Goalkeeper, 1976
Secondo Bertrand Russel , “ nessuno può comprendere la parola formaggio, se prima non ha un’esperienza non linguistica del formaggio”. Roman Jakobson contesta l’assunto, a mio avviso con giuste argomentazioni, basate sulle distinzioni, non solo tra le varie lingue, ma anche nella definizione del genere. Qui non è possibile esporre le argomentazioni di Jakobson, basti dire che uno dei limiti della critica e filosofia dell’arte è riscontrabile nelle generalizzazioni linguistiche. Se ogni opera d’arte ha una propria definita ontologia, non è possibile un’ermeneutica critica che non si basi sulla singola opera. Spesso il riferimento della critica è ai generi, arte astratta, figurativa, Pop Art ecc. In moltissimi casi, con una sinèddoche , ci si sofferma sull’artista, ovvero sulla corrente a cui appartiene, anziché esaminare l’opera o le opere di cui ci si sta occupando. Questi espedienti narrativi sono utili per creare il mito del personaggio-artista ed esimersi dall’affrontare l’ontologia dell’opera. La narrazione si avvale spesso di riferimenti impropri, per esempio le neuro scienze, o attuando una sorta di copia incolla di etimologie filosofiche che stridono con l’evidenza che l’osservatore ha di fronte. Pratica e teoria dell’arte devono affrontare problemi complessi che spesso sono stati creati in un’ansia ermeneutica che nasce dalla necessità di creare una ragione di ricerca. Alla fine si sceglie di tagliare il nodo gordiano, elevando a norma l’impossibilità di una reale lettura dell’opera d’arte nelle forme in cui si realizza nella contemporaneità. Nel mettere in evidenza la complementarietà del linguaggio, oggetto e meta- linguaggio, Niels Bohr assumendo che: “..esiste una relazione complementare fra l’uso pratico di ogni parola e il tentativo di darne una definizione precisa”. L’ermeneutica dell’arte si affida esclusivamente alla narrazione, finendo per essere decettiva, senza chiarire il significato ontologico dell’opera ma accreditandolo come assioma.
L’arte è un segno, un linguaggio. Secondo Peirce “un segno è qualcosa che rappresenta o denota un oggetto ad un interprete”. Egli classificava i segni in tre serie: icone che raffigurano il significato. Caratteri pittografici , segni indice che servono a indicare un significato. Simboli, ovvero segni puramente arbitrari che devono essere associati a certi significati. La critica d’arte si assume il compito di attribuire significato al segno, in particolare il rapporto fra significato generale e significati contestuali. Quest’ultimo è un tema linguistico che attiene alla comunicazione reale e non può subire manipolazioni semantiche neppure modificazioni ontologiche. Purtroppo è quanto avviene con la critica e filosofia dell’arte. Si suppone che il destinatario di un messaggio, in questo caso dell’opera d’arte, abbia la capacita di decifrazione. Il problema di cosa caratterizza un’opera d’arte come tale, è stato affrontato da migliaia di critici d’arte e filosofi; il risultato è stato un’accresciuta entropia semantica. Per ragioni storiche l’avvento delle avanguardie ha coinciso con la crescita esponenziale del mercato dell’arte. Tuttavia, a differenza di quanto comunemente si crede, non sono state le avanguardie artistiche ad avere creato la situazione attuale. Da sempre ci sono state persone che hanno prodotto oggetti ai quali attribuivano valenze artistiche. In effetti in molti casi è stato il tempo a valorizzare taluni oggetti, come dimostrano i reperti storici di uso quotidiano. Insieme al mercato dell’arte. Contemporaneamente alla crescita del mercato dell’arte vi è stata l’esplosione dell’industria culturale che aveva interesse a valorizzare la narrazione critica e filosofica relativa all’arte contemporanea che dava impulso al proliferare di pubblicazioni libresche sul mercato dell’arte. Critica e filosofia hanno assommato a interesse di bottega, ragioni ideologiche, orientate a disarticolare il pensiero estetico, per dare spazio ad artisti di scarsa qualità ma di forte radicamento ideologico. Il risultato è stato che il tema dell’arte è finito in un cul de sac. Detto in altri termini, hanno distrutto il giocattolo che poi non hanno saputo ricostruire. Da quel momento l’arte ha perso la propria autonomia. Un codice, in questo caso il codice dell’arte, ha un mittente, l’artista, un destinatario, l’osservatore dell’opera. Se il codice dell’artista non è decifrabile, si rende necessario l’intervento di un decifratore . L’artista non comunica più direttamente con l’osservatore, sono il critico e il filosofo ad attribuire significato all’opera d’arte. Tuttavia la narrazione di critici e filosofi ha parametri di riferimento che non sono gli stessi del comune osservatore. Dunque nel percorso di decrittazione l’opera cambia la propria natura, assume le caratteristiche e significato che la narrazione critica- filosofica gli assegna.
