Post by Category : arte e cultura

La scarpa di Camper.  0

Scrive Kant in “Critica del giudizio”. “La bellezza naturale è una cosa bella. La bellezza dell’arte è la rappresentazione di una cosa bella cosa”. Questa frase lascia capire le conseguenze di avere eliminato ogni residuo di naturalità, non solo nell’arte.

Procediamo per stereotipi falsi. La tesi che il bello abbia ricadute morali è falsa. Forse in pochi ambienti la depravazione è più diffusa che nel mondo dell’arte. La libertà senza freno non produce altro che stravaganza, l’arte esige, oltre alla immaginazione, cultura e gusto.

Altro pregiudizio è che l’amore dell’arte  sia disinteressato. La storia ci dice che l’arte è sempre stata usata come esibizione di ricchezza e potere. Machiavelli nel libro “ Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio” racconta come fin dai tempi dei romani l’arte veniva esibita nelle case dei patrizi e suscitasse invidia e ammirazione.

Sembra che anche gli artisti abbiano dimenticata la stessa etimologia della parola “arte” che significa fare. Elevando a status di arte il trovarobato del ready made, come Duchamp, non si fa arte.

Si dovrebbe chiamare arte  solo una produzione determinata dalla libera volontà della ragione. Vale per molti artisti ciò che Reinhard scrivera : “Camper descrive esattissimamente  come dovrebbe essere fatta un’ottima scarpa; ma certamente egli non la sa fare”.

Non vi è una scienza del bello, ma soltanto la critica di esso, non vi sono belle scienze, ma soltanto belle arti. Per questo l’arte tecnologica che adotta processi scientifici è la negazione dell’arte.

Il talento dell’artista è un dono naturale che crea la regola dell’arte. Si può imparare la scienza di Galileo che è codificata. Non si può imparare a creare opere come Raffaello, poetare come Dante e Shakespeare. Supporre, come accade oggi, che   basti frequentare l’Accademia per “diventare artisti” è la base del disastro che ha colpito il mondo dell’arte riducendola al livello in cui si trova, un incrocio di  opportunismo e mondanità. Creatività e cultura sono cose estranee al mondo dell’arte contemporanea.

Dunque la pauperizzazione culturale, l’inquinamento etico  hanno avuto ricadute tali da ostruire il percorso di risalita alla luce della verità e bellezza. Sguazziamo felici in un mondo artificioso e arido con crescenti enfatizzazioni antropocentriche.    Le Témoin di Man Ray 1971-500

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Prassi e teorie delle avanguardie.  0

Il rapporto che intercorre tra l’opera di avanguardia e i metodi formali di teoria dell’arte  è stato stravolto con l’elusiòne dei tradizionali procedimenti  tecnici e uso dei materiali. Ciò tuttavia non ha modificato l’approccio ermenèutico  della critica d’arte, provocando una dicotomia tra oggetto e interpretazione con criteri classici, così come viene praticata tuttora da buona parte della critica.   Prassi e teoria dell’avanguardia hanno avuto, tra l’altro, l’effetto di diluire l’essenza significante in discipline diverse. Reinhard Brandt nel suo libro “Filosofia nella pittura”, ha analizzato opere di artisti classici con riferimenti filosofici. Appare evidente che le opere dei maestri del passato potevano essere apprezzate, indipendentemente dalla capacità d’interpretazione iconologia. L’arte d’avanguardia, avendo eliminato l’estetico, ha ridotto la forma a citazione concettuale, con la conseguenza che, l’osservatore non in grado di percepire il significato sottointeso, perde ogni possibilità di comprensione e godimento. Senza dubbio, non è ancora emersa con sufficiente chiarezza l’inutilità della critica d’arte oggi. Essa ha un approccio classico a  opere che sono la negazione di ogni espressione d’arte, intesa in senso tradizionale. La critica non è in grado di svolgere efficacemente la propria funzione interpretativa, in quanto la lettura dell’opera richiede il ricorso a varie discipline, psico – sociologiche, politiche, filosofiche, quant’altro serve a collocare l’opera nel contesto nel quale è possibile decifrarne il senso. L’analisi dell’opera non può  essere  attuata scientificamente, come ipotizza, tra gli altri,  Peter Burger nel suo saggio “Teoria dell’avanguardia”,  anche in ragione anche della voluta casualità di molte opere che si attuano tramite a un gesto gratuito, e/o si affidano a espressioni  d’ironia estemporanea. Le forzature ermeneutiche della critica, finiscono per costituire  anello di congiunzione con l’arte-arte, in questo modo accreditano una supposta concettualità, che forse era nelle intenzioni dell’artista, ma di cui non c’è traccia nell’opera. A ciò contribuisce il modesto bagaglio culturale degl’artisti, incapaci di adeguare l’apparato concettuale alla sintesi della forma. C’è il rischio concreto di nobilitare la pura dissacrazione a concetto. Condizione necessaria per una possibile sintesi tra procedimenti formali ed ermeneutici è rendersi conto che  nell’opera avanguardistica l’emancipazione del singolo elemento non raggiunge mai il distacco completo dalla totalità dell’opera. Anche dove la negazione della sintesi diventa principio strutturale, deve comunque rimanere la possibilità di pensare a una unità, sia pure precaria. Per quanto riguarda la ricezione, ciò significa che anche l’opera di avanguardia deve essere compresa in modo ermeneutico, vale a dire come totalità di senso, quel che cambia è solo il fatto che l’unità ha accolto in sé la contraddizione. Non è più l’armonia delle singole parti a costituire l’unità dell’opera, bensì il rapporto contraddittorio di elementi eterogenei. Per questo, dopo i movimenti di avanguardia non si può pensare né di sostituire semplicemente l’ermeneutica con procedimenti formalistici, né di continuare ad adoperarla come procedimento intuitivo di comprensione; essa dovrebbe adeguarsi alla mutata  situazione storica. Beuys 500

