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Arte liofilizzata.  0

Dopo una situazione di dilagante informalità degli anni 50/60 era inevitabile il sopraggiungere della tecnologia, indotta soprattutto dall’adozione di films e fotografia che hanno anticipato l’avvento di Internet. A differenza del passato, in cui scuole e stili si succedevano con una sorta di appropriazioni successive, oggi le varie forme espressive tendono a convivere, una forma di ripescaggio reciproco. Come quando Bill Viola rivisita i classici della pittura mettendo di suo solo la tecnica riproduttiva. In questo caso, dall’arte plastica si passa al teatro, interpretazione di testi in modo letterale con una diversa scenografia per adattarla ai tempi. Ciò costituisce pretesto per introdurre un soffio di attualità mondana in cui gioca la modesta formazione culturale, tanto da far apparire nuovo ciò che è un classico di secoli precedenti. La smaterializzazione dell’opera esime dall’esperienza fisica, l’impasto del colore, la pennellata. Ci troviamo di fronte ad una sorta di liofilizzazione dell’arte servita a “commensali” che nella maggior parte dei casi, non hanno sufficiente sensibilità per percepire la differenza di gusto della “materia” originaria. Anche se datato, ci aiuta nella comprensione il saggio di Deleuze:” Différence et repetition”. Il filosofo francese traccia la mappa mentale di un ricambio avvenuto a livello di modelli generali. Dal citazionismo alla copia elettronica. Il pensiero della presenza , sul modello mondano sintetico, si è scontrato addirittura dai tempi di Kant. Sembra che anche gli artisti siano presi dall’ansia di sfuggire quell’entità oscura e fuggente che è la realtà, trovando sponda in una serie di filosofi, Deleuze appunto, Foucault, Derida, Kristeva. Nel rapporto frontale uomo- mondo l’esperienza diventa un bagaglio inutile. Preso atto della difficoltà di descrivere il mondo, vista la rapidità dei cambiamenti, constatata l’impossibilità di cambiarlo, come suggeriva il vecchio Marz, tanto vale affidarsi ai surrogati da prima immaginati e poi forniti in abbondanza dalla tecnica. Siamo sommersi da rivisitazioni, riciclaggi, remake. La fantasia che mirava al potere ha perso anche la strada dell’immaginazione. La vexata quaestio del patrimonio culturale è stata risolta omologando tutto. arte-liofilizzata-3

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Riflessioni sulla modernità  0

Prima o poi dovremo fare i conti con il dilagante conformismo che assume sembianze di progressismo. Nella filosofia buddista è oggetto di riflessione il vuoto che spesso contraddistingue l’esistenza, con l’invito ad averne consapevolezza. La nostra civiltà convive con il vuoto interiore. Cosa s’intende per “vuoto”, in sanscrito Sunyata. L’aggettivo vuoto, sunya, può significare privo di sè. Sunya deriva dalla radice Sui, gonfiato e letteralmente significa relativo a chi è gonfio. Quindi questa contraddizione ben si adatta alla espressione corrente : pallone gonfiato. Sinonimo di gonfio ma vuoto. Infatti la comune radice Sui, in greco Ky, pare adombrare il fatto che quello che è gonfio e apparente è vuoto dentro. Sebbene il vuoto sia di solito raffigurato nell’arte buddista con un cerchio, non lo si deve concepire come un semplice niente, uno spazio bianco. Per inciso va notato una delle ironie della storia. Proprio il buddismo il più anticommerciale di tutti i sistemi religiosi e filosofici, ha elaborato uno simbolo matematico importantissimo per il commercio e più in generale per l’intero sviluppo della scienza moderna. Senza l’invenzione dello Zero infatti non sarebbe possibile il sistema che permette il funzionamento dei computer e di tutto il meccanismo che regola le transazioni commerciali sull’intero pianeta. Il piccolo cerchio dello Zero, già noto agli arabi verso il 950 d.C. così come shife, vuoto, giunse in Europa verso il 1150 e fu chiamato cifra, in latino. Il vuoto è ciò che esattamente si situa tra l’affermare e il negare. Ecco dunque l’aggancio sociologico con una società agnostica che nega ciò che non conosce, identificando la verità con la scienza mentre in realtà la verità non può che avere una valenza mistica, insondabile ma reale. La dottrina del vuoto dagli artisti buddisti viene spesso espressa con immagini, cosa che tentano di fare oggi alcuni artisti che si pongono il problema dell’effimero. Coghi, Di Maggio, Sehgal e pochi altri, sembrano aver sufficiente sensibilità per capire il problema che assilla la società contemporanea. Gli artisti che hanno la consapevolezza della precarietà di ogni cosa, riescono meglio ad esprimere il tentativo di accettare la realtà nelle sue infinite effimere sfaccettature. parigi-pechino75

