Goalkeeper, 1976
Da quando nel 1964 Marshall McLuhan pubblicò “Understanding Media”, in Italia apparso nel 1967 con il titolo “Gli strumenti del comunicare” nella collana argomenti della Garzanti, sono passati solo 51 anni, ma sembra siano trascorsi secoli. Che senso ha oggi la celeberrima affermazione di McLuhan:” Il mezzo è il messaggio”. Proviamo ad ampliare l’orizzonte e capire la ragione della situazione attuale, immersi nel regno del consumo e dell’apparenza. J.J. Bachofen nel suo testo più noto: “Il potere femminile” , afferma e documenta che nel genere femminile è più sviluppata la parte destra del cervello, la parte in cui si elabora il linguaggio. Qui abbiamo una prima risposta anche se non è chiaro il rapporto tra la parte destra e la sinistra sede della razionalità. Non hanno dato risposta alla domanda i numerosissimi libri che hanno affrontato il tema della mente e del cervello. Nel mezzo secolo che ci separa dalla pubblicazione del libro di MacLuhan, nel mondo sono avvenuti cambiamenti radicali, non sempre recepiti in modo corretto, non sempre positivi. In parte sono stati sviati dall’ansia di progresso e forzature ideologiche su questioni di genere. Chi voglia documentarsi scoprirà che è lunghissimo l’elenco delle donne al potere, a partire dall’antichità come documenta Bachofen. Nella stessa Inghilterra nell’anno 1037 regnava la regina Emma. Perchè al potere femminile non ha fatto riscontro una cultura femminile, una scienza femminile. Soprattutto perché le donne al potere non hanno creato le condizioni per dare maggiore spazio alle donne nelle società? E’ di questi giorni la notizia che in Italia i ranghi della magistratura vedono una prevalenza femminile. Così è, da tempo, nella scuola e forse nelle redazioni di giornali e tv. La giustizia, la scuola, la società in generale funziona meglio, è più equa ed efficiente grazie alla presenza femminile? Anche nel sistema dell’arte la presenza femminile si avvia ad essere preponderante. Ci sono gallerie e associazioni nate allo scopo di promuovere l’arte femminile. L’arte contemporanea è progredita in qualità? E’ noto da tempo che anche sul Web la presenza femminile è maggioranza. I siti pornografici sono i più visitati, seguiti dalla chat per incontri, siti musicali e per acquisti in rete. E’ nata una nuova espressione “virale”, tratto dalla terminologia medica, ha visto capovolta la valenza negativa .Di certo la parte destra del cervello è attivissima,siamo sommersi da gossip, informazioni inutili se non nocive. Giornali, libri, spettacoli, un profluvio di parole usurate, embrioni di pensieri mai nati. Non è forse un caso il successo di quelli che un tempo erano giornaletti, detti fumetti, in ragione della nuvola che contiene le parole dei personaggi. E’ diffuso l’uso di espressioni onomatopeiche proprie dei cartoni animati. Che genere di pensiero si può comunicare con espressioni onomatopeiche? Quando i “fumetti” sono dipinti su tela, il caso di Lichtenstein, costano milioni ma continuano a non avere valore. Si aggiunga che siamo sovrastati dalla straripante tecnologia , che giustamente Heidegger definiva stupida, effetti speciali, realtà virtuale. La pleonastica diatriba se Internet rende intelligenti o stupidi trova risposta semplicemente guardandoci attorno. Capita che la realtà virtuale si materializzi. Con sempre maggiore frequenza ragazzini armati di fucile, regalo del la madre a Natale, compiono stragi nelle scuole che frequentano. Molti giornale hanno pubblicato le fotografie di del la deputata Michele Fiore con la sua famiglia armata. Dopo Madeleine Albright, Condoleezza Rice, Hillary Clinton, tutte segretarie di Stato USA che hanno promosso conflitti, la deputata Fiore smentisce definitivamente la teoria del pacifismo delle donne.