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L’arte da forma al pensiero.  0

Gli artisti che si richiamano all’intuizione fanno propri, forse inconsciamente, i principi dell’irrazionalismo. Bergson fu tra i maggiori esponenti di questa teoria filosofica che creo i prodromi per la nascita delle avanguardie.

La filosofia di Enrico Bergson è denominata  “intuizionismo”,  e si richiama all’ evoluzione creatrice, allo slancio vitale, mette in primo piano un sapere basato su un’attività alogica ed extraintellettuale che  si richiama ai romantici del primo Ottocento, in particolare Schelling .

Il centro propulsore della filosofia  di Bergson è costituito dalla teoria della durata, in quanto stato immediato della coscienza. L’introspezione psicologica è restituita al suo schietto significato filosofico e liberata dall’intellettualismo, considerato deformante, a favore di una visione metafisica della realtà universale.

Va da se che tali teorie sono insufficienti e arbitrarie. La psicologia cosiddetta positiva, o scientifica, del tempo nel quale Bergson pubblicava i suoi libri,  presumeva di ridurre l’io a una successione di stati psichici collegati tra loro secondo la legge di rapporti determinati.

Ben altra invece ci appare la realtà nella nostra esistenza se la si osserva e si tenta di coglierla nella sua essenza più profonda, non solo nelle sue manifestazioni esteriori, che possono essere paragonabili a foglie morte galleggianti alla superficie di uno stagno.

La  vita interiore ci appare come una corrente incessante di natura puramente qualitativa in questo modo cambia anche il significato della psicologia per la conoscenza della storia,  per Hegel e per qualsiasi esponente dell’illuminismo francese.

Gli impulsi e le passioni degli uomini sono le cause immediate di ciò che accade, gli uomini sono indotti ad agire. Poche persone hanno un sufficiente livello di conoscenza, un ‘idea generale dell’evenienza fenomenica che affrontano. Detto in altri termini, raramente è la logica a giustificare e motivare le nostre azioni quotidiane.

La posizione di Kant è stata notoriamente combattuta dai più svariati indirizzi filosofici, in primis da Hegel.

Schopenhauer giudica impossibile l’azione disinteressata e ritiene che la volontà abbia sempre un fine  pratico. Il principale motivo che muove la volontà è l’interesse nelle sue varie articolazioni dalla sopravvivenza al piacere. In fondo tale ragionamento chiama in ballo l’incipit della “La Ricchezza delle nazioni” di Andam Smith.

Nei fatti gli artisti non sono motivati da ragioni logiche, ma da interesse pratico e spesso anche da impulsi creativi.

Gli impressionisti hanno creata un proprio stile di pittura per ragioni pratiche, anche se poi si affidavano alla spontaneità del segno e del colore.