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Metafisica negata  0

Nel suo libro “La trasfigurazione del banale” Arthur C.Danto definisce la metafisica esecrabile filosofia, non si può negare sia coerente con la natura dei suoi scritti. Secondo Kant “la metafisica ha lo scopo peculiare d’indagare tre sole idee: Dio, la libertà e l’immortalità, in modo che il secondo concetto,unito al primo deve condurre al terzo …” Non c’è dubbio che sgomberato il campo dalla religione, dall’estetica, dando alla libertà una dimensione nella quale non c’è spazio per la responsabilità, anche l’utopia progettuale propria della creatività artistica si trova nel vuoto assoluto. Ne deriva che l’azione dell’artista si radica interamente nella materialità della forma che esprime se stessa in assoluta, ma vuota, autoreferenzialità. Noi percepiamo oggetti fisici attraverso un’esperienza che interagisce con le strutture del cervello condizionato dall’evoluzione che accumula una pluralità di esperienze. La visione dell’oggetto provoca la riflessione che traduce l’oggetto in concetto. Ma cosa accade quando la visione non coincide con il significato che l’artista, o per esso il critico, attribuisce all’oggetto sotto i nostri occhi? Il travisamento della realtà che critica e filosofia dell’arte attuano, non è anch’essa una diversa forma di metafisica? Nel 1982 Maurizio Calvesi pubblicò “La metafisica schiarita”, trattava nel testo l’opera di alcuni artisti, De Chirico, Carrà, Morandi, Savinio, tutti appartenenti al movimento denominato “Metafisico” che ebbe inizio del secolo scorso. Allora non eravamo ancora stati sommersi dalla marea dell’arte “filosofica” statunitense. Nel suo libro Calvesi si richiama alla cultura italiana ed europea, ai trecentisti toscani, al Rinascimento. La citazione di Papini e le sue aperture verso Schopenhauer, Nietzsche, Weininger e Vico. Sono trascorsi solo 33 anni, ma sembrano secoli se osserviamo la deriva dell’arte, soprattutto la totale sottomissione del mondo culturale e artistico italiano alla egemonia USA. Un tema che ho trattato in altre occasioni e sul quale sarà il caso di tornare per cercare di capire come sia possibile che un paese, con millenni di storia, abbia potuto abdicare non solo sul fronte politico, per il quale la giustificazione è la potenza militare, ma anche nell’ambito culturale dove i cannoni non servono. La resa si spiega solo con il travisamento della stessa idea di cultura. perestroyka72

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Logica dell’opera d’arte.  0