( fotografia dell’opera da Cindy Sherman, 1995:Senza titolo)-
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Un contadino ritornava a casa dal mercato portando mercanzia in una gerba posta in groppa del mulo dietro la sella. L’ondulazione prodotta dal passo del mulo provocò uno spostamento delle gerba e il carico cadde gradatamente sulla strada. Il contadino, che prima di mettersi in viaggio aveva fatto tappa all’osteria, non si accorse di nulla, salvo del fatto che diminuendo il peso il mulo trotterellava più spedito. Il contadino disse tra see se, che strano invece di rallentare per la stanchezza il mulo accelera l’andatura. Solo quando arrivò a casa si accorse che la gerla era quasi vuota e cadde nella disperazione. Questa favoletta è la metafora della felice leggerezza e ignoranza del nostro tempo, parafrasi di ciò che Francesco Bacone di Verulamio diceva del tempo. Scriveva Kant all’inizio della quinta sezione della Logica Trascendentale: “ Noi ci asterremmo volentieri dalla esigenza di veder risolte le nostre questioni, se comprendessimo anticipatamente che, qualunque dovesse riuscire la soluzione, essa non farebbe che aumentare la nostra ignoranza”, E’ questo che effettivamente avviene con i concetti relativi all’arte,i quali, nel perdere gradatamente la funzione propria, cadono in una inevitabilmente antinomia. Tra i giochi delle antiche scuole dialettiche c’era la domanda: se una palla è troppo grossa per il buco, che cosa si deve dire, che la palla è troppo grossa o che il buco è troppo piccolo? L’estetico include tutti gli oggetti di cui siamo circondati, l’arte consiste nel trasformare questi oggetti e/o crearne altri che sono frutto dell’immaginazione dell’artista. Reale è tutto ciò che sta in un contesto e cade sotto la nostra percezione sensibile, a cui noi riusciamo ad attribuire un senso. Pensare di risolvere tutti i problemi e rispondere a tutte le domande sarebbe arrogante millanteria, nondimeno la scienza procede per tentativi allo scopo di scoprire le leggi della natura e tramite queste adottare tecnologie e marchingegni che rendano più agevole la vita dell’uomo. L’arte, vista sotto la stessa ottica, risulta assolutamente inutile. Tuttavia in tutte le società e in tutte le epoche, l’essere umano si è dedicato tanto alla ricerca di soluzioni per migliorare la propria vita, che all’arte. Ci sarà una ragione. Nel procedere della modernità si è andata frammentando la conoscenza, sono cresciute le specializzazioni. Vittima di questa frammentazione è anche l’arte, la quale non è più la semplice percezione del bello, ma è andata caricandosi, o meglio gli sono stati attribuiti significati che l’hanno snaturata. L’arte con la pretesa di rappresentare significati a valori che in realtà non esprime, ha perso gran parte della propria autoreferenzialità ed è costretta a far ricorso all’ermeneutica critica per l’attribuzione di significati non percepibili nell’opera stessa.
In un brano tratto dal libro “La bellezza e il peccato. Piccola scuola di filosofia” di Maria Bettetini, si legge:” ….esistono uomini senza barba che usano parole difficili per divertirsi tra loro a fare i filosofi..”. Tutto vero la colta e fumosa articolazione della narrazione, sembra avere lo scopo di distrarre dal senso reale del discorso. Il sistema è talmente efficace che è stato fatto proprio dai pubblicitari. In Tv, vediamo immagini e filmati che non hanno nessun nesso con il prodotto che pubblicizzano, vendono un’illusione, attuano un inganno che, in una società davvero razionale e giusta, dovrebbe essere perseguito come sfruttamento della credulità popolare. Il messaggio è che possedere quel prodotto, significa cambiare il proprio status sociale. Da quando è nata, la critica d’arte, ha seguito, con rare eccezioni, lo stesso copione, ottenendo grande successo visto che ha creato, non artisti, questo sarebbe impossibile, ma personaggi. Gli artisti e i politici, sono gli unici “professionisti” che si autoproclamano tali, non sono necessari titoli nè una minima conoscenza specifica. Gli scrittori devono quanto meno possedere una certa capacità di scrittura, oggi per la verità sempre meno. Agli artisti plastici basta il supporto della critica per essere considerati maestri, a prescindere da capacità e percorso di conoscenza. Grazie alla potenza congiunta di critica e mercato si assiste a un fenomeno che è l’esatto contrario di quanto accadeva nei Paesi Bassi tra il ’600 -‘700. Allora artisti di grande valore Rembrandt, Hals,vivevano in ristrettezze, van Goye, commerciava in tulipani, Hobbema faceva l’esattore, van de Velde aveva un negozio di telerie, Jan Steen e Aert van de Velde erano bettolieri. Oggi succede il contrario. Dubuffet era commercianti di vini prima di dedicarsi all’arte, Franco Assetto era farmacista, Mario Merz vendeva giornali. Nessuno di loro ha praticato in atelier d’artista, frequentato Accademie, sono stati creati dai critici. Dubuffet non ha del tutto persa la propensione al commercio. Negli anni ’60 pose l’automobile al centro delle proprie opere e si guadagnò l’attenzione di Gianni Agnelli che promosse una sua mostra a Torino, allora capitale dell’automobile. Con queste premesse non può sorprendere il proliferare di Biennali e Fiere. Come non stupisce che i sarti, diventati “stilisti”, capaci come nessun altro di utilizzare al meglio pubblicità & marketing, siano oggi tra i maggiori sostenitori dell’arte contemporanea. Come diceva Warhol ogni artista deve essere anche un uomo d’affari. Il problema è che oggi uomini d’affari se ne vedono molti, artisti pochi.
