Goalkeeper, 1976
Nell’ansia antropologica che ci spinge continuamente a celebrare noi stessi, nonostante gli immani disastri che la nostra specie ha provocato nel pianeta, non riusciamo a cogliere la natura dei cambiamenti ai quali siamo soggetti. La scuola di massa ha, per certi versi, aggravato la situazione,diffondendo una pseudo cultura in base alla quale tutti hanno diritto di esprimere le proprie opinioni anche se non motivate o frutto di spurie teorie fondate per lo più su un esasperato solipsismo che può contare su giustificazioni teoriche basate sul principio di libertà. Letteratura, arte, politica, sono il portato di questa approssimazione culturale inquinata dalla globalizzazione e da una velleitaria pretesa di uguaglianza che si traduce in un progressivo livellamento verso il basso di ogni attività umana. La I.A. ha aggravato la situazione demandando ad automatismi tecnico matematici molte attività e decisioni. Il sistema finanziario, dal quale dipende il benessere di milioni di persone, è in larga misura affidato a logaritmi. L’arte ha rinunciato da tempo alla manualità che dovrebbe essere una caratteristica della produzione artistica. Al progresso della tecnica si associa una certa idea sociale della libertà e dei diritti individuali. La femminilizzazione della società ha una parte non secondaria nello stato della società attuale. Tutto si basa su stereotipi culturali diffusi. Masse etero dirette inconsapevoli delle loro azioni costituiscono la realtà sociale di oggi. Come è stato scritto, se una pietra che cade per il principio di gravità pensasse riterrebbe di cadere per propria volontà. Nessuno meglio di Shakespeare con la forza della poesia ha affrontato il problema costituito dalla difficoltà di prendere decisioni. Scrive Schopenhauer: “Per una mente debole il pensiero è altrettanto faticoso quanto lo è per un braccio debole sollevare un peso”. Vi è una forza della natura che prescinde dal pensiero e condiziona l’agire umano; Platone e Aristotele hanno affrontato sotto il profilo filosofico la capacità umana di autodeterminarsi. La questione del libero arbitrio ha occupato le acute menti dei filosofi senza approdare a nulla. Goethe, in “Le affinità elettive” tratta il tema della attrazione che condiziona la volontà. Egli si serve della metafora degli elementi chimici, processo naturale, e mette a confronto con quanto avviene tra esseri umani. Anche per individui intellettualmente dotati è difficile sottrarsi al dominio delle passioni. Hume sosteneva che la ragione è al servizio delle passioni. In realtà la ragione, essendo un fragile processo del pensiero, soccombe sotto la pressione degli istinti animali primari. Questo avviene per l’aggressività, che nei casi estremi porta alle guerre, avviene nella sessualità, ed anche è stimolo all’egoismo.
La “felicità” è uno dei temi affrontati dalla filosofia, uno dei tanti che non ha trovato una definizione, un senso, che possa essere condiviso. L’arte evidenzia la difficoltà di esprimere un’ idea di felicità perché la raffigurazione è necessariamente legata al corpo umano con i suoi limiti. L’impossibilità di definire ed esprimere la felicità consiste nella frammentarietà temporale. Il “ carpe diem” di Orazio. Per Schopenhauer la felicità è negativa. E’ l’idea già espressa da Erodoto: “ Non c’è mai stato al mondo uomo che non si sia augurato di non vedere l’indomani”. Vale anche per i grandi intellettuali l’affermazione: “Quot capita, tot sententiae” . C’è chi, come Locke , lega la felicità al rispetto delle regole morali all’interno del circolo delle relazioni.L’amante che tradisce svilisce se stessa e offende l’amato. La più semplice definizione della felicità è “non aver bisogno di nulla se non di se stessi”. Il problema è che per raggiungere questo stadio di autonomia sarebbe necessario possedere una