Nel 1928 Rudolf Carnap pubblicò “Costruzione logica del mondo” che rimane a mio parere il suo testo più significativo. Egli diede largo spazio alla metodologia, lasciando sullo sfondo l’impostazione filosofica. Il richiamo a Carnap serve a chiarire l’importanza di costruire lo spazio comunicabile della conoscenza, presente anche negli scritti di Schlick. Gli equivoci provocati da certa “filosofia dell’arte” nella quale si confonde l’oggetto con la sua designazione verbale. L’arte dovrebbe essere il tramite attraverso cui si realizza la simbiosi tra sensibilità e razionalità nella forma significante che costituisce l’indicazione di una potenzialità. L’opera può dirsi compiuta nella misura in cui la potenzialità si traduce in espressione intellegibile. Un percorso verso una dimensione reale parallela. Questo assetto sottintende un’ontologia per la quale si possono distinguere le proprietà degli oggetti e strutture e le loro finalità. L’arte come sistema di assetti formali il cui punto di partenza è soggettivo e tuttavia l’opera deve acquisire una intersoggettività perché possa essere percepita come tale, non basta il puro formalismo delle strutture per consentire una reale partecipazione. Ad ogni oggetto compete il suo concetto, non sono che due diversi modalità linguistiche che assumono significato solo con la loro simbiosi. Sulla base della nota distinzione di Frege tra segni saturi e non saturi, l’arte si trova necessariamente nella prima posizione, ed è del tutto arbitraria la tesi secondo cui l’opera si completerebbe con l’apporto del fruitore. Questo presupporrebbe una sorta di gratuità formale, l’incompiutezza in sè. Carnap considera valida la distinzione di Frege tra senso e significato, una distinzione che ripete l’impostazione realistico – fenomenistica secondo la quale il senso è la rappresentazione soggettiva delle cose, quindi una cesura verso la comunicabilità. La filosofia non può intervenire per formulare un significato, il senso del sapere non si traduce ipso facto in ermeneutica dell’invisibile, senza tener conto della configurazione reale. Carnap considera una definizione specifica dell’intersoggettività: gli oggetti fisici sono contrassegni dei processi psichici. Ecco spiegate le opere di Jeff Koons. La semplice rappresentazione soggettiva non ha necessariamente riflessi del reale. Un soggetto può essere definito “conoscitivamente primario” rispetto a un altro “conoscitivamente secondario” quando questo viene riconosciuto per mezzo del primo. In questo consiste la metafora artistica. Ma è necessario che esistano reali rapporti di dipendenza gnoseologica che chiariscano l’affinità tra gli oggetti.

Vasarely-10

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Coerenza di vita.  0

Nella filosofia buddista si dice:” Se un uomo fosse trafitto da una freccia non pretenderebbe, prima di farsela estrarre, di sapere chi ha tirato la freccia, se è sposato, grande, piccolo, biondo, vorrebbe liberarsi al più presto della freccia”. L’insegnamento conduce all’essenza di ciò che davvero è indispensabile agli esseri umani. Non certo cupidigia, passioni sfrenate, vizi, depravazione. L’appagamento del corpo uccide l’anima qualsiasi cosa intendiamo con questo termine. Capita, afferma la filosofia buddista, che coloro che sanno non parlano, coloro che parlano non sanno. Riflettiamo sul bailamme di rumori, che noi chiamiamo comunicazione. C’è un detto cinese : “ solo un nobile silenzio non vìola la Verità”. E’ preoccupante non tanto cosa accade intorno a noi, ma l’entusiasmo con cui accettiamo ogni cosa abbia l’etichetta di nuovo o venga considerato tale. La dialettica è la forma logica associata ai filosofi, Zenone, Elea, Hegel. Ma il loro pensiero è oggi travisato. Siamo prevenuti circa l’idea di etica, pressoché abolite espressioni come” libertà dello spirito”, timorosi di tutto ciò che consideriamo un limite alla nostra libertà. Quando parliamo di libertà abbiamo in mente soprattutto il corpo, la sessualità. Nella filosofia di Aristotele l’apparenza è trattata come fattore che contrasta con l’essenza delle cose. Da qui deriva l’importante corollario che nega il sé e tutte le altre simili teorie. Hume nega l’esistenza dell’ego come unità distinta. Si avvicina alla dottrina buddista dell’Anatta che rappresenta l’esatto opposto di quanto sostiene Kant nella Critica della Ragion Pura( Logica trascendentale). Kant afferma “Io sono”, con ciò egli intende esprimere la coscienza che accompagna ogni pensiero del sè. La differenza con i filosofi buddisti consiste nell’uso che si fa della preposizione filosofica “sé”, una volta che è stata enunciata. Ma il punto focale è un altro. L’uomo occidentale è da tempo abituato alla completa scissione tra la teoria dei principi e l’atteggiamento concreto nella prassi quotidiana. Schopenhauer e Herbert Spencer vengono subito in mente come esempio negativo. Nel buddismo l’essere umano non è giudicato dal suo stile o dalla sua erudizione, e neppure dalla coerenza interna della sua dottrina, ma soltanto dall’accordo di questa con la sua vita. L’obiettivo dei buddisti è imparare a comportasi come se non esistesse l’ego. Viene in mente la dichiarazione del regista che ha presentato al Festiva del cinema di Venezia nel 2015 un film in cui un uomo diventa donna. Per motivare il film costui ha affermato: ciascuno deve avere la possibilità di liberarsi dalla prigione del proprio corpo. Affermazione che ricalca le teorie gender prodotte dal femminismo. Dice Chanfort:” Chissà perché quando si vìolano le norme non è mai per elevarsi, ma sempre per scendere più in basso”. L’Europa non ha mai avuto pensieri spirituali autoctoni, è stata piuttosto assorta dall’economicismo e materialismo. Tutto ciò che di spirituale è apparso in Europa è preso a prestito dall’Asia, Gesù Cristo incluso. Il materialismo dell’occidente ha comunque finito per prevalere, tanto che anche il cristianesimo si è fatto istituzione, insediandosi con fasti e lussi in prestigiosi palazzi e chiese. Ne deriva che la progressiva degenerazione socio- culturale del nostro tempo, l’arte di oggi lugubre espressione della tecnica e del materialismo dominante, è la naturale conseguenza del vizio di origine. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaala-bandiera-della-madre

