Goalkeeper, 1976
Una delle teorie degli epigoni di Kant poneva la questione se l’à priori trascendentale della conoscenza non si trovi, anziché, almeno in parte nel cervello, nell’intelletto, nel linguaggio umano effettivo. Il nucleo di questa tesi risale a Wilhem von Humboldt, di gran lunga il più fortunato tra i successori di Kant. Le condizioni di possibilità dell’esperienza sono anche le condizioni che rendono possibile gli oggetti dell’esperienza. Detta in altre parole: al di fuori del linguaggio non ci sono esperienza né oggetti empirici.
Tuttavia sistemi simbolici più generali possono svolgere le veci del linguaggio. Nelle diverse etnie, gli antichi egizi, gli indiani Hopi, i giapponesi del XIX secolo, i rispettivi mondi empirici erano sistemi chiusi; ciò che non può entrare in essi non esiste, per loro non era un oggetto bensì un inconoscibile cosa in sé.
La globalizzazione sembra porre in forse la pluralità di mondi che si sono andati formando dall’origine dell’uomo sulla terrà. La ricerca d’identità individuale tenta di resistere alla crescente omogeneizzazione planetaria ma spesso non lo fa in forme innovative, ma solo di rifiuto. Non si afferma una propria convinzione, si nega semplicemente quella dell’altro.
Ernst Cassirer ha sviluppato il suoi studi sulla filosofia delle forme simboliche partendo dal principio che l’uomo non vive un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Invece di avere a che fare con le cose, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se stesso. Ha creato forme linguistiche, immagini artistiche, simboli mitici, riti e credenze religiose, la sua conoscenza è mediata da queste forme di comunicazione simbolica.
Gli universi simbolici sono distinti gli uni dagl’altri; ciascuno è caratterizzato per se, non sempre è possibile la comunicazione, quanto più ancorato al trascendentale, ogni universo simbolico è sistema e paradigma chiuso. La natura e le sue leggi sono state, salvo alcune particolarità, esplorate dall’uomo che le ha decifrate. Come diceva Fontanelle: al tempo di Omero gli alberi non erano diversi da come sono ora.
Lukàcs individua il compito dell’artista realista, in opposizione a quello di avanguardia in un duplice intervento. Innanzi tutto il riconoscimento della relazione tra realtà sociale e il momento della mimetizzazione artistica. Per Lukàcs la “mimetizzazione” non è altro che la creazione di un apparenza naturale. Va da se che, quanto più l’arte si allontana dalla mìmesi, tanto più si astrae, crea un proprio universo simbolico che, per complessità e frammentazione, rende difficile il processo di comunicazione attraverso il quale il linguaggio dell’arte era in parte riuscito a infrangere le barriere e comunicare anche con civiltà e sistemi culturali diversi. L’arte allontanandosi dalla natura rischia di ridursi a gergalità.
Ci sono libri che hanno grande successo, poi vengono dimenticati. Pare siano soprattutto libri che mettono in risalto la crisi della civiltà. Penso al libro di Freud: “Il disagio della civiltà”. A Rosenberg “Il tramonto dell’Occidente”, al più recente libro di Michel Onfray: “ Decadenza”. Potremmo continuare con l’elenco.
Il libro di Benda “ Il tradimento dei chierici”, pubblicato a Parigi nel 1927, affrontò il tema dell’impegno sociale degli intellettuali, purtroppo trascurò un dettaglio molto importante, sono proprio gli intellettuali a contribuire al disagio sociale, creare quelle situazioni di degrado percepito e imitato dalla massa.
Letto oggi il libro di Benda con riferimenti ad arte letteratura teatro che contiene,non solo è obsoleto, ma forse si rivolge a una platea sbagliata.
Il paradosso è che i libri più recisamente cancellati dalla memoria collettiva, sono quelli, per così dire profetici, quelli le cui previsioni si sono avverate e sono riscontrabili nel degrado socio culturale della società contemporanea. E’ il caso di “Civiltà al bivio” di Radovan Richta.
