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La suggestione di massa sostituisce il pensiero.  0

Scrive Hegel:” L’esperienza insegna che, se l’occhio è l’organo della vista, con il cranio invece non si uccide, ne si ruba, ne si scrivono versi”. Detto così può sembrare una banalità tautologica, in realtà esprime una verità profonda che stimola, o dovrebbe stimolare una quantità di riflessioni sulla realtà del pensiero riflettente, proprio partendo dalla constatazione che mentre la funzione dell’occhio è chiara, diretta, il contenuto del cranio, l’organo del cervello che elabora pensieri guida la nostra vita, non solo, ovviamente. non è visibile è poco comprensibile ai più, ma anche i prodotti della che elabora non sono prevedibili, quindi non codificabili se non parzialmente è solo per gli studiosi della materia. Nonostante questo limite oggettivo, azioni e pensieri raramente sono soggetti a  sufficienti riflessioni e valutazione. Una considerazione di stretta attualità. L’umanità  comprende circa 8 miliardi di persone, quanti di questi 8 miliardi hanno voluta la guerra in Ucraina? Quanti conoscono le vere ragioni della guerra? Come tutte le guerre provoca morti e distruzione e. come in tutte le guerre, nonostante la retorica che in questi casi domina l’informazione. nessuna della vittime ha avuta voce in capitolo sulla guerra, nessuno ha davvero capita la necessità della guerra.

Dalla neurobiologia siamo passati alla politica che è una delle attività umane nella quale maggiori sono le mistificazioni e il prevalere della malafede. E’ quindi un argomento che meglio di altri ci aiuta a evidenziare la profonda irrazionalità delle azioni umane. conseguenza di una psicologia che riflette la nostra natura animale.

Vi è un enorme divario tra i successi della scienza e della tecnica e l’evoluzione umana in termini di dominio di se,controllo dei nostri istinti animali.  Gli strumenti di morte hanno raggiunto livelli di efficacia che ci consentono di sfogare la nostra aggressività usando la tecnologia. A prendere le decisioni è una oligarchia la cui scelta è anch’essa frutto del nostro modo rozza di pensare. Abbiamo creato un sistema di selezione basato sulla pubblicità, si vende il potere come si vende un detersivo, convincendo i cittadini che quella è la scelta migliore. Dopo di che posto una firma su una scheda, il cittadino non ha più alcun controllo e deve accettare le scelta di colui al quale, convinto dalla pubblicità, ha concesso la sua fiducia.

Questo è anche il mondo in cui vivono gli artisti, veri o sedicenti. E’ immaginabile pensare che coloro che dovrebbero essere creatori di realtà immaginarie sappiamo sottrarsi ai pervasivi condizionamenti di cultura e informazione al servizio del potere? Giova forse ricordare una significativa affermazione di Heidegger: “ La forma dell’uva non incide sul gusto del vino”.

bandiera USA 8 APRILE

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La ricerca di un difficile equilibrio.  0

Vi è diversità tra i concetti dell’intelletto e i concetti della ragione. Nel primo caso la base è l’esperienza sensibile soggettiva che prescinde dalla conoscenza dell’oggetto. Nel secondo caso si tratta di una elaborazione astratta della ragione che presuppone quantomeno un tentativo di conoscenza dell’oggetto. La ragione ci consente di dar forma al pensiero.

Se riportiamo queste considerazioni alla prassi della critica e Filosofia dell’arte, ci rendiamo conto che il processo analitico dell’opera non è mai riferito all’oggetto in quanto oggetto, ma più generalmente al significato astratto dell’insieme che l’artista si propone di rappresentare.

La produzione di una estetica attraverso la filosofia ha portato ad un eccesso di intellettualizzazione dell’arte allontanandola dalla natura e dal bello estetico.

Incidono poi aspetti estranei all’opera, come le considerazioni personali sull’artista, riconoscimenti di critici e filosofi dell’arte, in breve una narrazione che si basa su aspetti che tendono a valorizzare l’artista in quanto curriculum professionale e solo di riflesso la sua opera.

