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Pseudo cultura di massa e superficialità.  0

L’età moderna registra il perpetuarsi di una decadenza che dura da Platone è pure capace di convincersi che la propria insipienza sia il superamento della tradizione. Ciò porta esperienze che sono il vivere la propria banale mediocrità ed accettare lo sgretolamento dei principi che hanno reso possibile il costituirsi della società civile.

Anche l’arte è asservita al consumo veleggiando all’interno di una cultura della superficialità e cecità riguardo al nucleo essenziale di ciò che costituisce la crescita umana, la inconsapevolezza di ciò che Nietzsche per la prima volta ha riconosciuto come nichilismo. Il nichilismo di Nietzsche è rimasto tutt’ora incompreso, soprattutto non ha portato alla meditazione. Se così non fosse non sarebbero sorte le avanguardie artistiche con l’avvallo di  una filosofia da rotocalco.

Nel vuoto, trova ampio spazio la tecnica , la quale si fonda epistemicamente sul sapere matematico in grado soggiogare la natura e dominarla. A ciò corrisponde al modo in cui si giunge al sapere e alla diffusione rapida e di massa di conoscenze mal comprese tra il maggior numero di persone possibile e nel più breve tempo possibile; la scolarizzazione che nella pratica odierna capovolge lo stesso significato del sapere. Tutto questo diventa inquietante  quanto meno è appare, quanto più facilmente diventa quotidianità.

Questa aridità culturale e mentale è perfetto terreno di coltura della emotività e di un piatto sentimentalismo privo di autenticità. Prende spazio il vissuto, l’accumulo di esperienze per colmare il vuoto che deriva dalla difficoltà di capire. L’Essere diventa preda della caccia di esperienze vissute.

Diceva Giovanni Scoto Eriugena:  “Non serve cercare nell’esperienza ciò che l’esperienza non ci può dare, ma cercare in noi stessi e portare alla consapevolezza dello spirito tutte le nostre virtualità”.  Un simile preposizione nella contemporaneità non ha significato ne senso.

L’arte contemporanea si affranca dall’esperienza di vita vissuta? Oppure cambia solo ciò che viene vissuto addirittura in modo tale che adesso il vivere diventa ancora più soggettivo? Il vissuto diviene l’indole tecnologica dell’impulso creativo stesso, il come del fare e dell’inventare  informale e le relative distonicità e vuotezza  del simbolo il quale rimane ancora metafisica del vissuto, dell’Io come unico, discontinuo riferimento, dal cui vuoto nascono gli incubi di esistenze infelici.

 

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Narcosi da consumo.  0

 

Secondo una tesi centrale del pensiero postmoderno, nella nostra società i segni non rimandano più a un significato, ma sempre e soltanto ad altri segni, noi nelle nostre analisi non cogliamo più qualcosa come significato, ma ci muoviamo lungo una catena infinita di significanti. Secondo questa tesi il segno, che Saussure poteva ancora descrivere come unità di significante e significato, sarebbe stato infranto. Si può osservare nella pittura a partire dalla fine degli anni settanta, messa a confronto con l’arte informale degli anni cinquanta e sessanta, un ritorno di segni che suggeriscono un significato, la cui particolarità consiste nel fatto che non si può in alcun modo attribuire loro un senso. Non è del tutto chiaro se al discorso sull’arte postmoderna corrispondano opere d’arte, stabilito che, come l’ombra non è l’ombra non è la cosa che3 riflette, così come la forma non è il significato.

Di fatto ci si trova di fronte al paradosso di dover tentare una ermeneutica su oggetti ai quali viene attribuito un “valore” ma a cui è pressoché impossibile attribuire un significato. Arnold Gehlen sostiene, non senza ragione, che la modernità artistica è entrata in una fase di “cristallizzazione” già prima della Grande Guerra, diventando incapace di rinnovamento. I movimenti d’avanguardia, con i loro plagi sfacciati e la loro provocatoria famigliarità, si pensi ai gesti pubblicitari dei dadaisti, hanno infranto anche i confini dell’arte d’intrattenimento, strettamente sorvegliati dalla modernità orientata alla centralità dell’opera. Essi hanno messo in discussione il concetto di necessità della forma, dominante fin da quando l’autonomia dell’arte venne istituzionalizzata. Essi si rivolgono all’allegoria, che conosce una forma non necessaria, puramente convenzionale. Ciò che oggi si cerca di definire con il concetto postmoderno, rischia di rivelarsi una dilatazione della problematica avanguardistica che ha di fatto rinunciato all’arte in favore della modernità.