Vi è troppa enfasi e poche motivazioni serie nel definire talune opere rivoluzionarie. Cancellare, rifiutare l’estetica e il bello, per questione di principio, conduce ad esiti quasi mai riusciti, e in ogni caso dovrebbe essere verificato osservando le opere con maggior rigore di quanto accade abitualmente.

Nel destino dei singoli individui la realtà matura a prescindere dalla consapevolezza soggettiva. Così un artista che nel corso della vita non senta  il bisogno di modificare la propria tematica lascia perplessi. In ogni caso il valore dell’artista è in rapporto alla sua capacità di tradurre la realtà e dar forma il suo pensiero. Hegel afferma: “L’arte è il pensiero che prende forma”.

Parafrasando Wittgenstei che si poneva una provocatoria domanda: “ Compito della filosofia è indicare alla mosca come uscire dalla trappola?” . Compito dell’artista è dipingere la mosca?Camille-pissarro- 500

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La nostra natura animale e il pensiero etico.  0

Nel 1972 René Girard pubblicò “La Violence et le sacrè”, indagando tra l’altro la funzione del sacrificio come mediazione nei conflitti sociali nelle società primitive. Le teorie comportamentali  tendono a sottovalutare le influenze del corpo attraverso il quale viviamo le nostre sensazioni. La donna è da sempre particolarmente sensibile al predominio del corpo. Molte le opere d’arte femminili hanno il corpo come riferimento diretto o indiretto. Il lampadario fatto con assorbenti presentato da Joana Vasconcelos alla Biennale 2005 a Venezia, rientra nel vasto filone dell’evidenziazione di tutto ciò che attiene al corpo femminile. Opere che non sempre sono in coerenza con le giustificazioni teoriche che le accompagnano. Non è un caso che la body art sia declinata prevalentemente al femminile. Mona Hatoum mostra in un video i movimenti peristaltici del proprio intestino. La francese Orlan si è sottoposta a una serie di interventi chirurgici, effettuati in pubblico come performances. Mai come nella nostra epoca storica è imposta la centralità del corpo. Non a caso la nostra è l’era della prevalenza femminile. Quando si parla di emancipazione femminile in primo piano balza la libertà sessuale, il corpo. Anche le donne arabe focalizzano la loro richiesta di emancipazione  sul corpo. Un antologia di racconti firmati da autrici arabe ha per titolo “Parole di donna, corpo di donna”.  Una prova ulteriore di come la prevaricante cultura occidentale determini e condizioni anche il percorso verso l’emancipazione delle donne di altre culture. Da noi il linguaggio diseducativo della tv è costituito soprattutto d’immagini più o meno erotiche. Comportamenti sociali, sviluppo di strumenti tecnici modificano gradatamente la funzionalità del corpo, un recente studio di scienziati inglesi  sembra dimostrare che vi sono parti del corpo umano ormai assolutamente inutili, retaggio del passato. Ma se il corpo si modica, la natura umana, intesa nel senso di pensieri, comportamenti, sensibilità, di quanto è gia modificata?  Alla antica querelle tra Agostino, il quale sosteneva che l’uomo nasce orientato verso il male, si oppose il monaco cristiano Pelagio (360-420 d.c.)  il quale sosteneva che l’uomo nasce buono ed è corrotto dalla società, la stessa tesi riprese Rousseau, anch’egli convinto l’uomo nasca buono e venga corrotto dalla società. Queste ottimistiche argomentazioni sembrano non tener conto che  la società è costituita da uomini.

L’idea che abbiamo di noi stessi,ci vieta di considerare una terza ipotesi : l’uomo è un animale la cui intelligenza corregge solo in parte le sue tendenze naturali, di qui contraddizioni e differenze. Questo dato di fatto  induce, nella creazione dell’arte, letteratura, cinema, a mettere l’accento soprattutto sul concetto di libertà, sulla possibilità dell’uomo di scegliere il proprio destino. Purtroppo non è così. Nei fatti  con questa parafrasi decettiva, apodittica, finiamo per giustificare le nostre azioni peggiori.  Per secoli si sono confrontati deterministi e coloro che sostenevano il libero arbitrio. L’ambiguità delle posizioni, che tutt’ora permangono, consente a ognuno di sostenere la propria  tesi. Molte delle suggestioni, stimoli, spunti del dibattito sull’arte, trarrebbero vantaggio se venissero abbandonate posizioni basate sulla convinzione che la libertà consente tutto e il contrario di tutto. Se è vero, come sosteneva Pascal che l’uomo è una canna che pensa, per questo superiore a tutte le altre creature, è anche vero che l’uomo pensa soprattutto a se stesso e tenta di sublimare le proprie pulsioni, giustificarle, celebrarle, prima ancora di capirne le ragioni profonde che le determinano.