E’ un procedimento corretto? Mi sia consentito avere delle riserve sul metodo che, purtroppo, ha consentito creare una sorta di mitologia su artisti mediocri come Picasso del quale il filoso Alexandre Kojève scrisse: “Picasso riesce a fare un quadro solamente una volta circa su cento in cui mette dei colori su una tela. E’ ancora più imbarazzante il fatto che la stragrande maggioranza  dei suoi ammiratori sono assolutamente incapace  di distinguere – nella sua opera – i quadri dalle tele imbrattate”. (Quodlibet 2005, pag.31)

L’Osservatore comune generalmente esprime un giudizio basato quasi esclusivamente sulla sensazione, in teoria soggettivo, spontaneo. In realtà non c’è dubbio che la suggestione della critica e dello stesso luogo in cui è esposta l’opera, hanno un ruolo determinante.

In astratto l’apprezzamento sensibile dell’osservatore non necessità di un riscontro, la sensazione  ha valore solo come tale, cioè nessun valore, questo a prescindere dalla sensazione che può essere quasi sempre appagante.

D’altra parte non è certo che la lettura razionale dell’opera,che si scontra con la difficoltà di superare le contraddizioni che la ragione ha con sé stessa, abbia la capacità di arrivare al nocciolo del problema di capire se c’è e qual’è il significato.

Una conclusione potrebbe essere che quando la critica d’arte si limita ad illustrare dati oggettivi nell’opera potrebbe avere una qualche utilità per l’osservatore sul piano per così dire tecnico, lasciando spazio al godimento estetico che non necessità di una motivazione teorica. Quando invece la filosofia ha  la pretesa di definire significati indimostrati e indimostrabili, allora non è più utile e  si riduce a una narrazione supponente senza raggiungere un esito gnoseologico.

Il piacere dell’’opera nasce dall’accordo tra immaginazione e intelletto.

Non sono approdati a molto gli studi che hanno affrontato il  tema di conoscenza e sensibilità attraverso i quali si forma il gusto. Pensiamo a “Critica del giudizio” di Kant. Resta inesplorato il campo della sensibilità che determina le nostre scelte, a volte accantonando la ragione.

IMMAGINE PER NEWS 29 MARZO

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Forma, simbolo, narrazione.  0

È ancora possibile tentare di affrontare il tema dell’arte fuori dal contesto di speculazioni mercantili? Hegel afferma che e la ragione è agire in conformità di un fine.

Quale può essere il fine di un’opera d’arte, o supposta tale, dopo che in essa non è più contenuto il bello della forma né simbolo, nè narrazione. L’idea iniziale che ha indotto l’artista a realizzare l’opera, in quale misura può essere recepita dall’osservatore?

La filosofia dell’arte sembra procedere per teorizzazioni che non esaminano l’opera in se stessa,nella sua peculiarità. Spesso si fa riferimento alle intenzioni dell’artista assumendo che l’intenzione sia stata realizzata.

Nessun critico ha saputo conferire un significato e reale valore artistico al quadrato nero di Kazimir S.Malevic, allo scola bottiglie di Duchamp, ai barattoli di merda di Manzoni. Eppure queste opere sono entrate a far parte della storia dell’arte alla stessa stregua della opere di Velasquez,  Caravaggio, de Chirico.

Andiamo un attimo all’incipit del VIII capitolo dei Promessi sposi. “Carneade! Chi era costui? Ruminava tra se don Abbondio. Il sofista greco Carneade, è così entrato nella storia della letteratura. Quanti carneadi  hanno dedicato la loro vita a scrivere libri che ben pochi hanno letto, a realizzare opere che pochi hanno visto?

La convinzione che la cultura e l’arte abbiano grande influenza sulla società  nell’era di Internet, va rivista. A meno che per cultura s’intenda il trip del momento dei mezzi d’informazione che stranamente si avventano come mosche su personaggi ed eventi estemporanei.

La produzione di libri e la pubblicità che li accompagna, non ha, come scopo primario, educare il pubblico. La critica e la filosofia dell’arte sembrano aver svolto un ruolo deviante rispetto al gusto e alla sensibilità collettiva.

