Goalkeeper, 1976
Uno dei risultati più importanti della Critica Della Ragion pura consiste nell’aver dato al problema del rapporto tra concetto e oggetto una forma del tutto nuova è un significato metodologico fondamentalmente diverso.
Questa trasformazione fu possibile per il fatto che Kant compie proprio a questo punto il decisivo passaggio dalla logica generale alla logica trascendentale.
Solo in virtù di questo passaggio la dottrina del concetto viene liberata dagli irrigidimento a cui la trattazione tradizionale l’aveva sempre condotta.
La funzione del concetto appare ora non più come una funzione analitica e formale, bensì come una funzione produttiva e costruttiva. Esso e non è più la coppia più o meno lontana è sbiadita di una qualche realtà assoluta in sé esistente,anzi è diventato un presupposto dell’esperienza e quindi una condizione della possibilità dei suoi oggetti. La questione dell’oggetto è diventata per Kant una questione del valore.
Il concetto infatti è l’ultimo è più alto grado in cui il sapere s’innalza dal progresso della conoscenza oggettiva alla sintesi dell’apprensione dell’intuizione.
Alla produzione della immaginazione si aggiunge una chiave di volta nella costruzione della sintesi espressa dal concetto, ovvero della sintesi della condizione gnoseologica..
Conoscere un oggetto non significa altro che sottomettere il molteplice dell’intuizione a una regola che lo determina in rapporto all’ordine che gli è proprio.
La premessa è necessaria per chiarire che quando l’artista si appresta a trasformare l’intuizione in concetto, o quanto meno in rappresentazione formale dell’idea, dovrebbe render chiaro a se stesso significato e funzione. Questo non accade
Helmholtz nella sua teoria della percezione mette in evidenza l’importanza della cooperazione della primaria elaborazione della forma espressiva, L’intuizione non rimane legata alla realtà delle cose, ma si eleva fino alla libera costruzione del possibile nel quale il reale costituisce pretesto per la sineddoche universalistica,
L’arte non può essere legata alla nuda realtà delle cose, ma deve innalzarsi alla libera costruzione del possibile. Definire “concettuale” un oggetto che si ferma alla rappresentazione della materia bruta costituisce è un anacoluto logico.
Husserl ha fatto acutamente notare che di deve attuare una distinzione tra i segni simbolici e segni puramente indicativi. Quando, come in gran parte dell’arte contemporanea, non vi è contenuto simbolico ne significato, l’opera si riduce a pura inespressiva raffigurazione estemporanea. . .
Periodicamente emergono fenomeni di commistioni illecite tra politica ed economia. Dal momento che nella nostra società, materialista ed atea, il denaro è la cartina di tornasole, i giornali dedicano per settimane e settimane le prime pagine agli episodi di criminalità economica. In realtà, è noto a tutti, non solo l’economia, ma tutta la società italiana è dominata dal fenomeno politico denominato “sotto-governo”. Cardini della complessa macchina sociale vengono affidati molto spesso non in base alle competenze, ma a persone che hanno i giusti referenti politici. Questo spiega in buona parte il regresso dell’Italia in tutte le classifiche internazionali. Non si sottrae a questo perverso meccanismo nessun settore della vita sociale. Cultura, scuola, università, accademie finiscono per vedere operare corpi docenti con scarsa cultura ma con radicate convinzioni politiche. Faziosità a prova di logica. Siccome la politica priva di ideali, è solo contrapposizione di potere e di interessi, resta la prassi generalizzata di un ancor maggior spazio al pragmatico cinismo da sempre nel nostro dna. Tutto ciò non può non avere disastrose conseguenze sulle nuove generazioni. Metafora della situazione in atto è l’arte sempre più solo oggetto di feticismo e di speculazione economica. Quando si parla di un artista, delle sue opere, non ci si chiede più quanto vale, ma quanto costa.