Dopo una situazione di dilagante informalità degli anni 50/60 era inevitabile il sopraggiungere della tecnologia, indotta soprattutto dall’adozione di films e fotografia che hanno anticipato l’avvento di Internet. A differenza del passato, in cui scuole e stili si succedevano con una sorta di appropriazioni successive, oggi le varie forme espressive tendono a convivere, una forma di ripescaggio reciproco. Come quando Bill Viola rivisita i classici della pittura mettendo di suo solo la tecnica riproduttiva. In questo caso, dall’arte plastica si passa al teatro, interpretazione di testi in modo letterale con una diversa scenografia per adattarla ai tempi. Ciò costituisce pretesto per introdurre un soffio di attualità mondana in cui gioca la modesta formazione culturale, tanto da far apparire nuovo ciò che è un classico di secoli precedenti. La smaterializzazione dell’opera esime dall’esperienza fisica, l’impasto del colore, la pennellata. Ci troviamo di fronte ad una sorta di liofilizzazione dell’arte servita a “commensali” che nella maggior parte dei casi, non hanno sufficiente sensibilità per percepire la differenza di gusto della “materia” originaria. Anche se datato, ci aiuta nella comprensione il saggio di Deleuze:” Différence et repetition”. Il filosofo francese traccia la mappa mentale di un ricambio avvenuto a livello di modelli generali. Dal citazionismo alla copia elettronica. Il pensiero della presenza , sul modello mondano sintetico, si è scontrato addirittura dai tempi di Kant. Sembra che anche gli artisti siano presi dall’ansia di sfuggire quell’entità oscura e fuggente che è la realtà, trovando sponda in una serie di filosofi, Deleuze appunto, Foucault, Derida, Kristeva. Nel rapporto frontale uomo- mondo l’esperienza diventa un bagaglio inutile. Preso atto della difficoltà di descrivere il mondo, vista la rapidità dei cambiamenti, constatata l’impossibilità di cambiarlo, come suggeriva il vecchio Marz, tanto vale affidarsi ai surrogati da prima immaginati e poi forniti in abbondanza dalla tecnica. Siamo sommersi da rivisitazioni, riciclaggi, remake. La fantasia che mirava al potere ha perso anche la strada dell’immaginazione. La vexata quaestio del patrimonio culturale è stata risolta omologando tutto.