notevole quantità di stoicismo o di cinismo. Diogene arringava la folla gridando “Ehi, uomini!”, e , all’accorrere di molti, li respinge sprezzante “Uomini chiamai, non canaglie” . Epitteto considerava Diogene, insieme a Socrate, il suo modello di riferimento. Epicuro insegnava che il piacere è ridotto a ben piccola cosa, ma di questa piccola cosa finiamo per essere schiavi. Per crearsi un alibi gli umani hanno inventato la parole “amore” che, quando si riferisce al rapporto tra i sessi, è un altro modo di definire l’attrazione sessuale. E’ di pochi l’incapacità di resistere alle pulsioni del corpo. In non poche donne vi è un aumento in misura morbosa dell’istinto sessuale che si configura come “ninfomania”. Gassendi sostiene a chiare lettere che l’amore è connesso strutturalmente al piacere. E’ infatti le teorie di Platone sull’amore, il cosiddetto “amore platonico” , non hanno trovato e non trovano molto seguito. Non diversa sorte ebbero le teorie di Plotino secondo cui : “ Lo stato felice consiste esclusivamente nella capacità contemplativa”. Non è chiaro come e perché i filosofi costruiscono teorie che sembrano dimenticare che l’uomo è un animale generalmente incapace di tenere a bada i propri impulsi, se si escludono rarissime eccezioni di persone che hanno raggiunto il dominio di se stessi. Senza indulgere al pessimismo di Schopenhauer , non c’è dubbio che la felicità è per tutti gli umani molto più rara di quanto lo siano i momenti di sconforto e di dolore. Alla radice c’è sicuramente l’incapacità di auto dominio, di indirizzare le proprie energie mentali verso obiettivi capaci di dare senso alla propria vita. Se è vero che l’arte non riesce a raffigurare la felicità, è altrettanto vero che le biografie degli artisti sono le narrazioni di incontinenza e squilibrio tali da spiegare perché la felicità non è compagna dell’arte.
Scriveva Wittgenstein: “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. Oggi il linguaggio è meticcio, in assenza di cultura ci si affida alla casualità delle parole. La bontà, la malvagità, la slealtà tutto ciò che si è soliti intendere con il termine “indole”, oggi ha perso significato. Consideriamo la parola “cuore” alla quale ci si richiama in modo retorico e falso, esattamente come la parola amore usata disinvoltamente. In un epoca in cui prevale l’ideologia femministoide. Si cita spesso il cuore inteso come concretezza e verità. Duro di cuore, la cosa mi sta a cuore, mi viene dal cuore, è stato per me un colpo al cuore, il mio cuore sanguina. Chi può leggere nel cuore di una persona? E’ qualcosa che strappa il cuore. Mi spezza il cuore. Potremmo continuare elenco truismi insinceri che si riferiscono al cuore. Le questione relative alla relazione sentimentale tra due persone si chiamano “affari di cuore” , quando in realtà a prevalere è l’attrazione sessuale. Bayron nel “Don Jauan” fa una satira delle donne per le quali le relazioni sono sempre questione di cuore. Spesso il cuore è posto in contrapposizione alla testa. La testa caratterizza la conoscenza. All’Accademia di San Luca a Roma fu conservato il cranio di Raffaello Sanzio fino a quando si scopi che era un falso. A Stoccolma fu venduto all’asta il cranio di Cartesio. L’umanità e sempre alla ricerca di simboli in grado di gratificare il nostro incontenibile antropocentrismo che c’impedisce di vedere il nostri limiti. Il linguaggio è il principale strumento dell’inganno con quale creiamo finzioni che finiscono per apparire reali. Quante volte si pronunciano le frasi: ti amo con tutto il cuore. Ti amo più di ogni cosa al mondo. Prigionieri del nostro stesso mentire ci ritroviamo in un angosciante vuoto di sentimenti senza poesia. Anche il linguaggio dell’arte riflette questa realtà nella quale galleggiano solitudini alla deriva che si rassegnano agli effimeri piaceri del corpo.