Nel 1568 l’aretino Giorgio Vasari pubblica “Le Vite”, il testo si ispira alla novellistica fiorentina, descrive il mondo artistico e letterario della sua epoca nel quale la cultura aveva richiami al mondo classico che da impronta al suo lavoro, non solo ricco di episodi storici con aneddoti sulla vita degli artisti, ma anche molto curata sotto il profilo letterario. Un parallelo tra cultura, storia e arte. Per avere un’idea della cura con cui fu redatto il testo, basti dire che il lavoro di revisione, oggi diremmo l’editing, durò ben 15 anni. E’ noto che il Vasari è considerato il precursore della critica d’arte, nelle Vite non si è occupato soltanto della descrizione delle opere degli artisti, ma, come si evince dal titolo, ha redatto una serie di brevi biografie di ogni singolo artista. Vasari era implicato in molti dei fenomeni che descrive ed era posseduto da un pessimismo implicito che emerge dalla narrazione della parabola da Cimabue a Buonarroti.
Oggi quella che per comodità viene ancora definita critica d’arte non ha più le caratteristiche di approfondimento di opere e personaggi., nei migliori dei casi ha forte connotazione sociale come “ Storia sociale dell’arte” di Arnold Hauser.
Più spesso si tratta di racconti parziali su determinati fenomeni. Ogni studioso tende a specializzarsi su una determina forma artistica, o corrente, proliferate con l’avvento delle avanguardie. Raramente il critico si sofferma sul background dell’artista e sul mondo nel quale vive e opera, quando lo fa, traccia per lo più un racconto privo di approfondimenti e ricco di elogi. Diciamo che la critica d’arte ha assunto il compito di promozione commerciale più che di narrazione vera dei fenomeni artistici.
Forse uno degli ultimi critici d’arte, per cosi dire, per vocazione, fu Charles Baudelaire. Il poeta francese visse in un periodo di fulgore dell’arte francese, tra il 1821 e il 1867, egli apparteneva al movimento del simbolismo ed estetismo che esprimeva la decadenza nonostante la Belle Epoque. Baudelaire scrisse sul Salon des Refusés, insieme a Emile Zola.
Se pensiamo al grande scalpore che suscitò l’opera di Edouard Manet, “ Le Déjeuner sur l’herbe”, solo perché appariva un nudo, e lo paragoniamo a cosa rappresentano gli artisti oggi, dopo appena 160 anni, davvero dovremmo interrogarci sulla natura di quello che viene definito progresso dell’arte.
Gradatamente la funzione si approfondimento critico viene assunta dai filosofi. Da prima con citazioni en passant nei testi con i quali era contenuto un richiamo a forme estetiche, fino ad arrivare a produrre una ricca serie di pubblicazioni di filosofia dell’arte con l’ambizione più o meno esplicita di chiarire i fenomeni artistici e dare significato alle opere. Raramente le loro considerazioni trovano riscontro nella osservazione del comune osservatore.
Non è questa la sede di approfondimenti circa gli esiti dell’entrata a gamba tesa della filosofia nel mondo dell’arte. Mi auguro che i brevi qui contenuti possano indurre ad approfondire il vasto tema della realtà artistica di ieri e di oggi.
L’arte consiste nel raccogliere l’infinito molteplice dei fenomeni reali ed esprimerli con pochi accorgimenti tecnici, ovvero secondo l’epistemologia propria dell’arte, in relativamente pochi tratti con cui ordiniamo un sistema tramite il quale abbiamo pienamente il potere e la capacità di rappresentazione di ciò che colpisce la nostra immaginazione.
Passione e intuizione sono due aspetti dello stesso misterioso impulso che muove l’artista. L’ultima opera di Cartesio ha per titolo un ossimoro: “ Le passioni dell’Anima”. Per definizione l’anima non prova passioni,anche i grandi filosofi cadono in truismi verbali.
Questo richiamo ci aiuta comunque a capire l’affermazione di Hegel secondo il quale: l’arte è il pensiero che prede forma.
La domanda che sorge spontanea è: di cosa si nutre, come si forma il pensiero propedeutico alla creazione artistica?