L’ontologia dell’arte è una creazione immaginifica che risponde ad esigenze di varia natura. Alexandre Kojève nel suo testo su Kandinsky scrisse: “ Picasso riesce a fare un quadro solamente una volta circa su cento in cui mette i colori su una tela”. E tuttavia Picasso è considerato un mostro sacro della pittura contemporanea. Per Kant rimane valido l’antico nesso tra gusto e società, egli affronta il tema tra giudizio puro e giudizio intellettualizzato, a cui corrisponde la contrapposizione tra bellezza “libera” e bellezza “aderente”. Una dottrina importante per la comprensione dell’arte. Il riconoscimento dell’arte, in base alla fondazione estetica collegata al giudizio sul gusto, induce a riflettere sulla differenza di giudizio tra ciò che abbiamo in mente e ciò che abbiamo davanti agli occhi. Conseguenza di questa considerazione è che l’opera d’arte dovrebbe essere qualcosa di più che conforme al gusto. Nella interpretazione kantiana sull’estetica, Winckelmann e Lessing, assumono una posizione chiave. Per entrambi “espressione di moralità” è strettamente legata alla bellezza, soprattutto quando raffigura il corpo umano. Schiller offre una propria interpretazione della bellezza secondo cui la pittura esprime, nell’impegno della trasfigurazione, una estetica che si propone un ideale il quale costituisce una versione possibile della immaginazione creativa. Hegel ha colto, nelle sue lezioni di estetica, e tradotto in concetto l’espressione della spiritualità che dovrebbero essere propria dell’arte.
L’arte riflette, in qualche caso suo malgrado, le strutture e i movimenti sociali. Nel 2000 l’olandese Paul Jozef Crutzen, studioso di chimica dell’atmosfera, per definire l’epoca attuale dal punto di vista delle scienze naturali, propose il termine “ antropocene”., riprendendo un concetto analogo formulato nel 1873 dal geologo italiano Paolo Stoppani. Non c’è dubbio che l’esplosione demografica dovuta non solo ai progressi della medicina, tenuto conto che nei Paesi arabi dal 1900 al 2000, la popolazione è passata da 150 milioni di individui a 1200 milioni. La politica è impotente di fronte a questi fenomeni che registrano il fallimento del velleitarismo scientifico. Che posizione e peso può avere l’arte in questo sviluppo? Si ha l’impressione che gli artisti, culturalmente inadeguati a comprendere la dinamica socio-politica, si rifugino in dettagli, frammenti, di realtà prive di significato. La frenesia cinetica fa il resto. L’inadeguatezza degli artisti è sempre stata presente, anche se ignorata per ragioni ideologiche, giustificata con la balzana idea che arte, filosofia, politica, debbano prescindere da questioni etiche. Oggi il concetto si è diffuso nella massa. Quando il 16 ottobre del 1937, nelle isole Soloveckie i bolscevichi mandarono a morte 1116 persone, il celebre scrittore Maksim Gor’kij lo considerò un grande trionfo socialista. L’arte sembra costituire paravento e alibi per ogni atto, in questo senso ha successo. Non può più accadere quanto successe a Simone de Beauvoir, cacciata nel giugno del 1943 dal Ministero dell’Educazione Nazionale per avere intrattenuto rapporti sessuali con una sua allieva. Oggi siamo femminilizzati