Goalkeeper, 1976
Le citazioni producono un effetto di straniamento, quasi una sorta di sottile frazionamento. E’ questa la ragione per cui Benjamin sosteneva che le citazioni sono come banditi da strada che sbucano e portavano via all’argomentante le sue buone ragioni. Ovviamente il paradosso di Benjamin non è sempre valido, se anche fosse vero, l’espropriazione avrebbe comunque un effetto positivo, nel senso che indurrebbe l’espropriato a rimodellare pensieri e argomentazioni. Tuttavia non c’è dubbio che spesso si vogliono sostenere le ragioni del presente citando filosofi del passato. Le teorie elaborate secoli prima possono forse conservare una loro validità se argomentano su questioni attinenti alla natura umana, che, purtroppo, non è molto cambiata, tanto meno migliorata nel corso del tempo. Altra cosa se l’argomento riguarda questioni attinenti a una società radicalmente mutata. Esempio emblematico,la tolleranza. All’epoca dell’assolutismo monarchico e religioso, aveva buone motivazioni. Oggi in cosa consiste la tolleranza? Tolleranza verso chi coscientemente viola leggi e norme sociali che hanno lo scopo di difendere i più deboli, tirata in ballo per giustificare abiezioni di ogni genere, incoraggiamento a comportamenti disdicevoli.
L’apodittica affermazione: tutte le idee hanno diritto di essere espresse, va precisata. Espresse o applicate? Certe forme di tolleranza rivolte noi stessi, sono un colpo di maglio non alla verità, ma alla ragione. Si esclude a priori la necessità di sottoporre le idee al vaglio della razionalità. Deleterio rinunciare a priori al tentativo di arrivare attraverso la logica a raggiungere il punto più vicino alla verità, ciò è impossibile se si esclude a priori esista qualcosa che possa definirsi “verità”. Questo atteggiamento ispirato al cinismo,contrariamente a quanti sostengono, non a favore della convivenza, al contrario, è fonte di prevaricazioni e soprusi. La negazione logica, il ricorso al surreale può valere come espediente letterario, in opere di Jonesco e Beckett. La ragione è stata definita la più umana delle virtù, è senz’altro imperfetta, tuttavia, usata con umiltà, resta l’unico strumento che abbiamo per orientare la nostra esistenza. Diceva Diderot “ chiedere di rinunciare alla ragione è come chiedere a chi trovandosi di notte in una foresta con un torcia accesa, venisse invitato a gettarla via per il fatto che non consente di vedere tutto e di vedere lontano”. A proposito di tolleranza, diceva Chamfort: “dobbiamo essere giusti, prima che generosi”. Per Montagne:“ Noi siamo, non so come, doppi a noi stessi,cosicché non crediamo in ciò che crediamo, e non riusciamo a disfarci di ciò che condanniamo”. L’epistemologia, cioè l’insieme delle nostre conoscenze, a partire da Cartesio e Locke, è stato gradatamente disgiunto da riferimenti logici diventando sinonimo d’incertezza. L’informazione, l’abilità, l’apprendimento, finiscono per appiattirsi in una narrazione eristica a sfondo solipsistico ludico adottando acriticamente la tesi di Hume secondo il quale “ la ragione è serva delle passioni”.
Dunque, conoscenza ed etica, ridotte a opinione, o peggio alla concretezza funzionale. In questo modo il materialismo ateo, che si finge compassionevole,porta al vicolo cieco del qualunquismo. Il percorso verso la conoscenza dovrebbe tener conto del detto kantiano secondo cui non si può mettere in dubbio ciò che non si conosce. Vi è un mondo dei clown, soprattutto di matrice americana, di cui fa parte la “politically correct”, che rende incerto chi giudica chi, questo ci porta alla “democrazia GALUP”, anche in Italia. Scriveva Kafka all’amico Brod: seguendo gli Usa, sembriamo essere diventati Hardy & Laurel, ma abbiamo cessato da un pezzo di ridere.