La critica d’arte in qualche modo si distingue per aver sempre dimostrato acquiescenza alla più retrive manifestazione delle cosiddette avanguardie, più che altro preoccupata di non creare turbativa al mercato.
Oggi sui giornali e TV, nella descrizione di opere, ci tocca ascoltare ridicoli anacoluti nelle divagazioni di responsabili di gallerie, riviste d’arte,TV e quotidiani. Sembra che anche il settore delle arti sia diventato prerogativa femminile. Ciò spiega anche la tendenza di interpretare l’arte nell’ottica di genere ed attribuire prevalenza emotiva alla lettura delle opere d’arte.
Quando Julian Benda si scaglia contro le crescenti barbarie delle società occidentali nel loro impoverimento culturale, nella subordinazione del pensiero agli interessi delle classi dominanti e afferma che il ruolo degli intellettuali è quello di custodi dei valori, e la loro attività non persegue fini pratici ma è unicamente rivolta verso il servizio della ragione, della verità, della Giustizia, scrive cose retoriche e false, ben lontane dalla realtà che conosciamo.
Anche il pesante condizionamento e suggestione dei media sulle masse, è tema affrontato da molti studiosi tra i quali Jurgen Habermas, in un ottica diversa, da Noam Chomsky. Già Adorno aveva rilevato come la tv sia fonte di volgarità, la pubblicità oscena e martellante alimenta consumi e cattivo gusto che, inevitabilmente, si riverberano nei comportamenti collettivi.
Immagine:
George Grosz. “Self portrait whith model. Olio su tela.
Una delle teorie degli epigoni di Kant poneva la questione se l’à priori trascendentale della conoscenza non si trovi, anziché, almeno in parte nel cervello, nell’intelletto, nel linguaggio umano effettivo. Il nucleo di questa tesi risale a Wilhem von Humboldt, di gran lunga il più fortunato tra i successori di Kant. Le condizioni di possibilità dell’esperienza sono anche le condizioni che rendono possibile gli oggetti dell’esperienza. Detta in altre parole: al di fuori del linguaggio non ci sono esperienza né oggetti empirici. Tuttavia sistemi simbolici più generali possono svolgere le veci del linguaggio. Nelle diverse etnie, gli antichi egizi, gli indiani Hopi, i giapponesi del XIX secolo, i rispettivi mondi empirici erano sistemi chiusi; ciò che non può entrare in essi non esiste, per loro non era un oggetto bensì un inconoscibile cosa in sé. La globalizzazione sembra porre in forse la pluralità di mondi che si sono andati formando dall’origine dell’uomo sulla terrà. La ricerca d’identità individuale tenta di resistere alla crescente omogeneizzazione planetaria ma spesso non lo fa in forme innovative, ma solo di rifiuto. Non si afferma una propria convinzione, si nega semplicemente quella dell’altro. Ernst Cassirer ha sviluppato il suoi studi sulla filosofia delle forme simboliche partendo dal principio che l’uomo non vive un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Invece di avere a che fare con le cose, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se stesso. Ha creato forme linguistiche, immagini artistiche, simboli mitici, riti e credenze religiose, la sua conoscenza è mediata da queste forme di comunicazione simbolica. Gli universi simbolici sono distinti gli uni dagl’altri; ciascuno è caratterizzato per se, non sempre è possibile la comunicazione, quanto più ancorato al trascendentale, ogni universo simbolico è sistema e paradigma chiuso. La natura e le sue leggi sono state , salvo alcune particolarità, esplorate dall’uomo che le ha decifrate. Come diceva Fontanelle: al tempo di Omero gli alberi non erano diversi da come sono ora. Lukàcs individua il compito dell’artista realista, in opposizione a quello di avanguardia in un duplice intervento. Innanzi tutto il riconoscimento della relazione tra realtà sociale e il momento della mimetizzazione artistica. Per Lukàcs la “mimetizzazione” non è altro che la creazione di un apparenza naturale. Va da se che, quanto più l’arte si allontana dalla mìmesi, tanto più si astrae, crea un proprio universo simbolico che, per complessità e frammentazione, rende difficile il processo di comunicazione attraverso il quale il linguaggio dell’arte era in parte riuscito a infrangere le barriere e comunicare anche con civiltà e sistemi culturali diversi. L’arte allontanandosi dalla natura rischia di ridursi a gergalità.