e moderni. I sessantottini cacciarono De Gaule che aveva attivamente partecipato alla resistenza francese contro i nazisti, lo accusarono di fascismo. Marx, Lenin Trockij e Mao furono inneggiati come eroi. Nel 1972 vennero ritratti accanto a Marilyn Monroe e Yves Saint Laurent da Andy Warhol. Nel 2017 all’Eliseo è stato eletto Emmanuel Jean-Michel Frédéric Macron, ex funzionario della Banca Rothschild. La sinistra italiana si è congratulata con l’eletto, non è stata solo questione di cortesia politica. Lo sfarinamento della civiltà in atto da tempo, si avvale soprattutto dell’ignoranza che genera incoerenza. Intellettuali, artisti , politici che si richiamano a ideologie che hanno compiuto massacri, s’indignano per l’atto di un singolo definito fascista. Costoro non dimenticano la storia, semplicemente non la conoscono.
Il pregiudizio riflette semplicemente il livello di conoscenza e di condizionamenti ideologici e culturali, oltre alle convinzioni o assenza di convinzioni etiche. Questi sono i presupposti sui quali s’incardina il sapere di ognuno. In questa prospettiva, coloro che si scagliano contro il pregiudizio, sono mossi da pregiudizio. Non solo, ma spesso non conoscono affatto l’argomento al quale si dichiarano avversi. Quando ai primordi della civiltà nasce la “cultura”, essa si manifesta in forme articolate sulla spinta della curiosità e dal bisogno. L’arte figurativa, a esempio, precede la scrittura, è la forma primitiva di comunicazione , strumento per esprimere le emozioni, le paure, l’ansia dell’immaginazione evocativa. Nelle grotte di Lascaux la pittura non era attività ludica, costituiva la semplice speranza per la cattura di una preda, ovvero il ricordo per il buon esito della caccia. Solo molto più tardi nasce la capacità di tradurre il suono vocale in segno. La scrittura da prima è essenziale per poi articolarsi in forme sempre più complesse. Il pensiero si affina attraverso l’elaborazione della scrittura che lo esprime. Da quel momento l’immagine non è più la sola possibilità di espressione. Nasce la storia. In parallelo con lo sviluppo della parola, cresce la possibilità dell’inganno che solo la parola consente. La nascita del teatro rappresenta l’unione di gesto e parole, il gioco tra verità e menzogna. Platone sosteneva che il maggior valore non era contenuto nello scritto, ma solo nell’anima. Eschilo mette in bocca alla sentinella in apertura del suo Agamennone:” Io volentieri a coloro che sanno parlo, a coloro che non sanno mi nascondo”. Ciò ci riporta alla sapienza millenaria indiana contenuta negli antichi Veda, scritti volutamente in modo criptico perché solo gli indiziati potessero capire. Anche Pitagora metteva in guardia dal concedere l’accesso alla conoscenza a persone malvagie. Il mondo contemporaneo appare una conferma di quanto fosse giusta la credenza degli antichi sapienti. Le parole servono anche a descrivere gli aspetti umani più ignobili, l’arte contemporanea ha cancellato la nozione di bellezza. Siamo lontani dalla convinzione di Gadamer secondo Il quale : “…..la bellezza può anche essere percepita come il risplendere di qualcosa di ultraterreno, e tuttavia è presente nel visibile”.