All’inizio del secolo scorso, di fronte allo sviluppo industriale e al dilatarsi delle metropoli, l’artista si trovò inglobato nella cultura di massa che condizionò anche il suo percorso esistenziale avviandolo a a un impegno politico. A poco servì “farsi diverso”, attuare scelte devianti e il ricorso all’ “art pour l’art”. Tutti atteggiamenti che, per altro, non sempre trovano riscontro nelle opere.
La pretesa di dare significato simbolico alla propria devianza è un espediente che non ebbe successo visto che l’arte fini per essere sommersa dal conformismo che sopraggiungerà nell’arco di pochi anni.
Quando Arthur Rimbaud fa appello alla “sregolatezza di tutti i sensi”, non fa altro che anticipare quello che accadrà tra breve nel mondo dell’arte, dello spettacolo e finanche nella letteratura. Bataille esalta gli stati nevrotici e il dolore. Questa concezione, per cui il dolore è essenziale per perpetuare la vita, e la tesi che al piacere segue sempre un dolore, era già stata fatta oggetto di riflessione da Kant, ma in nessun caso il dolore risulta fonte d’ispirazione, nemmeno Sade riesce a trarre poesia dalla malvagità che resta prerogativa dei malati.
Nietzsche formula il suo contradditorio:
“Non appena gli esseri umani cercano di annullarsi nei sensi, non trovano altro che la follia, rinunciano a se stessi nella presunzione di essere liberi”.
Non pare che gli insuperabili maestri dell’arte greca avessero bisogno di particolari abbruttimenti del corpo ed esibizionismi esistenziali, per ottenere risultati dalla loro arte. Plinio scrive di Apelle: “Dipinse persino cose che non è possibile dipingere, tuoni,lampi, fulmini dei quali alla vista pareva di sentire il rumore”.
Nella nostra società decadente, il gusto dominante sceglie il suo ideale dalla pubblicità, dall’estetica d’uso. Così il detto socratico secondo cui il bello è l’utile,si è, alla fine, ironicamente realizzato.
L’artista, come tutti gli esseri umani, deve fare i conti con la precarietà dell’esistenza e spesso, per debolezza o eccesso di sensibilità, soccombe. L’immagine romantica del “genio e sregolatezza” è uno stereotipo nel quale la sregolatezza prevale sicuramente sul genio.
La dualità degli istinti di vita e morte corrisponde esattamente alla posizione di Freud il quale affronta il tema in “Al di là del principio di piacere” e in “Il disagio della civiltà”. Egli ha una idea, per così dire ottimistica dell’arte, ritiene infatti che l’arte fornisca soddisfacimenti sostitutivi alle rinunce imposte dalla civiltà. L’arte inoltre, secondo Freud, promuove sentimenti di identificazione, con il rischio però di soddisfacimento narcisistico.
L’arida saggezza per cui non c’è nulla di nuovo sotto il sole, perché tutte le carte dell’assurdo gioco sono state giocate, tutti i grandi pensieri sono stati pensati, le scoperte possibili si possono costruire a priori, e gli uomini sono condannati all’autoconservazione per adattamento. Quest’arida saggezza non fa che riprodurre la fantasia pret a porter e la ripristina continuamente per contrappasso.
Ciò che già era ciò che potrebbe essere viene programmato, livellato dal sistema globale del quale stampa e tv sono gli strumenti. Tale sistema erige eristicamente i confini dell’esperienza possibile, il prezzo dell’identità, la qualità della tua esistenza, tutto deve essere identico a se stesso.
L’Illuminismo, la prima filosofia moderna della dissoluzione, aveva adottato l’efficace slogan: legalità, fraternità, uguaglianza. A distanza di 234 anni ci ritroviamo la fame e super lusso, a dissolvere la vecchia uguaglianza è subentrato il mito della libertà. La mia vita è laida miserevole vuota, ma sono libero di annientarmi nel vizio e abbruttire la mia umana natura.