Perché il mito, il sogno, l’illusione, siano possibili, l’apparente e il reale devono rimanere ambigui nel soggetto come nell’oggetto. Ernst Gombrich in “Arte e illusione” affronta il tema e chiarisce quanto poco la “definizione” si addica all’arte. Si è detto spesso che, per definizione, la coscienza non ammette la separazione tra apparenza e realtà. Con ciò si intende che nella conoscenza apparenza e realtà non sono quasi mai nettamente distinte. Se penso di vedere e sentire io vedo e sento. L’artista opera su materiali reali è attiene come risultato un’opera che esprime significati prescindibile dal materiale che la compone. Il tema dell’errore nell’arte in qualche misura è connesso alla posizione gnoseologica dell’arte stessa. Il linguaggio dell’arte trova giustificazione nell’esprimere significati che infrangono la camicia di Nesso del razionale. Possiamo sapere che ci sono degli errori solo perché crediamo di possedere delle verità, in nome delle quali correggiamo gli errori dopo averli riconosciuti come tali in un rapporto di relazione con quanto riteniamo corrispondere al vero. Cosa accade quando il concetto stesso di verità è disconosciuto o reso talmente vacuo fino a perdere ogni significato. Il riconoscimento espresso di una verità è molto più che la semplice esistenza in noi di una idea incontestata. Ogni razionalismo ammette almeno una verità, e cioè che esso debba formularsi in tesi. Ogni filosofia dell’assurdo riconosce un senso per lo meno all’affermazione dell’assurdo. Posso restare nell’assurdo solo se sospendo ogni affermazione, se, come Montaigne o uno schizofrenico, mi confino in una interrogazione che non di dovrò nemmeno formulare: formulandola mi farei una domanda che, come ogni domanda, implicherebbe una risposta., se, infine, oppongo alla verità non la negazione della verità, ma un semplice stato di non verità o equivoco. Per rimanere nel limbo equivoco della non verità devo quindi abolire ogni curiosità, che stimolerebbe domande. Impossibile, a chi ignora la verità, l’atteggiamento di Husserl “mi stupisco di fronte al mondo”. La mancanza di curiosità impedisce di fatto anche lo sviluppo della scienza alla base della quale c’è curiosità, o interesse alla conoscenza. La “provvisorietà di ogni verità, non basta ad abolirla. Sappiamo che nel suo progredire la scienza si è valsa di “verità” che poi ha superate, non superate nel senso di negarle, ma solo in quanto ulteriormente approfondite. Si dice che Galileo abbia “inventato” parte delle osservazioni scritte nei suoi testi. Tuttavia le sue intuizioni, risultate vere, hanno permesso ulteriore sviluppo. Ben diverso è la situazione dell’arte, così come è andata configurandosi dopo la diffusione delle idee dell’avanguardia. Si è verificato l’assurdo, artisti il cui principale obiettivo sembrava, sembra, essere negare l’arte. La negazione non è avvenuta per rifiuto e/o silenzio, al contrario c’è stata una esplosione di teorie che precedevano e accompagnavano atti di negazione. Tutto questo materiale, sedimentandosi, ha creato storia, è diventato fatto compiuto ai quali i critici si richiamano per “spiegare” determinati lavori e sono base per artisti che altrimenti non saprebbero come giustificare opere prive di necessità. La negazione della verità dell’arte ha fatto scaturire apodismi, un groviglio di paradossi che sono serviti e concimare il mercato.
La “felicità” è uno dei temi affrontati dalla filosofia, uno dei tanti che non ha trovato una definizione, un senso, che possa essere condiviso. L’arte evidenzia la difficoltà di esprimere un’ idea di felicità perché la raffigurazione è necessariamente legata al corpo umano con i suoi limiti. L’impossibilità di definire ed esprimere la felicità consiste nella frammentarietà temporale. Il “ carpe diem” di Orazio. Per Schopenhauer la felicità è negativa. E’ l’idea già espressa da Erodoto: “ Non c’è mai stato al mondo uomo che non si sia augurato di non vedere l’indomani”. Vale anche per i grandi intellettuali l’affermazione: “Quot capita, tot sententiae” . C’è chi, come Locke , lega la felicità al rispetto delle regole morali all’interno del circolo delle relazioni.L’amante che tradisce svilisce se stessa e offende l’amato. La più semplice definizione della felicità è “non aver bisogno di nulla se non di se stessi”. Il problema è che per raggiungere questo stadio di autonomia sarebbe necessario possedere una notevole quantità