Post by Category : arte e cultura

L’arte tayloristica.  0

La dedica di Nietzsche di “Così parlò Zarathustra” , “Per tutti e per nessuno” è, secondo Herbert Marcuse, applicabile anche all’unità dell’arte. Forse dovremmo aggiornare le affermazioni di Marcuse in ragione dello snaturamento dell’arte e al progressivo inaridimento creativo sostituito dal massiccio ricorso agli ausili tecnici. La critica, che non fa il suo mestiere, ricorre a procedimenti assiologici, estranei alla ortodossia ed epistemologia dell’arte. Al termine dell’Introduzione alla “Per la critica dell’economia politica”, Marx afferma: “Ancora oggi l’arte dell’antica Grecia esercita su di noi un grande fascino”. Questa affermazione, ha lasciato perplessi molti intellettuali “progressisti”. La modernità raramente affronta i problemi di cultura, ma pone attenzione alla tecnica. I problemi che non sa chiarire preferisce archiviarli. L’ontologia dell’arte è in carattere con la realtà produttiva di tipo fordista, non più in uso nelle fabbriche. L’arte rientra a tutti gli effetti nella generalizzata produzione di merci. E’ stata applicata in modo estremo l’affermazione di Walter Benjamin sulla perdita di aurea dell’arte come conseguenza della produzione seriale. Perché le attuali produzioni non possono rientrare nella categoria ontologica dell’arte? Semplicemente perché, a differenza della scienza che deve protocollare ogni nuova scoperta in modo da rendere possibile l’attuazione ad altri scienziati dello stesso procedimento, l’arte è per definizione non codificabile. Anche quando la stessa opera viene ripetuta, non è mai esattamente uguale alla precedente. Salvo i casi dell’arte seriale, serigrafie, incisioni ecc. Ma in quel caso, è scontato che l’opera riprodotta abbia un valore inferiore all’originale. A parte il fatto che anche per realizzare incisioni e serigrafie è necessario saper creare un modello originale, oltre a conoscere la tecnica di riproduzione, salvo il caso, in cui, come faceva Warhol, si riproduca una riproduzione fotografica. La gran parte delle opere dell’arte contemporanea, specie se di grandi dimensioni , non vengono realizzate dall’artista, ma da tecnici i quali adottano procedimenti in cui sono coinvolti fonderie, tecnici elettronici ecc. L’artista si limita ad offrire un’idea e si esime dalla realizzazione. Il taylorismo produttivo consente una grande produzione e giustifica i cospicui investimenti in pubblicità & marketing che sono la cifra dell’arte contemporanea. E’ successo qualcosa di simile, come denuncia Matthew Arnold: con l’avvento della industria culturale, nata per promuovere la cultura di massa e naufragata nel crollo esponenziale del livello culturale generale. Il mercato dell’arte può permettersi oggi di assoldare intellettuali più o meno noti per pubblicizzare fiere ed eventi, tentando per questa via di conservare una pallida impronta culturale a una produzione artistica che con la cultura ha lo stesso proverbiale rapporto del diavolo con l’acqua santa. Diana-Arbus-20