Ciò che Kierkegaard loda nella sua etica protestante che appare già leggenda, è uno degli archetipi del potere e precede l’incommensurabile teorica delle possibilità umane.
La tecnologia formidabile strumento di manipolazione, è una beffa rivolta a quella società che dichiara di voler fare dell’individuo un individuo, la macchina mutila gli uomini, anche se li sostenta.
La tecnologia mette a disposizione gli strumenti del comunicare dei quali però i padroni conservano le chiavi. Chiunque comunichi ciò che non linea con il pensiero globale,viene, ipso fatto, cancellato. La sua liberta è posta in stand-by.
Dall’antica barbarie al trionfo dell’uguaglianza repressiva il dispiegarsi dell’uguaglianza giuridica, l’ingiustizia tramite uguali, il mito di cartapesta scritto nella carte dei diritti dell’uomo, ogni giorno violati da coloro che li hanno redatti. Gli Stati occidentali attuano rappresaglie terribili ogni volta che i popoli oppressi osano una rivolta. Questo gioco crudele, rivela come la libertà non è che un fragile birillo esposto alle cannonate del conformismo più laido.
In che modo l’artista fa sentire la propria voce? Viene meno quella che voleva essere la preistoria favolosa della relazione simbolica tra realtà ed evento, il rito quotidiano trasformato in una ulteriore e meno triste possibilità. L’artista è ridotto a crocevia di reazioni e comportamenti convenzionali, finte provocazioni,estemporaneità eccentrica, è tutto ciò che ci si attende da lui. Egli è sempre esposto al rischio di barattare la libertà vera, con il successo.
La cultura e il progresso si sono accordati da tempo contro la verità e hanno lasciato libero campo alla menzogna. La stessa esistenza della verità è negata da intellettuali da filosofi talmente avvolti nel loro asservimento da definire il servilismo: libertà.
E’ la continuità di una situazione culturale che precede l’illuminismo, e che l’illuminismo non ha scalfito, se mai giustificato. ”Filosofia nel boudoir” , fa apparire infantili le pruderie delle sfumature. Donatien-Alphonse–Francois Marchese de Sade rappresenta il soggetto borghese liberato dal controllo della ragione, la cui definjzione era già presente negli scritti di Machiavelli e Hobbes.
Vediamo ciò che pensiamo attraverso ciò che conosciamo. Lo sguardo come interrogazione, come un passo verso la conoscenza. La costituzione fondamentale della visione si manifesta in una particolare tendenza al “vedere”. Di una persona particolarmente acuta si dice che “sa vedere le cose”. Definiamo la propensione a vedere con il termine: curiosità. E’ la curiosità il principale stimolo alla conoscenza. Noi interpretiamo il fenomeno della curiosità come un fondamento ontologico- esistenziale.
Già nella antichità e nella filosofia greca fu studiata la base del piacere di vedere. Il libro che occupa il primo posto nella raccolta dei trattati aristotelici di ontologia inizia con il fermare l’attenzione sulla visione. Lo sguardo, il vedere, osservare, stimola la riflessione ed è alla origine della scienza come lo è dell’arte. Non è pensabile un pittore privo di vista.
L’interpretazione greca della genesi esistenziale della scienza non è casuale. In essa si fa esplicito ciò che era già delineato nella filosofia di Parmenide. L’essere è ciò che si manifesta alla visione intuitiva pura.
Hans Belting affronta il tema della storia visiva mettendo a confronto diversi aspetti della visione. Nel “I Canoni dello sguardo” (Bollati Boringhieri 2010) usa l’emblema della finestra per sottolineare come mentre nella civiltà occidentale la visione è fondata sul primato dell’occhio e sulla sovranità del soggetto osservatore, la civiltà araba privilegia la luce ed è fedele al grafismo non iconico.