Keats si rivolgeva all’arte greca ed esprimeva in una struggente poesia la malinconia che in lui provocava il contrasto tra l‘immutabile regno dell’arte e il fatale svanire della vita umana. Dell’arte contemporanea molta critica vanta la provvisorietà, quasi fosse una dote. In realtà le mastodontiche strutture prodotte con sistemi industriale che molti artisti, specie americani, presentano come arte, non sono tanto effimere quanto insignificanti. Platone, è noto, esprimeva ammirazione per gl’immobili schemi dell’arte egizia. In una opera scritta in tarda età, Le Leggi, egli biasimava l’eccessiva libertà che veniva lasciata agl’artisti greci. Lo stile concettuale dell’Egitto aveva un’impronta concreta sottolineata da Platone nel celebre passo della Repubblica. Egli sosteneva che la rappresentazione dell’arte è infida e incompleta; si appella alla parte inferiore dell’anima, alla nostra immaginazione, piuttosto che alla ragione e deve perciò essere bandita come agente corruttore. La polemica contro gl’inganni della pittura non varrebbe come critica all’arte moderna. Il compiacimento dell’artista che crea il trompe-l’oeil, ha lasciato il posto al nichilismo. Non sfugge neppure la figura umana. L’empietà verso la figura umana nel rappresentarla nel suo estremo degrado, promuove, attira, lascia intendere che l’artista nel rappresentarla muova una implicita critica. In realtà egli è perfettamente in accordo, partecipa, alimenta, fruisce del degrado che lo dispensa anche dalla necessità della ricerca di quel varco nel nulla contemporaneo che dovrebbe essere scopo di ogni arte. La mancanza di freni nell’espressione artistica non è che la manifestazione di un pericolo. Lo sfregio dura più a lungo nell’immagine che nella carne. Disintegrare un viso sulla carta, la tela, la pellicola, la scena è sempre l’espressione di una non piccola sconfitta.
Arte greca. Altare di Pergamo. 637X 376 – 80 a.C.
Afrodite nacque da un gesto violento, quando Urano, per vendicare la madre Terra castrò Crono e gettò i suoi testicoli in mare, dal sangue e la spuma bianca nacque la dea.
Cupido,le cui frecce colpiscono il cuore, è il più antico degli dei e quindi di tutte le cose, ad eccezione di Caos.
Artaud considera l’erotismo cosa minacciosa e demoniaca. In Art et la Mort descrive “questa preoccupazione del sesso che mi pietrifica e mi squarcia il sangue”.
Il surrealismo aveva descritto con un certo ordine le repulsioni molto superficiali. Come disse Marcel Duchamp nel 1966, in contraddizione con Artaud: “ Il surrealismo rappresenta una politica spirituale della gioia.
Anche Nietzsche aveva una visione negativa della sessualità. Egli scrisse ai suoi amici, subito prima del suo collasso mentale a Torino nel 1889, alcuni messaggi gnostici sulla trascendenza spirituale che l’arte consente mentre la sessualità aliena.
E’ convinzione di molti che l’artista, per dar forma alle proprie intuizione, abbia bisogno di solitudine, non essere legato a nessun rapporto stabile. Benjamin aveva una pessima opinione del matrimonio. La esprime nel saggio su “Le affinità elettive” di Goethe. I suoi eroi sono Kirkegaard, Baudelaire, Proust, Kaffa, Kraus, artisti che non si sono mai sposati. Egli, in una lettera a Scholem, definì il suo matrimonio: un atto che mi fu fatale.