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Nuovi approcci all’arte.  0

Domenica 15 gennaio 2017, Lettura, l’inserto culturale del Corriere della Sera, ha pubblicato una specie di forum tra direttori delle tre principali fiere dell’arte italiane. Due sono donne. Tutti hanno ricchi curricula in campo accademico e incarichi nelle istituzioni artistiche. Dunque, persone come si dice, qualificate. Sorge spontanea una domanda: qualificate per cosa? Forse semplicemente a svolgere il compito che svolgono abitualmente nei loro interventi sui media, vale a dire fungere da cassa di risonanza per il mercato? I curricula servono a dare un’impronta culturale alle fiere dell’arte? Ma non è solo questo. A destare preoccupazione, per chi ama l’arte, è la mentalità di questi “esperti”. Voglio citare un brano in cui, Ilaria Bonacossa, la direttrice di Artissima, esprime il suo pensiero: “ Gli artisti italiani hanno un rapporto, come dire, paralizzato con la classicità. Qualsiasi che abbia, che so, fatto l’accademia, è tenuto a conoscerla. Ho studiato negli Stati Uniti, dove gli studenti finiscono invece per conoscere la storia dell’arte a spot, seguendo un corso sul Rinascimento un altro sul Settecento mentre manca quello che c’è nel mezzo. Questo però da loro la possibilità di un approccio molto più libero, appropriandosi della storia dell’arte, specie di quella del dopoguerra, in modo decisamente più personale, informale. Può essere limitante, si possono prendere cantonate assolute, ma c’è più libertà nell’acquisizione della storia dell’arte, perché non è necessario sapere che prima di Botticelli c’è stato Giotto”. Mi scuso per questa lunga citazione che ritengo utile, a parte la prosa della “direttrice” un po’ così, per capire la mentalità di chi in qualche misura influisce su produzione e consumo dell’arte. In breve per la Bonacossa, non solo non è necessario studiare a fondo il nostro straordinario patrimonio culturale, ma il farlo diventa una sorta di handicap che ci svantaggia di fronte all’ignoranza degli studenti statunitensi. E’ a persone di questo genere che le istituzione affidano la direzione di Enti per l’arte. Traspare una sorta di servilismo culturale purtroppo molto diffuso tra i nostri intellettuali, nonostante la perdita totale di credibilità degli USA dopo le politiche criminali di questi ultimi decenni, continuano a vedere negli Stati Uniti un faro di democrazia, civiltà e cultura. Se a questo si aggiunge l’impronta femminista di matrice USA, abbiamo la cartina di tornasole per valutare le scelte delle “nuove” critiche d’arte”., ormai larga maggioranza. More solito, è sottinteso che la libertà è più importante della conoscenza. Durante i miei corsi alla Pepperdine University a Malibù, CA, ho avuto impressioni diametralmente opposte a quella di Bonacossa. Gli studenti vorrebbero essere guidati alla conoscenza, sono interessati a conoscere a “fondo”, non per spot, la storia dell’arte che in larga misura coincide con la storia del nostro paese. Purtroppo in USA, e non solo, prevalgono soggetti come Arthur C. Danto e George Dickie, seguiti pedissequamente dalla critica europea e da queste nuove leve ai vertici delle istituzioni dell’arte. Il mercato dell’arte è esploso perché la finanza statunitense ha intravisto la possibilità di speculazioni milionarie. Dopo che la merda è diventata oggetto d’arte era inevitabile l’archiviazione del detto:”Il denaro è lo sterco del diavolo” . Dunque, la strada è tracciata. Il percorso produzione – consumo ha il pieno avvallo di chi domina il mondo dell’arte. aaaaaaaaaa-CXON-QUESTO-SEGNO-VINCERIAI

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Il corpo e il pensiero.  0

Siamo giunti al punto in cui è forse necessario un vero e proprio riposizionamento culturale. La cultura umanistica, anche quando non è accantonata del tutto, è comunque vista come una forma inutile di snobismo culturale, una forma di sapere che non serve alla produzione. La scuola deve preparare al lavoro. Questo è il leitmotiv trasmesso dai media. Il valore della vita umana non può, o non dovrebbe, essere orientato solo alla produzione. Anche l’arte è da tempo entrata in un circuito di produzione-mercato. Le risorse culturali che migliorano la nostra umanità vengono orientate in senso ideologicamente impuro. La cultura ha una posizione ancillare rispetto al mainstreem corrente. La letteratura non è più, come diceva Roland Barthes, “la ricerca della parola giusta”, ma piuttosto la ricerca dell’espediente che suscita curiosità, appare provocatorio. Non conta la forma ma il contenuto. La letteratura ha rinunciato al ruolo di orientamento scegliendo di seguire il pensiero unico, dandone un’interpretazione che trovi il consenso delle masse. L’etica è sicuramente estranea all’orientamento sociale generalizzato. Ne abbiamo conferma ogni volta che accendiamo la tv, apriamo un giornale, seguiamo un network. Vi è l’esibizione di un narcisismo pervasivo. Si discute da tempo sulla funzione del web, se renda stupidi o semplicemente amplifichi la stupidità. Quello di cui non si parla è la ragione per la quale sul web le ragazzine e le loro madri sentano la necessità di esibire la propria anatomia e gli organi genitali, molto più dei maschi. E’ possibile, come scriveva Nietzsche: “ Il ripetersi di esperienze di soli corpi , ci distoglie dal pensiero”. Vi è inoltre la paura della solitudine, incapacità di vivere davvero in modo autonomo la propria vita e quindi, come scrive Nietzsche:” Troppo frettoloso è il solitario nel tendere la mano a colui che incontra”. Anche nell’arte vale lo stesso concetto. Un personaggio come Picasso, che pure era immerso nella mondanità, arrivava a dire:” Senza grande solitudine nessun serio lavoro è possibile”. Ma c’è ancora qualcuno che apprezza un “serio lavoro” nell’arte, nella letteratura, nel teatro? Aggressività e competizione sono la cifra della nostra società priva di riferimenti etici, ma soprattutto priva di pace. Henry James il 28 ottobre 1895 annotò nei suo taccuino un breve incontro con Mrs Procter è l’affermazione di questi:” Nulla è più appagante che stare in compagnia di un libro” . I tempi sono cambiati e i libri pure, ma esistono pur sempre i classici che la maggior parte dei giovani non ha letto, Moby Dick. La commedia umana di Balzac. La vita e le opinioni di Tristram Shandy Gentiluomo. Di Laurence Sterne e un gran numero di altri libri a cui vale la pena di dedicare un po’ di tempo sottraendolo eventualmente a quello speso su network. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaS

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In forma di parole  0

Mentre l’arte, cosiddetta bella, divaga un forme improbabili, come i pensieri di chi la genera,ricorrendo sempre più spesso alla tecnica, la poesia e la letteratura attraverso le parole dovrebbe creare immagini destinate ad essere scolpite dentro di noi. Oggi questo è sempre meno vero La cultura contemporanea è sterile, vacua, tanto compiaciuta di se stessa da ignorare la torbida decadenza che infetta l’intera società. L’arte da parte sua deflagra in fantasiose insensatezze,raccogliticci reperti della società industriale presentati sotto forma di ready made come oggetti d’arte. Le parole sono puzzle che compongono immagini. Fino a quando? C’è il rischio che un paranoico tecnologizzato crei un robot in grado di sfornare romanzi. Come scrive Eliot:”… sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno/ avrebbe bisogno di essere buono..” . “ Chiamatemi Ismaele..”E’’ l’incipit di Moby Dick, il capolavoro di Herman Melville, resta nella memoria di chi ha assimilato il pensiero di un confronto dell’uomo con il cetaceo, simbolo demoniaco, con il quale dobbiamo confrontarci, anche se la nostra inconsapevolezza ci distrae Non serve la vista, ne sfoggiare immagini al museo per ottenere l’accredito nel mondo della cultura e dell’arte. Dovrebbe essere sufficiente la memoria per consentirci di riprendere il filo di riflessioni che ci riportano alle figure simboliche di esistenze create per metterci di fronte a noi stessi. La mitica figura del capitano Achab, preso dalle propria ossessione, è una traccia importante, uno specchio opaco di esistenza spesa in inutili giochi . “La città di Sofronia si compone di due mezze città” E’ l’inizio del quarto capitalo de “Le città invisibili” di Italo Calvino. Nomen omen, il rigore di colui che aveva l’assillo del rigore ha lasciato forse un erede. Il 6 giugno del 1984 Italo Calvino fu invitato dall’Università di Harvard a tenere lezioni alla Charles Eliot Norton Poetry Lectures. La morte lo colse prima che potesse adempiere l’impegno. Resta il libro “Lezioni americane” – Sei proposte per il prossimo millennio”. In esso vi è tutto il rigore di una mente creativa che cerca risposte. Quando troveranno un approdo i pensieri positivi, sani, capaci di aiutarci a dare un senso alle nostre vite? Magritte Castello dei Pireni