Mettendo sempre di più l’arte di fronte alla propria infondatezza, la modernità ha eliminato l’elemento semantico come estraneo alla “purezza” dell’estetico, prima di rinunciare all’estetico considerandolo una camicia di Nesso per la libera creazione.. Tutto ciò è stato possibile in quanto il supporto del mercato ha di fatto permesso di coagularsi di gruppi per una produzione di oggetti destinati alla vendita, senza pleonastiche mediazioni culturali, se non nell’ottica di attribuzione di valore, con buona pace di Gorge Dickie. La nostra epoca vede il trionfo dell’edonismo effimero, quasi a consolazione per avere perso la speranza di  futuro ormai ritenuto  impossibile. Quello che non è avvenuto nei periodi bui della storia dell’occidente avviene oggi per effetto della narcosi da  consumo.beckley

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Fenomenologia dell’accadere.  0

L’arte è storia. La globalizzazione cancella la storia dei popoli, quindi cancella la loro arte, il loro modo di pensare l’arte.

Anche l’arte ha volte esprime  il culto della personalità, quando si fa riferimento al “genio”, si continua a muovere sul tracciato del moderno pensiero dell’io privo di coscienza, inglobante la materialità, senza mettere in questione la metafisica del corpo, accantonando sensibilità “anima”, spirito.

Il paradosso consiste nella celebrazione dell’artista, senza aver chiarito a cosa corrisponde la definizione del sostantivo arte, persistendo in un equivoco perenne. Sul tema esistono opinioni diverse. Dall’equivalenza di ogni opinione nasce la confusione dell’Occidente.

L’arte è un enigma, la filosofia invece di accampare la pretesa di risolvere l’enigma, dovrebbe quanto meno vederlo, accertarne la complessità. Secondo Heidegger la filosofia non può mai dimostrare le tesi, soprattutto perché non vi sono tesi assolute,

Nel momento in cui si affronta il tema dell’arte e degli artisti, la materia viene definita estetica. L’estetica considera l’opera d’arte come oggetto,considerando la percezione sensibile le modalità di approccio all’arte. in questo modo viene posta in secondo piano la gnosi ermeneutica. E’ stata questa  la premessa per il sorgere delle avanguardie.

Il mondo delle cose e il mondo dei significati, la corrispondenza del simbolo a cui l’arte tende, è il modo in cui la rappresentazione va oltre la forma,

Si continua a considerare immortali le opera d’arte. e l’arte come valore eterno, affidandosi ad  un uso generico del linguaggio,si  evita di guardare in dettaglio, perché si teme che l’attenta osservazione induca e pensare e ci ponga di fronte alla nostra incapacità di dare un senso a ciò di cui stiamo parlando. In questo modo si finisce a indurre l’artista a non pensare a ciò che sta facendo. Così galleggiano tra fatuo  e insignificante si avanza la pretesa di “ rompere gli schemi”  “ superare i pregiudizi” . In realtà si cancella  l’arte

L’arte può anche essere vista come la realtà  che la coscienza conferisce a se stessa. E’ qui che si radica il concetto di verità che l’arte dovrebbe esprimere. In assenza di coscienza ed etica la persona/artista naviga sulla superficie dell’esistenza e si disperde nella fenomenologia dell’accadere.pittura_encausto_01

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L’artista costruisce la realtà con le proprie mani.  0

Attraverso quale processo culturale, antropologico l’artista diventa ciò che è? Attraverso le sue opere? C’è il detto: l’opera loda il maestro. L’artista è origine dell’opera. L’opera è origine  dell’artista. Nessuno dei due è senza l’altro. Artista e opera ogni volta sono, in se stessi e nel loro rapporto reciproco , in virtù di un terzo elemento, che è il vero, il primo elemento: l’arte, in quanto realtà conseguita, realizzata. Ne consegue che se l’opera non realizza ciò che è definito con il sostantivo arte, non  esiste neppure l’artista.

L’arte non  è nient’altro che una parola alla quale non risponde nulla di concreto. Ma poiché rimane aperto il problema di cosa sia l’arte, la ricerca di significato  può essere cercata solo nell’opera. E’ necessario rispondere alla domanda cos’è un’opera d’arte? Allegoria e simbolo delineano la prospettiva, l’ottica, entro la quale, da sempre si muove la caratterizzazione dell’opera d’arte. Sembrerebbe quasi che la realtà dell’opera d’arte sia una sorta di substruttura entro la quale e sopra la quale venga costruita la realtà immaginata dall’artista. E non è forse questa realtà che l’artista, in senso proprio, costruisce con le proprie mani?

