Goalkeeper, 1976
Forse nessun libro ha descritto la folla come annullamento delle differenze con l’efficacia di Elias Canetti in “Mass und Macht”. In ogni ambito della conoscenza la diffusione del sapere in senso orizzontale ha potenziato la tendenza a dare una interpretazione di comodo al pensiero e alla storia umana a iniziare dal mito. Nietzsche e Rudolf Otto che hanno trasformato il carattere odioso di Dionisio, sottacendone la vera natura fatta di violenza e malvagità. Euripide è indubbiamente estraneo a simile interpretazione. Solo il donchisciottismo masochista del mondo d’oggi poteva trovare dilettevole un dio che semina odio e distruzione. Il dio non ha essenza propria al di fuori della violenza. Se, al pari dell’Apollo di Delfi e del mito di Edipo, Dionisio è associato all’ispirazione profetica è soltanto perché nell’ebbrezza dell’abbandono dionisiaco si attua il rito sacrificale. Non vi è nulla nella tradizione dionisiaca antica che si riferisca alla cultura della vite o alla fabbricazione del vino. Tiresia definisce Dionisio il dio dei moti panici, dei terrori collettivi, egli incarna la più abominevole delle violenze, è sorprendente che venga associato, a partire da Nietzsche, alla gioia della festa, sia pure sfrenata delle Baccanti. Sotto il nome di Bromios, il Rumoroso, il fremente, Dionisio provoca un imprecisato numero di disastri. L’analisi dei testi conferma le ipotesi che fanno del culto di Dionisio un invito al sommovimento sociale. L’opera di Erwin Rohde esprime forse la più chiara e completa intuizione sulla vera natura del mito dionisiaco. Gli uomini hanno sempre tentato di porre la violenza al di fuori di se stessi, in una entità separata, sovrana e redentrice, utilizzando una vittima espiatoria. La civiltà di massa ha creato le premesse per dare carattere collettivo alla ricerca del capro espiatorio. I genocidi programmati del secolo breve ne sono testimonianza. L’ispirazione tragica dissolve le differenze fittizie nella violenza. Demistifica l’illusione di una comunità innocente. Abolite le differenze di genere, nelle feste dionisiache era permesso alle donne di bere vino, esse rivelavano una violenza ben più terribile di quella maschile. Sono infatti le donne le principali protagoniste dei baccanali dionisiaci. Euripide avverte tale ambiguità e la sottolinea. Marie Delcourt-Curvers si chiede quale significato abbia inteso dare il poeta allo scatenarsi delle Agave e delle sue compagne. La ripartizione manichea in buoni e cattivi si dissolve nel baccanale e tutto ciò che l’essere umano è nel suo profondo viene fuori nell’esternazione della più sfrenata violenza. Sul ruolo delle donne nelle società primitive è ritornato Lèvi-Strauss nel suo saggio “Tristes Tropiques”, studiando i villaggi sudamericani dei Bororo. Il dionisiaco contemporaneo si attua anche attraverso la femminilizzazione degli uomini e la virilizzazione delle donne. L’idea accettata che gli uomini si comportino come donne e le donne come uomini provoca un preoccupate scompiglio. L’annullamento graduale delle differenze sessuali marca il regresso di una società confusa che non ha più neppure la capacità di avvalersi del rito per esorcizzare i radicalismi che rendono così effimero lo stesso concetto di civiltà.