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Memoria  0

Siamo in tempi in cui sono finiti i grandi sogni. Come dice Imre Kertész:” addormentarsi è inutile svegliarsi è superfluo”. Vi è un grande abisso tra la realtà naturale è il pensiero. Dove mai troveremo un uomo giusto? A Sodoma era rimasto Lot, l’unico giusto. Oggi chi salveremmo in questo pianeta in disfacimento ? Un dipinto di Corot rappresenta la distruzione di Sodoma. Un immagine fatale di abbandono. Non sono pensieri con i quali iniziare il giorno mentre guardo dalla finestra del mio studio. La fitta nebbia è una coltre che nasconde ciò che non voglio vedere, così un’inutile memoria vorrei fosse cancellata da una felice smemoratezza. Il linguaggio è strumento di menzogna, lo usiamo anche per ingannare noi stessi. Cosa significa l’espressione: mi guardo in dentro? L’occhio è pragmatico. Vede solo il presente. L’occhio della mente è daltonico. Colora i ricordi grigi. Mi sono sempre chiesto le ragioni che spingono a scrivere biografie. Leggere la vita degli altri non arricchisce la propria. La vita è una corsa ad ostacoli. Siamo come levrieri in un cinodromo che è il mondo. La finta lepre è il futuro che immaginiamo sempre migliore del presente. Ci portiamo dietro il corpo con sempre maggiore fatica. Pensieri e sensazioni sfuggono. I vecchi ai quali la vita ha consentito di maturare senza diventare troppo bacati, guardano con commiserazione le vuote frenesie delle nuove generazioni . Assorte in quella che credono vita, commettono gli stessi errori. I più hanno una vita virtuale, avranno ricordi virtuali, numerosi , fatui, inutili come i loro numerosi e frammentati amori. Ogni vero ricordo è cenere che ancora brucia nelle ossa. I poeti sono forse i soli ad avere capito il senso degli inutili tentativi che chiamiamo vita. “Passarono anni brevi come giorni”. Durante i quali raramente abbiamo saputo orientare la nostra esistenza. “Passi echeggiano nella memoria, in quel corridoio che non percorremmo, verso quella porta che non aprimmo mai” Il mestiere di vivere s’impara quando ormai non serve più. Se è vera l’affermazione di Goethe: “ nulla è più prezioso di un ricordo”. È vero che il ricordo non lo utilizzi fino a quando sei assorto nella vita. Chi ha tanta vita ha pochi ricordi. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaanewsletter

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Memoria e poesia.  0

Siamo in  tempi  in cui sono finiti i grandi sogni. Come dice Imre Kertész:” addormentarsi è inutile svegliarsi è superfluo”. Vi è un grande abisso tra la realtà naturale è il pensiero. Dove mai troveremo un uomo giusto? A Sodoma  era rimasto Lot, l’unico giusto. Oggi chi salveremmo in questo pianeta in disfacimento ? Un dipinto di Corot rappresenta la distruzione di Sodoma. Un immagine  fatale di abbandono. Non sono pensieri con i quali iniziare il giorno mentre guardo dalla finestra del mio studio. La fitta nebbia  è una coltre che nasconde ciò che non voglio vedere, così  un’inutile memoria vorrei fosse cancellata  da una felice smemoratezza. Il linguaggio è strumento di menzogna, lo usiamo anche per ingannare noi stessi. Cosa significa l’espressione: mi guardo in dentro?  L’occhio è pragmatico. Vede solo il presente. L’occhio della mente è daltonico. Colora i ricordi grigi. Mi sono sempre chiesto le ragioni che spingono a scrivere biografie. Leggere la vita degli altri non arricchisce la propria. La vita è una corsa ad ostacoli. Siamo come levrieri in un cinodromo che è il mondo. La finta lepre è il futuro che immaginiamo sempre migliore del presente. Ci portiamo dietro il corpo con sempre maggiore fatica. Pensieri e sensazioni sfuggono. I vecchi ai quali la vita ha consentito di maturare senza diventare troppo bacati, guardano con commiserazione le vuote frenesie delle nuove generazioni . Assorte in quella che credono vita, commettono  gli stessi errori. I più hanno una vita virtuale, avranno ricordi virtuali, numerosi , fatui, inutili  come i loro numerosi e frammentati amori. Ogni vero ricordo è cenere che ancora brucia  nelle ossa. I poeti  sono forse i soli ad avere capito il senso degli inutili tentativi che chiamiamo vita. “Passarono anni brevi come giorni”. Durante i quali raramente abbiamo saputo orientare la nostra esistenza. “Passi echeggiano nella memoria, in quel corridoio che non percorremmo, verso quella porta che non aprimmo mai” Il mestiere di vivere s’impara quando ormai non serve più. Se è vera l’affermazione di Goethe: “ nulla è più prezioso di un ricordo”. È vero che il ricordo non lo utilizzi fino a quando sei assorto nella vita. Chi ha tanta vita ha pochi ricordi.     aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaanewsletter

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Socrate e Capo Piumato  0

Da bambini, quando facevamo una marachella e venivamo ripresi dai nostri genitori, di solito adottavamo una delle seguenti linee di difesa. Negare tutto. Dare la colpa ad altri. Sostenere: lo fanno tutti. Questo resta per tutta la vita il leitmotiv del nostro comportamento. Ovviamente varia il livello e il campo: privato, culturale, politico. La sostanza però è la stessa, è difficile fare i conti con noi stessi. Questo vale a livello individuale come nel collettivo. Il male è sempre l’altro, è fuori di noi. Nella nostra era c’è stato un passaggio significativo, la giustificazione non è più necessaria. L’omologazione ha normalizzato ogni genere di comportamento per quanto trasgressivo. L’omologazione non richiede plausibilità, basta il richiamo al diritto di libertà. Fedone narra che i socratici vennero a contatto con Zopiro, affermava di saper capire il carattere di una persona osservando i tratti del volto. Gli presentarono il ritratto di Socrate, Zopiro non esitò a definire l’uomo del ritratto libidinoso, stupido e forse pederasta, suscitando l’indignazione dei socratici. Nonostante la contestazione, Zopiro insiste nel sostenere la sua diagnosi e chiede di incontrare personalmente Socrate. L’incontro avviene, egli immediatamente conferma le proprie affermazioni. Suscitando la collera dei discepoli di Socrate il quale invita alla calma e prende la parola per confermare che la diagnosi di Zopiro è corretta. Sono effettivamente il tipo di uomo che ha detto costui, afferma Socrate, ma mi controllo e cerco di fare emergere la mia parte migliore. Ecco dunque che Socrate, con umiltà, ammette quale è la sua vera natura. Quanti di noi avrebbero lo stesso coraggio e umiltà? La cultura non corregge i nostri difetti, e non elimina i nostri vizi, al più ci fornisce gli strumenti per giustificare gli uni e gli altri, ci lascia coltivare l’illusione di essere migliori. Per definizione l’illusione è cosa effimera, presto ci ritroviamo a fare i conti con noi stessi. In un racconto di Nathaniel Hawthorne, dal titolo “Capo Piumato” , una strega costruisce uno spaventapasseri con una piuma sul capo. Soddisfatta del proprio lavoro decide di animare il fantoccio e renderlo grazioso. Capo Piumato se ne va in giro soddisfatto fino a che non incontra l’avvenente Polly Gookin di cui si innamora. Hawthorne si dilunga in dettagli e descrizioni che qui non abbiamo modo di riportare, andiamo dunque alla conclusione. Un giorno Capo Piumato si trova nel salotto di Polly dove c’è uno specchio, si avvicina allo specchio e spinto da vanità invita la ragazza ad ammiralo, Polly volge gli occhi allo specchio e lancia un urlo, nello specchio appare un orribile spaventapasseri. A Capo Piumato non resta che fuggire, tornare a casa della strega la quale prende atto della situazione, smonta Capo Piumato in modo che di lui non resta che un mucchietto di stracci e legno. Morale della favola: se ci vedessimo davvero come siamo, forse non saremmo così orgogliosi di noi stessi. Quello che noi vediamo degli altri e di noi stessi è l’involucro, il contenuto ci è ignoto. Possiamo continuare ad accontentarci dell’apparenza, nella speranza che non ci sia uno Zopiro che ci riveli ciò che veramente siamo. parigi-di-sera-500

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Verificabilità delle asserzioni.  1