L’arte è per Francesco Bacone, “ L’uomo aggiunto alla natura” , una simbiosi spirituale che trasforma la materia in pensiero creativo che può essere reso sterile dalla sessualità.
L’aver affermato l’eterogeneità tra natura e arte ha condotto la filosofia a concepire l’arte come una mera aggiunta alla realtà naturale, nella quale inevitabilmente le pulsioni del corpo finiscono per avere il soppravvento. La conferma viene dal massiccio afflusso femminile nella produzione artistica. Le femministe, in particolare americane, usano l’arte come una sorta di ariete per demolire la struttura spirituale del pensiero creativo, sostituendola alla esibizione delle forme più laide di esibizionismo fisico.
Oggi si sa molto bene, alla luce della teoria freudiana, discernere dietro qualsiasi pratica sociale, etica, politica , la “sublimazione”, la razionalizzazione secondaria di processi pulsionali. E’ diventato un clichè culturale descrivere in termini di rimozione e di determinazione fantasmatica, non più influenzata dalla presenza del padre, ma dominata dalla madre, come è chiarito da Jean Baudrillard nel libro “ Lo scambio simbolico e la morte”.
L’avvento massiccio della presenza femminile, nel mondo dell’arte, evidenzia la esautorazione del padre. Salvo errore, non esiste una sola opera d’arte realizzata da artista donna che abbia per oggetto il maschio. L’arte femminista si ferma alla provocazione. Per altro appare chiaro che, la dicotomica alla teorizzazione dell’autonomia sessuale femminile, accompagna un disagio psichico in non pochi casi con esiti fatali.
Winckelmann, il cui influsso fu determinante per la estetica e la filosofia della storia della sua epoca, usa i due concetti, simbolo e metafora come sinonimi, e così fa tutta la letteratura estetica del XVIII secolo. I significati delle due parole hanno infatti una origine di comune; entrambe indicano qualcosa il cui senso non risiede nell’ apparenza immediata, sia l’aspetto visibile o la lettera del discorso, ma in una significazione che va al di là di essa. Ciò che hanno in comune è dunque il fatto che una certa cosa sta per qualcos’altro. Tale connessione di significati, mediante la quale ciò che non è sensibile diventa percettibile con i sensi, ha luogo nel campo della poesia e dell’arte figurativa.
Solo un’indagine accurata potrebbe stabilire più precisamente in che misura l’uso antico dei termini simbolo è allegoria abbia aperto la via alla contrapposizione che per noi è diventata familiare. Possiamo indicare solo alcune linee fondamentali. Ovviamente i due concetti non hanno all’inizio nulla a che fare l’uno con l’altro. L’allegoria appartiene originariamente alla sfera del dire del logo ed è quindi una figura retorica o ermeneutica. Al posto di ciò che realmente si intende, si dice qualcos’altro, di più facilmente comprensibile, ma in modo che questo faccia intendere quell’altro.
Il simbolo invece, non è limitato alla sfera del logos, giacché il simbolo non è in rapporto con un altro significato mediante il proprio significato, ma il suo stesso essere sensibile ha significato. Nel suo essere presentato è qualcosa di cui si riconosce qualcos’altro più facilmente comprensibile.
Nel secolo XVIII quando si parla di allegoria si pensa sempre anzitutto le arti figurative.
La posizione positiva di Winckelmann nei confronti della allegoria non corrisponde affatto ai gusti dell’epoca e contrasta con le opinioni dei teorici contemporanei.
Il moderno concetto di simbolo non si può comprendere prescindendo dalla funzione gnostica. Il termine simbolo può passare dall’uso originario in cui sta a indicare il documento, il segno di riconoscimento, al concetto filosofico in cui diventa qualcosa di misterioso, la cui decifrazione è riservata agli iniziati. Il simbolo indica un’esistenza in cui in qualche modo viene riconosciuta l’idea.
