Max Weber nei suoi testi di sociologia usa con frequenza l’espressione: razionalità. Egli ritiene che la razionalità consenta di raggiungere il disincanto dal mondo. Forse non c’è mai stato il disincanto dal mondo, se non per pochi anacoreti, quello che Weber definisce disincanto non è che una forma di cinismo o rassegnazione delle masse soggette alla suggestione dell’informazione e cultura al servizio delle èlite borghesi oggi dominanti, che hanno interesse a far apparire il mondo gradevole dispensatore di merci e piaceri.
In ogni caso la razionalità è neutra, come la logica, non attribuisce valore. Un assassino che con perfetta razionalità compia un delitto, non ha per questo conferisce positività al suo gesto.
E’ esattamente questo uno degli snodi che caratterizzano la civiltà contemporanea. Tecnologia e scienza sono frutto di razionalità neutra, indifferenti al valore morale.
La versione filosofica di questo diffuso comportamento ha uno dei suoi riferimenti nel cosiddetto pensiero debole.
L’arte non ha di per se un riferimento etico, questo non implica non possa avere, o dovrebbe avere, coscienza delle ricadute sociali che la sua suggestione crea e continuare a porsi la questione di qual è il significato e scopo dell’arte, problema mai risolto. Richiamarsi all’agnosticismo serve a paco e non costituisce risposta.
Analogo discorso vale per il significato della scienza, che non è mai, o quasi mai, messo in discussione perché l’operato della scienza trova giustificazione nel risultato pratico-utilitaristico, anche se non sono poche le scoperte inutili, quando non nocive.
Sicuramente la scienza costituisce una parte significativa della razionalizzazione intellettualistica dell’esperienza che accompagna il progressivo disincanto del mondo.
Naufragate le illusioni che tendevano raggiungere il fine della felicità a cui si sono dedicate molte scuole filosofiche.
La riflessione sulla felicità resta una componente di fondo della tradizione filosofica occidentale. Il paradosso, che mentre il problema della felicità nasce da una domanda socratica sulla virtù, nella pratica della società occidentale contemporanea si configura come l’opposto: la felicità è ricercata nel piacere, consumo, eccessi di ogni genere, tanto che la democrazia plutocratica americana ha incluso nella costituzione il diritto alla felicità
La risposta alla ricerca della felicità, che un tempo era affrontata dalla letteratura e dall’arte, non può certo essere affrontata dalla razionalità, tanto meno alla scienza. Siamo burattini dominati dal caso e dalla necessità. Tolstoj, come altri grandi intellettuali, era molto critico nei confronti della scienza e pensava, come Socrate, che la felicità fosse possibile tramite percorsi virtuosi, in accordo con Kant ed Hegel riteneva che la felicità abbia un contenuto affermativo solo negli impulsi a cui è affidata la decisione e il sentimento.
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