Come e forse più che la rivoluzione francese del 1789, la rivoluzione russa fu preparata e seguita dai grandi scrittori. Oggi, quando si parla di cultura, si tende a dare un gran peso all’internazionalismo e al multiculturalismo, soprattutto si tende a negare le radici nazionali della cultura. E’ curioso che la Russia abbia dato vita a una quantità di grandissimi scrittori, alcuni forse sopravalutati, come Leonid Andreev, di cui Piero Gobetti fu grande ammiratore e che citò nel suo libro Il “Paradosso”. Ma non c’è dubbio che l’elenco degli scrittori che hanno lasciato il segno nella storia, non solo nella letteratura, sarebbe davvero lungo. Dostoevskij,Gor’hij, Tolstoj, Pastenak, Puschkin, Turgenev. Vi è un aspetto singolare; a tanti talenti letterari non fanno riscontro filosofi di pari levatura. Quando Lenin si cimentò con la filosofia scrisse: “Empiriocriticismo”. Non certo un tema che possa aspirare a rappresentare il vertice del pensiero filosofico. In compenso molte opere di Dostoevskij sono considerati i veri e propri trattati di psicologia. i Turgenev a sua volta trasse ispirazione dalla filosofia di Schopenhauer . “Padri e figli” è chiaramente ispirato alla filosofia del filosofo tedesco preferito dallo scrittore il quale non apprezzava affatto Hegel. L’interesse per Schopenhauer, anche se non poteva diventare fenomeno di massa, fu assai diffuso nella Russia del tempo di Turgenev. L’altro grande schopenhaueriano della letteratura russa fu Tolstoj.Se confrontiamo la qualità e i temi degli scrittori citati, altri se ne potrebbero aggiungere, e seli paragoniamo alla letteratura contemporanea mediamente considerata non abbiamo motivo di ottimismo. Gli aedi del progresso si affannano a valorizzare il presente, il dubbio è che non conoscano il passato o che non abbiano capito il presente che esaltano.
Memoria e riflessione.
Dobbiamo tener presente l’analisi della coscienza nelle determinazione storica dei fenomeni culturali. Ciò significa che, quando un fenomeno artistico è contingente, cioè si situa nel presente, la sua percezione può essere di carattere emotivo ma non assume una vera rilevanza culturale. Sebbene sulla base della percezione sensibile il nostro interesse pratico ed emotivo possa essere risvegliato, si tratta di una sensazione transitoria che non ha rilevanza di carattere gnoseologico e si riduce a pura sensazione. Husserl tenta di risalire all’origine superando la idealizzazione dell’opera che costituisce particolare difficoltà per la soggettività dell’ego dell’artista il quale raramente sembra possedere un filtro critico, ma assume prevalentemente presunte positività trascurando le instantiae negativae. Bacone annovera tra gli idola tribus la tendenza a conservare nella memoria solo il positivo dimenticando le istantiae negativae. Qualcosa di analogo si verifica in rapporto al discrimine linguistico che determina le convenzioni. A partire dal Prometeo di Eschilo. L’ottimismo è un carattere dell’esperienza umana dal punto di vista del significato antropologico. La testimonianza più antica possiamo trovarla in Anassagora tramandateci da Plutarco . Platone attesta tuttavia, allo stesso modo di Aristotele, che si tratta di una tendenza a superare le forme di criticità non attraverso la riflessione, ma piuttosto in forma di superamento affidato alla amnesia. Temistio commenta e illustra questo passaggio richiamandosi alla difficoltà di apprendimento di cui parla anche Aristotele riferendosi ai concetti della scienza. Ecco dunque che quando l’artista produce un’immagine senza risvolti di carattere gnoseologico, sulla base di una epistemologia basata sull’emozione , il suo raccoglierli in serie successive conduce all’unità dell’archè, termine che significa insieme “comando” e “principio”. La negatività può anche avere un senso peculiarmente produttivo. Non può essere semplicemente illusione, riconosciuta come tale, ma una capacità di utilizzare la sensibilità consapevole per arricchire il proprio bagaglio di conoscenza. Su questo principio, analizzato da Hgel, richiama l’attenzione Heidegger , che se ne è sentito insieme attratto e respinto. In nessun caso comunque è stato risolto il difficile problema della lettura produttiva dell’opera d’arte il cui contenuto oggettivo resta di difficile definizione.