Ventitre anni prima che Marshal Macluhan pubblicasse il noto saggio “Gli strumenti del comunicare”, che conteneva la nota affermazione: “Il mezzo è il messaggio”, Orson Wells realizzò quasi in solitudine il film “Quarto potere”. Era il 1941. Sotto lo pseudonimo di Citizen Kane. Wells narrava le gesta di William Randolph Hearst, magnate statunitense della stampa. Come sempre accade , per ignoranza e corta memoria, i problemi sollevati da Orson Wells sono stati archiviati. E’ rimasto il problema dei mezzi di comunicazione che si presentano come il baluardo della democrazia, quando il realtà rappresentano la forma peggiore della cattiva coscienza della società, oggi come ieri. Nel giornalismo vi è stata una crescita esponenziale della presenza femminile. Non vengono comunicate notizie, ma create. I giornalisti come pappagalli ripetono ciò che chiunque può vedere, ma spesso deformano la realtà a vantaggio di una parte politica. In Italia la RAI si presenta come servizio pubblico, pretesto per imporre un canone anche a chi, forse la maggioranza, non guarda i programmi rai. I media hanno interesse a raccontare ciò che si presume il pubblico voglio sentirsi dire, non perdendo di vista la propria posizione politica. La conferma la troviamo nelle rubriche “lettere al giornale”. Rubrica che, in teoria, dovrebbe ospitare le opinioni dei lettori, ma la selezione delle lettere in base alla “linea editoriale”. Gli argomenti che costituiscono il mainstream del pensiero unico: donne (femminismo), immigrati, omosessuali. Provarte a scrivere una lettera avanzare critiche su tali argomenti , verrà sicuramente cestinata. Il pensiero critico non è incompatibile con l’universo mediatico; sono in gioco ragioni di mercato e di potere. Dopo i fatti dell’11 settembre a New York, Jacques Derrida e Jurgen Habermas discussero su ciò che era accaduto. Il dibattito ebbe grande risonanza, ma le tesi dei due filosofi ebbero una connotazione diverse a secondo la linea politica dei singoli media. I giornali occidentali non hanno mai messo in risalto l’atroce azione criminale di George Busch , l’aggressione all’Iraq giustificata con l’esibizione all’ONU di notizie false, puntualmente avvallate dai media. I mezzi di informazione definiscono se stessi “baluardo della democrazia” , in realtà sono cassa di risonanza del potere e dei gruppi sociali organizzati, a favore dei quali fabbricano notizie false e propinano fatti in forma decettiva. spesso ignobile. La politica dell’occidente è costituita da una serie infinità di sopraffazioni . Ovviamente anche la cultura, genericamente intesa, fa la sua parte. Si consideri che è stato assegnato il Nobel per la pace a Barack Obama, l’uomo che affiancò il francese Sarkozy e il britannico Blair nella aggressione alla Libia, ha finanziato e addestrato gruppi islamici armati per combattere il Governo siriano. Il gruppo si trasformerà nell’ISIS che ha scatenato guerre e massacri che durano tuttora. Sull’origine di questo disastro la stampa occidentale tacque e continua a tacere.