Si ritiene che l’essenza dell’arte possa essere desunta da un’analisi comparativa delle varie opere d’arte esistenti. Tuttavia come possiamo essere certi che, alla base di una tale indagine, stiamo effettivamente ponendo delle opere d’arte se non sappiamo cos’è l’arte? Basta a risolvere il problema la provocatoria affermazione di Geoge Dickie secondo il quale: tutto è arte? Tale affermazione non risolve il problema, lo cancella.

Il quadro, la scultura, il disegno, depositati in una galleria o museo, offerti alla ammirazione, o almeno all’attenzione di chi osserva senza porsi il problema di cosa ha davanti, il contesto gli dice che trattasi di opere d’arte.

Ecco dunque che, tra equivoci e autoreferenzialità una persona si considera artista e si convince che ciò che produce sia un’opera d’arte, l’osservatore è convinto di stare osservando un’opera d’arte.

A complicare ulteriormente la situazione è stato lo sradicamento totale compiuto dalle avanguardie di ogni epistemologia ed ontologia dell’arte,così come erano venute delineandosi in due millenni. Dunque, in base alle considerazioni esposte, sembra proprio che il cosiddetto mondo dell’arte sia basato su un equivoco costruito non dalle opere, ma dalle parole che presumono di dare un significato alla opere.2

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Dissolta la coscienza critica.  0

Dobbiamo rassegnarci ed accettare che il predominio del mercato imponga la propria idea di arte? Dobbiamo prendere atto che il mercato è supportato proprio da quei movimenti che si dicono libertari, rumorosi e prevaricanti agglomerati sociali che strumentalizzano il genere, le tendenze sessuali, l’ideologia. L’arte parla attraverso le proprie opere, se l’opera ricalca il pensiero unico si traduce in tautologia.

Nell’opera d’arte è messa in opera la verità dell’Ente. L’arte è il mettere in mostra la verità. Questa la lettura dell’arte, forse troppo positiva, è di  Heidegger.

In realtà alla domanda : cos’è l’arte? non è stata data risposta. Questa mancanza costringe, chi scrive  sull’arte, a girare in tondo, ribadire concetti dati per scontanti, che  in realtà sono  ripieghi lessicali.

Intanto  le opere se ne stanno collocate e appese nelle collezioni e nelle mostre, oggetti inseriti in nel meccanismo dell’industria dell’arte.

Platone sosteneva che l’opere d’arte è una doppia imitazione. Copia l’idea e copia la realtà che l’idea esprime. Intenditori e critici s’impegnano per dare un significato a manufatti artistici con i loro approssimativi significati. Pistoletto, a esempio,ha presentato in varie sedi il simbolo dell’infinito,  adottando l’espediente di cambiarne la denominazione.

La critica ha rinunciato da tempo ai concetto  di verità. Senza dubbio                                                                                                                                                                                                                                                                                                        l’arte non costituisce più il modo supremo in cui la verità giunge ad esistere. E’ cessata la diade concettuale materia-forma. Un opera poggia anche sul plesso morfo- iletico che ricorre solo nei vecchi vocabolari, lo stanziarsi, il radicamento comunemente impiegato nello spazio mentale in cui l’artista dovrebbe muoversi ha perso la distinzione fra materia e sagoma, che costituiva lo schema concettuale per ogni teoria dell’arte,

Il tentativo di fermare, porre in chiaro, il principio di coscienza creativa alla base di ogni estetica, è annegato nel mare del ludico contemporaneo, tanto che il filosofo americano Danto arriva a definire ciarpame, tesi, antitesi, sintesi indicate nella dialettica di Kant, che non sono altro che un richiamo a Platone, ripresi dall’idealismo tedesco a margine della critica dell’arte.