La critica che, dalle più diverse posizioni gli avversari di Hegel hanno rivolto contro la filosofia della ragione assoluta, non riesce a spuntarla contro la consequenzialità rigorosa della mediazione dialettica totale quale è descritta specialmente nella fenomenologia dello spirito, cioè la scienza del manifestarsi del sapere. Non si può negare che certe obiezioni di Ludwig Feuerbach abbiano una certa validità,esse sono pensate come figure dello spirito che Hegel descrive soprattutto nelle forme iconiche dell’idealismo come ad esempio nella critica neokantiana della filosofia della vita e dell’esistenzialismo. Rickett nel 1920 discusse le basi della filosofia senza poter in alcun modo limitare gli effetti dell’ influsso di un insorgente cinismo che iniziava allora a manifestarsi. In questo si dimostra chiaramente l’intima contraddittorietà di ogni relativismo. In Italia argomenti e teorie riflessive sulla legittimità filosofica sono soltanto apparenti. E’ ormai accertato dai più attenti filosofi contemporanei il carattere di apparente spurio dei ragionamenti che pretendono di avere radice nell’antica sofistica, per altro già messa in discussione da Platone. Nella filosofia dell’arte accade che vengono usati argomenti speciosi per giustificare sia l’epistemologia che l’ontologia. L’arte finisce per cadere in un eccesso di autoreferenzialità. In questo senso si rende necessario rivedere la posizione che la critica e la filosofia dell’arte hanno assunto in questi ultimi 50 anni. Oggi la nuova disciplina, “Cultura visuale” o Pictorial Turn, ovviamente nata negli USA, tende a far apparire superata critica e filosofia dell’arte così come si articolata fin ora,ciò era prevedibile. Questa nuova dottrina delle Scienze della visualità, sembra peraltro afflitta da ansia totalizzante nella pretesa di voler riunire in un’unica disciplina il variegato mondo della teoria dell’arte, della storia dell’arte e della filosofia dell’arte. Il discorso è tanto complesso quanto pleonastico dal momento che il sincretismo culturale non costituisce mai un vero arricchimento, tanto meno trova giustificazione la pretesa di racchiudere all’interno di un unico percorso teoria e modalità della visione. Questo nuovo approccio affronta vecchie tematiche, non potendo mutare la concretezza dell’assunto, rivisita argomenti noti da un’angolazione diversa. In questo modo ottiene di sottrarsi alle conseguenze logiche di un sapere radicato che è difficile contrastare. Più facile adottare un nuovo lessico che imprima l’apparenza del nuovo. Detto in altri termini è forse più semplice ribaltare il tavolo quando la partita risulta persa in partenza e ricominciare con una nuova avventura. Oltre tutto questo è coerente con la tendenza di questi ultimi anni durante i quali abbiamo assistito alla proliferazione di cattedre universitarie come conseguenza della frammentazione delle antiche discipline. Il profluvio di pubblicazioni non consiste in altro che nella rimasticazione di argomenti noti presentati sotto nuove copertine. Le cattedre universitarie proliferano in misura inversamente proporzionale alla capacità di creare e comunicare sapere che affronti questioni irrisolte. Rapporti sociali, politica, arti visive, letteratura, sono ridotti a un livello infimo, tutto è giustificato con il progresso tecnologico che però non serve a migliorare la qualità delle opere che nascono da sensibilità e intelligenza degli esseri umani.
Nel continuo borbottio che è oggi la cultura contemporanea, pare emergere una asettica accettazione della kantiana “cosa in sè” avversata da Hegel. Dove la cosa in sè si riduce a una serie di icone prodotte da chi, dopo aver messo in discussione i cosiddetti stereotipi della cultura e dell’arte, li ha semplicemente sostituiti con riferimenti iconici di basso profilo. Il profluvio di articoli e libri sull’arte sembrano seguire la coazione indicata nella “Colonia Penale” di Kafka che consiste nel continuare a parlare laddove nulla si può dire, così capovolgendo il monito di Wittgenstein. Il linguaggio dell’arte, un tempo detta figurativa, non sembra essere in grado di esprimere la propria narrazione. L’artista che intende imprimere il proprio segno sulla tela da sempre si affidato a una certa casualità. Si narra un aneddoto sul pittore Apelle, il quale, frustrato dalla impossibilità di dipingere la schiuma che usciva dalla bocca del cavallo rappresentato nell’opera che stava realizzando, al culmine dell’ira, gettò la spugna intrisa di colori contro il quadro incompiuto, ne ottenne con stupore l’effetto desiderato. Ecco dunque che le riflessioni logico-dialettiche sono spesso del tutto immaginifiche. L’idea espressa da Gadamer che l’arte esprima un attimo di verità andrebbe forse riconsiderata alla luce del caso che ha una parte non secondaria nella creazione artistica come nella scienza. La filosofia della natura e la biologia contemporanea hanno ampiamente dimostrato quanta parte abbiano il caso e la necessità come recita il libro di Jacques Monod pubblicato nel 1970. La voragine del non senso travolge anche Hegel. In un recente libro pubblicato da Einaudi, si arriva a ipotizzare che Hegel abbia in qualche modo profetizzato l’avvento di Andy Warhol, il celebre grafico pubblicitario, considerato dalla critica d’arte un artista.