Vagolando alla ricerca di idee e di successo, Duchamp, il figlio del notaio normanno, nel 1905 approdò a Montmartre e scoprì lo spirito burlone di un gruppo di personale che si definivano “Incoerenti”. Tra questi Emile Goudeau, il quale crea il circolo degli Hydropathes, patronimico per definire una comunità allergica all’acqua, e forse anche alla pulizia personale. Tra questo insolito raggruppamento spicca Jules Lèvy attorno al quale gravita l’accolita degli “Incoerenti”. Lèvy di professione fa il rappresentante di commercio. C’è un detto secondo cui : “Chi non ha ne arte ne parte, apre una galleria d’Arte”. Lévy organizza un’esposizione di disegni di persone che non sanno disegnare. Per 10 anni , dal 1882 al 1893 , lo spirito goliardico, le buffonate, gli scherzi sfrenati animano il gruppo che organizza mostre tenendo fede alla propria ragione sociale. Nel gruppo di Levy troviamo tutto quanto più tardi ritroveremo in Duchamp, giochi di parole, ready-made, monocromi, ed anche i concerti del silenzio che presenterà John Cage. In mezzo a questa fauna scatenata troviamo un altro normanno Alphonse Allais che nel 1883 espone una tela con il titolo: “ Prima comunione di giovani ragazze clorotiche in un giorno di neve”. In realtà si tratta di un monocromo bianco. L’anno successivo presenta: Cardinali apoplettici che raccolgono pomodori sulle rive del Mar Rosso”. E’ inutile dire che si tratta di un monocromo rosso. La stesso astruso surrealismo si ritrova in un altro artista del gruppo che espone:” Rissa notturna di negri in cantina” . In effetti gli “Incoerenti” hanno anticipato molti degli snodi del ‘900. Prima di Yves Klein, di Duchamp e di tutti gli apologeti che hanno marcato “l’Arte” del secolo scorso, inclusa la merda d’artista di Manzoni. Gli Incoerenti esibiscono secrezioni corporee ed esibiscono acquerelli di saliva. In breve, non solo buona parte della cosiddetta avanguardia ha esposte opere che costituivano spregio a tutto ciò che per secoli l’arte ha rappresentato, ma in queste loro esibizioni provocatorie non si imitavano a vicenda, senza ombra di originalità Tutto questo ha improntato buona parte dell’arte contemporanea che, tra ignoranza e carenza di capacità tecniche, continua sulla ripetitiva strada delle provocazioni senza costrutto.
Non pare che la cultura riesca a elaborare temi particolarmente innovativi. C’è un continuo ripescaggio di temi trattati in passato, una grande quantità di testi che riprendono i fili di un discorso interrotto e mai finito. Argomenti come rivoluzione, democrazia, giustizia sono affrontati in ottiche diverse, in astrazioni che alla fin fine risultano inconcludenti. Dopo attenta riflessione ci rendiamo conto che le teorizzazioni trascurano il punto centrale, lo snodo che è la radice del problema: pedagogia. Da qualche tempo è stata messa la sordina la tema della “società civile”, ci si è resi conto che in realtà la società civile non è migliore della politica, di tutto lo snodo nel quale si articola il potere, i cui rappresentanti provengono dalla società. Quando parliamo di società civile quale società ci riferiamo? Esistono due civiltà? Una civile e un’altra incivile? Basta porre la questione perché appaia chiara l’incongruenza di tematiche la cui astrazione non aiuta a risolvere i problemi di una società alla deriva. Quando assistiamo al penoso spettacolo di studenti che insieme agli antagonisti, sono sempre in prima fila in cortei vandalici, incuranti del fatto che sono oggettivamente parassitari della società che permette loro di seguire corsi di studio al termine del quale si aspetta di essere ripagata. La sinistra sostiene quasi sempre che le manifestazioni di piazza sono democratiche, salvo quando scendono in campo organizzazioni di destra. Ipotizzare che la democrazia è il migliore dei sistemi politici, si dice qualcosa di parzialmente vero. Democrazia significa una testa un voto. Ma cosa c’è dentro quelle teste? Sarà il caso di porci il problema? Non è necessario far ricorso a complicanti studi o indagini statistiche per sapere che intelligenza e cultura media sono piuttosto modeste, basta assistere a un programma tv di quiz. Persone che si dichiarano laureate, con parlantina sciolta, non sanno rispondere a domande su questioni elementari, non conoscono il significato delle parole che usano. Questo è il vero nocciolo del problema. L’ignoranza occulta che si nutre di luoghi