Sono archiviati i contenuti di espressi da allegoria e simbolo,  da sempre fondamentali per il linguaggio artistico. Siamo giunti al punto che la realtà di un opera d’arte, priva di metafora e di simbolismo, ha la stessa chiarezza, la stessa insignificanza, di un cartello stradale.  wassily-kandinsky-pittura-astratta-improvvisazione-35-1914-500

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Dalla Utoia alla Distopia.  0

L’intento delle avanguardie era visto da Herbert Marcuse, sotto la luce del duplice carattere dell’arte nella società borghese. Egli riteneva che, poiché l’arte è separata dalla vita concreta, in essa possono trovare sfogo quei bisogni il cui soddisfacimento è impossibile nella vita quotidiana, anche a causa del principio di concorrenza che domina tutti i campi dell’esistenza. Per questo avanzava l’ipotesi che valori come umanità, verità, gioia, solidarietà, estromessi per così dire dalla vita reale, fossero conservati nell’arte. L’idea appare oggi una delle utopie andate in frantumi nell’urto dell’arte con il mercato. Il ruolo dell’arte nella società borghese, fino a ieri contraddittorio, si è risolto nel momento in cui di fatto ha posto termine alla protesta contro l’ordine esistente ed ha accettato nella sostanza  e nella forma, le regole di produzione, mercato, consumo. Il duplice carattere dell’arte nella società borghese consisteva anche nella distanza del processo di produzione e di riproduzione sociale che conteneva una componente di libertà e un disimpegno dalla produzione ordinaria.Il tentativo delle avanguardie di riportare l’arte  nella vita concreta si è rivelata un’impresa contraddittoria. Infatti la relativa libertà dell’arte di fronte alla vita pratica è al contempo la condizione di possibilità di una conoscenza critica  della realtà. Un’arte che non sia separata dalla vita concreta, ma che da questa prenda in tutto e per tutto le mosse, perde con la distanza dalla prassi vivente anche la capacità di criticarla. All’epoca dei movimenti storici d’avanguardia il tentativo di superare la distanza tra arte e vita pratica poteva ancora rivendicare illimitatamente il pathos del progressismo storico. Nel frattempo però con l’industria culturale si è verificato un falso superamento del distacco tra arte e vita, per cui diviene anche evidente la contraddittorietà della posizione avanguardistica. Molte manifestazioni dell’avanguardia non hanno carattere di opera, ma sono eventi ai quali viene data un’impronta politica ritenendo sufficiente l’intenzione a prescindere da esiti e leggibilità. La firma che sancisce l’individualità dell’opera, cioè il fatto che deve la propria esistenza  a quel determinato artista, una volta posta su un prodotto di massa diventa segno di scherno nei confronti di ogni pretesa di creatività individuale. Le provocazioni volte a smascherare come istituzione sospetta il mercato dell’arte, dove la firma vale più della qualità dell’opera su cui è apposta, e mettere in discussione il principio dell’arte nella società borghese è fallita clamorosamente. Una volta che lo scolabottiglie firmato  da Duchamp  è stato accettato come oggetto che merita spazio in un museo, la provocazione cade nel vuoto e si volge nel proprio contrario. Se oggi un artista firma ed espone una pietra raccolta per strada, non denuncia in alcun modo il mercato dell’arte, ma al contrario vi si adegua.E0702 KLENZE 9463

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Dal pensiero nasce l’idea alla quale la mano da la forma.  0

Il declino dell’arte, è stato anche  prodotto dalle teorie delle avanguardie, infarcite di aporie. Particolarmente negativa la teoria relativa alla rinuncia della fatica creativa della  manualità.

Il creare può essere rappresentato solo come espressione concreta del fare, di cui nasce il sostantivo arte, il pensiero che prende forma. L’arte è in equilibrio tra il mondo delle cose e il mondo dei significati. L’artista dovrebbe possedere la conoscenza che gli permette di passare dal mondo della percezione al mondo della ragione, cioè dello strumento attraverso il quale dare forma al proprio pensiero.  Il concetto di creare si fonda sull’analogia con l’attività dell’artigiano,  la stessa filosofia, lo stesso Platone, non riesce a concepire Dio se non come l’ immagine mitica del demiurgo.

In Egitto il dio Ptab veniva venerato come il grande dio dell’inizio, come il dio originario, ma allo stesso tempo il suo agire è paragonabile all’agire umano, viene considerato protettore degli artisti e degli artigiani. Questo principio è giunto al suo pieno sviluppo con la conoscenza filosofica, esposta nel Timeo di Platone.

Hume scriveva: “Il fatto che la mia volontà muova il mio braccio, non è per nulla più comprensibile e più intellegibile che se essa potesse fermare il corso della luna”.

Questa grande fiducia nelle possibilità del fare con le proprie mani, sembra essere radicata nella memoria atavica. I Pangure della Guinea ritenevano che nello strumento che l’uomo costruisce passa una parte della sua forza vitale, la quale ora si può manifestare ed agire in modo indipendente.