Non c’è dubbio che  la cultura  di massa va a traino dei fenomeni estemporanei e segue il gusto determinato da suggestioni  che non hanno certo orientamenti culturali. Nel 1916 Vilfredo Pareto scrisse; “ Trattato di sociologia generale” nel quale esaminò il formarsi delle èlite. Oggi le élite sono costituite da soggetti che nel medioevo non sarebbero stati sepolti in terra consacrata.

Inevitabilmente l’arte si adegua. Esempi significativi in tal senso sono i graffiti. Nati come  espressione spontanea e gratuita di giovani marginali, sono diventati opere da museo acquistate  a caro prezzo.

In  democrazia conta il consenso numerico, chi ha più voti ha il potere. La qualità non la minima importanza. Nicola Cusano definisce il sapere umano un sapere sempre confrontabile, mai reale. L’abbassamento del livello delle opere produce l’effetto domino amplificato dai mezzi di comunicazione di massa. Il sostantivo “cultura” è usato come etichetta per attività e manifestazioni sociali di ogni genere. La “cultura” del cibo, la “cultura” della pipa, la “cultura” della droga. E così di seguito. In compenso la cultura senza aggettivi sembra diventata residuale. La lettura, esercizio solitario, richiede tempo e riflessione, incompatibili con la contemporaneità. La letteratura di evasione ha maggiore successo perché può essere letta in metropolitana.

 

 

Zebra in metro 500

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Impulso e conoscenza.  0

È noto il detto: la matematica non è un’opinione.

Ebbene Hegel, nella fenomenologia dello spiritom afferma: la filosofia deve disprezzare la matematica.

Ovviamente l’affermazione va meditata e collocata nel contesto logico che la motiva. Anche la logica è stata messa in discussione. Interessante il libro pubblicato da Nikolaj Aleksandrovi  Vasil’ev “ Logica immaginaria” , nel quale sviluppa interessanti teorie sulle modalità dei giudizi logici.

Non c’è dubbio che la logica, per così dire, riordina i pensieri, non li crea. Abitualmente la logica è associata all’idea di aridità di un pensiero razionale. Questo offre pretesto gli artisti per rifiutarla in quanto sarebbe contro la creatività.

Tutte queste considerazioni ci portano chiarire come  “realtà” e “verità” siano concetti creati da noi, affidati spesso a convenzioni. Possono quindi non solo essere sottoposti a critica, ma secondo l’evoluzione del pensiero e delle consuetudini, possono essere considerati concettualmente obsoleti.

La coscienza critica è forse l’unica fonte di creatività, essa è alla radice della filosofia e di ogni impresa intellettuale che abbia un significato.

Infatti il fallimento delle avanguardie è stato provocato da una finzione critica, che si è tradotta nella semplice sostituzione di procedure, nella sostituzione della epistemologia dell’arte con un approccio parascientifico e l’adozione di procedimenti tecnologici. Questo ha comportato lo  snaturamento della ontologia dell’arte.

Il risultato, per chi lo vuole vedere, è sotto i nostri occhi. Con il rifiuto del bello, della mimesi  di fatto rifiutata la creatività, essendo arduo considerare creatività la produzione seriale meccanizzata, la produzione di manufatti industriali, l’adozione della tecnologica per creare realtà virtuali.  La provocazione come metodo ha portato a confondere creatività con impulso. Parafrasando la nota affermazione di Einstein secondo cui; il risultato della scienza è frutto di 95% di lavoro 5% di genio. Trasferire il concetto nel campo dell’arte serve a chiarire la ragione per la quale molta arte contemporanea è ciarpame.

Supporre che l’artista, o sedicente tale, abbia il dono della creatività che si manifesta per impulsi, significa inoltrarci in un deserto di senso nel quale, non è neppure chiaro chi possa essere considerato artista.

I pregiudizi sulla creatività e talune forme d’arte sono ormai evidenti a tutti.

Se si mantiene lo status quo è perché interessi concreti tengono in piedi la finzione che mette la sordina alla coscienza critica.

Arte evocativa: immagineEVOCAZIONE

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Patrimonio culturale contemporaneo  0

Storia e mito non fanno più parte del patrimonio culturale contemporaneo. Chiediamoci quindi come viene letta l’immagine della pittura oggi? Forse solo rilevando colore e forma, indifferenti al significato, quand’anche ci fosse.