 

Immagine : Francesco Woodman – Body ArtFrancesca-Woodman

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Preistoria dell’estetica. Il Sublime.  0

Il tema del “sublime” fu teorizzato per primo dal filosofo Longino (213 273 d.c.) il suo trattato, insieme alla poetica di Aristotele fu tra le più importanti opere di estetica dell’antichità.

Il sublime è agli antipodi di tutto ciò che è mediocre, banale, laido, è espressione della suprema poesia della sua forma più incisiva sia nella pittura che nella letteratura.

Umberto Eco, nel suo romanzo più noto, “Il nome della rosa”, costruì una narrazione intorno alla fobia di un vecchio monaco cieco che odiava la poetica di Aristotele perchè poteva indurre al sorriso.

La storia dell’arte contiene il riferimento agli artisti che hanno tentato, immaginato, di esprimere il sublime. Tentativi raramente riusciti.

Dare una definizione del sublime presenta non poche difficoltà, rappresentarlo è impresa riservata a pochi grandi geni della poesia e dell’arte.

Vale per il sublime ciò che Agostino d’Ippona diceva del tempo;  quando penso al tempo so perfettamente cos’è, quando mi trovo a doverlo spiegare ho difficoltà.

Le avanguardie hanno cancellato non solo il sublime, ma anche il bello, con speciose argomentazioni.

Kant, in “Critica del giudizio”, sostiene che il giudizio sul bello è sempre soggettivo. Non sarebbe corretto affermare: questo oggetto è bello. Ma più corretto dire: questo oggetto mi piace. Significa abolire il canone di riferimento, ridurre tutto al  gusto soggettivo. Si finisce quindi per lasciare spazio ad ogni forma di devianza estetica, come le avanguardie hanno dimostrato.

Baumgarten (1743) coniò il neologismo “estetica” (sensibile) e tentò di creare una filosofia del bello, chiaramente divenne il principale bersaglio delle avanguardie.

Esiste un inscindibile legame tra attività conoscitiva e attività estetica che rischia di essere annullato da eccessi di  soggettività. Non pochi filosofi dell’arte,specie di matrice statunitense,hanno avvallato le scelte anti-estetiche, delle avanguardie. Per tentare di dare un senso alle loro argomentazioni hanno dovuto, non solo ripudiare duemila anni di storia dell’arte, ma anche i filosofi che hanno dato senso all’arte attraverso ermeneutiche con solide basi logiche e culturali.

Alla fine è subentrata una sorta di rassegnazione espressa nell’affermazione di Hegel: “ L’arte non vale più per noi come il modo più alto in cui la verità si da esistenza…”.

L’orientamento materialistico e consumistico contemporaneo ha confuso  e sovrapposto alla sensibilità spirituale il puro edonismo estetico. I risultati sono visibili nell’arte di oggi, anche perche,come sosteneva Shaftesbury: “ L’estetica ed etica sono una parte sistematica dell’arte,la chiave di tutta l’epistemologia artistica”.

Nietzsche, che non amava Kant,lo definì spregiativamente:“il cinese di Konigsberg”. Contro la sua teoria etica inventò lo slogan: “Riduzione della morale a estetica”!!!”.

Nel libro delle leggi degli ebrei vi è un comandamento”Tu non ti farai alcuna immagine o figura di ciò che è in cielo, o in terra, o sotto terra…”. Considerata la massiccia presenza ebraica nel mondo delle avanguardie artistiche del ‘900, il furore contro la rappresentazione della natura era inevitabile.

Caspar David Friedrixh Monaco in riva al mare 1809-1810

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Alla ricerca dell’egemonia perduta.  0

Nel 1990 sulla rivista Tiger’s Eys, Barnet Newman pubblicò lo scritto “The sublime is now”. Una sorta di manifesto dell’arte astratta nel quale emergono aspetti della cultura statunitense che in Europa non credo siano mai stati sufficientemente analizzati e approfonditi.

