La dedica di Nietzsche di “Così parlò Zarathustra” , “Per tutti e per nessuno” è, secondo Herbert Marcuse, applicabile anche all’unità dell’arte. Forse dovremmo aggiornare le affermazioni di Marcuse in ragione dello snaturamento dell’arte e al progressivo inaridimento creativo sostituito dal massiccio ricorso agli ausili tecnici. La critica, che non fa il suo mestiere, ricorre a procedimenti assiologici, estranei alla ortodossia ed epistemologia dell’arte. Al termine dell’Introduzione alla “Per la critica dell’economia politica”, Marx afferma: “Ancora oggi l’arte dell’antica Grecia esercita su di noi un grande fascino”. Questa affermazione, ha lasciato perplessi molti intellettuali “progressisti”. La modernità raramente affronta i problemi di cultura, ma pone attenzione alla tecnica. I problemi che non sa chiarire preferisce archiviarli. L’ontologia dell’arte è in carattere con la realtà produttiva di tipo fordista, non più in uso nelle fabbriche. L’arte rientra a tutti gli effetti nella generalizzata produzione di merci. E’ stata applicata in modo estremo l’affermazione di Walter Benjamin sulla perdita di aurea dell’arte come conseguenza della produzione seriale. Perché le attuali produzioni non possono rientrare nella categoria ontologica dell’arte? Semplicemente perché, a differenza della scienza che deve protocollare ogni nuova scoperta in modo da rendere possibile l’attuazione ad altri scienziati dello stesso procedimento, l’arte è per definizione non codificabile. Anche quando la stessa opera viene ripetuta, non è mai esattamente uguale alla precedente. Salvo i casi dell’arte seriale, serigrafie, incisioni ecc. Ma in quel caso, è scontato che l’opera riprodotta abbia un valore inferiore all’originale. A parte il fatto che anche per realizzare incisioni e serigrafie è necessario saper creare un modello originale, oltre a conoscere la tecnica di riproduzione, salvo il caso, in cui, come faceva Warhol, si riproduca una riproduzione fotografica. La gran parte delle opere dell’arte contemporanea, specie se di grandi dimensioni , non vengono realizzate dall’artista, ma da tecnici i quali adottano procedimenti in cui sono coinvolti fonderie, tecnici elettronici ecc. L’artista si limita ad offrire un’idea e si esime dalla realizzazione. Il taylorismo produttivo consente una grande produzione e giustifica i cospicui investimenti in pubblicità & marketing che sono la cifra dell’arte contemporanea. E’ successo qualcosa di simile, come denuncia Matthew Arnold: con l’avvento della industria culturale, nata per promuovere la cultura di massa e naufragata nel crollo esponenziale del livello culturale generale. Il mercato dell’arte può permettersi oggi di assoldare intellettuali più o meno noti per pubblicizzare fiere ed eventi, tentando per questa via di conservare una pallida impronta culturale a una produzione artistica che con la cultura ha lo stesso proverbiale rapporto del diavolo con l’acqua santa. 
Considerazioni sull'arte







La pubblicità redazionale deve essere semplice e incisiva. Forse per questo Maurizio Ferraris non divaga con citazioni ai molti colleghi che hanno affrontato il tema della percezione. Così invece di richiamarsi al filosofo Joseph Campbell, preferisce richiamarsi alla zuppa Campbell. La pericolosità sociale dei filosofi deriva dalla loro capacità dialettica ed un abile uso del linguaggio. Verrebbe quasi da dire: per fortuna i lettori sono sempre meno numerosi. Credo che appartenga ai filosofi il primato quantitativo dei “tuttologi”. Ferraris infatti è docente di filosofia teoretica , ma i suoi interventi sono spesso di segno opposto a quella che è la definizione di “filosofia teoretica”. Non è la prima volta che mi tocca leggere teorizzazioni piuttosto strapalate del nostro, ma fino ad ora non aveva raggiunto il vertice dell’articolo pubblicato su Domenica, inserto culturale del Sole24Ore. Il titolo dell’articolo è di quelli che fino a pochi anni fa avrebbe fatto sobbalzare: “La grande bellezza delle scatole Brillo Box”. L’oggetto non la questione ontologica, qunati piuttosto il contenuto culturale della comunicazione. E’ vero che oOggi non ci si stupisce più di nulla, quindi anche dell’accostamento dell’opera di Warhol al famoso film sulle bellezze di Roma non sorprende più di tanto. Neppure sorprende che Ferraris definisca “filosofo autorevole” Arthur Danto, forse un favore tra colleghi. Sicuramente non può non destare preoccupazione che simili docenti insegnino nelle nostre Università ed usino il loro sapere per esaltare un fortunato grafico statunitense prestato all’arte con enorme successo commerciale grazie al supporto della critica che, come non mi stanco di sottolineare, è sempre più spesso megafono del mercato. Nel 2007 l’Università di Torino ha conferito a Danto la laurea Honoris causa. Un fatto che richiederebbe seria riflessione. Scrive il nostro docente: “ …E se le dimensioni della Brillo Box e della Zuppa di pomodoro Campbell’s appaiono troppo modeste , si provvede, per l’appunto a magnificarle, ossia, dicevo, a farle diventare più grandi, affinchè chi guarda possa capire quanto contano, e a capire lo splendore del mondo che rappresentano”. Se scrivere simili scempiaggini fosse un paziente di Foucault non desterebbe sorpresa, ma se è un docente universitario, allora ogni preoccupazione è legittima. Certo Ferraris si trova in una folta compagnia di aedi di Warhol, Achille Bonito Oliva arrivò a paragonare Warhol a Leonardo da Vinci. Sarebbe interessante esaminare le ragioni del successo di Warhol che gli ha permesso di contribuire, insieme a molti altri, a rendere l’arte quel guazzabuglio di oggetti insignificanti che oggi è. Vale la pena di notare che i ritratti serigrafici di Warhol sono tutti di personaggi famosi del mondo USA, con spiccata preferenza per il mondo newyorchese e gay, a cui si aggiunge la sua esaltazione del consumismo che Ferraris esalta in modo smodato. Esaltarlo come fa Ferraris lascia esterrefatti. Di fronte a tali manifestazioni di imbecillità accademica non resta certo molta speranza in un futuro migliore. 







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