La maggior parte degli artisti contemporanei non ha cultura classica e ha cancellata la traccia di una narrazione filosofica o mitologica. Quello che resta è la cultura del mainstream, un impronta tecnologica che fa il verso alla scienza. La spiritualità non fa più parte del bagaglio culturale, non solo dell’artista, ma di tutta la cultura contemporanea.

Con quale  sensibilità oggi osserviamo un’opera d’arte?  Potremmo fare un lunghissimo elenco di opere, soprattutto di matrice femminile, la cui essenza va oltre alla materialità per sconfinare nel laido.

L’ermeneutica delle intenzioni dell’artista è forse  meno importante di quella dell’osservatore medio. L’artista opera attraverso la propria soggettività, l’osservatore invece calibra la propria comprensione dell’opera attraverso il sentire collettivo, si sente esentato dalla necessità di  approfondire il significato di ciò che osserva.

Chiediamoci quale riflessione, stimolo, sensazione può suggerire, poniamo, la visione  del letto sfatto di Tracy Smith?

Si deve fare i conti con un’ipocrita  discrasia semantica che pervade la psicologia di massa, resa vulnerabile alla suggestione della comunicazione perché priva di anticorpi culturali.

A sua volta,  la funzione sociale della scienza, come ha dimostrato il  Covid19, parla attraverso una polifonia che si traduce in entropia della comunicazione influendo pesantemente sulla massa.

Temi sicuramente diversi che hanno in comune la suggestione prodotta da una comunicazione confusa, quando non sistematicamente decettiva.

La narrazione culturale ed artistica è soggetta alle stesse fonti di comunicazione, tv e giornali, ed agisce anch’essa sulla psicologia della massa contribuendo al formarsi delle opinioni come ha ben chiarito Jùrgen Habermas  nel libro “Agire comunicativo e logica delle scienze sociali”.

Se ci poniamo il problema che si è posto Max Weber del giudizio di valore, scopriamo che esso si basa sulle premesse del mercato incorrendo nell’arbitrarietà dei punti di vista.

Runciman  coglie assai bene il rapporto esistente tra il problema del giudizio di valore e il problema della scelta, ma deve arrendersi di fronte all’approccio a-culturale delle masse suggestionate, come abbiamo scritto, dalla imponente macchina della comunicazione che, in pratica, confluisce in operazioni di pubblicità e marketing.

Braslins: Anime selvagge. Olio su tela. S.D.

Braslin 500

 

 

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Le candele di Locke e Descartes.  0

 

 

La candela, umile oggetto ormai in disuso anche se amato specie dai seguaci della new age, è stato utilizzato come oggetto di riferimento per dispute filosofiche tra Descartes e Locke che hanno scritto due storie diverse ma complementari della candela: il primo ne ha realizzato uno schema intellettuale espropriato di ogni senso comune: “ Che cosa è dunque, ciò che si conosceva con tanta distinzione in quel pezzo di cera? Certo non può essere niente di quel che vi ho notato per mezzo dei sensi, poiché tutte le cose che cadevano sotto il gusto o l’odorato o la vista o il tatto o l’udito si trovano cambiate, e tuttavia la cera stessa resta….” Locke vede invece l’altra faccia: il grado d’intensità della esperienza ordinaria che è sufficiente per non metterci un dito sopra: “ Poiché, non rispondendo le nostre facoltà alla piena estensione dell’essere, né a una conoscenza perfetta , chiara e comprensiva delle cose , libera da ogni scrupolo e dubbio, bensì soltanto alla conservazione di noi stessi, cui sono date; e rispondendo esse, da come sono costruite, all’uso della vita, servono assai bene al nostro scopo finchè ci danno soltanto notizia certa di quelle cose che sono per noi convenienti o dannose. E infatti, chi veda un candela accesa, e abbia fatto esperienza della forza della fiamma  mettendovi sopra un dito, non dubiterà davvero che esiste fuori di lui, che gli fa del male…”   La scienza e il senso comune si sostengono reciprocamente; cioè sono aree che si spartiscono compiti e competenze diverse. Il senso comune per Locke finisce per essere tutto ciò che non è scienza; e quindi è odore, sapore, gusto e simili entro nessi di concomitanza empirica che costituiscono guide sicure per l’orientamento pratico. Il salto che a noi pare enorme tra i risultati della scienza di oggi, sono avvenuti con gradualità nell’accettazione comune di quelli che, viste nell’ottica degli antichi, sono scoperte strabilianti.