Secondo Kant la conoscenza avviene attraverso l’intuizione, la cosiddetta intuizione artistica sarebbe una sorta di anticipazione della conoscenza di ciò che non esiste, nella migliore delle ipotesi espressione parziale di un pensiero in divenire.
Altro tema è capire di cosa si nutre il pensiero per produrre le intuizioni che si esprime nella forma. Questo il punto cruciale che spiega il decadimento dell’arte contemporanea in quanto priva di pensiero.
Altra cosa è il significato contenuto nell’opera. Parafrasando l’affermazione di Hegel: non vi è nesso tra la forma dell’uva e il gusto del vino. Questo per dire che la forma non esprime necessariamente un significato, ma nell’opera d’arte, è già sempre legata all’unità di forma e significato. .
Oggi l’arte ha rinunciato al bello, alla mimesi, ma sopratutto ha rinunciato all’uso simbolo della forma. In “Verità e Metodo, Gadamer sostiene che il simbolo è l’idea stessa che si da esistenza nel momento e rappresenta il non visibile.
Gli artisti, e ancora più le artiste, fanno l’uso frequente della esibizione del corpo, in films e fotografie. Questo si traduce in oggettivo svilimento della persona.\
“Si dovrebbe onorare meglio al pudore col quale la natura si dissimula dietro enigmi e incertezze variegati. E’ possibile che il suo nome, parlando Greco, sia Baùbo? “ (Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza.)
Anche il misantropo Schopenhauer rivaluta a suo modo la sessualità quando scrive: “…Nella realtà i genitali costituiscono il vero punto focale della volontà, e quindi il polo opposto al cervello che rappresenta l’intelligenza,ossia l’altra faccia del mondo”.
Jacques Lacan nelle sue lezioni del 1959 “ Etica della psicoanalisi”, ha esaminato parte di ciò che sotto il nome “la Cosa”, tentava di esprimere un oggetto psicologico preoggettivo: secondo Lacan bisogna prima di tutto che l’oggetto deve sempre essere considerato come perduto. Vi è l’esigenza di rimuovere la negatività per dare spazio al necessario.
L’utero diviene,va al di là, la vulva, si offre nell’illusione artistica, l’immaginazione invitante che però, nell’eccesso di libertà e di offerta, ha perso un gran parte attrattiva, anche se resta ciò che Heidegger chiama l’inaggirabile.
J.P. Sartre, in “ L’essere e il nulla” (Galimar, Parigi 1943) scrive: “ L’oscenità del sesso femminile è quella di tutte le cose aperte; è un richiamo a essere, come d’altronde tutti i buchi”.
Secondo Maurizio Ferraris l’arte ha il solo scopo di suscitare emozione, se non suscita emozione non è arte. Tesi quanto meno azzardata, anche perché,se tale principio venisse applicato,buona parte dell’arte contemporanea non sarebbe arte, il che probabilmente è vero, ma per altre ragioni.
Quando parliamo di emozioni dell’arte a cosa ci riferiamo? Che tipo di emozioni possono suscitare le scultura con donne a carponi che defecano di Kiki Smith , il letto sfatto di Trace Emin, le sculture di vagine di Cindy Sherman. Perché vi è l’ossessione femminile per sesso?
Ovviamente non c’è stato critico, sottolineo critico, non laudatore, che si sia inoltrato in una ermeneutica artistica su questo tema che risulta piuttosto scivoloso. .
La filosofia che usa l’arte per le proprie precarie teorizzazioni ricorda il barone di Mùnchausen, il quale caduto in uno stagno con il proprio cavallo cercava di sollevare l’animale con le proprie gambe e se stesso tirandosi su per i capelli.
Kikki Smith : senza titolo, Scultura
Molti filosofi e intellettuali hanno affrontato il tema della libertà, Nel 1894 Rudolf Steiner pubblicò “ La filosofia della libertà”, che conteneva un argomentare profondo sull’impossibile.