Prima o poi dovremo fare i conti con il dilagante conformismo che assume sembianze di progressismo. Nella filosofia buddista è oggetto di riflessione il vuoto che spesso contraddistingue l’esistenza, con l’invito ad averne consapevolezza. La nostra civiltà convive con il vuoto interiore. Cosa s’intende per “vuoto”, in sanscrito Sunyata. L’aggettivo vuoto, sunya, può significare privo di sè. Sunya deriva dalla radice Sui, gonfiato e letteralmente significa relativo a chi è gonfio. Quindi questa contraddizione ben si adatta alla espressione corrente : pallone gonfiato. Sinonimo di gonfio ma vuoto. Infatti la comune radice Sui, in greco Ky, pare adombrare il fatto che quello che è gonfio e apparente è vuoto dentro. Sebbene il vuoto sia di solito raffigurato nell’arte buddista con un cerchio, non lo si deve concepire come un semplice niente, uno spazio bianco. Per inciso va notato una delle ironie della storia. Proprio il buddismo il più anticommerciale di tutti i sistemi religiosi e filosofici, ha elaborato uno simbolo matematico importantissimo per il commercio e più in generale per l’intero sviluppo della scienza moderna. Senza l’invenzione dello Zero infatti non sarebbe possibile il sistema che permette il funzionamento dei computer e di tutto il meccanismo che regola le transazioni commerciali sull’intero pianeta. Il piccolo cerchio dello Zero, già noto agli arabi verso il 950 d.C. così come shife, vuoto, giunse in Europa verso il 1150 e fu chiamato cifra, in latino. Il vuoto è ciò che esattamente si situa tra l’affermare e il negare. Ecco dunque l’aggancio sociologico con una società agnostica che nega ciò che non conosce, identificando la verità con la scienza mentre in realtà la verità non può che avere una valenza mistica, insondabile ma reale. La dottrina del vuoto dagli artisti buddisti viene spesso espressa con immagini, cosa che tentano di fare oggi alcuni artisti che si pongono il problema dell’effimero. Coghi, Di Maggio, Sehgal e pochi altri, sembrano aver sufficiente sensibilità per capire il problema che assilla la società contemporanea. Gli artisti che hanno la consapevolezza della precarietà di ogni cosa, riescono meglio ad esprimere il tentativo di accettare la realtà nelle sue infinite effimere sfaccettature.
Nel suo libro “La trasfigurazione del banale” Arthur C.Danto definisce la metafisica esecrabile filosofia, non si può negare sia coerente con la natura dei suoi scritti. Secondo Kant “la metafisica ha lo scopo peculiare d’indagare tre sole idee: Dio, la libertà e l’immortalità, in modo che il secondo concetto,unito al primo deve condurre al terzo …” Non c’è dubbio che sgomberato il campo dalla religione, dall’estetica, dando alla libertà una dimensione nella quale non c’è spazio per la responsabilità, anche l’utopia progettuale propria della creatività artistica si trova nel vuoto assoluto. Ne deriva che l’azione dell’artista si radica interamente nella materialità della forma che esprime se stessa in assoluta, ma vuota, autoreferenzialità. Noi percepiamo oggetti fisici attraverso un’esperienza che interagisce con le strutture del cervello condizionato dall’evoluzione che accumula una pluralità di esperienze. La visione dell’oggetto provoca la riflessione che traduce l’oggetto in concetto. Ma cosa accade quando la visione non coincide con il significato che l’artista, o per esso il critico, attribuisce all’oggetto sotto i nostri occhi? Il travisamento della realtà che critica e filosofia dell’arte attuano, non è anch’essa una diversa forma di metafisica? Nel 1982 Maurizio Calvesi pubblicò “La metafisica schiarita”, trattava nel testo l’opera di alcuni artisti, De Chirico, Carrà, Morandi, Savinio, tutti appartenenti al movimento denominato “Metafisico” che ebbe inizio del secolo scorso. Allora non eravamo ancora stati sommersi dalla marea dell’arte “filosofica” statunitense. Nel suo libro Calvesi si richiama alla cultura italiana ed europea, ai trecentisti toscani, al Rinascimento. La citazione di Papini e le sue aperture verso Schopenhauer, Nietzsche, Weininger e Vico. Sono trascorsi solo 33 anni, ma sembrano secoli se osserviamo la deriva dell’arte, soprattutto la totale sottomissione del mondo culturale e artistico italiano alla egemonia USA. Un tema che ho trattato in altre occasioni e sul quale sarà il caso di tornare per cercare di capire come sia possibile che un paese, con millenni di storia, abbia potuto abdicare non solo sul fronte politico, per il quale la giustificazione è la potenza militare, ma anche nell’ambito culturale dove i cannoni non servono. La resa si spiega solo con il travisamento della stessa idea di cultura.