 

 

Candela in pittura-500

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Oggi anche la fotografia è svilita dal consumo. Folle con il telefono ritraggono ogni cosa, soprattutto se stessi.

La storia della fotografia è la narrazione di un possibile, di ciò che le immagini potrebbero narrare se guidate da una mentalità che non sia solo riproduttiva.

In Europa la fotografia è stata in buona parte guidata dal concetti del pittoresco, per esempio il povero, lo straniero. il vecchio; dall’importante, per esempio il ricco il famoso e del bello.

Le fotografie tendevano alla esaltazione o alla neutralità.

Gli americani, meno convinti della permanenza di una qualsiasi organizzazione sociale, ed esperti della realtà e dell’inevitabilità del cambiamento, hanno fatto più spesso della fotografia partigiana.

Hanno fatto fotografie non solo per mostrare ciò che bisognerebbe ammirare, ma per far conoscere  ciò che occorrerebbe affrontare, deplorare, correggere.

La fotografia americana comporta una connessione più sommaria e meno stabile con la storia; è un rapporto insieme più ottimistico è più predatorio, con la realtà geografica del sociale.

L’aspetto ottimistico è esemplificato dal frequente uso che si fa della fotografia in America per destare le coscienze.

All’inizio del secolo scorso Lewis Hine venne nominato fotografo ufficiale del National Child Labor Committee, le sue fotografie dei bambini che lavoravano nei cotonifici nei campi di barbabietole e nelle miniere di carbone influirono sulla decisione dei legislatori di proibire il lavoro infantile.

Durante il New Deal, il progetto FSA di Stryker ,che era allievo di Hine, fece arrivare a Washington informazioni sugli operai stagionali e sul mezzadri,aiutando i burocrati a trovare il modo di aiutarli.

Ma anche al massimo del suo moralismo,la fotografia documentaria era, in un certo senso autoritaria, perché la fotografia ferma l’attimo del quale non fornisce giustificazione.

La fotografia è un media bizzarro. Scrive Roland Barthes in “La camera chiara” . Essa stabilisce una speciale corrente determina attrazione, ricorda avventure, porta alla memoria ricordi famigliari, amori dei quali il cuore non conserva traccia.

Quando nel 1978 pubblicai “ La gabbia sui Pirenei” , teoria sull’uso dell’immagine fotografica nell’arte, molti espressero la loro perplessità. Oggi la fotografia e gli effetti speciali dominano incontrastati la produzione artistica. Come sempre accade, con il successo subentra una sorta di decadenza, si trascurano i dettagli, il senso del racconto. Come un brutto romanzo anche la narrazione per immagini diventa banale.

La fotografia, come le parole, si presta all’inganno, ma è molto più efficace perché l’eloquenza della immagini è più incisiva, meno contestabile.

Com’era inevitabile la fotografia è anche il media per eccellenza degli eccessi, Herman Nitsch la usa per le immagini kitsch, di vagine sanguinanti e quarti di bue appesi a ganci, Cindy Sherman mostra vagina dilatate. Il brutale e il fittizio s’incrociano in racconti confusi dove spesso emerge la parte oscura dell’artista che tenta di nascondersi dietro alla realtà. Cugnoni 1872

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Cognitività ed emozione  0

Il tema relativo alla lettura emotiva delle opere d’arte,trattata ampiamente in questi ultimi anni,cade in un equivoco di fondo;  trascura le ragioni psicologiche e culturali  che determinano il prevalere delle emozioni, soffermandosi prevalentemente sulle reazioni più propriamente fisiche.

Gallese e Freedberg, a esempio, non dicono espressamente che le risposte emotive esauriscono la nostra esperienza estetica, tuttavia nei loro scritti le risposte emozionali costituiscono l’aspetto centrale. Registrano il fenomeno ma non ne spiegano le cause.