di stoicismo o di cinismo. Diogene arringava la folla gridando “Ehi, uomini!”, e , all’accorrere di molti, li respinge sprezzante “Uomini chiamai, non canaglie” . Epitteto considerava Diogene, insieme a Socrate, il suo modello di riferimento. Epicuro insegnava che il piacere è ridotto a ben piccola cosa, ma di questa piccola cosa finiamo per essere schiavi. Per crearsi un alibi gli umani hanno inventato la parole “amore” che, quando si riferisce al rapporto tra i sessi, è un altro modo di definire l’attrazione sessuale. E’ di pochi l’incapacità di resistere alle pulsioni del corpo. In non poche donne vi è un aumento in misura morbosa dell’istinto sessuale che si configura come “ninfomania”. Gassendi sostiene a chiare lettere che l’amore è connesso strutturalmente al piacere. E’ infatti le teorie di Platone sull’amore, il cosiddetto “amore platonico” , non hanno trovato e non trovano molto seguito. Non diversa sorte ebbero le teorie di Plotino secondo cui : “ Lo stato felice consiste esclusivamente nella capacità contemplativa”. Non è chiaro come e perché i filosofi costruiscono teorie che sembrano dimenticare che l’uomo è un animale generalmente incapace di tenere a bada i propri impulsi, se si escludono rarissime eccezioni di persone che hanno raggiunto il dominio di se stessi. Senza indulgere al pessimismo di Schopenhauer , non c’è dubbio che la felicità è per tutti gli umani molto più rara di quanto lo siano i momenti di sconforto e di dolore. Alla radice c’è sicuramente l’incapacità di auto dominio, di indirizzare le proprie energie mentali verso obiettivi capaci di dare senso alla propria vita. Se è vero che l’arte non riesce a raffigurare la felicità, è altrettanto vero che le biografie degli artisti sono le narrazioni di incontinenza e squilibrio tali da spiegare perché la felicità non è compagna dell’arte.
I libri di filosofia possono essere interpretati attraverso la metafora di cercatori di oro sulle rive dei fiumi i quali devono raccogliere una grande quantità di ghiaia e setacciarla per ottenere una pagliuzza di oro. Schopenhauer, ad esempio, è prolisso, i suoi ragionamenti assumono l’aspetto di opinioni non supportate da una logica sufficientemente neutrale. Quando la filosofia affronta il tema dell’arte cade in una serie di contraddizioni, a cominciare dal fatto che riveste di parole opere che dovrebbero avere il potere di comunicare autonomamente. Inoltre, quando Schopenhauer affronta il tema dell’arte è palesemente condizionato dalla passione per la cultura indiana. Egli usa l’oggetto artistico come pretesto per considerazioni estranee al reale mondo dell’arte, pone un enfasi eccessiva nell’attribuire all’opera d’arte la capacità di influenzare il pensiero, anche se si affretta a precisare che ciò vale solo per i grandi artisti. Le sue argomentazioni rientrano nella annosa diatriba sul valore e significato dell’arte, di conseguenza cosa si deve intendere per grande arista, o artista di valore. Se fino all’inizio dell’800 vi era una certa convergenza di critici e intellettuali nella condivisione circa la natura dell’arte, a partire dalla fine dell’800 la questione si è fatta problematica. Lo sperticato elogio della bellezza che sarebbe espressa nelle opere a cui indulgono critica e filosofia dell’arte nell’epoca pre- avanguardie, suona condanna senza appello della quasi totalità dell’arte contemporanea. Gli artisti contemporanei rinunciano programmaticamente alla bellezza estetica, giustificano tale scelta con teorie spurie approntate dai filosofi dell’arte. In altri casi la declinazione formale dell’arte si affida a procedimenti concettuali, quasi che l’essenza dell’arte consista nel sostituirsi alla filosofia. La rinuncia alla contemplazione implica il porsi nei confronti del paesaggio e della natura in generale in atteggiamento critico, tale atteggiamento finisce per riverberarsi anche nella osservazione dell’essere umano del quale vengono messi in rilievo gli aspetti deteriori o attraverso happening, specie sul cotè femminile, ma anche nella pittura. Basti osservare le opere di Francis Bacon e Lucian Freud. Quella che un tempo era la ricerca del colore attraverso il quale si esprimeva il significato, oggi non ha più corso, la materialità dell’arte consiste anche nell’approssimazione dei dettagli. Per esempio prima del 1875 vi era una certa resistenza ad usare il viola dei glicini che appare solo con gli impressionisti.