Quarant’anni prima, 1950/51, lo stesso artista presentò un’opera di pittura astratta alla quale diede il titolo “Vir Heroicus Sublimis”. L’opera fu accolta con entusiasmo dalla critica. Si trattava di un  olio su tela di  m. 2,42 X m.5,42,  di colore uniforme, rosso/arancione attraversato da piccole fenditure di colore alle quali  Newman, forse ironicamente, diede il nome di zip.

Sia lo scritto The sublime is now che l’opera Vir Heroicus Sublimis tennero campo a lungo nella cultura visiva statunitense. Come sempre avviene furono elaborate diverse letture, nonostante la dichiarazione di Newman: l’opera non rappresenta nulla.

Il suo “manifesto” conteneva un durissimo attacco alla cultura europea. “ …Noi ci siamo sbarazzati dal peso morto della memoria, dell’associazione, della nostalgia, della leggenda, del mito, o di qualunque altra cosa vogliono significare le invenzioni della pittura europea occidentale….”.

Barnet Mewman aveva frequentata la facoltà di filosofia. Si servì della sua conoscenza per disseminare nel testo citazioni a partire da Longino, il primo filosofo che si occupò del sublime. Poi Platone, Aristotele, Kant, Hegel. In particolare dal suo scritto emerge la conoscenza del libro: “Indagine filosofica sull’origine delle nostre idee si sublime e bello”  pubblicato da Edmund Burke nel 1757.

Il contenuto aggressivo del testo che Newman scrisse contro la cultura europea, si scontra con il paradosso che tutti i filosofi che egli cita appartengono alla cultura europea.

A mio parere, lo scritto di Newman, con la roboante esaltazione della sua opera, ha motivazioni di carattere psicologico e forti  venature nazionalistiche la cui interpretazione potrebbe essere tema psicanalisi. Dallo scritto infatti appare evidente un enorme complesso d’inferiorità nei confronti della cultura europea che afferma di voler rifiutare.

Già in passato ho affrontato il tema di come sia stato possibile che, anche alla luce della enorme arroganza che contraddistingue Newman, come lui buona parte dei protagonisti del mondo dell’arte statunitense, gli intellettuali e artisti europei hanno supinamente accettata una egemonia  non certo basata sulla superiorità culturale.

Ho ripreso oggi questo tema alla luce dei recenti tentativi di revanche degli Stati Uniti, che, pare, nutrano la speranza di mantenere una egemonia. Temo che il tentativo sia destinato a fallire. I tempi sono mutati. La credibilità morale degli USA è crollata dopo la serie di guerre immotivate. Gli stessi intellettuali statunitensi hanno preso le distanze da un potere che inutilmente tenta di dare credibilità a se stesso. Da tempo i libri di Noam Chomsky raccontano di arroganze e misfatti del potere statunitense. Di recente John J. Mearsheimer ha pubblicato “La grande illusione”, nel quale descrive il fallimento degli ultimi presidenti USA  nella loro pretesa di imporre la Weltanschauung americana con i carri armati.20210914_132211[1]

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La ragione non basta se manca la volontà.  0

Nel 1797 sotto il regno di Carlo IV re di Spagna,  Francisco José de Goya Y Lucientes, realizzò la serie:  Caprichos.

Il Caprichos 43, meglio noto con il titolo: “Il sonno della ragione genera mostri”, ha indotto a varie interpretazioni. Nel periodo in cui venne realizzata l’opera erano passati 8 anni dalla presa della Bastiglia e l’inizio della rivoluzione francese.

J.J. Rousseau,filosofo illuminista, autore de “Il contratto sociale” e “Emilio”, opere che affrontano il tema della libertà, distinse tra chi nega la libertà, chi si batte per conquistarla, questione intorno a cui si è dipanata la storia umana. Che parte ha la ragione in questo confronto?

Presumere che la libertà possa essere  concessa dal potere è una illusione. La storia dimostra che, nel perenne confronto tra esseri umani c’è chi soccombe e perde la libertà. Tutte le rivoluzioni, le teorie, non hanno eliminato questa realtà. Coloro che conquistato il potere,spesso negano la libertà ad altri uomini. Millenni di filosofia e religione non solo non hanno eliminato i conflitti sociali,ne hanno creati altri.  Oggi, oltre alle guerre, mai cessate, vi sono conflitti tra generi. Le donne reclamano più potere e rispetto dei loro diritti. Questo conflitto che taglia in due la società, maschi contro femmine, non esisteva al tempo di Goya.