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Il mondo in un diagramma.  0

Con una certa frequenza la cronaca riporta episodi  criminali in famiglia, suicidi e azioni autolesionistiche. Siamo così immersi nel rumore della modernità, nel bailamme di superficialità, da aver persa l’abitudine a pensare, tanto che, chi affronta le questioni basiche dell’attuale situazione di esistenza dei più,  è percepito  come un pedante chiliasta .Tutte le filosofie hanno affrontato il  tema base dell’esistenza, sotto diverse ottiche. Osservando l’arte e la letteratura contemporanea con un minimo di distacco, appare di solare evidenza  la banalità di forme e parole forgiate quasi esclusivamente per lucro. Cultura e arte non costituiscono il tentativo di offrire effettivo contributo al miglioramento in senso positivo  della società, anzi l’orientamento è esattamente opposto, un continuo  elogio di devianze e alla trasgressioni . Non è il caso di  affrontare un  tema così complesso che appare una sorta di cortocircuito tra cultura – società – cultura, in cui è inclusa ovviamente anche la produzione artistica, condizionata e condizionante il sistema sociale nel suo complesso. Il filosofo cinese Shao Yung (1011-1079 sviluppò una filosofia che aveva come riferimento complicati diagrammi nei quali  - segno- forma-pensiero, costituiscono tutt’uno all’interno di precisi parametri . La più grande opera di Shao Yung è un elaborato diagramma  cronologico del mondo esistente. Secondo questa  cronologia l’età d’oro del mondo è già trascorsa da tempo; essa fu realizzata al tempo Yao, il re filosofo della tradizione  che regnò, secondo gli studiosi, nel XXIV secolo a.C. Oggigiorno siamo in un periodo che corrisponde al diagramma Po, epoca di declino. La maggior parte dei filosofi cinesi  considerano la storia umana come un processo di continua degenerazione. La teoria secondo cui ogni cosa implica la sua propria negazione ha sapore hegeliano ma,  mentre secondo  Hegel la negazione di una cosa dà origine a una nuova cosa  di più alto livello, secondo Lao-tse e le appendici del “Libro delle mutazioni” , la cosa nuova non fa che ripetere quella che l’ha preceduta in modo più degradato. Tale teoria non vale solo per il mondo cinese. Se noi mettiamo a confronto i progressi della tecnica nelle  società occidentali con l’attuale condizione della natura umana,  ci rendiamo conto dell’evidente regressione. A fare, per così dire, da paravento, è lo sviluppo della scienza e della tecnica in grado di rimediare ad errori e nefandezze di vario genere. Resta vero che sotto il profilo umano ed etico la decadenza è palese. Nell’ambito artistico siamo al grado zero di sensibilità e immaginazione creativa. Gli esempi sono innumerevoli. Ricordiamo due personaggi che hanno legata la loro notorietà ad  un ’orinatoio. L’imperatore Vespasiano che primo ebbe l’idea dei  gabinetti pubblici, suo il detto “pecunia non olet”   Duchamp, il quale,  con il decisivo supporto della critica e  filosofia dell’arte, elevò un orinatoio a dignità artistica .  Per i tempi  della storia, e ancora di più dell’evoluzione della specie, i due “inventori” sono quasi contemporanei,  entrambi appartengono a pieno titolo al mondo occidentale, un dettaglio che merita riflessione.  diagramma