Ogni religione ha una propria arte. E’ significativo che la comune radice, la magia, ispiri forme, per così dire spontaneamente , nelle quali è contenuto ed espresso il pensiero religioso la cui più o meno raffinata forma riflette la complessità normativa della credenza che la ispira. Vediamo le forme terrificanti della religione dei Maya che richiama il sangue dei sacrifici umani, riti che per altro sono frequenti in molte religioni, incluso il cristianesimo che però li ha sublimati nella eucarestia. Le religioni e culture animistiche dell’Africa si affidano a rozzi totem sul crinale tra magia e religione. Tali rappresentazioni simboliche, alle quali si richiama anche Freud in “Totem e tabù” ,sono state riprese tra la fine dell’’800 e l’inizio del ‘900 da molta arte europea, in primis il cubismo. Il richiamo ai Totem delle civiltà primitive africane, costituisce il velleitario tentativo di un ritorno al passato presentato come un’innovazione. Una delle molte contraddizione dell’arte europea che si definisce di avanguardia, mentre in realtà è reazionaria perché la ricerca della purezza primitiva della forma si attua in un contesto nel quale mancano le motivazioni di fondo, la genuinità non mediata che sfocia nell’impulso creativo. L’antica saggezza della civiltà indiana si esprime con un arte prevalentemente scultorea. Grandi sculture di pietra, figure statiche immerse nella meditazione. L’Islam vieta la riproduzione della figura umana. L’arte islamica è costituita per lo più da un raffinato segno astratto, realizzato spesso da mani femminili. Il mosaico è una delle espressioni artistiche diffuse nella civiltà islamica. Nella cultura religiosa cristiana il conflitto tra iconoclasti e tradizionalisti durò secoli. Venne affrontato nel concilio di Hieria. Nel 769 Papa Stefano III dichiarò la liceità della produzione dell’immagine religiosa. Senza quella pronuncia forse non ci sarebbe stato il Rinascimento italiano durante il quale l’immagine religiosa fu usata dalla Chiesa anche in funzione didattica, considerato il gran numero di analfabeti, la storia ed elegia dei santi tramite le immagini è di grande fascino, ispirata anche dalla cultura filosofica e storica. La tesi, sostenuta tra gli altri da Schopenhauer, secondo la quale l’arte si basa sempre sull’ intuizione, mai sul concetto, ha aperto la strada verso il pregiudizio in base al quale l’arte non si giudica essendo libera espressione dell’artista. Qui si aprirebbe un discorso complesso sulla definizione, prima che dell’arte del suo produttore, l’artista. Tema delicato che forse è impossibile chiarire perché attiene alla indefinibile sensibilità dei singoli. E’ come stabilire cosa abbiano in comune un bocciolo di rosa che trema per il peso di una goccia di rugiada con la mano che ferma l’attimo magico. Oggi questo momento magico è facilmente riproducibile dalla tecnica.
Raffaello ci ha rappresentato in un dipinto simbolico il processo originario dell’artista. Nell’opera “Trasfigurazione”, la metà inferiore con il ragazzo ossesso, gli uomini in preda alla disperazione lo sostengono, gli smarriti e angosciati discepoli, ci mostranp il rispecchiarsi dell’eterno dolore originario , dell’unico fondamento del mondo: l’illusione. Egli rappresenta un riflesso del contrasto tra mondo “reale” e illusione. L’artista non interpreta il mondo, lo crea. Egli è strumento della trasformazione della realtà. Per realizzare il passaggio tra l’immanente e il trascendente deve sottostare a un etica della forma, esigenza primaria del conosci te stesso. L’estetica moderna è immersa nella soggettività. L’artista soggettivo è un pessimo artista. Senza oggettività, senza pura e disinteressata contemplazione del reale che deve essere trasformato, non sarà mai possibile una vera produzione artistica degna di questo nome. Schopenhauer suddivide le arti tra oggettive e soggettive. Secondo il filosofo il soggettivo non appartiene all’arte. E’ necessario che l’artista si liberi dal solipsismo creativo e diventi un medium attraverso il quale la realtà è assorbita e trasformata. Dunque la tecnica non può essere arte, il ready made non può essere arte. La dignità estetica che costituisce l’arte deve essere preceduta da una epistemologia capace di concretizzare l’idealità del pensiero in forma: l’eidos. La nostra epoca si crede superiore, usa lo sprezzante epiteto di “preudoidealismo”, rifiuta ogni forma di spiritualità, si crogiola nella propria inutile abbondanza. L’odierna accettazione dell’estetico industriale costituisce un ossimoro concettuale. Nonostante il profluvio di testi di filosofia e critica d’arte, nessuno è ancora riuscito a definire con precisione il sostantivo arte sviluppando un ragionamento semplice e chiaro sul piano della realtà sottratta a intuizioni ingannevoli. Questo perché la semplicità è un concetto complesso.