La filosofia, più in generale la storia del pensiero, è quasi interamente basata su apodismi. La fragilità della ragione umana fa si che non ci sia quasi nessun testo di filosofia, in particolare filosofia della mente e della percezione, che non si basi su ipotesi non verificabili. Intorno al 1981 Hilary Putnam ha pubblicato un libro “Ragione, verità e storia” nel quale ha elaborato la teoria del “Cervello in una vasca” . Dopo di allora questa ipotesi è stata utilizzata da non pochi filosofi, tra quali Searly. La teoria non è stata ovviamente mai tradotta in esperimento ed è rimasta a livello di ipotesi. Spesso è utilizzata per elaborare altre teorie come in “Vedere le cose come sono” di John R. Searle, pubblicato nel 2016, anche Maurizio Ferraris nel suo recente “Emergenza” non manca di citare l’esperimento del cervello in una vasca. Avanzo un’ ipotesi; supponiamo che un alieno arrivi sulla terra da un pianeta lontano, siamo sicuri che anche per lui sarebbe corretta l’operazione 2 + 2 = 4? La scienza procede mediante la graduale lettura delle leggi della natura. Il procedimento avviene tramite l’accumulo di esperienza e studio all’interno di una epistemologia codificata. Gli artisti hanno, per così dire, ribaltato il tavolo,forse consapevoli di non avere la capacità di competere con i grandi maestri del passato. Così hanno buttato alle ortiche secoli di cultura e ci hanno propinato le brutture che oggi vanno per la maggiore. Sembra che, mutatis mutandis, anche i nuovi filosofi intendono seguire la stessa strada. Negano la validità epistemologica di secoli di filosofia. Due esempi sono i due testi di Searle e Ferraris citati. Il metodo non vale per la scienza. Quando nel 1975 Paul K. Feyeravend pubblicò “Contro il metodo” – Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza- , ottenne più critiche che seguaci. Marcello Pera rispose nel 1982 con “Apologia del metodo”. L’ambito in cui più di ogni altro settore vi è stato un accanimento paralogistico, è stata la filosofia dell’arte, soprattutto di matrice statunitense. Wittgenstein sosteneva che i problemi filosofici sorgono quando fraintendiamo la logica del nostro linguaggio. Il linguaggio dell’arte non solo è stato frainteso, ma è stato manomesso da apprendisti stregoni. Certe teorie hanno preso corpo in un momento storico in cui gli artisti, più che applicarsi a creare opere d’arte, erano assorti nella idiotofilia, atteggiamento ben espresso nello slogan “ épater les bourgeois” adottato da una folta schiera di nipotini di Duchamp. Ernst H. Gombrich in molti suoi scritti, rileva come le nuove tendenze, a partire dai DADA, esprimono soprattutto una furia che scaturisce dalla consapevolezza di sterilità creativa per supplire alla quale si è fatto ricorso all’inseminazione artificiale della pseudo cultura statunitense. Ferraris usa il sostantivo femminile “emergenza” nel senso di emergere. Uso totalmente legittimo, che però si traduce nella forma di nuovo pragmatismo che egli definisce documentale. Ed è esattamente il nodo cruciale della realtà contemporanea. Siamo sommersi da informazioni e documentazioni sul nulla con riverberi culturali di non poco conto. Avrà pure un significato il fatto che alle battute d’asta si arriva a vedere per cifre folli le mutande di Madonna. Anche se si può star certi che tutto sarà documentato, ci saranno certificati di autenticità, note di transazioni finanziare, cataloghi. Possiamo dunque star tranquilli? Ferraris ci rassicuri, per favore. fragile

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Mercato filosofico  0

robertmapplethorpe75La pubblicità redazionale deve essere semplice e incisiva. Forse per questo Maurizio Ferraris non divaga con citazioni ai molti colleghi che hanno affrontato il tema della percezione. Così invece di richiamarsi al filosofo Joseph Campbell, preferisce richiamarsi alla zuppa Campbell. La pericolosità sociale dei filosofi deriva dalla loro capacità dialettica ed un abile uso del linguaggio. Verrebbe quasi da dire: per fortuna i lettori sono sempre meno numerosi. Credo che appartenga ai filosofi il primato quantitativo dei “tuttologi”. Ferraris infatti è docente di filosofia teoretica , ma i suoi interventi sono spesso di segno opposto a quella che è la definizione di “filosofia teoretica”. Non è la prima volta che mi tocca leggere teorizzazioni piuttosto strapalate del nostro, ma fino ad ora non aveva raggiunto il vertice dell’articolo pubblicato su Domenica, inserto culturale del Sole24Ore. Il titolo dell’articolo è di quelli che fino a pochi anni fa avrebbe fatto sobbalzare: “La grande bellezza delle scatole Brillo Box”. L’oggetto non la questione ontologica, qunati piuttosto il contenuto culturale della comunicazione. E’ vero che oOggi non ci si stupisce più di nulla, quindi anche dell’accostamento dell’opera di Warhol al famoso film sulle bellezze di Roma non sorprende più di tanto. Neppure sorprende che Ferraris definisca “filosofo autorevole” Arthur Danto, forse un favore tra colleghi. Sicuramente non può non destare preoccupazione che simili docenti insegnino nelle nostre Università ed usino il loro sapere per esaltare un fortunato grafico statunitense prestato all’arte con enorme successo commerciale grazie al supporto della critica che, come non mi stanco di sottolineare, è sempre più spesso megafono del mercato. Nel 2007 l’Università di Torino ha conferito a Danto la laurea Honoris causa. Un fatto che richiederebbe seria riflessione. Scrive il nostro docente: “ …E se le dimensioni della Brillo Box e della Zuppa di pomodoro Campbell’s appaiono troppo modeste , si provvede, per l’appunto a magnificarle, ossia, dicevo, a farle diventare più grandi, affinchè chi guarda possa capire quanto contano, e a capire lo splendore del mondo che rappresentano”. Se scrivere simili scempiaggini fosse un paziente di Foucault non desterebbe sorpresa, ma se è un docente universitario, allora ogni preoccupazione è legittima. Certo Ferraris si trova in una folta compagnia di aedi di Warhol, Achille Bonito Oliva arrivò a paragonare Warhol a Leonardo da Vinci. Sarebbe interessante esaminare le ragioni del successo di Warhol che gli ha permesso di contribuire, insieme a molti altri, a rendere l’arte quel guazzabuglio di oggetti insignificanti che oggi è. Vale la pena di notare che i ritratti serigrafici di Warhol sono tutti di personaggi famosi del mondo USA, con spiccata preferenza per il mondo newyorchese e gay, a cui si aggiunge la sua esaltazione del consumismo che Ferraris esalta in modo smodato. Esaltarlo come fa Ferraris lascia esterrefatti. Di fronte a tali manifestazioni di imbecillità accademica non resta certo molta speranza in un futuro migliore.

