Goalkeeper, 1976
T.S.Eliot afferma che ogni gatto ha tre nomi: il primo quello con cui viene abitualmente chiamato, il secondo , più particolare , quello con cui viene distinto dagli altri, il terzo quello che solo il gatto conosce. Tale è la distinzione articolata di significato e realtà. Nominare una cosa, non significa averne descritta l’essenza reale.
Quando Searle sostiene che dobbiamo guardare le cose per come sono, fa una affermazione priva di senso, perché presume che l’aspetto delle cose basti a rendere possibile la loro comprensione. Un opera d’arte è soggetta a vari livelli di comprensione e diversi percorsi di lettura, per questo è reso necessario il processo ermeneutico. Il simbolo serve a contrassegnare l’indicibilità e intraducibilità dell’esperienza estetica.
Ciò che vediamo e conosciamo tentiamo di descriverlo con la parola, è questo che conferisce dignità alla parola stessa, essa sola non rivela nulla ,ma conferma la rilevazione, a fissa in un significato che diventa fruibile, condivisibile. Dare un nome significa in qualche modo prendere possesso della cosa nominata. Gli schiavi romani non avevano un nome perché non gli era riconosciuta personalità giuridica.
Solo quando si è separato il suono dal significato, si è costituita la sfera del senso linguistico in quanto tale. La scrittura come l’arte appartiene in origine alla sfera magica. Essa serve ad acquisire il potere che deriva dal nominare e definire una cosa, mentre l’illusionismo dell’arte si affida alla rappresentazione.
Giambattista Vico considerato il fondatore della moderna filosofia del linguaggio, e quindi anche il fondatore di una filosofia della mitologia completamente nuova. La mitologia è il simbolo che diventa storia.
Il mito affonda le sue radici nella oscurità dei tempi, quando la paura dominava l’umanità di cui è rimasta traccia in certi popoli primitivi dei quali si racconta che quando vedevano un arcobaleno tremavano e si nascondevano perché la ritenevano una rete tesa da un potente stregone per catturare le loro ombre.
L’arte esprime anche una simbologia politica. Pare sia stato Panofsky il primo a rilevare la relazione tra lo stile Gotico e la riforma prendendo spunto dalla gerarchia del metodo scolastico, e quindi ambedue con l’ordine sociopolitico incarnato nell’Ile-de-France intorno alla monarchia capetingia.
Nell’arte contemporanea l’oggettivazione formale,spesso scade nel triviale, è stato reso improponibile ogni riferimento simbolico come ogni richiamo al mito, in breve tutto ciò che conferiva significato all’arte.
Presunzione e ignoranza dei vertici delle istituzioni hanno ricadute negative sui discorsi del futuro, fatti da chi non capisce il presente. Natura e storia hanno tempi diversi, molto più lunghi dell’agire della politica, al di là delle avventate profezie.
Di certo non è facile prevedere le conseguenze sulla società alla luce dei radicali rivolgimenti avvenuti negli ultimi 30 anni. Quando nell’antichità i primi filosofi hanno posto temi, che poi sono stati elaborati dalla filosofia sviluppata nei successivi 2500 anni, la situazione dell’umanità a quell’epoca era molto più semplice, vi era maggiore povertà, guerre e scarse cure della salute.
Il dibattito filosofica verteva sugli assoluti. Parmenide sviluppo la sua filosofia con acuta e astratta razionalità. Nella sua straordinaria sua opera, scritta in versi, una scelta forse meno eccentrica di quanto sarebbe oggi ma non per questo meno originale.
Alcuni dei problemi filosofici affrontati da Parmenide sono stati ripresi da altri filosofi. Lo stesso Platone affrontò temi trattati da Parmenide nella sua filosofia. Ad esempio il discorso falso. Pensare e indubbiamente pensare qualcosa pensare nulla significa non pensare affatto. Se però quel qualcosa che viene pensato è un falso il pensiero,il discorso falso non possono essere privi di senso. Che relazione ha allora con la realtà il discorso che ha un significato ma non è vero?