Il piacere socratico della conoscenza trasmette un’illusione diffusa di poter guarire l’eterna difficoltà dell’esistenza, l’arte dovrebbe aiutare con un seducente velo di bellezza. Purtroppo in questo nostro tempo l’arte è degenerata fin dalle fondamenta. C’è stato un tentativo di coraggiosa saggezza da parte di Kant e Schopenhauer che, senza indulgere all’ottimismo, hanno gettato una tenue luce sul mondo “Come volontà e rappresentazione”.
L’arte come consolazione metafisica si lascia provvisoriamente andare, come Mefistofele fa con le Lamie tentatrici, ma si arena in una generale angustia fino a diventare illogica nella sua stessa contraddittorietà perché non ha più nessuna visione. L’artista, insterilito dalla materialità, rinuncia a creare, si affida a precostituite virtualità tecniche, caricature della realtà.
Il deserto del pensiero incapace di imprimere energia all’esistenza banalizzata in frammentato edonismo. L’arte in origine nasce per attutire la tragicità della vita. La convinzione di avere conquistato la natura è la cifra della nostra Era che confonde conquista con distruzione. L’inutilità dell’ansia di ricostruire il mondo è descritta con una metafora da Eraclito l’oscuro, descrive un fanciullo che giocando disponga pietre qua e là, innalzi mucchi di sabbia per subito dopo disperdere tutto.
Parafrase dell’eterna ripetizione della cultura e della storia anticipata dalle profezie di Socrate sull’arte, riprese dal suo allievo Platone che per poter essere sue discepolo distrusse le sue poesie.
Una massima ispirava la filosofia socratica: “ La virtù è il sapere; si pecca solo per ignoranza; il virtuoso è felice”. Ora è chiara, per chi la voglia vedere, la ragione dell’inutilità dell’arte contemporanea, come di gran parte dell’esistenza dei più.
In “Nascita della tragedia” Nietzsche scrive: “Io sono convinto dell’arte come compito più alto della vera metafisica di questa vita” . In realtà egli si riferiva a un arte che ha cessato di esistere con l’avvento delle avanguardie. Fu un atto di estrema dabbenaggine e insieme di presunzione pretendere di cancellare l’epistemologia dell’arte. Pierre Hadot sottolinea come l’abbandono della trascendenza a favore della totale immanenza abbia amputato la parte creativa degli esseri umani. Il modello etico dei contemporanei si riduce a una estetica dell’esistenza, una forma di dandismo di massa incolto e tutto sommato triste. Gli antichi consideravano apollinea l’arte della scultura e più in generale figurativa. L’arte musicale era invece ritenuta dionisiaca. Appare ovvio che quando l’arte si affida ai ready made, per ciò stesso rinuncia a creare a favore del recuperare attraverso la parola i resti della produzione di massa. Schopenhauer indica come segno distintivo dell’artista l’attitudine di rendere naturale il sogno traducendolo in forma. Apollo, come dio di tutte la capacità figurative, e insieme divinanti, corrisponde alla sua radice etimologica che significa “splendente”, la divinità della luce, domina anche la bella parvenza del mondo greco e forse fornisce l’estro a Zeusi, Parrassio e gli altri geni dell’arte che hanno lasciato la loro impronta in una civiltà che stata lievito dell’occidente prima dell’avvento dei Lumi. Forse l’Arcadia, vissuta o immaginata, è stata solo uno sprazzo di luce subito spento dalla nostra ingordigia di esistere. Un’antica leggenda narra che re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dionisio. Quando lo raggiunse il re domando quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Dopo un lungo silenzio Sileno sbottò in un sorriso beffardo e disse: Siete una stirpe miserabile ed effimera, figli del caso e della pena, meglio per voi sarebbe stato non essere mai nati. Oggi Apollo, Dionisio, Sileno, tutta la schiera di dei inventati per consolarci nel buio esistenziale del quale non sappiamo attribuire un senso, sono stati cancellati, così il pensiero creativo e la sapienza della filosofia umanistica che ha tentato inutilmente di raddrizzare il legno storto dell’umanità.