Alla luce dell’esperienza, dopo rivoluzioni e guerre è ancora pensabile che la ragione, dormiente o meno, sia capace di governare il mondo? Il Capriccio 43 appare ottimistico quando presume che la desta ragione abbia come fine il bene comune.

Nel 1511 Erasmo da Rotterdam pubblicò il saggio: “Elogio della Follia”. Il grande umanista olandese,il solo che seppe confrontarsi con Martin Lutero sul piano logico e dottrinale, aveva un concetto diverso da Goya della ragione umana.

Per la creazione della sua opera pare che Goya traesse ispirazione dalla lettura dell’Ars Poetica di Orazio e da alcuni scritti di Marco Vitruvio. Gli studiosi che si sono dedicati all’ermeneutica dell’opera, gli hanno attribuito significati diversi. Chi vide una lettura positiva all’illuminismo, altri sostennero il contrario. Mettere una donna sull’altare e adorarla come dea della ragione, non era certo un segno di condotta razionale. Soprattutto, era contro la ragione scatenare il terrore, e massacrare migliaia di persone. Lo slogan che ispirò la rivoluzione francese : Libertè, Egalitè, Fraternitè, non è mai diventato realtà.

Dunque, la ragione  è  uno strumento neutro. I peggiori crimini commessi dagli uomini contro altri uomini sono sempre stati giustificati usando la “ragione”,a volte aggettivata come “dialettica”.

Adam Smith,docente di filosofia morale, in “La ricchezza delle nazioni”,scrisse:“Non è dalla benevolenza del macellaio,del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il pranzo,ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse”. Difficile conciliare la ragione con  egoismo che domina il mondo.

Dall’opera di Goya, siamo approdati  al macellaio di Adam Smith sul filo della ragione. Cartesio, Hume, Locke, Kant, Voltaire, ogni filosofo ha dato una lettura diversa della capacità raziocinante dell’uomo. La natura ha dotato gli esseri umani di intelligenza ma non di volontà sufficiente per contrastare aspetti meno nobili della propria natura. Anche quando la ragione non dorme, raramente è impegnata a far del bene agli altri, piuttosto, come i bottegai di Smith, è impegnata a curare i propri interessi, soddisfare i propri desideri.

Dopo l’ incisione del Caprichos 43, Goya non ha più affrontato il tema, in vecchiaia, come Voltaire e altri filosofi pare sia giunto alle stesse conclusioni di Kant: “Nessuno riuscirà mai a raddrizzare il legno storno dell’umanità”. La ragione non basta.

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Velazquez: pittura storia, narrazione  0

Brevi cenni sull’opera di Velazquez: Las Meninas. Capolavoro di realismo immaginifico.

L’osservatore può cadere nella tentazione ermeneutica di ravvisare nell’opera una teoria filosofica. Se tutto ciò che il pittore dipinge rende visibile e riconoscibile una rappresentazione del riflesso della realtà, si dovrà concludere che l’opera espone una visione complessiva del mondo come pura apparenza? Volendo giocare con le teorie, si potrebbe sostenere che l’opera è una rappresentazione che esige Res cogitans del tutto separata dalla Rex estensa. L’opera di Velasquez mostra come sostanzialmente identici il vedere e l’esser visto, ci sarebbe dunque più di Spinozza che di Cartesio. Il mondo come idea, secondo Cartesio e Locke, come pura rappresentazione del senso in Schopenhauer? Un anticipazione della Condition humaine di René Magritte? Tutto è espressione dell’io dell’artista? Magritte descrive effettivamente  la condizione umana secondo una precisa tradizione filosofica, per la quale non abbiamo accesso alle cose ma ci confrontiamo sempre soltanto con le nostre rappresentazioni delle cose, come se fossimo seduti in una stanza dietro una tela dipinta che fa da finestra. Velazquez, contrariamente a Magritte, non si occupa della presunta condizione umana,bensì dell’arte pittorica. Il dipinto rappresenta la realtà così com’è realmente, non è vero l’opposto, che la realtà sia mera rappresentazione o fenomeno. La filosofia dell’Io di Cartesio, nella quale tutto si riduce a fenomeno interno alla coscienza, non  salva i fenomeni. Velazquez è realista, rappresenta le cose, per descrivere le sue opere le parole sono superflue, serve invece cultura e tanta attenzione. E’ un fatto che la pittura realistica di quel livello  conduce a una soluzione sorprendentemente simile alla filosofia cartesiana dell’idea. Certo, mentre il realismo russo si avvicina vagamente alla sostanziale “verità” realistica, il realismo USA che deriva dalla Pop Art è pittura cartellonistica.