L’approccio cognitivo all’arte presupporrebbe una preparazione anche di carattere filosofico che molti non hanno, scatta quindi il carattere precognitivo, ovvero emozional: non capisco ma mi piace.

Zeki addirittura sfiora il grottesco nella rozza esemplificazione che vuole l’arte sia godibile solo attraverso l’emozione, riduce oggettivamente l’opera d’arte a un teatrino di emozioni e trascura il fatto che le emozioni non sono suscitate solo dall’arte ma da una pluralità di eventi e situazioni.

Si dimentica che l’arte dovrebbe informare almeno quanto emoziona, proprio perché, in caso contrario, verrebbe messa sullo stesso livello di molte manifestazioni ordinarie, per esempio le evoluzioni di un acrobata  nel circo.

Quasi tutti gli studi in materia trascurano di attuare una distinzione di genere assumendo che uomini e donne abbiano la stessa reazione emotiva, sappiamo, che non è così,  soprattutto sopratutto viene trascurato l’aspetto fondamentale che ci riporta al livello di cultura dell’osservatore.

L’ esempio ci viene dalle modalità del passato della fruizione delle opere di pittura a carattere religioso. Come abbiamo tentato di dimostrare in altri scritti, la Chiesa si è servita delle immagini pittoriche per supplire allo stato di analfabetismo della massa della popolazione che non avrebbe potuto accedere alla lettura dei Vangeli e della storia religiosa.

Le opere esposte nelle chiese invitavano alla meditazione ed attuavano una suggestione capace di fare appello allo stato emozionale dei fedeli, unico modo possibile, visto che il popolo non era in grado di leggere la narrazione religiosa.

Immaginiamo il fruitore di opere moderne dotato di media cultura,non  esperto conoscitore dell’arte e neppure  del singolo artista. Quale può essere  il suo approccio se non di carattere emozionale, anche se tale approccio non permette di recepire tutte le informazioni contenute nell’opera.

L’artista è quasi sempre consapevole di questa realtà, in molti casi adatta la sua comunicazione in modo che possa essere letta anche su basi sintetiche ed emotive. E’ questa la ragione per cui c’è stato un enorme sviluppo dell’arte astratta che, com’è noto, si basa quasi esclusivamente sull’emotività.

Cosa accade quando ci troviamo di fronte a un’opera di linee e colori, pittura fredda, non in grado di suscitare emozioni?

La risposta fornita dai teorici si affida a sofismi che vorrebbero essere sottili, ma che sono altrettanto privi di senso quanto le opere della quali vogliono accreditare il valore. Sostengono che l’osservatore scorge nell’opera il gesto del pittore, l’atto nel momento in cui realizza l’opera.

A parte che questo può avvenire con maggior frequenza  anche nell’arte figurativa, ad esempio, nelle opere di van Gogh la traccia delle pennellate è ben visibile, tuttavia  le singole pennellate acquistano significato nell’insieme dell’opera. Non così l’arte astratta, specie  geometrica che non rileva la traccia della pennellata.

 

Non c’è dubbio che l’approccio emotivo riduce, se non annulla, la comprensione del contenuto cognitivo dell’opera, limita la reale comprensione dell’opera.

Fototo per neswletter 25 gennaio

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L’ansia del presente cancella il futuro.  0