Nel 1928 Rudolf Carnap pubblicò “Costruzione logica del mondo” che rimane a mio parere il suo testo più significativo. Egli diede largo spazio alla metodologia, lasciando sullo sfondo l’impostazione filosofica. Il richiamo a Carnap serve a chiarire l’importanza di costruire lo spazio comunicabile della conoscenza, presente anche negli scritti di Schlick. Gli equivoci provocati da certa “filosofia dell’arte” nella quale si confonde l’oggetto con la sua designazione verbale. L’arte dovrebbe essere il tramite attraverso cui si realizza la simbiosi tra sensibilità e razionalità nella forma significante che costituisce l’indicazione di una potenzialità. L’opera può dirsi compiuta nella misura in cui la potenzialità si traduce in espressione intellegibile. Un percorso verso una dimensione reale parallela. Questo assetto sottintende un’ontologia per la quale si possono distinguere le proprietà degli oggetti e strutture e le loro finalità. L’arte come sistema di assetti formali il cui punto di partenza è soggettivo e tuttavia l’opera deve acquisire una intersoggettività perché possa essere percepita come tale, non basta il puro formalismo delle strutture per consentire una reale partecipazione. Ad ogni oggetto compete il suo concetto, non sono che due diversi modalità linguistiche che assumono significato solo con la loro simbiosi. Sulla base della nota distinzione di Frege tra segni saturi e non saturi, l’arte si trova necessariamente nella prima posizione, ed è del tutto arbitraria la tesi secondo cui l’opera si completerebbe con l’apporto del fruitore. Questo presupporrebbe una sorta di gratuità formale, l’incompiutezza in sè. Carnap considera valida la distinzione di Frege tra senso e significato, una distinzione che ripete l’impostazione realistico – fenomenistica secondo la quale il senso è la rappresentazione soggettiva delle cose, quindi una cesura verso la comunicabilità. La filosofia non può intervenire per formulare un significato, il senso del sapere non si traduce ipso facto in ermeneutica dell’invisibile, senza tener conto della configurazione reale. Carnap considera una definizione specifica dell’intersoggettività: gli oggetti fisici sono contrassegni dei processi psichici. Ecco spiegate le opere di Jeff Koons. La semplice rappresentazione soggettiva non ha necessariamente riflessi del reale. Un soggetto può essere definito “conoscitivamente primario” rispetto a un altro “conoscitivamente secondario” quando questo viene riconosciuto per mezzo del primo. In questo consiste la metafora artistica. Ma è necessario che esistano reali rapporti di dipendenza gnoseologica che chiariscano l’affinità tra gli oggetti.
Nella filosofia buddista si dice:” Se un uomo fosse trafitto da una freccia non pretenderebbe, prima di farsela estrarre, di sapere chi ha tirato la freccia, se è sposato, grande, piccolo, biondo, vorrebbe liberarsi al più presto della freccia”. L’insegnamento conduce all’essenza di ciò che davvero è indispensabile agli esseri umani. Non certo cupidigia, passioni sfrenate, vizi, depravazione. L’appagamento del corpo uccide l’anima qualsiasi cosa intendiamo con questo termine. Capita, afferma la filosofia buddista, che coloro che sanno non parlano, coloro che parlano non sanno. Riflettiamo sul bailamme di rumori, che noi chiamiamo comunicazione. C’è un detto cinese : “ solo un nobile silenzio non vìola la Verità”. E’ preoccupante non tanto cosa accade intorno a noi, ma l’entusiasmo con cui accettiamo ogni cosa abbia l’etichetta di nuovo o venga considerato tale. La dialettica è la forma logica associata ai filosofi, Zenone, Elea, Hegel. Ma il loro pensiero è oggi travisato. Siamo prevenuti circa l’idea di etica, pressoché abolite espressioni come” libertà dello spirito”, timorosi di tutto ciò che consideriamo un limite alla nostra libertà. Quando parliamo di libertà abbiamo in mente soprattutto il corpo, la sessualità. Nella filosofia di Aristotele l’apparenza è trattata come fattore che contrasta con l’essenza delle cose. Da qui deriva l’importante corollario che nega il sé e tutte le altre simili teorie. Hume nega l’esistenza dell’ego come unità distinta. Si avvicina alla dottrina buddista dell’Anatta che rappresenta l’esatto opposto di quanto sostiene Kant nella Critica della Ragion Pura( Logica trascendentale). Kant afferma “Io sono”, con ciò egli intende esprimere la coscienza che accompagna ogni pensiero del sè. La differenza con i filosofi buddisti consiste nell’uso che si fa della preposizione filosofica “sé”, una volta che è stata enunciata. Ma il punto focale è un altro. L’uomo occidentale è da tempo abituato alla completa scissione