comuni. Le stesse persone sono informatissime su attori, cantanti, protagonisti della vita mondana. Abbiamo una ministra dell’Università che presenta una laurea falsa e resta al suo posto, che si batte a favore della promiscuità dei generi, mentre non pare avere la stessa preoccupazione per il livello scolastico e soprattutto educativo della scuola. Nessuno si pone il problema del linguaggio, dell’abbigliamento, delle abitudini dei giovani. Le statistiche ci dicono che una gran maggioranza di studenti fa uso di stupefacenti, un gran numero non sa scrivere in modo decente. I giovani vengono istruiti male e non educati. Il mantra è : dobbiamo ascoltare i giovani. In realtà dovremmo semplicemente educarli. Certo, non è impresa facile, specie per una generazione che ha fatto della trasgressione un norma. Il femminismo si è battuto e si batte per la libertà sessuale senza chiedersi il senso e i fini di una promiscuità che pure difende a prescindere. L’arte è sulla stessa linea. Pittura cartellonistica, trovarobato, imitazioni spacciate per citazionismo. Il problema è che una società collassa quando prevalgono egoismi individuali e si incoraggia la stupidità collettiva. Si Continuerà a blaterale di democrazia, libertà, arte, mentre intorno a noi prosegue il degrado, l’insicurezza, la nefandezza socio politica. L’arte dovrebbe lasciare la cartellonistica ai pubblicitari e orientarsi alla sostanzialità semantica del segno. Ma forse pensare che questo sia possibile significa peccare di ottimismo.
Si dice che Marcel Duchamp abbia esitato tra la professione di pittore e quella di umorista. Alla fine pare abbia optato per la scelta di essere un pittore-umorista, certo nemmeno lui si sarebbe aspettato tanto successo. Duchamp nasce in Francia nel 1887 a Blaville- Crevon, figlio di un notaio. All’inizio della sua carriera dipinge con stile che emula gli impressionisti, opere di scarsa originalità e di modesta fattura. Nel 1905, a Montmartre,scopre lo spirito burlone di un gruppo di persone che si definiscono gli “Incoerenti”. Nel 1909 comincia a dipingere secondo lo spirito cinetico e bergsoniano e crea la sua prima opera “originale” che tuttavia si richiama a Boccioni, “Nudo che scende le scale”, realizzata nel 1912 ed esposta all’Armory Show a New York grazie all’l’appoggio della sua mecenate americana, Katherine Sophie Dreier. Nel 1917 acquista in un negozio di servizi igienici un comune orinatoio, modello Bedfordsgire , firma l’oggetto con lo pseudonimo “R.Mutt” e lo presenta in una mostra alla Stable Gallery. In precedenza aveva presentato “Ruota di bicicletta”, un ready-made che, a differenza dell’orinatoio, richiedeva un minimo di manualità. Come abbiamo indicato più sopra, prima della guerra 1915/1918, Duchamp dipinse opere di fattura classica, sia pure di non eccelso livello. Risalgono al 1902 “La chiesa di Blainville” , “Ritratto di Marcel Lefrancois, 1904. Ritratto di Yvonne Duchamp , 1909. “Nudo in calze nere” . 1910, dello stesso anno ritratto del padre dell’artista. Potremmo elencare altre opere dipinte fino al 1911. Va da se che tutte quelle opere passarono inosservate per la scarsa qualità pittorica. Su questo punto la critica d’arte dovrebbe chiarire le ragioni per cui un mediocre pittore, non appena si abbandona alla provocazione diventa immediatamente un maestro. Certo il sostegno della ricca americana Katherine Sophie Dreier ha avuto un peso non indifferente nell’introdurre Duchamp negli ambienti artistici newyorkesi in quegli anni alla ricerca di uno spazio nel panorama mondiale dell’arte. Gli squilionari statunitensi avevano scarsa cultura artistica e molto denaro da impiegare per imporre l’arte americana nel mondo. Duchamp, con la sua modesta dimensione artistica e la propensione alla provocazione era il giusto cavallo di Troia. E’ da notare che negli USA furono attive soprattutto le donne nel promuovere i fenomeni artistici emergenti, oltre alla Dreier sono numerose le donne che promossero l’arte di rottura. Anche il petroliere miliardario John D. Rockefeller diede appoggio ad un arte che, come poi si è visto, era propedeutica alla promozione degli artisti statunitensi. L’obiettivo di trasferire dall’Europa, in particolare da Parigi, il baricentro dell’arte a New York riuscì perfettamente. Oggi l’arte statunitense domina il mercato, peccato che nel frattempo cultura e arte abbiano subito una netta separazione.