Che ne è del concetto di simbolo espresso dall’opera d’arte? Schelling sintetizza l’inadeguatezza di talune forme allegoriche con le quali l’arte intende esprimere una coscienza mitica. Cassirer ha affrontato il tema in un ampio trattato sulla “Filosofia delle forme simboliche”. Il simbolismo estetico oggi non ha più diritto di cittadinanza in un’arte che ha ripudiato l’estetica, inconsapevole dell’abissale contraddizione con se stessa. L’arte non dovrebbe esprimere una rigida contrapposizione tra il concetto di simbolo come qualcosa che si è sviluppato all’interno di una cultura che conservava carattere antropologico, e l’allegoria associata a un freddo intellettualismo. La base dell’estetica dell’ottocento era la libertà dell’attività simbolica del sentimento, il che non significa esprimere verità, sia pur limitata alla tradizione mistico-simbolica, ma semplicemente stati d’animo, sensazioni, impulsi che però hanno alla base una maturazione culturale che consente un’apparente spontaneità e immediatezza. Dovremmo renderci conto che questi problemi costituiscono la base stessa dei concetti estetici rinunciando ai quali resta soltanto una sorta di navigazione a vista. L’ inoltrarsi su un terreno inesplorato senza capacità di reperire le tracce di un passato che costituisce ragione e materia culturale nella quale l’arte trova il proprio humus e la propria giustificazione d’essere. L’alternativa è attribuirsi una totale autoreferenzialità. E’ quanto è accaduto con le avanguardie storiche. Alla base di tali atteggiamenti vi è la presunzione di creare non solo l’opera, ma anche il contesto nel quale l’opera si radica. Il Paralogismo che ha ispirato l’operazione distruttiva ha portato al fallimento. Purtroppo il milieu culturale che costituisce il megafono del mercato non accetta, o forse non vede, come l’arte sia ridotta in gran parte a camp, affidata a tycoons avventurosi che la tengono in vita l’arte attraverso il mercato sicuramente senza porsi preoccupazioni di carattere estetico e/o filologico. Lo stesso concetto di coscienza estetica è diventato problematico, e quindi anche il punto di vista dell’arte da cui esso parte. Non credo si possa mettere in dubbio che la deriva dell’arte è stata provocata dall’abbandono della coscienza estetica .
Il pensiero unico mette in primo piano femminismo,immigrati, omosessuali. Un Governo viene giudicato in base al numero di donne che include. La scena internazionale da mesi è occupata dalle denunce di molestie. Il Festiva di Cannes ha visto un’altra manifestazione di potere femminile. In questi giorni, cercavo informazioni su Art Basel , ho scoperto che tutti i referenti sono donne. Fame nel mondo, criminalità e uso di stupefacenti da parte dei minori abbandonati a se stessi, situazioni drammatiche di salute e povertà degli anziani, crollo delle nascite. Tutte questo è appena accennato dai media. In questo momento i tg e giornali italiani mettono in primo piano le condizioni di locazione “Della casa delle donne” di Roma. Che il mondo dell’arte sia ormai di dominio femminile è un dato di fatto sul quale ci siamo soffermati più volte. L’arte al femminile ha sempre il corpo come protagonista, una sorta di svilimento ulteriore della già tristissima situazione dell’arte contemporanea. Il femminismo vuole riscrivere la storia spesso senza conoscerla. E’ breve l’elenco delle filosofe prima che il femminismo irrompesse sulla scena dando spazio a tematiche di genere, quasi sempre con risvolti sessuali come avviene