Agostino si interroga sulla concupiscenza dello sguardo, come il vedere influisca profondamente sui nostri pensieri. Oggi che viviamo nella civiltà delle immagini ci troviamo a dover affrontare le volgarità che incessantemente vengono trasmesse da cinema e tv . Tali martellanti visioni si riflettono nei gesti, linguaggio, comportamento quotidiano delle masse.
I sistemi complessi che sovraintendono la produzione di immagini hanno fagocitato anche l’arte. Gli artisti hanno adattato gli occhi sugli strumenti tecnici rinunciando alla visione immaginifica che guida la mano creatrice. Si è attuato una sorta di incapsulamento tecnologico che ci assorbe e ci distrae, soprattutto diventa un “bisogno” per riempite la mente di illusioni che non sappiamo più creare. Queste emozioni indotte ci rendono gradatamente psicolabili. Siamo abituati a vedere ovunque persone di ogni età e condizione concentrate sul proprio telefono, compulsare sulla tastiera per trasmettere il nulla. La visione del mondo si è ridotta per molti allo spazio di cm7 X11 dello schermo del telefono.
In un certo senso la “Fenomenologia dello spirito” di Hegel potrebbe essere vista come una sorta di storia della filosofia. Hegel traccia una serie di passaggi seguendo l’evoluzione del pensiero filosofico e politico di epoca in epoca.
L’impressione è che sopravaluti la creatività filosofica, ovvero la capacità dei filosofi d’incidere sul comportamento umano, dà per scontato, come quasi tutte le storie della filosofia, che la creatività filosofica degli autori coincida con la situazione culturale e civile dell’epoca,
in cui i vari filosofi sviluppano le loro teorie. L’esperienza insegna che non è così.
Gran parte delle esortazioni dei filosofi sono rimaste lettera morta. Molti filosofi hanno affrontato il tema della verità. Nel v secolo a.C. Parmenide pubblicò un poema; La verità e l’opinione. Egli sosteneva che ciò che regola la verità e la conoscenza è la verità ontologia, la verità dell’oggetto.
Cinque secoli dopo Pilato si chiede: cos’è la verità? Nel 2005, il pragmatismo americano emerge con Pascal Engel e Richard Rorty che pubblicano: “A cosa serve la verità?”.
Posizione più radicale del torinese Gianni Vattimo, che nel 1983 pubblicò il libro: “Il pensiero debole”. Sviluppando elaborate argomentazioni, sostenne che non esiste verità, e neppure i valori che dovrebbero orientare il comportamento delle masse.
Verso la seconda metà dell’800 di fronte all’oppressività del mondo industriale, alle metropoli percorse da folle immense e anonime, vi fu un tentativo di reazione alla prorompente modernità. Gli artisti si isolarono, esaltarono l’arte per l’arte, assunsero atteggiamenti snob. Come Villiers de L’isle Adam, il quale scrive: “Vivere? Ci pensano i nostri servi per noi”. Paul Verlaine paragona la sua epoca al mondo della decadenza romana e bizantina.
Hegel sosteneva che l’arte moderna ha avuto inizio con il cristianesimo in opposizione all’arte classica greca, La fine dell’arte quindi coincide con il venir meno dell’influenza politica e culturale del cristianesimo diventato istituzione, come tale condizionato da pragmatismo politico, quindi incapace di ispirare ancora l’idealità che è precondizione per la creatività. Finiscono per prevalere aspetti estranei all’arte. L’artista si rifugia nella provocazione destinata a fallire perché subito fagocitata dalla nascente borghesia, alla fine nel mondo dell’arte, prevale la rassegnazione, l’artista rassegnato ricorre alla tecnologia.
L’arte, com’è stata intesa nei millenni, è giunta dunque all’epilogo, immaginare che abbia subito un mutamento radicale per adeguarsi ai tempi, non basta a spiegare lo stato attuale della produzione artistica.
