legno di ferro. Estremizzando la volontà di esercitare  la propria  libertà creativa senza possedere la capacità di controllo degli opposti, si arena nel nulla.

Una cosa è l’elaborazione universale dell’arte, diverso realizzare una singola  opera che esprima un concetto leggibile. Le determinazioni del concetto, l’universalità, la particolarità, sono certamente diverse, resta invariata la natura del segno e ciò che dovrebbe essere designato.

Come sostiene Heidegger : “Si chiama concetto qualcosa che non è se non la determinazione della rappresentazione”. Quando Kazimir Malevic  con il quadrato nero crea un’opera accolta con entusiasmo dalla critica, in realtà realizza un opera non opera. Senza espressione non c’è concetto ovvero significato.  In pratica è stata l’anticipazione formale del nichilismo contemporaneo del quale Malevic non è certo l’unico esponente.

Esiste una epistemologia basica possedendo la quale è possibile realizzare una pluralità espressiva.

Ogni categoria, attività, professione include l’osservanza di canoni che costituiscono l’essenza stessa dell’operare in un determinano campo. Rifiutando in toto i canoni si rifiuta l’essenza stessa della materia alla quale i canoni si riferiscono. Detto in altre parole rifiutando canoni ed epistemologia dell’arte si attua un rifiuto dell’arte nella sua sostanziale realtà. E’ ciò che avvenuto con le cosiddette  avanguardie.

Accade allora che si creano tante monadi quanti sono gli artisti. Il nome di monadi, espressione già usata dai pitagorici, ripresa da Leibnitz che la pone a cardine della propria filosofia. Nella realtà contemporanea le monadi potrebbero costituire la cifra dell’egoismo elevato a sistema nel quale, sotto l’aspetto culturale, è inclusa l’arte nelle singole cellule che si contrappongono. L’anarchia creativa  portata all’estremo, ignora il principio sintetizzato da Hegel nella preposizione : “ La verità è quando il sapere concorda con l’oggetto”.

Il concetto, in quanto tale, non può essere fissato attraverso figure spaziali e segni. Ecco la ragione per cui la pretesa di usare l’arte, facendone una difettosa espressione filosofica, rende l’arte velleitaria e ne falsifica il ruolo.

 

Immagine : Kazimir Malevic. “Quadrato nero”, 1914/15

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Contesto e pensiero.  0

 

La causa e l’effetto. Il pittore che stende i colori sulla tela dando ad essi una certa forma  compie un movimento. Questo moto non determina la forma, tanto meno il contenuto che è determinato dalla cultura e dal pensiero dell’artista. Quindi l’essenzialità dell’opera è influenzata da ragioni estrinseche al gesto. L’ipercinesia sociale è per lo più inutile spreco di energia.

La storia dell’arte non è costituita da gesti, ma da pensieri che danno senso alla narrazione dell’arte ed  all’operare dell’artista.

Lo studioso che esamina un’opera la colloca in una determinato contesto. Questo non significa che il contesto conferisca necessariamente significato all’opera. Ogni opera può essere letta a più livelli,considerato che  l’arte è politica e storia, utile riflettere sulla realtà e valori sociali dell’epoca in cui l’opera è stata realizzata.

Se trasferiamo queste considerazioni all’arte moderna e contemporanea, constatiamo che la maggior parte delle opere non contengono alcun riferimento al momento storico in cui vengono realizzate.

In quanto il valore intrinseco il tema è più complesso, perché rientra nel mai risolto interrogativo di cosa realmente esprime il sostantivo arte. I tentativi di trovare una corretta definizione, si sono arenati in una tautologia:  è arte ciò che l’artista ritiene sia arte.

Il potere demiurgico attribuito a un individuo non ha alcun fondamento reale. Pensiero,cultura,  idee politiche dell’autore influiscono in varia misura a determinare l’azione dell’artista. La serie di relazioni che condizionano natura, contenuto e forma dell’opera sono risultato del background dell’artista. L’opera riflette pensieri, consci e inconsci. Il valore di un artista consiste nella capacità di sintetizzare ciò che è contenuto nel proprio intelletto. Detto in altri termini: non basta pensare l’opera, è necessario saperla realizzare in modo che possa essere percepita, letta,  dal maggior numero di persone.

Il più delle volte la critica si limita alla lettura formale dell’opera, la filosofia tenta di individuarne le ragioni che la ispirano. Questo in teoria. Nei fatti sappiamo che critica e filosofia svolgono lo stesso compito: dare un significato all’opera, spesso con eccesiva propensione ad enfatiche esegesi, più che altro utili a una ricaduta mercantile.

La faticosa, spesso inutile, ermeneutica delle intenzioni dell’artista, a cui si dedicano sia la critica che la filosofia,  è uno degli aspetti surreali del mondo dell’arte. Non solo perché dovrebbe essere evidente che la lettura tracima dall’oggetto al soggetto. Dalla studio della forma al tentativo di capire la psicologia che la ispira. Finisce per essere maggiore l’esercizio creativo impiegato nella decifrazione dell’oggetto, di quanta immaginazione l’artista abbia impiegato nel realizzarlo.

Parafrasando Shakespeare potremmo dire: ci sono più cose nella mente dell’artista di quante l’opera ne esprima. Purtroppo neppure la TAC riesce a leggere i pensieri, è molto improbabile riescano a farlo  i pur volenterosi critici e filosofi.