Quando Hegel decreta la fine dell’arte, è in corso la prima rivoluzione industriale, il filoso intuisce che si avvicina la fine della manualità, sostituita dalla macchine,quindi l’agire magico dell’arte verrà sostituito dall’agire tecnico. In particolare la mano della quale Aristotele diceva: “Più intelligente deve essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti”.

L’intervento dell’uomo dà al mondo la sua determinata forma e la sua determinata impronta, se mancano sensibilità e spiritualità, il mondo si avvia alla sterilità. Attraverso l’uso della mano guidata dalla intelligenza l’uomo impara a conoscere il proprio corpo e le sue capacità creative.

Linguaggio,mito,arte, hanno rivelato ciascuna un proprio mondo e hanno fornito nutrimento alla creatività umana. Abbandonata la manualità, anche la creatività che ispira la forma, arranca e finisce per arenarsi,arrendersi alla tecnica, al materialismo che costituisce l’esatto opposto di ciò a cui si riferisce il sostantivo arte.  le-mani

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Mario Merz, il teorema di Fibonacci.  0

Che un soggetto di un ordine tra elementi si possa ricondurre analiticamente all’esistenza di una relazione asimmetrica transitiva tra di essi e che si presuppone necessariamente una relazione di questa forma, è stato mostrato particolarmente dal Russell, esso prende il nome dalla terminologia del presupposto fondamentale di Richter.

Una diversità  è data dalla caratteristica di ciò che costituisce l’elemento specifico della forma, il fenomeno primitivo logico. Conformemente a questi presupposti Richter giunge alla conclusione che nella sfera logica non c’è né ci può essere alcuna serie. Manca quindi l’elemento più importante è assolutamente indispensabile per la costruzione del numero. Non già questa la conseguenza, bensì la premessa che qui scaturisce viene contestata dalla critica gnoseologica dell’idealismo logico.

Il concetto della logica idealistica è completamente diverso, anche se molto si richiama Muller e allo stesso Richter.

Poteva certo sembrare che, da questo punto di vista, la polemica forse è stata ridotta a una semplice distinzione terminologica e fosse quindi sterile polemica.

Riguardo al suo valore oggettivo infatti chiunque è  libero di pensare di usare il termine logico nel modo che ritiene, se ne giustifica l’ontologia. Per esempio, l’artista è libero di definire concettuale la propria approssimazione formale,ma trascurando di definire le motivazioni della scelta cade in un anacoluto formale.

Significativa è a questo riguardo l’opera di Mario Merz che si richiama al matematico  Leonardo Pisano detto il  Fibonacci  ( 1170 – 1242). L’opera riproduce una serie di numeri la cui valenza estetica è nulla il cui significato sotto il profilo artistico e una pura ipostatizzazione.

Dovremmo  considerare il  significato: “opera concettuale”. Osservando ciò che contiene  la terminologia di Richter,Peirce, Boole, Frege, Peano,Schroder, la logica stessa della sua forma classica,  come nella moderna elaborazione avuta ad opera degli autori indicati, non può più essere definita come teoria dell’oggetto,dal punto di vista storico, non è mai esistita una scienza della logica che si sia limitata a ciò che si chiama “oggetto puramente logico”.

Una tale limitazione compare solo all’inizio della logica in Parmenide, per il quale in realtà l’intero problema della logica si esaurisce nell’identità e nella diversità dell’essere e del non essere, ma già il sofista platonico va oltre questo fenomeno primitivo dell’uno e dell’altro, il concetto della comunanza delle idee si trova in una posizione centrale che per la prima volta rende possibile una scienza logica, questa comunanza che si fonda su un rapporto di dipendenza sistematica dei concetti e dei giudizi nel rapporto di premessa è conseguenza che tra loro sussiste. La successione logica che ne deriva può essere dedotta dalla semplice identità e diversità.

Dunque l’arte concettuale si traduce in ossimoro per la contraddizione che si realizza tra concretezza estetica che assume ogni realizzazione formale, e l’estraniazione logica  alla base della formulazione del concetto.1972_01_01_MarioMerzFibonacciIgloo 500

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Superstizione e storia.  0

La superstizione accompagna  tutta la storia umana, è presente in ogni società. Si potrebbe dire che le stesse religioni sono la razionalizzazione della superstizione. Le religioni giudaica, cristiana e islamica, le cosiddette religioni del libro,nel momento cui si fanno istituzione diventano strumento di potere, tuttavia restano superstizione. Ciò a cui i praticanti credono non ha alcun riscontro, ne prova certa. Infatti è necessario l’appello alla Fede, che non è conoscenza ma appunto superstizione.