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Natura innaturale.  1

Sono sempre più numerosi gli artisti che hanno rinunciato all’arte a favore della tecnologia. Mentre Bill Viola reinterpretava in chiave tecnologica la pittura classica, operazione discutibile ma ancora nell’alveo di un’ idea d’arte, sia pure dilatata, molti artisti hanno semplicemente declinato scienza e tecnologia in chiave artistica. Vi è quindi un radicale mutamento epistemologico nella produzione artistica. Le stesse modalità di produzione delle opere, trasformano l’artista in imprenditore che usa non solo strumenti tecnologici, ma anche forza lavoro retribuita, la cui attività contribuisce a creare plusvalore dell’opera realizzata secondo questi metodi. Vi è un nesso inscindibile, concettualmente, fra la teoria del feticismo e la forma di valore che l’arte-merce assume quando le modalità di produzione includono rapporti capitalistici. L’artista, con il sistema sopra indicato, realizza forme d’arte il cui costo deriva dal plusvalore prodotto da manodopera salariata. Ovviamente la critica non si sofferma sul sistema di produzione che ha più protagonisti, ma solo sul risultato che ha un unico titolare. Pensiamo alle opere dell’artista danese Olafur Eliasson che crea mastodontiche installazioni tecniche. La mostra “Surroundings surrounded” , realizzata in collaborazione con Peter Weibel nel 2001 al Zentrum fur Kust und Medientechnologie di Karlrube. Già dal titolo emerge in modo inequivocabile l’impronta costruttivistica. Fenomeni naturali ripetuti e interpretati grazie alla scienza e alla tecnica. Eliasson realizza nel 1994 la cascata artificiale diventata famosa. C’è l’installazione del vento intitolata “Your Windless Arrangement” del 1997 di proprietà del museo di Malmò. L’installazione è costituita da sedici ventilatori coordinati tra loro. Neanche il vento è risparmiato da diventare oggetto di esposizione grazie al pragmatismo tecnologico dilagante, soprattutto nei paesi anglosassoni e in USA. Ecco dunque che il fantasma tante volte esorcizzato di valore d’uso e valore di scambio appare sotto specie artistica senza che la critica, ormai completamente prona al mercato, sollevi questioni di ordine epistemologico ed ontologico. E’ del tutto ignorato l’aspetto che riguarda la legittimità dello sfruttamento di manodopera esclusa dai frutti del plusvalore che contribuisce a creare. Questo aspetto è importante perché certifica, al di là di ogni dubbio, come l’arte sia null’altro che merce, prodotta con gli stessi criteri con cui vengono create tutte le altre merci. Di questo passo gli artisti occidentali faranno produrre le loro opere da manodopera dei paesi poveri, limitandosi a porre in calce la loro firma-logo. Vi sono una pluralità di aspetti che confermano come l’arte, dopo aver perso la propria collocazione di paradigma sociale, abbandonato ogni contenuto gnoseologico, rinunciato a presupposti ideologici, si ponga sullo stesso piano dei bulbi di tulipani nell’Olanda del 17esimo secolo. A quando il crollo? aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaElianson

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