Per molti aspetti è lo stesso insieme di questioni si è ripresentato in forme sempre più raffinate fino ai giorni nostri. Nel Tractatus Ludwig Wittgenstein, un lavoro metafisico paragonabile per ardimento e astrattezza a quello di Parmenide,prende le mosse da una domanda che implica la preposizione inversa del principio a parmenideo: come possiamo dire ciò che non è?
Le cose del mondo naturale che gli amanti dell’esperienza sensibile considerano l’unica realtà Contrariamente ai filosofi che sono alla ricerca della verità.
Anche Martin Heidegger affrontò il problema del tempo nel libro “Essere e tempo”, riprendendo la traccia di Parmenide e sviluppando un proprio discorso con concetti molto elaborati
Uno degli allievi di Parnenide,forse il più noto, fu Zenone, il quale elaborò una serie di paradossi relativi al movimento. Celebri quello della tartaruga e della freccia, che qui non è il caso di affrontare.
Fino agli anni ’90 del secolo scorso, la creazione di realtà virtuali era affidata a pittura, teatro,cinema, erano elaborazioni semplici facilmente distinguibili dal mondo reale. Oggi con la realtà virtuale creata dall’intelligenza artificiale, ascoltiamo e vediamo immagine create virtualmente che appaiono del tutto reali. Tutto ciò finisce di ridurre arte e teatro obsoleti strumenti di rozze rappresentazioni, residui del passato. Anche le cosiddette provocazioni, di carattere blasfemo o sessuali, hanno perso ogni significato di fronte alla totale libertà sessuale e generalizzato ateismo.
Parmenide nutriva una pessima opinione degli umani Come Nietzsche 2400 anni dopo. Li considerava ignoranti, parlava di balorde schiere di insensati ai cui occhi’essere di non essere appare insignificante quesito, mentre sono totalmente assorbiti qui e ora, immersi in una realtà che non capiscono. In questo senso in 2500 anni non è cambiato nulla.
Arte e filosofia, due visioni della realtà tra fantasia e ragione. L’Eredità lasciata dalla Grecia alla filosofia occidentale è la filosofia occidentale. E’ quanto scrive Bernard Williams nel Libro “Il senso del passato” . Nella scienza i greci hanno imboccato certe vie lungo le quali i Moderni hanno proseguito in progressi.
Nelle arti i greci hanno lasciato opere meravigliose ma poca filosofia e ancor meno critica per la ragione che gli artisti greci erano considerati alla stregua di demiurghi, vale a dire artigiani. Il paradosso che ci sono opere meravigliose delle quali non conosciamo l’autore. Esattamente l’opposto di oggi in cui opere, diciamo poco significative vedono celebrarti i loro autori.
La realizzazione di costruzioni architettoniche, opere all’interno delle quali in epoca successiva avrebbero guardato quanto più quanto meno come a modelli di perfezione.
Nella filosofia i greci hanno aperto quasi tutti i grandi campi ,metafisica, logica, filosofia del linguaggio, teoria della conoscenza, etica, filosofia politica, in misura assai minore, abbiamo già detto, filosofia dell’arte.
Non solo hanno inaugurato questi campi di ricerca, ma li hanno man mano definiti, molti di quelli che ancora oggi riconosciamo come problemi fondamentali di quei campi li dobbiamo a filosofi greci.
Tra gli artefici di questi progressi due filosofi Platone e Aristotele. Da chiunque nel mondo occidentale conosca o studi filosofia, sono sempre stati considerati i più grandi per il genio filosofico e per ampiezza di concezione il loro influsso. Dante definì Aristotele: maestro di coloro che sanno.
Platone esprime le sue perplessità sull’arte perché intuisce che, l’immaginifica creatività che, base dell’arte, si presta a depravazioni estetiche. Così è puntualmente è accaduto. Inoltre l’esaltazione antropologica che l’arte suggerisce finisce per tradursi in un ulteriore aspetto negativo.
L’arte, avendo privilegiata la scelta di libertà, si è sottratta al determinismo che regola l’ambito fenomenologico. La distruzione delle regole a cui si richiama Kant. Agli occhi di Schopenhauer,e del primo Nietzsche,si attua la riduzione della morale a estetica.