nell’arte. Platone parla di Diotima, l’amante di Pericle, Aspasia la compagna di Cratete, Ippacchia nel giardino di Epicuro. Ipazia d’Alessandria che non ha lasciato neppure un rigo scritto. Tutte queste donne parlavano la lingua della pura emozione che, tradotto, si riduce al solipsismo del corpo, ieri come oggi caratteristica saliente femminile. La cultura sociale europea ha trasferito in ambito giuridico le ambizioni femminili. I privilegi dell’aristocrazia medioevale femminile sono tradotti oggi in codice di famiglia e agevolazioni sul piano penale e civile. Gli impulsi sessuali spesso si sublimano in opere letterarie. Jumel de Barneville, baronessa d’Aulnoy, con la sua favole dell’uccello azzurro. Mme de la Guette che teorizzò l’economia libertina rappresentata meglio da Ninon de Lenclos, centrata sul valore dell’emotività contro la ragione. Libera all’interno del proprio potere sociale, la donna può giocare su molti tavoli. La seduzione come strumento di conquista del potere è diritto acquisito, a prescindere dalla non dichiarata inadeguatezza intellettiva. Il dominio femminile si realizza facendo strame, quando è necessario, di consuetudini e norme etiche. Rousseau è estremamente critico nei confronti delle donne che dominano i salotti nel ‘700, luoghi nei quali si esercita il potere. Mme de la Fayette, Mme de Sévigné, Mlle de Scudèry, le cosiddette Preziose, precorrono il femminismo. Mme de Lambert, scrive un saggio sull’amicizia. Nell’elaborazione teorica della specificità femminile si azzera il valore dell’etica, in favore di una libertà soprattutto sessuale. La prima donna che ebbe la cultura come guida era l’allieva prediletta di Montaigne, Marie de Gournay. Anche l’ambiziosa Mme du Chàtelet, modello di egoismo ed egocentrismo individuale conduce i suoi giochi di potere all’interno di una società nella quale la donna domina senza apparire. Mme de Staèl sviluppa la passione per la filosofia di Sophie de Groucy, moglie di Condorcet, si richiama a Rousseau come a un maestro migliore dell’ambiguo Voltaire. Ma non esiste solo la conquista del potere con mezzi soft, la storia è ricca di episodi nei quali emerge a tutto tondo la natura femminile. Troppo numerosi gli episodi perché sia possibile farne anche solo l’ elenco , alcuni davvero esecrabili. Nel 775 d.c. Costantino V, detto il Copronimo, muore, suo figlio Costantino VI è ancora un bambino , sua madre Irene diventa imperatrice reggente. Quando il figlio reclama il potere lei lo allontana e gli fa cavare gli occhi. Quando l’imperatore Teofilo il 21 gennaio 842 muore, la moglie, Teodora, diventa reggente del figlio Michele III, lo seduce per mantenere il potere. Il figlio riuscirà a ottenere il trono ma sarà un uomo distrutto, verrà ricordato come Michele l’Ubriacone. La filosofa Ipazia, oggi icona del femminismo, riceve profferte amorose da un suo discepolo, non trova di meglio che rispondere esibendo un assorbente igienico usato. La storia dimostra che non vi è mai stata una reale sottomissione della donna, il problema si riduce, oggi come ieri, alla condizione sociale e di potere. Già prima di Cleopatra, ex prostituta divenuta regina, è folta la schiera di donne che hanno occupato i vertici del potere quasi sempre attraverso espedienti o usando strumentalmente la sessualità, sono cose talmente note che solo la faziosità femminista ha l’ardire di negare. Oggi non è cambiato nulla, salvo forse una maggior dose di arroganza e menzogne dovute in parte a malafede, ma più spesso a ignoranza.