Nel libro “Le parole le cose” di Michel Foucault, pubblicato nel 1966,il filosofo tenta l’interpretazione, o meglio dà una propria interpretazione della opera di Velazquez: “Las Meninas” All’inizio del libro descrive in modo dettagliato l’opera del pittore madrileno, ritorna con un richiamo a pagina 77. L’esposizione dettagliata del quadro, sotto il titolo “Damigelle d’onore”, esamina con puntigliosa precisione la posizione del re nell’opera, e parla di “ritorno al linguaggio”. Tema altamente speculativo, segue la non meno profonda analitica della “finitudine”. L’analisi si avvale della raffinata dialettica nella quale Foucault è maestro, ma sembra cadere vittima dei propri paradossi. Cosa significa, nella elaborazione ermeneutica l’affermazione “ritorno del linguaggio”? Quando mai il linguaggio andò perduto così da renderne possibile il ritorno? Il lettore, intimidito dalla colta dissertazione del maestro, forse rinuncia a chiedersi in quale epoca all’intera umanità si è creato un buco nero nella storia del linguaggio. Tutta la cultura sembra essere messa in forse dalla semplice affermazione di Foucault che pare aver scoperto la base della ragione dell’intero occidente. Entrano nel giudizio Platone, Aristotele, gli stoici così come i grammatici antichi che stabilirono le basi del nostro comunicare, gli eroi omerici, Kant. Tutti costoro, e molti altri si sono pronunciati sui temi che Foucault sembra scoprire oltre 2000 anni dopo.

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La filosofia dovrebbe stabilire un legame tra ciò che è dipinto e ciò che è pensato.  0

Scrive Marcuse: “ Un intima necessità distingue l’opera d’arte autentica da quella non autentica, e questa è l’impossibilità di cambiare di una sola riga un singolo suono”. Si tratta certo di una “tirannia della forma”. Tuttavia con ciò non viene meno l’immediatezza dell’espressione, ma solo la falsa immediatezza, falsa nella misura in cui trascina con sé il mondo riflesso di una realtà mistificata.

In difesa della forma estetica,Bertolt Brecht osservava nel 1921: “Mi accorgo di diventare sempre più un classico”. Sono vani tutti gli sforzi esasperati dell’impressionismo per espellere con ogni mezzo certi contenuti banali destinati a diventare  prima o poi classici.

Si rimprovera ai classici la sottomissione alla forma mentre in realtà, in un’opera riuscita,  è la forma ad essere sottomessa.

In ogni caso, se la tesi di Marcuse è corretta, dovremmo concludere che tre quarti delle opere teatrali classiche sono state cancellate dalla lettura e messa in scena in chiave contemporanea. Significa che l’arte web, che ha la pretesa di attuare una interpretazione in chiave tecnologica  di opere classiche,  è totalmente negativa.

L’essenzialità, o se si preferisce l’aridità formale di molte opere contemporanee, deriva dalla incapacità di trasfigurazione estetica di una realtà che si fa materia di pensiero.

Alcuni personaggi letterari sono entrati a far parte del nostro immaginario, dei nostri ricordi, abbiamo l’impressione di avere condiviso con loro una parte della nostra vita, la parte immaginaria nella quale loro sono stati protagonisti.

E’ questa creazione di una realtà separata che si radica nella nostra memoria  la differenza sostanziale tra l’arte vera e  opere che sono solo frutto di velleità  concettuali,  facili ricorsi alla ormai inutile provocazione.

L’arte è parte di un gioco linguistico le cui regole sono costantemente violate in una prassi che contrasta lo spirito di Wittgenstein quando  sostiene che padroneggiare il linguaggio è base di una corretta comunicazione. La filosofia dovrebbe stabilire un legame tra ciò che è dipinto e ciò che è pensato. Non a caso il linguaggio del segno finisce per dover ricorrere a una narrazione verbale, un’ermeneutica che altro non è se non una forzata attribuzione di significato.

Già ai primordi della filosofia, l’ontologia di Eraclito, il lessico dei sofisti, nell’offrire l’abbrivio alla elaborazione del pensiero filosofico hanno creato le basi per la conoscenza.