La pittura, come dice la parola stessa, è pur sempre un fare. Dunque, al di là delle teorie più o meno credibili, vale per il singolo artista l’affermazione di Goethe: “ Quello che so lo può sapere chiunque,ma il mio cuore è soltanto mio”.
E’ questo che conferisce all’artista la capacità d’incidere sulla realtà, di creare o distruggere. Nietzsche accusava Euripide di aver distrutto la tragedia con la ragione. Euripide controbatte che per essere liberi andiamo contro natura e logica. Hegel, a questo proposito, ha accordata la benedizione dell’Alto del concetto quello storico, della religione,e artistico.
Nella religione estetica, gli artisti che conoscono l’onore degli altari sfuggono il destino generale, sparire più o meno senza essere celebrati. Se non esistesse ancora in molti di essi la facoltà di partecipare positivamente alla trasfigurazione degli altri grandi, l’ottuso bom mot di Andy Warhol sui 15 minuti di gloria per tutti, descriverebbe effettivamente l’orizzonte ultimo di un’attività di civilizzazione nella quale più di qualsiasi moneta la fama viene svalutata dall’inflazione.
L’ampliamento della nostra conoscenza può avvenire solo grazie al sapere pregresso, ovvero in base al pregiudizio che ci siamo creato. Gadamer sostiene che il processo di formazione mediante il quale una tradizione viene trasformata in processi individuali di apprendimento e assimilata tramite il linguaggio, egli attraverso un complesso procedimento di analisi storico –sociale, ha derivata la riabilitazione del pregiudizio.
La conoscenza può elevarsi a riflessione e rendere trasparente la cornice normativa in cui si sviluppa. L’ impegno ermeneutico fa emergere allo stato di coscienza ciò che nella pratica del comprendere è già sempre storicamente pre- strutturato dalla tradizione, che non è un processo che noi dominiamo, ma il linguaggio tramandato in cui viviamo.
Negli ultimi 80 anni, complice l’enorme sviluppo dei mezzi di comunicazione, si è provocata la deformazione del linguaggio. I social media hanno reso obsoleto il testo fondamentale di Marshall MacLuhan : “gli strumenti del comunicare” (1964).
Anche nei processi di creazione artistica, si compie un’autentica integrazione, del potenziale di significato, vincolato simbolicamente è recuperato nell’atto creativo è reso forma. Questa trasposizione di contenuti semantici estende l’ambito della comunicazione e contribuisce al momento di emancipazione creativa. Le avanguardie hanno preteso di azzerare l’epistemologia dell’arte, cancellare un linguaggio strutturato e affidarsi all’agire estemporaneo, istintivo. Questa non può configurarsi come creazione, al più, è un’attività ludica.
In questo processo disgregativo l’arte ha dissolto il proprio linguaggio. Secondo Wittgenstein : la perdita di un linguaggio significa la perdita di un mondo. Così, l’estraniazione semantica, finisce per ridurre il linguaggio dell’arte,in gergo, processo che, sul piano socio psicologico, si traduce in perdita d’identità.
La critica procede in una narrazione eristica dell’arte nella presunzione di immaginare il senso delle opere che esamina, in realtà, spesso, è essa stessa a creare significati e motivazioni estranee
alle intenzioni dell’artista che soggiace alla pluralità di suggestioni che il critico sembra suggerire.
Gli artisti hanno fatto un balzo nel vuoto azzerando l’epistemologia dell’arte, a prescindere dalla esaltazione critica di cui hanno fruito, essi hanno gettato le basi del triste presente artistico che viviamo
Immagine :
Gramhan Sutherland. Senza titolo.
Il cosiddetto mondo dell’arte è sempre più una realtà separata, i giochi di mercato, le speculazioni avvengono all’interno di un circuito che ha come unico riferimento la speculazione. Se ogni procedimento artistico, ha senso solo nel contesto del proprio gioco linguistico, se d’altra parte la critica non chiarisce e rende perspicui i monadici giochi speculativi,ma si stabiliscono affinità di famiglia, diventa del tutto pleonastica l’analisi critica.