Se si ha la capacità di resistere alla depressione, può essere interessante considerare i comportamenti di taluni mostri sacri della cultura tutt’oggi celebrati. Massimo Gorky inneggiava ai Gulag comunisti. Nel 1943 Simone de Beauvoir viene cacciata dal ministero dell’educazione nazionale per aver trattenuto rapporti sessuali con una sua allieva. Con lungimiranza Rousseau, Schopenhauer, Nietzsche, Marinetti e molti atri intellettuali esprimono apertamente il disprezzo per la donna. Il 25 Giugno 1984 l’omosessuale Foucault muore di Aids. Nel 1972 Andy Warhol dipinge ritratti cartellonisti, secondo il suo stile, di Lenin e Mao. Cartier Bresson inaugura una serie di foto: “Godo per strada” “Godete qui e ora” . E’ in auge il motto:“vietato vietare”. Questi gli slogan dei “rivoluzionari” degli anni ’70 del secolo scorso. Alla Sorbona, tempio del sapere, circolano indicazioni del genere: “ Non dire più sig. professore, ma crepa stronzo”. Il sesso nelle aule universitarie e nelle scuole è prassi ordinaria. Non sapendo scrivere si ricorre all’affermazione:“L’ortografia è un mandarino”. E’ in atto un crescendo di parossismo “libertario”. La crema della cultura parigina firma una petizione da mandare in parlamento con la richiesta di abrogare la legge che vieta la pedofilia. I firmatari sono: Althuser (che assassinerà la moglie e finirà in manicomio), Aragon, Barthes, Beauvoir, Chatelet, Chèreau, Bory, Cuny, Deleuze, Derrida, Dolto, Jean Pierre Faye, Gavi, Gluckmann, Guattari, Daniel Guérin, Guyotat, Jacques Henric, Hocquenghem, Kouchner, Jack Lang, Lapassade, Leiris, Lyotard, Mascolo, Matzneff, Catherine Millet, Ponge, Olivier Revault, d’Allonnes, Robbe Grillet, Christiane Rochefort, Daniel Sallenave, Sarte, Schérer, Sollers…..Chi lo desidera può cercare le opere dei singoli autori. Ovviamente è solo l’elenco di intellettuali francesi che non sono dissimili dagli intellettuali del resto del mondo. Il manifesto citato è uno dei tanti “manifesti rivoluzionari” in auge negli anni ’60- ’70 che tutt’ora sono uno strumento di diseducazione di massa usato abitualmente dalla sinistra. Gli intellettuali elencati sono considerati grandi maitre a pense, i loro testi hanno “educato” le generazioni che oggi sono al potere, e continuano tutt’ora a influenzare le giovani generazioni. Nessuno ha più il diritto di stupirsi di ciò che accade. Il tramonto dell’occidente vaticinato da Oswald Spengler è pressoché compiuto.
Immagine del Lampadario fatto con Tampax di Vasconcelos
Nella società contemporanea ci sentiamo così evoluti da poter fare a meno di educare i nostri figli. Oggi l’educazione consiste generalmente nel sostenere l’assoluta libertà: “tutto è permesso”. Bambini sono educati a pensare che sia loro possibile ogni cosa, li esponiamo ad avere amare delusioni. L’89% del personale della scuola è femminile. Agli alunni non è impartita una guida ragionevole ed una educazione civica. E’ evidente l’incapacità delle insegnanti e dei genitori, la madre sempre prevalente, di inculcare sani principi ai propri figli, per la semplice ragione che loro stessi ne sono privi. Gli antichi, in particolare i greci, hanno affrontato il problema dell’educazione elaborando una cultura che prevedeva la cura di se, nel senso più ampio di dominio dei propri primordiali impulsi. Oggi vi è una sempre più evidente manifestazione di superficialità, incapacità pedagogica, il rifiuto di ogni riferimento etico, visto come un reazionario principio del passato. Platone nell’apologia di Socrate tenta di indicare le forme attraverso cui è possibile accrescere non solo la propria conoscenza ma il dominio di se. Tema ripreso e sviluppato dalla filosofia stoica. L’arte della politica non può consistere semplicemente nel condurre al pascolo i bipedi di una razza incrociata, sprovvisti di piume e di corna(?). Nella gestione del potere la tirannia è possibile quando viene meno la capacità di controllo di se, in quel caso ci si trasforma in gregge. Colti dall’ euforia di una libertà fittizia, liberi di abbandonarsi ad eccessi di ogni genere, privi della capacità di decidere il corso della nostra esistenza. Noi contemporanei, forti dei progressi della scienza e della tecnica, riteniamo di poter abolire ogni residuo riferimento naturale, ovvero, volgere al naturale gli aspetti particolari e secondari come ad esempio, la promiscuità sessuale. L’arte registra tutto questo. Per una puntuale constatazione non è necessario far ricorso a particolari ricerche, basta esaminare i cataloghi delle aste contemporanee dove trionfa la cosiddetta arte femminista. Vi sono esposti corpi che non lasciano nulla all’immaginazione. Vagine non proprio vergini, corpi esposti nelle forme che forse, artiste e modelle, considerano seducenti e accattivanti, ma che in realtà fanno il verso alle comuni macellerie. Ovviamente tutto avviene all’insegna della “libertà di espressione”. Non è chiaro se i corpi dovrebbero costituire critica a determinati comportamenti, ovvero esaltazione degli stessi. E’ una distinzione di lana caprina che non modifica e non facilità l’ermeneutica dell’oggetto. Quando si legge “l’arte è un momento di verità” (Gadamer) è difficile capire se si tratta di carenze informative e cos’altro.