Il dono naturale dell’arte così detta bella, deve comunque avere una regola Di che genere potrebbe essere? Sappiamo che l’artista vive, oggi più di ieri, immerso nella realtà del mondo che apprenda la propria arte percepisco i propri stimoli dalla realtà che vive dal tipo di vita che conduce quindi l’artista potrà avere idee che però non nascono nel vuoto come abbiamo molte volte sottolineato i modelli della bella arte l’unico mezzo per trasmettere alla posterità non potrebbe essere diverso da ciò che consiste nel registrare la realtà che l’artista vive ora Il punto fondamentale dell’arte contemporanea non è soltanto che l’artista è eccessivamente forse immerso in una in un sistema che condiziona il suo operare non solo dal punto di vista tecnico il che sarebbe già di per sè piuttosto grave ma anche da un punto di vista sociale Cioè vi è forse un eccesso di mondanità che induce l’artista a seguire il mainstream del momento e cioè per seguire quella che ritiene essere una forma d’arte che intanto posso avere successo sul mercato e quindi debba essere funzionale a una certa idea che è a priori del Lavoro dell’artista celati sta In altre parole non è più colui che crea e che produce delle idee Ma è colui il quale tratta delle idee e le riproduce in modo più o meno omologato dalla realtà che si trova a vivere quindi il genio per fornire una materia dalla propria creatività dovrebbe forse sottrarsi alle cessioni condizionamenti dovrebbe dedicarsi a una ricerca personale oltre che è un perfezionamento tecnico tecnico nel senso che l’arte deve comunque essere prodotta mediante un’azione materiale citrato di scultura di pittura o di qualsiasi altra cosa ora l’artista sembra ignorare questi percorsi c’è la prossima Diva cultura che gli viene trasmessa nelle accademie diventa semplicemente un indirizzo di carattere generale Fermo restando che nelle accademie e vengono come dire celebrati artisti della modernità Cioè credo che coloro i quali il primo anno è l’indirizzo artistico generale siano i soliti americani Warhol Eccesso di condizionamenti che va di pari passo con la modesta preparazione culturale. Ebbi occasione di scrivere che l’artista oggi dovrebbe essere filosofo, non nel senso di pretendere di concretizzare in forma determinati concetti questo non solo fuori luogo ma avrebbe risultati negativi. In primo luogo fossilizzare un’idea. Eidos è per definizione estremamente mobili quindi si si modifica cambia. La pretesa di formalizzare un concetto che rimarrà stabile. L’artista e filosofo dovrebbe essere filosofo in quanto aspirazione in quanto a conoscenza in quanto riflessione che sia oltre la funzionalità della materia che lavora, ma nello stesso tempo non può, non dovrebbe dimenticare gli aspetti concreti del proprio mestiere. Ci troviamo in una situazione paradossale. C’è una sorta di sclerotizzazione sul tema dell’antropocentrismo, l’uomo al centro di tutto. Ma poi vediamo la realtà contemporanea nelle nostre vite e scopriamo il prevale di un cinismo edonistico, lo sfruttamento, anche nella sessualità. Procediamo per espedienti retorici. Nel Iibro “Decadenza” Michel Onfray sottolinea come le forme di depravazione e devianza, le unioni omosessuali, siano diventate una forma di riferimento civile. Si vuole capovolgere la realtà. Dopo un secolo di “avanguardie” restano presenti e attive le Accademia di Belle Arti, solo che le belle arti non ci sono più, non si insegnano più.