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La sapienza dell’antica filsofia cinese.  0

Mencio, filosofo cinese (371 -  289 a.C.) attribuiva agli esseri umani quattro semi, oggi diremmo  potenzialità, che possono inaridire o svilupparsi. Il seme della sensibilità. Il seme della correttezza. Il seme della saggezza. Il seme della rettitudine. I quattro semi diventano, nel loro perfetto dispiegarsi, le quattro virtù costanti  che caratterizzano il saggio. Secondo il filosofo Kao-tse, la natura umana non è nè buona nè cattiva quindi la moralità è qualcosa di aggiunto dal di fuori di essa. Sembra di leggere il Vattimo cinese. L’Università di Harvard ha attivato di recente un seminario che si propone d’indurre gli studenti a “riflettere sulla vita” , per trovare la strada della saggezza. Manca solo il manuale “Come essere saggio con dieci lezioni”. La modernità è talmente inquinata dalla funzionalità tecnologica che è maturata la convinzione che esistano soluzione tecniche  e rapide per tutto. Michel Foucault è uno dei molti esempi  di “saggezza moderna”,  scrisse interessanti saggi,  “Le parole e le cose” , “Sorvegliare e punire” , e molti altri, nei quali esprimeva le sue lezioni di vita, o, come scrive in uno dei saggi “la cura di se”. La sua vita smentiva il suo pensiero,  era infatti tutt’altro che saggio. Omosessuale, faceva uso di droghe,  si abbandonava a orge sado-maso, compì ripetuti tentativi di suicidio. Appare quindi il perfetto paradigma contemporaneo. Gli adulti, se questa parola ha ancora senso, si dimostrano indignati per la morte per alcol e droghe di giovanissimi frequentatori di discoteche, ma nei loro comportamenti danno pessimi esempi ai giovani i quali vedono continuamente comportamenti spregevoli. Il filosofo cinese Yang Chu (500 a.C. circa) scriveva: “ Se anche potessi salvare il mondo strappandomi un solo pelo, non lo farei”. Lezione di preveggente pessimismo dell’ Aretino cinese. Ma non è stato il solo nella storia del pensiero. Meno pessimisti sono stati intellettuali e filosofi che si perdevano in complicate ed estranianti teorizzazioni, Hegel  e  Kant sono un  esempio.  Schopenhauer invece aveva marcata propensione al pessimismo, oltre che alla misoginia. Ma vi furono studiosi ancora più radicali. L.E.j. Brouwer  affermava: “ la logica non insegna nulla al mondo, serve ad avvocati e demagoghi”. La stessa tesi  dei filosofi cinesi della “Scuola dei nomi”. Prosegue Brouwer : “detesto la maggioranza delle persone,  la degenerazione dell’uomo è iniziata quando ha abbandonato lo stato naturale, spezzando l’equilibrio imposto dalla natura” . Brouwer era un valente logico matematico (1881-1966) affermava che “quando gli uomini perdono i loro desideri primari, per timore della solitudine diventano automi”. La riconciliazione con il mondo, scrive in “Vita,arte, mistica” , “avviene con il riconoscimento  e la soggezione al Karma, stabilito per ciascun uomo”. Va da se che, nel nostro mondo caotico e programmaticamente degenerato, nulla è più estraneo della ricerca del  Karma. aaaaaaaaaaaaaaaaaGeisha