tra la teoria dei principi e l’atteggiamento concreto nella prassi quotidiana. Schopenhauer e Herbert Spencer vengono subito in mente come esempio negativo. Nel buddismo l’essere umano non è giudicato dal suo stile o dalla sua erudizione, e neppure dalla coerenza interna della sua dottrina, ma soltanto dall’accordo di questa con la sua vita. L’obiettivo dei buddisti è imparare a comportasi come se non esistesse l’ego. Viene in mente la dichiarazione del regista che ha presentato al Festiva del cinema di Venezia nel 2015 un film in cui un uomo diventa donna. Per motivare il film costui ha affermato: ciascuno deve avere la possibilità di liberarsi dalla prigione del proprio corpo. Affermazione che ricalca le teorie gender prodotte dal femminismo. Dice Chanfort:” Chissà perché quando si vìolano le norme non è mai per elevarsi, ma sempre per scendere più in basso”. L’Europa non ha mai avuto pensieri spirituali autoctoni, è stata piuttosto assorta dall’economicismo e materialismo. Tutto ciò che di spirituale è apparso in Europa è preso a prestito dall’Asia, Gesù Cristo incluso. Il materialismo dell’occidente ha comunque finito per prevalere, tanto che anche il cristianesimo si è fatto istituzione, insediandosi con fasti e lussi in prestigiosi palazzi e chiese. Ne deriva che la progressiva degenerazione socio- culturale del nostro tempo, l’arte di oggi lugubre espressione della tecnica e del materialismo dominante, è la naturale conseguenza del vizio di origine.
Con una certa frequenza la cronaca riporta episodi criminali in famiglia, suicidi e azioni autolesionistiche. Siamo così immersi nel rumore della modernità, nel bailamme di superficialità, da aver persa l’abitudine a pensare, tanto che, chi affronta le questioni basiche dell’attuale situazione di esistenza dei più, è percepito come un pedante chiliasta .Tutte le filosofie hanno affrontato il tema base dell’esistenza, sotto diverse ottiche. Osservando l’arte e la letteratura contemporanea con un minimo di distacco, appare di solare evidenza la banalità di forme e parole forgiate quasi esclusivamente per lucro. Cultura e arte non costituiscono il tentativo di offrire effettivo contributo al miglioramento in senso positivo della società, anzi l’orientamento è esattamente opposto, un continuo elogio di devianze e alla trasgressioni . Non è il caso di affrontare un tema così complesso che appare una sorta di cortocircuito tra cultura – società – cultura, in cui è inclusa ovviamente anche la produzione artistica, condizionata e condizionante il sistema sociale nel suo complesso. Il filosofo cinese Shao Yung (1011-1079 sviluppò una filosofia che aveva come riferimento complicati diagrammi nei quali - segno- forma-pensiero, costituiscono tutt’uno all’interno di precisi parametri . La più grande opera di Shao Yung è un elaborato diagramma cronologico del mondo esistente. Secondo questa cronologia l’età d’oro del mondo è già trascorsa da tempo; essa fu realizzata al tempo Yao, il re filosofo della tradizione che regnò, secondo gli studiosi, nel XXIV secolo a.C. Oggigiorno siamo in un periodo che corrisponde al diagramma Po, epoca di declino. La maggior parte dei filosofi cinesi considerano la storia umana come un processo di continua degenerazione. La teoria secondo cui ogni cosa implica la sua propria negazione ha sapore hegeliano ma, mentre secondo Hegel la negazione di una cosa dà origine a una nuova cosa di più alto livello, secondo Lao-tse e le appendici del “Libro delle mutazioni” , la cosa nuova non fa che ripetere quella che l’ha preceduta in modo più degradato. Tale teoria non vale solo per il mondo cinese. Se noi mettiamo a confronto i progressi della tecnica nelle società occidentali con l’attuale condizione della natura umana, ci rendiamo conto dell’evidente regressione. A fare, per così dire, da paravento, è lo sviluppo della scienza e della tecnica in grado di rimediare ad errori e nefandezze di vario genere. Resta vero che sotto il profilo umano ed etico la decadenza è palese. Nell’ambito artistico siamo al grado zero di sensibilità e immaginazione creativa. Gli esempi sono innumerevoli. Ricordiamo due personaggi che hanno legata la loro notorietà ad un ’orinatoio. L’imperatore Vespasiano che primo ebbe l’idea dei gabinetti pubblici, suo il detto “pecunia non olet” Duchamp, il quale, con il decisivo supporto della critica e filosofia dell’arte, elevò un orinatoio a dignità artistica . Per i tempi della storia, e ancora di più dell’evoluzione della specie, i due “inventori” sono quasi contemporanei, entrambi appartengono a pieno titolo al mondo occidentale, un dettaglio che merita riflessione.