 

Banksy. Senza titolo.

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Il concetto di coscienza estetica.  0

 

Che ne è del concetto di simbolo espresso dall’opera d’arte? Schelling  sintetizza l’inadeguatezza  di talune forme allegoriche con le quali l’arte intende esprimere una coscienza mitica. Cassirer ha affrontato il tema in un ampio trattato sulla “Filosofia delle forme simboliche”. Il simbolismo estetico oggi non ha più diritto di cittadinanza in un’arte che ha ripudiato l’estetica, inconsapevole dell’abissale contraddizione con se stessa. L’arte non dovrebbe esprimere una rigida contrapposizione  tra il concetto di simbolo come qualcosa che si è sviluppato all’interno di una cultura che conservava carattere antropologico, e l’allegoria associata a un freddo intellettualismo.  La base dell’estetica dell’ottocento era la libertà dell’attività simbolica del sentimento, il  che non significa esprimere verità, sia pur  limitata alla tradizione mistico-simbolica, ma semplicemente stati d’animo, sensazioni, impulsi che però hanno alla base una maturazione culturale che  possa conciliarsi con  un’apparente spontaneità e  immediatezza. Dovremmo renderci conto che questi problemi costituiscono la base stessa dei concetti estetici rinunciando ai quali resta soltanto  una sorta di navigazione a vista durante la quale vengono buttati a mare i significati. Inoltrarsi su un terreno inesplorato senza capacità e volontà di reperire le tracce di un passato che costituisce ragione, nutrimento   e materia culturale nella quale l’arte trova il proprio humus  e la propria giustificazione d’essere. L’alternativa è  attribuirsi una totale autoreferenzialità. E’ quanto è accaduto con le avanguardie storiche. Alla base di tali atteggiamenti vi è la  presunzione di creare non solo l’opera, ma anche il contesto nel quale l’opera si radica. Il Paralogismo che ha ispirato l’operazione distruttiva  ha portato al fallimento. Purtroppo il milieu culturale che costituisce il megafono del mercato non accetta, o forse non vede, come l’arte sia ridotta in gran parte a Camp, affidata a tycoons  avventurosi che tengono in vita l’arte esclusivamente per ragioni di  mercato. Costoro  sicuramente  non si pongono problemi di carattere estetico /filologico inerenti al linguaggio dell’arte. Lo stesso concetto di coscienza estetica  è diventato problematico,  quindi  anche la visione dell’arte che lo indirizza e lo determina. Senza dubbio la deriva dell’arte è stata provocata dall’abbandono  della coscienza estetica .

 

Il Kitsch domina la scena sociale e estetica contemporanea.

Camp 500

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I cento talleri di Kant.  0

I cento talleri di Kant  sono l’esemplificazione  di come tutto abbia un valore stabilito per convenzioni. Viviamo in una realtà costruita, fittizia, La finzione non riguarda solo l’arte, rappresentazione teatrale, ma tutto ciò che, per consuetudine, consideriamo reale. Siamo  immersi in una realtà non realtà. L’attribuzione di significato avviene attraverso il pensiero che, per così dire, crea la realtà.

Hegel dedica centinaia di pagine alla geometria, al calcolo integrale, differenziale, infinitesimale. Tutte dottrine che esprimono  aspetti logici del pensiero. La cosiddetta filosofia dell’arte procede invece per apodismi, così come la critica dell’arte. Tali discipline si richiamano a paralogismi  basati su luoghi comuni trasformati in dogmi.  “L’arte non può essere sottoposta a giudizi di merito o di valore”. Questo assioma poteva essere considerato parzialmente vero quando l’arte  era mimesi, guidata da valori estetici. Nel momento in cui l’artista azzera l’epistemologia dell’arte e si avventura in ambito concettuale, entra di fatto nella materia filosofica- scientifica. Quindi, non solo si può, ma si deve sottoporre l’arte a considerazioni di sostanzialità logica per valutare se le intensioni dell’artista si sono realizzate nell’opera. Limitarsi a “Va bene così”, secondo il principio espresso ironicamente da  Ludwig Wittgenstein nel “Tractatus logico-philosophicus”, equivale rinunciare a chiarire il significato di quanto realizzato dall’artista,  relegando  l’arte  nel limbo confuso e velleitario di una ontologia priva di senso. E’ quanto è avvenuto dopo l’avvento delle avanguardie.

Ogni epoca costruisce, insieme subisce, la propria fenomenologia che coincide con gli aspetti culturali, sociali, psicologici. Il tema è trattato con efficace chiarezza da Max Horkheimer e Theodor W. Adorno in “Dialettica dell’illuminismo” . Nel testo i due autori esaminano le ricadute della filosofia degli illuministi  in ogni ambito sociale e culturale della modernità, inclusa la produzione artistica la cui deriva è iniziata con il romanticismo.

A partire dall’inizio del secolo scorso l’insignificanza dell’arte è stata spesso mascherata con forme di volgare provocazione, o presentata sotto l’aspetti ludici emotivamente percepiti. In queste forme è stata accettata da èlite incolte, amanti del kitsch, che hanno contribuito alla nascita e sviluppo del mercato dell’arte con il sostegno di una critica servile verso i mercanti, integrata da un uso  massiccio  di pubblicità e marketing.

 

Tom Waits. Senza titolo. Tom Waits-500

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