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Pazzia necessaria  0

Condizione primaria di ogni forma di comunicazione  è la decifrabilità. La pretesa delle avanguardie di forzare simbologia  e significato, non era, non è, basata su elaborazione epistemologica, ma su una pregiudiziale rinuncia , forse anche per carenze culturali, alla non facile elaborazione di una storia di oltre 6000 anni. L’irrompere della rozza modernità si definisce anche nella scelta della propria definizione con il ricorso al termine militare di “avanguardia”. Il senso delle avanguardie è esplorare territori sconosciuti, e ritornare a riferire lo stato del territorio esplorato. Le avanguardie del Novecento  si sono accampate fuori dai confini del senso, un manipolo di guastatori  che ha dato origine a una nuova realtà sulla quale non si è attuata una necessaria igiene linguistica, limitandosi ad adattare il termine arte a qualcosa di radicalmente diverso. Ciò ha creato un’entropia  culturale che si sta rivelando ripetitiva e sterile. Si può apprezzare un bonsai di sequoia, ma non è opportuno denominarlo sequoia secolare. Al gigante Leonardo si è preteso affiancare il nano Warhol. Ognuno è libero di creare la propria piccola serra, ma non ha senso chiamarla foresta. Il riferimento non è ovviamente alla dimensione, ben consapevoli che è proprio con il gigantismo che si vuole occultare la mancanza di significato. Si è trattato di attuare una vera e propria negazione della funzione del linguaggio dell’arte. E non per ingenuità ma per inadeguatezza.  L’universo dei segni , passa attraverso ciò che prende corpo. Non basta dire che il concetto è la cosa stessa, finisce che è il mondo delle parole ad alterare le cose, confuse nell’hic et nunc del divenire continuo, in una inesausta ricerca di diverso significato . Il simbolo sterilizzato in logo, è affidato alle leggi del numero. La povertà delle forme non è ricerca dell’essenziale, ma la libertà che esercita il caso, non guidato da sensibilità e intelligenza, nutrita di sapere. Il sintomo qui è il significante di un significato rimosso dalla coscienza del soggetto. L’io dell’uomo moderno ha assunto la propria forma nella impasse dialettica dell’anima che non riconosce la ragione stessa del suo essere artefice del disordine  che pretende di denunciare. Pascal sosteneva: “gli uomini sono così necessariamente pazzi, che sarebbe essere pazzi di un’altra forma di pazzia il non essere pazzi”. Così ci trasciniamo tra perduti lumi e crescenti devianze, convinti di essere sulla riva giusta del  fiume.      aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaprossimanews

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Arte e oggetti vari.  0

Più volte nel corso dei miei scritti mi sono posto, ed ho posto, la retorica domanda:di cosa parliamo quando parliamo d’arte? Davvero c’è chi pensa che i ready made, opere seriali, assemblaggi vari possano reggere il confronto con l’arte classica, o ci troviamo di fronte all’ennesimo richiamo ad Esopo, la volpe e l’uva. Consideriamo la tecnica raffinatissima messa in atto dagli antichi maestri che certo non discettavano di ontologia dell’arte e delle artificiose,spurie, teorie che giustificano l’arte contemporanea brutta nella forma e priva di significato. Se andiamo in qualunque museo dove è conservata l’arte classica possiamo osservare capolavori di cui pochissimi conoscono l’esistenza. E’ giusto che sia così, alcune “icone” dell’arte contemporanea sono notissime, ma pochi, a partire dagli stessi filosofi dell’arte, saprebbero davvero darne una giustificazione. Senza dubbio le bugie richiedono molte più parole della verità. Ma non solo le vere e proprie opere d’arte, anche oggetti d’uso o di culto raggiungono raffinatezze di cui gli artisti contemporanei, nella grandissima maggioranza, non saprebbero avvicinarsi. Nel Museo di Zurigo tempo fa ho visto un evangelario che risale, se non ricordo male, intorno al XII secolo. La copertina eseguita in oro sbalzato, è decorata con pietre preziose tagliate a cabochon, vale a dire pietre non sfaccettate inserite  rotonde nell’incastonatura. La lamina d’oro decorata con il sistema dello smalto cloisonné. Gli antichi maestri adottavano due sistemi  per decorare con lo smalto: lo champlevé e il cloisonné. Lo champlevé  ha il blocco di metallo con opposite  cavità che vengono riempite di smalto. E’ la tecnica più antica, ed è stata abbandonata perché bastava che l’oggetto così decorato subisse un forte urto perché la pietre fuoriuscissero dalla loro sede. Il sistema cloisonné offre maggior sicurezza, per questo è stato adottato, non solo in Europa ma anche in Oriente. Il sistema cloisonné prevede la creazione di un area  vuota,  sottilissime lamine metalliche vengono saldate all’interno , quasi si trattasse di campi cinti da steccati. Entro questi campi viene colato lo smalto liquido ad altissima temperatura. Lo smalto viene contenuto e protetto dalle partizioni metalliche. Mi sono dilungato nel descrivere questo piccolo oggetto e la tecnica con la quale è costruito perché fosse chiara la differenza tra il conoscere tecniche e applicarle, ed i sistemi odierni dell’arte in cui tutto viene fatto con incredibile pressapochismo. E’ possibile che critici e filosofi  dell’arte, soprattutto  statunitensi, ma non solo, conoscano le antiche tecniche e procedure per creare oggetti d’arte? Se la risposta affermativa devono avere seri difetti di percezione. Se la risposta è negativa si capisce perché esaltano  scatole di detersivi, scope, oggetti di uso comune. Lascia perplessi che accademie e scuole d’arte in Italia e in Europa, abbiano adottato  stili e sistemi d’oltre oceano buttando a mare secoli di saperi.