Mencio, filosofo cinese (371 - 289 a.C.) attribuiva agli esseri umani quattro semi, oggi diremmo potenzialità, che possono inaridire o svilupparsi. Il seme della sensibilità. Il seme della correttezza. Il seme della saggezza. Il seme della rettitudine. I quattro semi diventano, nel loro perfetto dispiegarsi, le quattro virtù costanti che caratterizzano il saggio. Secondo il filosofo Kao-tse, la natura umana non è nè buona nè cattiva quindi la moralità è qualcosa di aggiunto dal di fuori di essa. Sembra di leggere il Vattimo cinese. L’Università di Harvard ha attivato di recente un seminario che si propone d’indurre gli studenti a “riflettere sulla vita” , per trovare la strada della saggezza. Manca solo il manuale “Come essere saggio con dieci lezioni”. La modernità è talmente inquinata dalla funzionalità tecnologica che è maturata la convinzione che esistano soluzione tecniche e rapide per tutto. Michel Foucault è uno dei molti esempi di “saggezza moderna”, scrisse interessanti saggi, “Le parole e le cose” , “Sorvegliare e punire” , e molti altri, nei quali esprimeva le sue lezioni di vita, o, come scrive in uno dei saggi “la cura di se”. La sua vita smentiva il suo pensiero, era infatti tutt’altro che saggio. Omosessuale, faceva uso di droghe, si abbandonava a orge sado-maso, compì ripetuti tentativi di suicidio. Appare quindi il perfetto paradigma contemporaneo. Gli adulti, se questa parola ha ancora senso, si dimostrano indignati per la morte per alcol e droghe di giovanissimi frequentatori di discoteche, ma nei loro comportamenti danno pessimi esempi ai giovani i quali vedono continuamente comportamenti spregevoli. Il filosofo cinese Yang Chu (500 a.C. circa) scriveva: “ Se anche potessi salvare il mondo strappandomi un solo pelo, non lo farei”. Lezione di preveggente pessimismo dell’ Aretino cinese. Ma non è stato il solo nella storia del pensiero. Meno pessimisti sono stati intellettuali e filosofi che si perdevano in complicate ed estranianti teorizzazioni, Hegel e Kant sono un esempio. Schopenhauer invece aveva marcata propensione al pessimismo, oltre che alla misoginia. Ma vi furono studiosi ancora più radicali. L.E.j. Brouwer affermava: “ la logica non insegna nulla al mondo, serve ad avvocati e demagoghi”. La stessa tesi dei filosofi cinesi della “Scuola dei nomi”. Prosegue Brouwer : “detesto la maggioranza delle persone, la degenerazione dell’uomo è iniziata quando ha abbandonato lo stato naturale, spezzando l’equilibrio imposto dalla natura” . Brouwer era un valente logico matematico (1881-1966) affermava che “quando gli uomini perdono i loro desideri primari, per timore della solitudine diventano automi”. La riconciliazione con il mondo, scrive in “Vita,arte, mistica” , “avviene con il riconoscimento e la soggezione al Karma, stabilito per ciascun uomo”. Va da se che, nel nostro mondo caotico e programmaticamente degenerato, nulla è più estraneo della ricerca del Karma.