Per Democrito e manifesto per chiunque, ciò che l’uomo è lo è riguardo al suo aspetto,poiché non vi è alcun dubbio che egli ci sia noto e familiare in base al suo colore alla sua figura. Aristotele però obietta: “anche il cadavere di un uomo ha pur sempre lo stesso aspetto, la stessa figura non di meno non è un uomo”.
L’arte celebra i morti, essa sembra avere sua principale funzione di interpretare l’umanità in svariati modi.
Nietzsche in “ Crepuscolo degli idoli” scrive: “ Nel bello, l’umano pone se stesso come norma della perfezione e adora se stesso”.Attraverso il cervello l’essere umano prende contatto con la realtà e la modifica a proprio uso, così preso di se, da esaltarsi di più di fronte un paesaggio o un immagine dipinta che di fronte all’originale.
L’opera d’arte dovrebbe nascere dal raccordo mano- mente, azione-pensiero. Anche se per Platone, l’artista, creando un opera realizza una doppia illusione. L’oggetto dell’Opera non è l’idea, ma la forma. Platone sostiene che è l’idea l’unica realtà, non la cosa. L’opera è imitazione della cosa, non la cosa stessa.
La nostra civiltà, molto più delle civiltà che ci hanno preceduto, abbonda di cose, scarseggia di idee, ovvero secondo l’ottica di Platone vive lontana dalla realtà, nell’illusione delle cose.
L’uomo è uomo in quanto ha la capacità e il potere di realizzare se stesso, di programmare e realizzare la propria vita. Privato di queste capacità e possibilità, l’uomo cambia natura diventa per così dire più animale, oggi è un animale tecnologico che trova appagamento sempre più lontano dalla natura, di conseguenza la sua visione del mondo e di se stesso muta radicalmente.
La prima Estetica del brutto fu elaborata nel 1853 da Karl Rosenkrantz, il quale tracciò una analogia tra il brutto e l’amorale. Non c’è dubbio che la modernità conferma la tesi di Rosenkrantz. Oggi le immagini ci sovrastano. Un flusso continuo e caotico inonda l’etere, la carta stampata, ogni luogo pubblico e privato.
La rinuncia ai valori, che erano prerogativa dell’uomo reale,è l’inevitabile conseguenza. Infatti l’etica è legata alla natura dell’uomo dalla quale l’umanità si è allontanata,creando condizioni di vita artificiali e artificiose. In tale contesto diventa opinabile anche il genere sessuale che in natura caratterizza ogni specie animale.
L’uomo ha seguito un percorso di abbandono della natura. La filosofia naturale fiorì per un periodo breve. Socrate distolse lo studio dalla ricerca della natura e l’orientò al problema dell’etica. Fu quindi responsabile di trasformare la filosofia in un’ambiziosa ricerca di nuove opinioni che inevitabilmente finirono esprimersi avverse all’etica. La natura non fu più guida, la filosofia nemmeno.
Nessuno è in grado di valutare le conseguenze della massiccia presenza della tecnologia nella nostra esistenza. La facilità con la quale si reperisce ogni informazione tramite i motori di ricerca finisce per scoraggiare l’uso della memoria. La realtà artificiale ha modificata anche quella che per Francesco Bacone era una qualità importantissima per l’uomo: l’immaginazione. Questo percorso è destinato a renderci sempre più dipendenti dalla tecnologia, e ridurrà la nostra autonomia. mentale. Per Paracelso l’arte è “l’uomo aggiunto alla natura”, venuta meno la natura è venuta meno l’arte, anche se ancora non ne siamo consapevoli.
L’aver affermato l’eterogeneità fra natura e arte ha condotto la filosofia a concepire l’arte come una mera aggiunta alla realtà e ha privato gli uomini della speranza di poter fruire di tutte le potenzialità che il rapporto arte e natura può comunicare.