La liberazione della poesia dall’allegoria come la propugna Lessing, significa anzitutto la sua liberazione dalla sottomissione al modello delle arti figurative.
Winckelmann sembra soggetto all’influsso di Wolff e Baumgarten, quando scrive che il pennello del pittore deve essere intinto nell’intelletto. Egli non respinge l’allegoria in generale quindi non si rifà l’antichità classica per svalutare in confronto ad essa le allegorie moderne.
Schiller , nel fondare l’idea di un’educazione estetica dell’umanità sull’analogia di bellezza e moralità formulata da Kant, si ricollega a indicazioni esplicite kantiane nella quali è posto l’accento sul fatto che il simbolo è l’idea stessa che si da esistenza.
Adattare alla contemporaneità le teorie classiche che hanno tentato di dare all’arte un contenuto gnoseologico e di arricchimento della sensibilità umana appare oggi impresa tanto ardua quanto inutile
Con una intenzione di cui percepisce la temerarietà, Platone, nel Timeo si propone di offrire racconti verosimili. Tuttavia gli manca la possibilità di effettuare la prova che trasformerebbe le sue congetture in realtà. L’arte è questo tentativo, un sistema d’immagini per raffigurare ciò che non è intellegibile, al quale non si addice la dialettica. Il principio che domina la cosmologia del Timeo e del libro decimo delle Leggi: è la convinzione del filosofo che il mondo sia una meravigliosa opera d’arte.
Il problema che nasce con le avanguardie è: come può essere considerata un’opera d’arte quando l’artista rinuncia alla identità estetica che costituiva l’essenzialità dell’arte? A questo punto si entra nell’ambito delle teorizzazioni e delle ipotesi.
Il campo della argomentazione diventa il verosimile, il probabile, che sfugge alle certezze, soprattutto quando per dare significato all’opera ci si affida a interpretazioni di introspezione psicologica.
Ora, l’idea nettamente enunciata da Descartes nella prima parte del Discorso sul metodo, era di considerare quasi falso tutto ciò che fosse considerato solo verosimile. Per Descartes l’evidenza è il marchio della ragione.
Ovviamente le tesi di un filosofo, seppur insigne come l’autore del Discorso sul metodo, non costituisce una certezza assoluta, infatti le contestazioni alla sue tesi sono state molteplici e si sono susseguite nel secoli. Tuttavia contestazioni e teorie contrapposte non hanno risolto il problema del vero e del verosimile che restano affidati all’opinione. Anche perché,parafrasando La Bruyère, si potrebbe dire che la critica d’arte ha come mira costante l’inganno. Non si spiegherebbe altrimenti la ragione per cui, da quasi un secolo, si continua a dare risalto a un arte che ha come unico fine la provocazione, nonostante che dopo di barattoli di merda di Manzoni, il livello massimo della provocazione sia stato superato da un pezzo, dominano estemporaneità ed emotività, di fatto, un vuoto pneumatico di pensiero, galleggiamento mondano nel quale vive il mondo dell’arte oggi.
Quanto della critica e filosofia dell’arte resterebbe se adottassimo con diligenza il rasoio di Occam? I complessi articolati teoremi di Hegel aiutano davvero a comprendere l’arte?
Vi è un paradosso costante, da un lato si esalta l’arte come la migliore più incisiva forma di comunicazione umana, lo si fa all’interno di testi che si attardano in complesse ermeneutiche volte a dare significato, chiarire senso e ragione delle opere prese in esame.
Un altro aspetto quanto meno discutibile è considerare l’opera frutto della intuizione dell’artista. Cosa significa intuizione? L’impulso che spinge l’artista a realizzare l’opera? Dunque l’opera nasce dall’incoscienza dell’artista, dietro alla quale si suppone vi sia una sedimentazione culturale a lungo meditata. Osservando la maggior parte delle opere prodotte nell’ultimo secolo, forse parlare di cultura è fuori luogo.