Vi sono vari livelli e tipologie di superstizione,alcuni popoli primitivi avevano una paura folle dell’arcobaleno perché pensavano che l’arcobaleno fosse una rete gettata in cielo dallo stregone malvagio per catturarli, quindi quando vedevano l’arcobaleno venivano colti dal terrore  e correvano a rifugiarsi  in luogo nascosto.

Superstizione e conoscenza s’intrecciano nel mito. Secondo Schelling la coscienza è solo il termine della natura, Ne consegue che, quanto più l’umanità si allontana dalla natura, tanto più la coscienza si affievolisce. Siccome il pensiero è in qualche mondo condizionato dalla coscienze, che vuol dire anche consapevolezza e limite. Questa perdita rischia, oltre a rimuovere i freni inibitori, di privare cultura e arte delle ragione per le quali esistono.

Ciò che noi chiamiamo natura è un sistema nascosto in una meravigliosa scrittura cifrata  che indusse Galileo a chiedersi se per comprendere la natura bastasse la matematica.

L’umanità ha abbandonato la superstizione,rimosso ogni inibizione e insieme ogni ideale che guida verso la realizzazione di ciò che da senso alla  esistenza. Tuttavia non si sente affatto libera. Resta la concreta esistenza animale con i suoi bisogni primari, la  storia ha perso significato nella dissolvenza di un futuro quanto mai nebuloso. L’arte e cultura privi di spiritualità ispiratrice, si riduce a riti mondani e sterili virtuosismi.

A ben vedere la superstizioni teneva aperti spiragli verso il possibile. Democrito sosteneva che “il senno dell’uomo è il suo demone”. Tanto più che la ragione non è in grado di spiegare tutto e tutto comprendere.

La ragione incompleta uccide la poesia senza sostituirla, accenta una forma ancor più distruttiva della superstizione che alimentava la fantasia degli uomini primitivi, una sorta di sottomissione alla tecnologia.

Anche la luce, uno dei riferimenti dell’arte pittorica, è stata snaturata. Già prima di Omero esisteva il culto della luce. La luce del giorno che risveglia alla vita, “venire alla luce” significa nascere. Euripide chiama pura la luce del giorno. Oggi viviamo per lo più sotto la luce artificiale, perché i ritmi di vita non sono più naturali, alba e tramonto non regolano più la nostra vita

La percezione del mondo non è più affidata alla coscienza con la quale vi era quanto meno una possibilità di attuare  un un tentativo di distinzione  tra apparenza e realtà. La civiltà dell’apparenza e dell’edonismo è prevalsa, il predominio del conformismo  tutto confonde e tutto ingloba in una confusa esistenza della quale non conosciamo più significato e scopo.

 

 

 

 

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La rinuncia alla fantasia per la tecnologia.  0

Descrivere e discutere la parabola dell’arte moderna, da Baudelaire all’attuale postmoderno: è quanto fa Compagnon nel saggio “I cinque paradossi della modernità”. Egli esplora i fondamenti stessi del mutamento, le ragioni costitutive di un’arte e di una letteratura che da un secolo in qua si sono poste sotto il segno del nuovo, della rottura con il passato e la tradizione. I cinque paradossi dell’arte moderna sono identificati in altrettanti momenti cruciali della tradizione moderna: la superstizione del nuovo, verso il 1860, tra Baudelaire e Manet; la religione del futuro, che caratterizza l’epoca di  Apollinaire e dei primi quadri astratti di Kandinskij; l’ansia della teorizzazione che trova espressione nel Manifesto del surrealismo del 1924; il richiamo alla cultura di massa, nella pop art del dopoguerra; la passione del rinnegamento, nel postmoderno degli anni Ottanta. Lo sconvolgimento di questa paradossale “tradizione del nuovo” che costituisce l’asse portante della vicenda artistica  tra Otto e Novecento era basata sull’idea che in arte esistesse un progresso, che l’evoluzione delle forme artistiche avesse un fine. Il postmoderno, che rinnega questa tradizione, non è, come ad alcuni appare, la fine dell’arte, ma il fallimento di quelle dottrine  che miravano a una spiegazione teologica dell’arte, e che sono state appunto alla base dell’arte moderna.escher5-U1020821050112J0B--640x360@LaStampa.it

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