Dopo i barattoli di merda di Piero Manzoni, la rana crocefissa di Martin Kippenberger, il crocefisso nell’urina di Andres Serrano, si arriva all’opera di Maurizio Cattelan, la banana fissata al muro con lo scotch, opera sicuramente non blasfema per la religione ma non per questo meno provocatoria.
Si conferma l’affermazione di Andy Warhol secondo cui ; un artista deve essere anche un uomo d’affari. La vendita della banana a 1,5 milioni di euro è sicuramente un ottimo affare per Cattelan,anche nella ipotesi l’opera fosse stata acquistata all’asta dallo stesso artista tramite persona di fiducia.
La notizia della vendita all’asta della banana ha suscitato, com’era prevedibile, un enorme clamore mediatico che si traduce in altrettanta pubblicità per l’artista e contribuisce a incrementare il valore della sue opere ancora in circolazione.
Il costo della operazione è sicuramente modesto in rapporto al ritorno pubblicitario, si tratta di corrispondere solo la commissione alla casa d’aste. L’operazione di marketing è perfettamente legale, prescindendo dal cinismo che porta all’insensato costo dell’opera. In assenza di creatività si supplisce con il ricorso a parodia e provocazione. L’artista è sempre più un giullare al servizio degli squilionari, egli monetizza la propria insipienza.
Maurizio Cattelan: “Comedian” , 6 dicembre 1919
Max Weber nei suoi testi di sociologia usa con frequenza l’espressione: razionalità. Egli ritiene che la razionalità consenta di raggiungere il disincanto dal mondo. Forse non c’è mai stato il disincanto dal mondo, se non per pochi anacoreti, quello che Weber definisce disincanto non è che una forma di cinismo o rassegnazione delle masse soggette alla suggestione dell’informazione e cultura al servizio delle èlite borghesi oggi dominanti, che hanno interesse a far apparire il mondo gradevole dispensatore di merci e piaceri.
In ogni caso la razionalità è neutra, come la logica, non attribuisce valore. Un assassino che con perfetta razionalità compia un delitto, non ha per questo conferisce positività al suo gesto.
E’ esattamente questo uno degli snodi che caratterizzano la civiltà contemporanea. Tecnologia e scienza sono frutto di razionalità neutra, indifferenti al valore morale.
La versione filosofica di questo diffuso comportamento ha uno dei suoi riferimenti nel cosiddetto pensiero debole.
L’arte non ha di per se un riferimento etico, questo non implica non possa avere, o dovrebbe avere, coscienza delle ricadute sociali che la sua suggestione crea e continuare a porsi la questione di qual è il significato e scopo dell’arte, problema mai risolto. Richiamarsi all’agnosticismo serve a paco e non costituisce risposta.
Analogo discorso vale per il significato della scienza, che non è mai, o quasi mai, messo in discussione perché l’operato della scienza trova giustificazione nel risultato pratico-utilitaristico, anche se non sono poche le scoperte inutili, quando non nocive.
Sicuramente la scienza costituisce una parte significativa della razionalizzazione intellettualistica dell’esperienza che accompagna il progressivo disincanto del mondo.
Naufragate le illusioni che tendevano raggiungere il fine della felicità a cui si sono dedicate molte scuole filosofiche.
La riflessione sulla felicità resta una componente di fondo della tradizione filosofica occidentale. Il paradosso, che mentre il problema della felicità nasce da una domanda socratica sulla virtù, nella pratica della società occidentale contemporanea si configura come l’opposto: la felicità è ricercata nel piacere, consumo, eccessi di ogni genere, tanto che la democrazia plutocratica americana ha incluso nella costituzione il diritto alla felicità
La risposta alla ricerca della felicità, che un tempo era affrontata dalla letteratura e dall’arte, non può certo essere affrontata dalla razionalità, tanto meno alla scienza. Siamo burattini dominati dal caso e dalla necessità. Tolstoj, come altri grandi intellettuali, era molto critico nei confronti della scienza e pensava, come Socrate, che la felicità fosse possibile tramite percorsi virtuosi, in accordo con Kant ed Hegel riteneva che la felicità abbia un contenuto affermativo solo negli impulsi a cui è affidata la decisione e il sentimento.