Questo punto non è mai stato esaminato e chiarito a sufficienza. Quando Heidegger in “Origine dell’opera d’arte” tenta una sua versione del tema che corrisponde al titolo, finisce per parlare d’altro scandendo in tautologie. Come quando afferma: “L’artista è origine dell’opera. L’opera è l’origine dell’artista”. In realtà l’artista non è un automa, isolato, facitore d’arte. L’artista è un corpo, con sensazioni, intelligenza, impulsi, un grumo di sensibilità ed esperienza. Ed esattamente questo il nocciolo della questione. La sensibilità ha una valenza positiva ed una negativa. Positiva perché consente all’artista di captare l’accadere nella fenomenologia sociale. Negativa perché lo rende vulnerabile alle influenze negative di una esperienza quando non è filtrata da cultura e volontà. Infatti la rappresentazione che l’artista offre è frutto di sapere e volontà, questo è sempre stato vero, lo è molto più oggi che l’artista si ritiene libero di usare strumenti ed affrontare temi che un tempo sarebbero stati improponibili. Il prezzo della libertà che l’artista si attribuisce, non può ridursi a gesti estemporanei, provocazioni che ormai sono prassi, ma richiede maggiore preparazione e consapevolezza che viene, o dovrebbe essere espressa nel contenuto dell’opera.
Quando tutto si riduce ad estemporaneità e provocazione, diventa velleitarismo adatto a un mercato di squillionari amanti del ktsch
Senza dubbio l’arte costituisce la più acclarata dimostrazione di enfasi antropologica che pare essere cresciuta in modo inversamente proporzionale al valore delle opere prodotte nell’ultimo secolo.
La critica e filosofica dell’arte abitualmente non esercitano la loro funzione, cioè vera critica, piuttosto attuano una sorta di celebrazione dell’opera e dell’astista. Inoltre l’ermeneutica è quasi sempre portata avanti in modo generico. Difficile negare che,accanto a opere significative, molte di più possono essere definite quanto meno deludenti. Supporre che tutta l’arte abbia un valido significato culturale che permane con il passare dei secoli, è un azzardo.
La Filosofia antica tratta con ampiezza la questione del soggettivistico fenomenico, che, sebbene anacronistico, è parte della tradizione antica pervasa da relativismo oggettivistico e realistico. Com’è noto Platone considerava negativamente l’arte ritenendola frutto di doppia illusione.
Socrate insegnava ai suoi allievi il metodo per inventare le idee, ma le idee, non avevano necessariamente un fine pratico. Una delle interpretazioni della teoria di Protagora che si fonda su un’altra tesi che gli viene attribuita; il divenire è universale e incessante, nulla esiste o è una data cosa in maniera permanente.
Dunque qual’è la permanenza del significato etimologico dell’arte? L’ermeneutica procede dall’oggetto, dalle qualità sensibili, ma spesso trascura il significato.
Teoricamente vi è la possibilità di una doppia fruizione, emotiva, quando ci si affida all’organo del senso, in questo caso produce la sensazione, oppure,in alternativa, vi è la fruizione razionale. tesa a identificare il significato nell’opera.
Non esiste altro che il rapporto determinato dalla relazione oggetto-pensiero, oggetto-sensazione. Non sembra esserci altra tesi alla base dell’interpretazione che Platone attribuisce vagamente a Protagora, anche se non vi è certezza possa essergli storicamente attribuita.
Per Platone non esisterebbe un nesso analitico tra fenomeno, arte, essere. Solo la produzione di un illusorio valore della rappresentazione formale, ciò che noi definiamo genericamente arte.
Il sofista Gorcia, trascinato da una incontenibile vena polemica, sviluppa una filosofia che appare più che altro sotto forma di speculazione, per lui, maestro di retorica, l’intento è dare una prova del suo virtuosismo dialettico, ovvero la capacità di creare significato attraverso la parola. Potremmo definirlo un precursore della filosofia dell’arte. Il suo virtuosismo gli conferisce grande capacità di elaborazione, non sempre corretta e coerente con la base di quanto effettivamente può essere l’essenza dell’opera d’arte.