Opera di Hermann Nitsch Senza Titolo 2001
Prima ancora di soffermarci su determinate teorie “filosofiche” , forse dovremmo interrogarci sul perché uomini e donne, che si suppongono dotati di intelletto e di cultura, siano attratti da quelle teorie. Altrettanto utile sarebbe approfondire da dove traggono la loro ispirazione personaggi come Donatien-Alphonse-Francois de Sade, Leopold von Sacher-Masoch, Bernard de Mandeville. Tutti soggetti che hanno ottenuto grande attenzione, in molti casi ammirazione e seguaci soprattutto tra gli intellettuali, ma non solo. Trascuriamo le forme estreme di depravazione teorizzata ed applicata, soffermiamoci brevemente su Bernard de Mandeville. Di origini olandesi, di professione medico la sua opera più nota è: “Favola delle api”. Pubblicata per la prima volta nel 1705 celebrava il self-liking, derivazione del self-love che verrà ripreso ed enfatizzato in forma diversa dalle filosofe femministe tre secoli dopo. L’obiettivo non dichiarato, verso il quale muove la critica Mandeville, è il moralista inglese Shaftesbury. Il significato dell’opera di Mandeville è quello di separare l’analisi della produzione di ricchezza dalla moralità. Si potrebbe dire che,molto più di Max Weber , Mandeville giustifica e incarna lo spirito del capitalismo.”Io ho chiamato predilezione per se stessi, dice Cleomene, portavoce del punto di vista di Mandeville nei dialoghi con Orazio, maschera di Shaftesbury, il grande valore che ogni individuo attribuisce alla sua persona, all’alta stima di se stessi. Ma Mandeville si riferisce esclusivamente alla sua classe, egli sostiene che i poveri vanno mantenuti ignoranti perché la conoscenza amplifica i desideri. I poveri devono accettare la loro vita, lavori duri un salario che impedisca loro di morire di fame. Nulla più Secondo Mandeville: “ l’uomo non ha bisogno di vincere le sue passioni, anche le più abiette, è sufficiente nasconderle”. “La favole delle api” con le brutali teorizzazioni che contiene, è stata ampiamente superata. Oggi non è più necessario nascondere le passioni più turpi, lo stesso potere si preoccupa di omologarle. Potremmo forse dire che Mandeville più che un filosofo è stato un profeta. La società di oggi realizza tutte le sue teorie,anche se rifiuta l’esplicita affermazione di Mandeville sui poveri, sostituendola con una serie di finzioni. Gli ultimi della scala sociale sono fintamente rispettati, ma il potere, con subdoli artifizi, crea le condizioni di precarietà e disagio. Favorire l’arrivo di disperati in singole nazioni, avvantaggia chi cerca manodopera a basso costo, rende più diffuse e quindi istituzionalizza povertà e disordine sociale. Il cinismo dell’essere umano ha trovato nel capitalismo la sua espressione più compiuta. Marx è stato solo un episodio della storia, sepolto dallo spesso strato di egoismo, in questo Mandeville ed Adam Smith, avevano ragione. Chi anima la società e muove il mondo oggi più di ieri sono il cinismo e il vizio.