La nostra epoca sembra ossessionata dalla ricerca della libertà, mentre rifiuta le regole che la disciplinano. In “Disagio della civiltà”, Freud sottolinea più volte che la civiltà può esistere solo se accetta determinate limitazioni, scopo delle quali è preservare,attraverso il processo di sublimazione, energie da destinare alla scienza, alle arti e in ogni altra prestazione utile alla società.
Contro questa repressione del desiderio Herbert Marcuse scrisse “Eros e Civiltà” , uno dei suoi libri più noti nel quale sviluppa con singolare vigore le premesse della filosofia sociale di Freud. Mentre per Freud libertà e civiltà sono incompatibili per Marcuse l’eros deve poter essere libero di manifestarsi sottraendosi alla repressione della civiltà. Inevitabilmente Marcuse divenne uno dei guru del ’68, da cui però finì per prendere le distanze.
Molto più del ’68, il dilagare della ideologia femministoide ha creata una situazione di totale permissivismo sociale. Dal linguaggio all’abbigliamento la società di oggi ha superato tutte le ere precedenti, annullati tutti i limiti.
Avendo abolita ogni regola, civiltà occidentale ha dato vita a una sorta di anarchia etica, situazione che si riverbera non solo nelle relazioni personali, ma nella violenza individuale e collettiva a conferma di quanto sosteneva Hobbes, nella nota preposizione: “Homo homini lupus”.
La libertà, diceva Seneca, comincia dal controllo di noi stessi,della nostra vita nella quale dovremmo esercitarci alla positività. La volontà è una delle prerogative dell’intelligenza, essa può determinare il nostro destino. Secondo Nietzsche ed Schopenhauer tutti hanno la possibilità di intervenire con la propria volontà e modificare le situazioni. Esemplare il caso di Demostene che balbuziente dalla nascita riuscì a diventare l’oratore più celebre del suo tempo.
L’organizzazione finalistica dei comportamenti umani viene proposta da Adler attraverso l’utilizzazione di una teoria filosofica presa a prestito da un saggio pubblicato nel 1911 dal filosofo tedesco Hans Vaihinger “La filosofia del come se” che riflette le influenze pragmatiche diffuse all’inizio del ‘900.
La dimensione estetica paga la propria libertà con l’impossibilità di convalidare un principio di realtà. Come l’immaginazione che ne è la facoltà psichica costitutiva, il regno dell’estetica è essenzialmente non realistico. L’artista vive nella realtà fenomenica che in qualche misura condiziona il suo modo di elaborare il pensiero creativo. Paradossalmente, nel momento in cui le avanguardie si sottraggono alla astrazione estetica e si affidano alla elaborazione concettuale, nello stesso momento diventano soggetti alla realtà. L’intima connessione di bellezza, verità e arte, va in frantumi, subentra la ragione pratica.
L’ansia di libertà sopra accennata,è stato forse il principale stimolo che ha mosso le avanguardie portandole agli eccessi raggiunti dagli epigoni di oggi, in una sorta di sabba della stupidità che si ostinano a definire creatività.
Di fatto il procedere confuso della produzione d’arte, ha eliminato il piacere che proviene dalla percezione della forma di un oggetto, indipendentemente dalla materia di cui è composto e dal suo scopo. In questo modo ha capovolto il senso stesso dell’arte che diventa una sorta di strumento dell’ideologia, del satanismo, come il crocifisso immerso nell’urina, il femminismo con l’uso diretto e volgare della sessualità.
La libertà ha fagocitato l’arte e contribuito alla debacle estetica del nostro tempo.