Hegel, in “ Fenomenologia dello Spirito” Scrisse un intero capitolo dal titolo: “L’opera peculiare della libertà assoluta è la morte e il Terrore”. Nella ricerca della libertà gli esseri umani trascurano l’essenza e si fermano all’essenziale.
Dunque la domanda a cui dovremmo rispondere è cosa significa “libertà”? Qui viene fuori lo snodo centrale che caratterizza tutte le nostre azioni,affrontato da Spinoza ed Hegel che così si esprimono: noi non giudichiamo buono ciò che è buono per sostanza e forma, ma giudichiamo buono ciò che ci piace. Estremizzando il concetto l’incontro perfetto sarebbe tra un sadico e un masochista.
Sigmund Freud esaminò il tema in “Il disagio della civiltà” dove mise in evidenza che la civiltà non conferisce più libertà, al contrario la limita in quando pone norme di convivenza che devono essere osservate perchè la civiltà possa dirsi tale. Il testo si dilunga nell’illustrare situazioni nelle quali la libertà è negativa.
Se noi limitiamo l’osservazione al piccolo mondo dell’arte, abbiamo davanti gli effetti della “libertà creativa” , cioè l’abolizione di regole e la eliminazione della necessità di legare arte e pensiero, arte e cultura.
Ci troviamo quindi di fronte alla contraddizione di forma e contenuto. La prima affidata alla arbitrarietà del gusto che si realizza nell’atto, la seconda giudicata non necessaria in quanto, si sostiene, la fruizione non è legata alla ragione ma all’emozione. Il titolo di una sua recente opera Paolo D’Angelo: “ La tirannia delle emozioni”.
Ecco dunque, richiamandoci a quanto sopra scritto, l’ansia di libertà si arena di fronte a noi stessi, alla nostra incapacità di controllo e gestione anche della nostre pulsioni cognitive.
Il faticoso lavoro di Hans Georg Gadamer “ Verità e metodo” 1045 pagine di tentativi ermeneutici su aspetti fondamentali della dignità socio culturale, perdono di significato nel momento in cui vengono rimossi i nessi che legano libertà, verità, volontà, ragione.
Nella realtà accettiamo di vivere la nostra vita in una libertà che abbiamo scelta secondo principi a cui è estranea ogni ragionevolezza.
La candela, umile oggetto ormai in disuso anche se amato specie dai seguaci della new age, è stato utilizzato come oggetto di riferimento per dispute filosofiche tra Descartes e Locke che hanno scritto due storie diverse ma complementari della candela: il primo ne ha realizzato uno schema intellettuale espropriato di ogni senso comune: “ Che cosa è dunque, ciò che si conosceva con tanta distinzione in quel pezzo di cera? Certo non può essere niente di quel che vi ho notato per mezzo dei sensi, poiché tutte le cose che cadevano sotto il gusto o l’odorato o la vista o il tatto o l’udito si trovano cambiate, e tuttavia la cera stessa resta….” Locke vede invece l’altra faccia: il grado d’intensità della esperienza ordinaria che è sufficiente per non metterci un dito sopra: “ Poiché, non rispondendo le nostre facoltà alla piena estensione dell’essere, né a una conoscenza perfetta , chiara e comprensiva delle cose , libera da ogni scrupolo e dubbio, bensì soltanto alla conservazione di noi stessi, cui sono date; e rispondendo esse, da come sono costruite, all’uso della vita, servono assai bene al nostro scopo finchè ci danno soltanto notizia certa di quelle cose che sono per noi convenienti o dannose. E infatti, chi veda un candela accesa, e abbia fatto esperienza della forza della fiamma mettendovi sopra un dito, non dubiterà davvero che esiste fuori di lui, che gli fa del male…” La scienza e il senso comune si sostengono reciprocamente; cioè sono aree che si spartiscono compiti e competenze diverse. Il senso comune per Locke finisce per essere tutto ciò che non è scienza; e quindi è odore, sapore, gusto e simili entro nessi di concomitanza empirica che costituiscono guide sicure per l’orientamento pratico. Il salto che a noi pare enorme tra i risultati della scienza di oggi, sono avvenuti con gradualità nell’accettazione comune di quelli che, viste nell’ottica degli antichi, sono scoperte strabilianti.