 

Piergiorgio Firinuaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaprossima-news

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Il senso dell’arte  0

Il senso dell’arte.

Il dibattersi per la sopravvivenza dell’arte forse avviene nelle forma sbagliata. Non basta dotare di motore una carrozza per trasformarla in automobile. Mancano tutte le componenti tecniche  che gli consentono di viaggiare. Vi sono aspetti del mondo dell’arte, o del sistema dell’arte, come si dice oggi, che non vengono indagati, forse per eccesso di autoreferenzialità, o forse perché nella frammentazione culturale, caratteristica del nostro tempo, l’arte interessa solo il mercato. La conferma viene dall’importanza data all’arte da giornali finanziari, e dall’abbinamento arte moda, non solo sotto l’aspetto operativo, ma finanziario. Siamo alla regressione utilitaristica che prevede forme più evolute di sopravvivenza. Se l’istinto significa effettivamente l’incontenibile  animalità dell’essere umano, non è detto che la ragione riesca a dominarlo, nell’arte come in ogni altra attività umana. Il simbolismo del pensiero trova  nella percezione visiva quella che Husserl definisce “rapporto di fondazione” . A poco serve utilizzare il linguaggio, che Lacan chiama “lo strumento della menzogna”  per cercare di ricreare una parvenza di verità.  L’appercezione  è un dato dell’intuizione che si richiama al concetto dell’oggetto. Per questo è definita oggettività e si distingue in modo netto dalla soggettività. Se  è la soggettività a prevalere, come avviene in moltissime opere d’arte contemporanea, l’ermeneutica dell’oggetto diventa impossibile,  in quanto manca la possibilità di decifrazione, vale a dire il collegamento di una certa parola ad una certa cosa.  Di qui la progressiva deriva verso forme espressive di materialistica banalità. Ma non vi è solo questo aspetto in cui, sotto traccia, agisce l’influsso antropologico che determina  aspetti concreti dell’ operatività dell’artista. Partendo dalla nota affermazione “ nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu”   . Appare evidente che molte opere d’arte della cosiddetta avanguardia  non consentono una percezione sensibile. Se investighiamo  il rapporto della conoscenza  che precede il giudizio, o semplicemente la fruizione,  ci rendiamo conto che l’intelletto non ha una traccia da seguire e di conseguenza, accettazione o  rifiuto, sono scelte irrazionali, conseguenza dell’indottrinamento ovvero delle consuetudini. Di fatto è difficile provare un’emozione, o una qualunque sensazione osservando un cumulo di carbone, una putrella di ferro,  un qualunque comune oggetto elevato ad opera d’arte. Dovremmo dunque trarre la conclusione che l’opera “d’arte”  va  vista come un riferimento metaforico, soggiace  cioè a una forzatura ermeneutica  della quale è necessario accettare tout court le premesse.  Se investigo più profondamente il rapporto tra sensazione e conoscenza  scopro che dal cumulo di carbone e dalla putrella,  non ricavo, oggettivamente, nè conoscenza nè sensazioni.  Se anche mi affido all’immaginazione produttiva, il mio giudizio non cambia. L’unità sintetica della coscienza è dunque una condizione oggettiva di ogni conoscenza , della quale non soltanto io stesso ho bisogno per conoscere un oggetto, ma alla quale deve sottostare  ogni intuizione stimolata dalla forma che deve possedere contenuto gnoseologico percepibile la cui intrinseca capacità di comunicazione è una delle prerogative dell’opera d’arte.

Piergiorgio firinu venezia-2015-Kunellis-9

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