Simulazione disincantata: la pornografia, più vera del vero, il colmo del simulacro. Simulazione incantata: il trompe-l’oeil, più falso del falso, il segreto dell’apparenza contro cui già si scagliava Platone. Nessuna favola, racconto, composizione, scena teatro, azione di happening si sottrae alla necessità dell’inganno proprio della rappresentazione. L’arte contemporanea ha creduto di sottrarsi all’inganno offrendo rappresentazioni minori, contorni, dettagli. Rifiutando le raffigurazioni delle grandi opere del passato, eliminando il discorso della pittura, rifiutando la sfida di misurare la manualità con la tecnica. Non raffigurano più, non sono più oggetti, solo segni bianchi, segni vuoti, espressione dell’antisolennità, anti rappresentazione sociale. Detriti della vita sociale . Gli artisti si rivoltano contro, fanno la parodia dell’arte, rinnegano l’essenza del proprio agire convinti in questo modo di compiere un gesto di verità. Tutto questo è privo di senso. Non descrivono nessun tipo di realtà. Non ingannano. Non rappresentano nulla. Sono figure banali, lontane dalla scena del mondo, spettri che ballano nel vuoto. La loro non è seduzione estetica, ne pittura, ne rassomiglianza, è soltanto una metafisica abolizione del reale. Oggetti effimeri che si contrappongono anche alla reversione, irreali. La loro insignificanza è offensiva per chi non rinuncia a pensare. Oggetti senza referente, spogliati di significati, vecchi giornali, vecchi libri, vecchi manifesti, resti di cibo, oggetti caduti in disuso, fantomatici nella loro posizione di estraneità. Potevano rappresentare il ricordo di una realtà perduta, l’ombra di una vita interiore, il conato di un pensiero creativo, ma lo spregio d’uso ha annullata anche questa possibilità. Resta la resa alla tecnica che ha cancellato il tutto per sostituire, come scriveva Pierre Charpentrat “ l’opacità inafferrabile d’una non Presenza”. Purea apparenze, senza l’ombra di ironia per troppa realtà.
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Per Democrito e manifesto per chiunque, ciò che l’uomo è lo è riguardo al suo aspetto,poiché non vi è alcun dubbio che egli ci sia noto e familiare in base al suo colore alla sua figura. Aristotele però obietta: “anche il cadavere di un uomo e pur sempre lo stesso aspetto la stessa figura non di meno non è un uomo”.
L’arte celebra i morti, essa sembra essere stata creata con la principale funzione di celebrare l’umanità in svariati modi.
Nietzsche in “ Crepuscolo degli idoli” scrive: “ Nel bello l’umano pone se stesso come norma della perfezione e adora se stesso”.Attraverso il cervello l’essere umano prende contatto con la realtà e la modifica a proprio uso, così preso di se, da esaltarsi di più di fronte un paesaggio o un immagine dipinta che di fronte alla realtà.
L’opera d’arte nasce dal raccordo mano- mente, azione-pensiero. Anche se per Platone, l’artista, creando un opera realizza una doppia illusione. L’oggetto dell’Opera non è l’idea, ma la forma, ma per Platone è l’idea l’unica realtà, non la cosa. L’opera è imitazione della cosa, non la cosa stessa.
La nostra civiltà, molto più delle civiltà che ci hanno preceduto, abbonda di cose, scarseggia di idee, ovvero secondo l’ottica di Platone vive lontana dalla realtà, nell’illusione delle cose.
L’uomo è uomo in quanto ha la capacità e il potere di realizzare se stesso, di programmare e realizzare la propria vita. Privato di queste capacità e possibilità, l’uomo cambia natura diventa per così dire più animale, oggi è un animale tecnologico che trova appagamento sempre più lontano dalla natura, di conseguenza la sua visione del mondo e di se stesso muta radicalmente.