Aristotele raccoglie e amplifica il pensiero di Eracle l’oscuro, in uno spazio di riflessione dialettica nella quale include gran parte del sapere dell’epoca in cui visse. Il suo impegno gli valse il titolo di: maestro di coloro che sanno.

L’arte moderna è lontana anni luce dalla profondità di pensiero che ha articolato la storia della evoluzione culturale. Con supponenza gli artisti hanno attuata un cesura con il sapere “inutile”, secondo la definizione di Bertrand Russell, ed hanno optato per la tecnologia finendo per diventare una parodia triste, priva di vera capacità creativa, adagiata sulla pretesa apodittica di chi attribuisce a se stesso lo status di artista e si attribuisce capacità che non possiede. Purtroppo nel vuoto culturale del nostro tempo tutto viene accolto e celebrato per ragioni che sarebbe forse  interessante quanto inutile indagare.

Scrive Max Scheler :”L’uomo contemporaneo tende a trascendere se stesso in quanto essere naturale, in questo modo avvia l’estinzione della civiltà come è andata configurandosi nei millenni”.

 

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L’eccesso di leggerezza porta all’evaporazione del pensiero.  0

Di cosa si nutre, di cosa potrebbe nutrirsi il pensiero creativo? Se anche un artista sceglie la solitudine, decide di  vivere lontano dalla confusione urbana, resta comunque influenzato dalla realtà che filtra inevitabilmente nel suo quotidiano.

La contemporaneità è caratterizzata dal disincanto che spesso tracima nel cinismo, le spinte ideologiche che muovevano gli artisti ancora 50 anni fa, si sono arenate nelle spire del ludico mondano, l’eccesso di leggerezza ha fatto evaporare il pensiero creativo ormai alieno ai fenomeni culturali perché assolto nella effimera prassi sociale.

Hegel  dichiara: “qualcosa è conosciuto come limite, come carenza, deficienza, solo quando quel limite e quella carenza sono state superate”.

Per Bertolt Brecht: “ Un’opera che non esibisce la propria sovranità nei confronti della realtà, non è un opera d’arte”. E’ necessario il superamento, una fertile dinamica mentale che non si areni nella estemporaneità.

Husserl ha affrontato il tema partendo dall’ontologia formale e la dialettica del superamento creativo. Il rifiuto della logica da parte degli artisti porta a procedere in modo oggettivistico ritenendo di essere possessori di verità. Ma, come affermava Nietzsche: “Una verità importante ha bisogno di critica, non di lode”. La critica d’arte enfatizza, non attua una reale ermeneutica dell’opera, attuando un procedere relativistico che Husserl ritiene insensato.

Quello che  costituisce valore e significato di un opera, non è quello che il singolo crede e pensa della sua creazione, bensì il rapporto tra la sua creazione e la realtà.

Dice Epicuro: “…Come giudichiamo positiva la scienza medica, non a cagione  della sua capacità stessa ma in ragione degli effetti sulla nostra salute. I fenomeni artistici, per loro natura, non sono soggetti alla codificazione e, come i fenomeni sociali, sono basati sulla apparenza, spesso estranei alla realtà storica in atto.

Heidegger intende la storicità un modo  dell’essere la cui filosofia deve riconoscere nell’uomo l’esistenza particolare, solo in questo modo originario anche l’arte può conferire senso alla narrazione storica.

Nietzsche  considera significativa l’arte quando è frutto di energia spirituale. In “ La nascita della tragedia”, a proposito dell’arte senza valore egli cita un proverbio indiano: “Rosicchiare un corno di vacca è inutile e accorcia la vita: ci si logora i denti e non se ne ricava alcun sugo”.

Propedeutica  all’arte statunitense è la filosofia di William James e John Dewey  il cui pragmatismo è l’esatto opposto dell’immaginazione che ha caratterizzato l’arte a partire dai greci.

Come viene  trattata l’arte nella filosofia e nella critica d’arte USA costituisce la rinuncia anche al concetto di creatività, a cominciare da ciò che definisce l’epistemologia artistica.

L’artista non eccederebbe in soggettivismo se solo riflettesse sul fatto che nessuno può vedere  se stesso, addirittura l’umanità, come se fosse un soggetto libero da determinate condizioni psicologiche, storiche, esistenziali.

Ernst Mach vede il problema dell’arte come un’azione che  trasformala la realtà nel momento in cui la rappresenta.il settimo sigillo - 500

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