Nell’ultimo secolo, critica e filosofia dell’arte hanno creato situazioni e significati immaginifici, difficilmente ravvisabili negli oggetti osservati. Su questo aspetto non si riflette mai a sufficienza.
L’arte è semplicemente un tentativo di dare forma al pensiero, come afferma Hegel, ma, a differenza del mobile pensiero, l’opera d’arte plastica, nella sua staticità, non sempre conserva significato e valore.
Dare forma alla storia del pensiero attraverso l’immagine, è prerogativa dei grandi artisti il cui segno resta una traccia del passato che la nostra sensibilità ancora recepisce.
È mia opinione che l’arte, per più ragioni, costituisca la più acclarata dimostrazione di enfasi antropologica che pare essere cresciuta in modo inversamente proporzionale al valore delle opere prodotte nell’ultimo secolo.
La critica e filosofica dell’arte non esercitano mai una vera critica, ma piuttosto una sorta di celebrazione dell’opera e dell’astista, oltre a ciò l’ermeneutica è quasi sempre portata avanti in modo generico. In più occasioni mi sono soffermato su questo aspetto. Accanto a opere veramente significative, molte di più possono essere definite quanto meno deludenti. Supporre che tutta l’arte possa avere significato culturale che resta con il passare dei secoli, è un azzardo.
La Filosofia antica tratta con ampiezza del relativismo soggettivistico e fenomenico, che, sebbene anacronistico, è parte della tradizione antica pervasa da relativismo oggettivistico e realistico. Com’è noto Platone considerava negativamente l’arte e la considerava frutto di doppia illusione.
Socrate insegnava ai suoi allievi il metodo per inventare le idee, ma le idee, non avevano necessariamente un fine pratico. Una delle interpretazioni della teoria di Protagora che si fonda su un’altra tesi che gli viene attribuita; il divenire è universale e incessante nulla esiste o è una data cosa in maniera permanente.
Dunque qual è la permanenza del significato etimologico dell’arte? L’ermeneutica procede dall’oggetto, dalle qualità sensibili, ma spesso trascura il significato.
Teoricamente vi è la possibilità di una doppia fruizione, emotiva che si affida all’organo del senso che produce la sensazione. Fruizione razionale tesa a identificare il significato nell’opera.
Non esiste che il rapporto determinato dalla relazione oggetto-pensiero, oggetto-sensazione. Non sembra esserci altra tesi alla base dell’interpretazione che Platone attribuisce vagamente a Protagora, anche se non vi è certezza possa essergli storicamente attribuita.
Per Platone non esisterebbe un nesso analitico tra fenomeno, arte, e essere, Solo la produzione di un illusorio valore della rappresentazione formale, ciò che noi definiamo genericamente arte.
Il sofista Gorcia, trascinato da una incontenibile vena polemica, svolge la sua filosofia dell’arte che appare più che altro sotto forma di speculazione, per lui, maestro di retorica, l’intento è dare una prova del suo virtuosismo dialettico, ovvero la capacità di creare significato attraverso la parola. Potremmo definirlo un precursore della filosofia dell’arte. Il suo virtuosismo gli conferisce grande capacità di elaborazione, non sempre corretta, e coerente con la base di quanto effettivamente può essere l’essenza dell’opera d’arte.
Nell’ultimo secolo critica e filosofia dell’arte hanno creato situazioni e significati immaginifici, difficilmente ravvisabili nell’oggetto osservato. Questo è un aspetto sul quale non si riflette mai abbastanza.
L’arte è semplicemente un tentativo di dare forma al pensiero, come afferma Hegel, ma, a differenza del mobile pensiero, l’opera
d’arte, nella sua staticità, non sempre conserva significato e valore.
Dare forma alla storia del pensiero attraverso l’immagine. è prerogativa dei grandi artisti il cui segno resta una traccia del passato che la nostra sensibilità ancora recepisce.