Non c’è dubbio che la morale fai da te ha il vantaggio della comodità. Risponde a pieno titolo al mito della libertà assoluta che ha radici antiche. Francois Rabelais indica la regola dei telemiti, scritte sul frontone dell’abbazia di Theleme: “ Fa’ quello che vuoi”. Thelème deriva dal greco “desiderio”. Se il mito della libertà non è mai stato facilmente realizzabile,tanto più difficile è oggi far coincidere libertà e complessità della vita moderna. Si è indotti a credere che la morale fai da te si applichi solo alla vita privata, ai gusti sessuali. In realtà non è così. Sollevare la questione se la morale abbia o meno radici religiose, addurre che, essendo nata dal pensiero umano, ha valore transitorio, è come parlare del sesso degli angeli, pleonasmi che preludono alla applicazione del detto dei telemiti. I fatti dimostrano che in politica, economia, nelle scuole di ogni ordine e grado, succedono cose impensabili fino a qualche decennio fa. E’ in corso una feroce polemica sui giornali che si occupano di finanza. E’ risultato chiaro che, alla base del disastro provocato dalla questione subprime, c’è stata totale assenza di moralità economica. Tempo fà le Borse di tutto il mondo furono sconvolte da un improvvisa crisi economica e bancaria. Uno dei responsabili del disastro, il signor James Cayne, ovviamente statunitense, mentre fioccavano i suicidi lui si dedicava al gioco del golf, al bridge, alla marijuana, come lui, altri alti dirigenti responsabili del crollo che ha colpito molti risparmiatori. Qualche anno fa il New York Time dette notizia di un aereo in volo sul cielo di Washington con il primo e secondo pilota non rispondevano alla torre di controllo semplicemente perché dormivano. Alcuni tra i più importanti Istituti finanziari americani hanno fuorviato il mercato per il proprio tornaconto. Gli USA,che fanno guerre per esportare la democrazia, poi si ritrovano ai vertici, a partire dai presidenti in carica, e manager di importantissime istituzioni finanziarie, personaggi privi di moralità che con il loro comportamento producono danni enormi ai risparmiatori, e in definitiva alle economie di tutto il mondo. Non è necessario aver letto i libri che teorizzano e giustificano la morale fai da te, basta il martellamento dei media, la pressione verso il pensiero unico, in questo modo si creano situazioni ambientali, abitudini e tolleranze che si generalizzano. Si finisce per capire che la teoria delle catastrofi, il famoso esempio della farfalla che provoca l’uragano, vale anche in ambito sociale, ma forse il richiamo più realistico ed efficace non è alla farfalla, ma l’avvoltoio.
Non è l’arte a creare l’utopia, ma la filosofia, soprattutto la filosofia politica. Sono stati molti i filosofi e intellettuali aver pagato un caro prezzo alle loro illusioni. Tommaso More, creatore del sostantivo “utopia”, è stato decapitato. Tommaso Campanella autore della “Città del Sole”, ha trascorso 27 anni in carcere. Condorcet, autore di “L’Esquisse”, si suicidò in carcere. Non risulta che un solo pittore sia stato punito per le proprie opere.
E’ paradossale che nel ‘700 a cimentarsi nella ricerca di realtà impossibile siano stati molti sacerdoti, cioè esponenti, sia pure marginali, della Chiesa Cattolica Romana all’epoca dominante.
Il parroco Jean Meslier ribadì il legame fra la costruzione concreta dell’utopica e la critica del sistema vigente, inquadrando tutto in una violenta denuncia della società fondata sulla proprietà individuale. Meslier attrasse l’attenzione di Voltaire che lo citò nei suoi scritti.
Etienne Morelly Gabriel era un laico, nel suo libro “Code de la Nature” (1755) opera di valore anche letterario tanto che, per lungo tempo fu attribuita a Diderot. In questo caso la critica alla società parte dalla natura.
Nietzsche è stato forse il filosofo che, a modo suo, fuggi maggiormente la realtà, fino all’esito finale quando a Torino dovette essere soccorso per una grave crisi.
Il pensiero di Nietzsche è caratterizzato da una radicale messa in discussione della civiltà e della filosofia dell’Occidente , che si traduce in una distruzione programmatica delle certezze del passato. Nietzsche diceva di se stesso: “Io non solo un uomo , sono dinamite”. E ancora: “Io non sono abbastanza ottuso per il sistema”.