La rinuncia ai valori, che erano prerogativa dell’uomo reale,ad esempio l’etica,diventano quasi automaticamente inutili, in quanto non più necessari, la ragione è che l’etica è legata alla natura dalla quale l’umanità si è gradatamente allontanata,creando un mondo artificiale e artificioso. In questo contesto, diventa opinabile anche il genere sessuale che in natura caratterizza ogni specie animale.
La filosofia naturale fiorì per un periodo breve. Socrate distolse lo studio dalla ricerca della natura e l’orientò al problema dell’etica. Fu quindi responsabile di trasformare la filosofia in un ambiziosa ricerca di nuove opinioni che inevitabilmente finirono esprimersi avverse all’etica. La natura non fu più guida, la filosofia nemmeno.
Noi non sappiamo valutare le conseguenze della massiccia presenza della tecnologia nella nostra esistenza. La facilità con la quale si reperisce ogni informazione tramite i motori di ricerca finisce per scoraggiare,se non annullare, l’uso della memoria. La realtà artificiale ha modificata quella che per Francesco Bacone era una qualità importassimo per l’uomo: l’immaginazione. Questo percorso finirà per renderci non solo più dipendenti dalla tecnologia, ma ridurrà la nostra i autonomia mentale. Per Paracelso l’arte è “l’uomo aggiunto alla natura”, venuta meno la natura è venuta meno l’arte, anche se ancora non ne siamo consapevoli.
L’aver affermato l’eterogeneità fra natura e arte ha condotto la filosofia a concepire l’arte come una mera aggiunta alla realtà e ha privato gli uomini della speranza di poter fruire di tutte le potenzialità che il rapporto arte e natura può comunicare.
Scrive Hermann Hesse in biblioteca della letteratura Universale: “è un esigenza innata del nostro spirito di creare dei tipi e suddividere l’umanità secondo quello schema. dai caratteri” .
Teofrasto suddivideva in quattro temperamenti i caratteri umani. La psicologia contemporanea conserva l’esigenza di ripartizione tipologica che è stata portata alle estreme conseguenze da Cesare Lombroso, il cultore di quella che è stata definita: “La scienza infelice”.
Non risulta esistano testi specifici sulla psicologia dell’artista, il cui carattere è quasi sempre indagato attraverso parafrasi fantasiose e poco attendibili.
Nel tentativo di mettere un freno alle proprie ansie, l’umanità ha dato vita alla cultura simbolica che si esprime soprattutto attraverso la religione e l’arte, in una molteplicità di narrazioni e segni spesso dai significati profondi e oscuri..
La cultura popolare era ricca di riti e tradizioni mescolate a superstizioni la cui origine si perde nei secoli. Anche l’arte aveva un ricco filone popolare, le famose Gilde medioevali, costruttori di cattedrali che ancora oggi sono orgoglio dell’umanità. E’ significativo che gli artisti che costruirono Cattedrali e castelli, capolavori dell’arte Romanica e Gotica, sono rimasti quasi tutti anonimi. Ammiriamo capolavori di cui molto spesso ignoriamo gli autori. Sarebbe utile una riflessione sullo stridente contrasto con la contemporaneità. Oggi si producono oggetti banali, del tutto insignificanti, i cui autori sono celebrati dai media, esaltati dalla critica.
Ovviamente la costruzione di cattedrali non era arte popolare, anche se realizzata da semplici operai, che oggi definiamo artigiani.
La vera e propria arte popolare aveva una ricca tradizione i cui protagonisti erano persone del popolo, dilettanti motivati ed entusiasti. Pensiamo ai cantastorie che giravano le fiere e spesso erano l’unica fonte d’informazione per i contadini che vivevano isolati ed ascoltavano i loro racconti cantati e illustrati con disegni. Narravano fatti di cronaca che avevano colpita l’immaginazione popolare.