Quando siamo travolti dall’ansia di futuro, viviamo un esperienza di annullamento del presente. Tutto ciò che attiene alla nostra esistenza è “passato”. La cultura, tutta la cultura, è memoria storica.  Parlare di futuro significa parlare del nulla, di qualcosa di cui  non sappiamo come sarà, se sarà.  Hume  disse  “ che il sole sorga domani è una mera ipotesi”. L’affermazione è ripresa da Wittgenstein  nel “Trattato logico-philosophicus” nella  preposizione 6.36311. Rende particolarmente spiacevole quest’ansia del nulla espressa dall’arte contemporanea. Essa  registra e amplificata questo nichilismo deteriore, che è  spreco di pensiero e fantasia, conoscenza approssimativa, segno del tempo. Erwin  Panofski, cultore e paladino del gesto, studioso appassionato  del disegno rinascimentale italiano, riusciva a leggere nelle opere d’arte un’infinità di significati, la cifra della sensibilità di uomini che non erano assillati dal progresso ma costruivano il futuro che noi stiamo vivendo.Il tempo esiste in quanto ho un presente. Nel presente ho la percezione del mio essere, il mio essere e la mia coscienza sono tutt’uno. Comunichiamo con il mondo  perché comunichiamo con noi stessi. Siamo presenti a noi stessi per possedere il tempo. Non è un caso che il nichilismo contemporaneo assuma l’aspetto di fuga dalla realtà. Cioè da se  stessi, non attraverso il sogno, il pensiero, neppure nell’arte si apre il varco verso l’oltre. Sono necessari additivi chimici per darci la forza di sopportare una realtà che non sappiamo vivere perché non sappiamo capirla.  Edvard Munch

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Il rapporto tra pensiero e linguaggio.  0

Diceva Roland Barthes: la letteratura non è altro che la ricerca della parola giusta. Ma qual è, come si trova la parola giusta, adeguata ad esprimere chiaramente ciò che pensiamo?

La parole si costruisce con il pensiero,in questo senso è uno strumento che ci aiuta a decifrare la realtà. Quando la si è trovata  la parola acquista una propria autonomia, diventa uno strumento con il quale costruiamo la nostra il nostro percorso di conoscenza.

Le parole sono ciò che noi pensiamo.Tutti  portiamo nel nostra memoria personaggi immaginari della letteratura che, in qualche misura, sono entrati a far parte del nostro vissuto. Non accade così per l’arte figurativa, perché l’immagine limita la nostra fantasia, ciò che vediamo è ciò che ricordiamo.

Tommaso d’Aquino definiva la parola una sorta di  specchio nel quale è riflesso il nostro pensiero,  l’immagine da forma alla cosa pensata. Il carattere peculiare di questo  specchio ha limiti che coincidono esattamente con quelli della cosa che in esso si specchia, solo quella determinata cosa, di modo che esso riflette la sola immagine. La profondità di questa immagine consiste nel fatto che la parola è qui concepita come il rispecchiamento perfetto nella cosa cioè come una sua espressione che ha lasciato ormai alle proprie spalle l’itinerario del pensiero al quale tuttavia deve la propria esistenza.

Come l’abilità del pittore consiste nel dare alle forme che crea una pluralità di significati, così colui che usa la parola dovrebbe poter dare alla propria narrazione la ricchezza di contenuto che la fantasia contiene.

Quando riflettiamo sul significato da dare al nostro pensiero attraverso le parole, ci rendiamo conto che la parola è essenzialmente imperfetta, nessuna parola umana può descrivere in modo completo ciò che proviamo dentro di noi. Rarissimi gli scrittori che si avvicinano alla interiorità dei personaggi che creano.

La poesia, forse più di ogni altra forma artistica, è lo strumento con il quale si attua il tentativo di forzare i limiti della parola, di vedere meglio le immagini dello specchio.

L’imperfezione della parola è conseguenza della incompiutezza della articolazione del  pensiero che la crea, ciò non è solo un’imperfezione della parola come tale, ma un rispecchiamento opaco di ciò che il pensiero intende. Per peculiare l’imperfezione,lo spirito umano, non possiede mai una perfetta presenzialità ed è  frammentato nelle diverse parti che costituiscono la riflessione.

Per questa essenziale imperfezione,consegue che la parola umana non ha mai un unico significato, ma si articola  necessariamente come una molteplicità di significati. La parola  acquista senso solo se collegata all’interno della struttura lessicale. Solo nel contesto linguistico la parola ottiene la propria possibile perfezione, si avvicina alla maggior compiutezza del pensiero.

La parola dunque è il prodotto del lavoro del pensiero, chi pensa la produce in se nell’atto stesso in cui pensa. Il pensiero a differenza di altri prodotti della natura umana, rimane l’elemento astratto dal quale sorge la relazione che ci consente di entrare in rapporto con noi stessi.

Ben vautier

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