Mentre Nietzsche visse sulla sua pelle il travaglio di una pensiero veramente creativo, gli artisti, specie pittori, non furono mai davvero capaci di trasformare in immagini la difficoltà, spesso la sofferenza, di esistere. Per questo nessun artista è arrivato a posizioni così estreme, al più, specie dal femminismo, unica trasgressione è stata la trasgressione sessuale, che poi, nella nostra era totalmente permissiva, trasgressione non è.
Ed è esattamente questo il ristretto limite della cosiddetta arte di avanguardia che non ha mai proposto nulla che sapesse davvero coniugare forma e pensiero in un atto propositivo capace di dare forma al caos.
Immagine: Non è mai esistito un nuovo mondo, solo il vecchio mondo deturpato dagli umani.
L’analisi heideggeriana della temporalità dell’esistenza umana ha mostrato in modo convincente che il comprendere non è uno dei possibili atteggiamenti del soggetto, ma il modo di essere dell’esistenza come tale. Questo spiega il persistere, anzi il crescere dell’ignoranza in epoca in cui vi è diffusione dei media e della editoria.
Anche la qualità estetica di un opera d’arte si fonda sulla cultura e capacità tecniche dell’artista e ma trascende la dipendenza di condizioni storiche e culturali. L’atto della comprensione presume cultura e sensibilità, qualità che rendono possibile una vera esperienza dell’arte.
Vi è una immaginaria linea di demarcazione tra il mondo nel quale l’artista ha realizzato l’opera e il mondo nel quale viene fruita.
Nietzsche, capovolgendo la sentenza di Parmenide, poi ripresa di Hegel,”Ciò che è pesabile è reale e ciò che reale è pensabile”.Per Nietzsche : “ tutto ciò che pensabile è irreale”. Infrange il tradizionale principio di realtà. L’arte compie questo passo.
Presumibilmente l’artista non pensa d’interpretare le varie teorie filosofiche della realtà. Immaginiamo un immagine sacra prodotta in epoca medioevale per comunicare la sintesi di una narrazione religiosa, quale la realtà dell’immagine,quella che vediamo fisicamente, ovvero la simbologia che si presume rappresenti? Oggi, in era assolutamente atea,esposta in un museo, quale significato assume?
Anche il mito non è più parte del patrimonio culturale contemporaneo, ma ciò nonostante è sottoposto a dotte ermeneutiche, interpretazioni in chiave moderna.
Come viene letta oggi un immagine sacra ? Alla tregua di una pittura astratta? Osservando cioè solo colore e forma, trascurando la narrazione religiosa e filosofica a cui l’opera rimanda ed aveva per così dire funzione didattica?
Partire dalla denominazione,scienza dello spirito, per tentare di dare un’impronta spirituale alla impronta stilistica, è uno degli espedienti a cui facevano ricorso filosofi e artisti. Oggi la spirito non ha più diritto di cittadinanza nella società contemporanea, nella quale la sensibilità è quanto meno superficiale, epidermica,
Potremmo fare un lunghissimo elenco di opere soprattutto di “arte” femminile la cui essenza va oltre la materialità per sconfinare nella più bieca volgarità formale. La critica, in difficoltà nel dare significato all’opera, spesso si limita ad ipotizzare le intenzioni dell’artista in una sorta di fantasiosa introspezione.
D’altra parte che tipo di stimolo, sensazione, informazione, quale significato può avere la visione, del letto sfatto di Tracy Emin presentato come opera d’arte?
Ci troviamo a fare i conti con artifizi del linguaggio,un’ipocrita discrasia semantica che la psicologia di massa, vulnerabile alla suggestione della comunicazione, priva di anticorpi culturali, assimila e fa propri.
La comunicazione di massa utilizza anche una narrazione pseudo culturale e immagini artistiche ma solo in chiave pubblicitaria.
Opera di John Baldessari: “Throwing a Ball Once to Get Three Melodies and Fifteen Chords” 1973