I pittori viandanti, alcuni dei quali di valore, dipingevano cappelle e piloni votivi ai bordi delle strade, chiesette tra i campi.. Fabbri e falegnami costruivano piccoli capolavori, molti dei quali oggi nei musei. Con l’avvento dell’industria tutto questo è finito, negli ultimi anni la tecnologia ha dato il colpo di grazia a quella che era la caratteristica essenziale dell’arte: la manualità.
Oggi vengono esposti nani da giardino costruiti industrialmente, palloncini colorati, ed altre simili amenità che, stando ai critici, costituiscono il progresso dell’arte.
La televisione generalista influenza le masse, l’arte, more solito, si adegua. Vi è stato un enorme afflusso femminile anche nel mondo dell’arte, critica, direzione di gallerie musei, biennali ed eventi vari sono in gran maggioranza affidati a donne, le quali hanno sollevato il problema dell’arte di genere. Di certo dall’arte di respiro universale all’arte di genere, il passo è lungo.
Ridurre cultura e arte a questioni ideologiche e di genere, significa ridurre la libertà creativa confermando la profezia di Hegel secondo il quale l’arte non è materia compatibile con la società industriale. L’agonia dell’arte è durata oltre due secoli, quello che oggi è presentata come arte è una parodia triste, una sorta di lamento per immagini della pascaliana canna che non sa più pensare.
Secondo Heidegger, la psicologia non ha nulla a che fare con la “coscienza” e le “esperienze vissute”, poiché è soltanto una dottrina dell’essere del vivente, un’ontologia di quell’essere che è caratterizzato dalla vita. Essere orientati significa semplicemente avere idee chiare circa le autentiche determinazioni ontologiche della vita. Per questo la psicologia ha un compito a un limite determinato. Aristotele fornisce l’orientamento più preciso in merito, il filo conduttore delle opinioni medie che l’individuo ha di se stesso. Un’opinione di questo tipo è la definizione dell’uomo in quanto essere dotato di linguaggio. Le ulteriori definizioni si muovano nella direzione di quest’ultima.
Su questa traccia dobbiamo riconoscere che la psicologia della conoscenza non equivale a comprensione. Ciò è particolarmente vero nel campo dell’arte dove la critica non parla delle opere ma sulle opere.
In quanto all’artista, è possibile per lui acquisire una buona tecnica, capacità di disegno, altra cosa è dare un significato alle opere. Per questo vediamo che l’attribuzione di significato è demandato al critico o filosofo. Questo procedimento ha consentito di accreditare le cose peggiori delle avanguardie.
In cosa consiste “l’universalità dell’arte”? In che modo marmo,pietra metallo sagomata esprimono l’universale? In che modo il colore che assume forma, o resta solo colore, rappresenta la sensibilità umana? Per non parlare dei prodotti delle avanguardie che ha partire dal secolo scorso hanno attribuito statuto artistico a happening, fotografie, ready made, e varie.
Nella narrativa della critica dell’arte viene descritto ciò che l’artista si sarebbe proposto di rappresentare,spesso però nulla di ciò che costituisce la narrazione è ravvisabile nell’opera. Una pratica eristica che è prassi per critici e filosofi.
Forse a base della civiltà c’è proprio questa forma di adulterazione del pensiero in base al quale l’umanità ha tentato di dare un senso, una giustificazione alla propria esistenza, proiettandone l’esito al di là della vita terena. Vi è una certa similitudine tra arte e religione. In entrambi i campi sono stati scritti migliaia, forse milioni, di libri senza mai approdare ad alcuna certezza. Con grande astuzia, i padri fondatori hanno sostituito la verità con la fede, che per definizione non è indagabile. In questo modo è stato messo un suggello alla verità.
La paura dell’ignoto ci rende tutti vulnerabili alle suggestioni di un al di là premiante: “ ….la terra inesplorata dai cui confini nessun pellegrino fa ritorno…”
Johannes Vermeer: “Allegoria della fede cattolica”, olio su tela 1670-1672