Alcuni filosofi hanno avuto atteggiamenti critici nei confronti del reale. George Berkeley negava l’esistenza della materia e la possibilità dello spazio assoluto. Emarginato per molto tempo venne rivalutato dalla teorie di Ernst Mach, Bohr e addirittura di Eistein del quale venne considerato un precursore.
Se mettiamo a confronto filosofie critiche come quelle di Berkeley con la prosaica filosofia dell’arte che celebra dettagli di realtà inventandone il significato,non possiamo che restare perplessi,
Ma pensiero non è solo il realizzarsi della ragione nella forma, ma è ragione intuitiva che precorre la scienza anche se incorre in errori gravi visto che Berkeley negò valore alla teoria di Newton sulla gravitazione universale.
Dopo che i movimenti storici d’avanguardia hanno svelato l’istituzione arte come soluzione dell’enigma dell’effetto, o della mancanza d’effetto, dell’arte, nessuna forma artistica può rivendicare la pretesa di valere per un tempo indefinito, solo per se stessa. La pretesa è stata liquidata definitivamente. Non è stato ancora chiarito il significato dell’avanguardia per la teoria estetica contemporanea, questione a suo tempo affrontata da Adorno. Sull’argomento Burkhardt Lindner ha fornito uno degli spunti più interessanti, egli afferma che nel suo intento di superamento dell’arte nella prassi vivente dell’avanguardia può essere pensata come il più radicale e coerente tentativo di salvaguardare l’universale pretesa di autonomia dell’arte contro tutti gli altri ambiti particolari della società conferendo ad essa un significato pratico.
Ovviamente simili giudizi globali andrebbero definiti nelle loro sfumature. Il significato della cesura nella storia dell’arte, provocata dai movimenti storici, non è consistita nella distruzione dell’istituzione arte, ma nella impossibilità di considerare valide le norme estetiche. E’ sfuggito ai movimenti dell’avanguardia, che eliminando il riferimento si rendeva possibile ogni sviluppo dell’aporia.
Danto definisce pattume la metafisica, ma non rinuncia ad utilizzare i sofismi intorno In quali si ramificano l’argomentazione della metafisica alle cui parole, come nella filosofia dell’arte, si tenta di dare corpo all’invisibile.La critica ritiene di avere nel proprio sapere, in quanto tale, la capacità di creare leggi estetiche.
Non c’è dubbio che, per stabilire il significato di un opera la critica procede secondo convenzioni e pregiudizi. Quando si trova di fronte a un oggetto che ha determinate proprietà estetiche, per così dire mute, alle quali deve essere attribuito un significato, perché il processo di attribuzione sia comprensibile, quindi accettabile, è inevitabile il ricorso a richiami simbolici, culturali, sociali. Dunque nella narrazione critica non vi è alcuna originalità, solo ipotesi e opinioni dalle quali e con le quali si pretende di estrapolare il significato dell’opera. La critica non crea nulla, ma utilizza e adatta all’oggetto che sta esaminando ipotesi immaginifiche..
Ora, quando più l’oggetto e lontano dalla mimesi ed costituito dalla casualità della forma, tanto più l’attribuzione di significato è arbitrario.
Schopenhauer nel suo capolavoro “Il mondo come volontà e rappresentazione”, ha una visione particolare dell’artista la cui volontà creatrice guida la sua capacità di dare forma al pensiero in funzione propedeutica
Di fatto la critica confronta il contenuto solo con se stesso, si riduce quindi a tautologia, Se presumiamo che l’arte possa avere un contenuto di verità dovremmo anche presumere di conoscere aspetti del processo creativo che in realtà ci fuggono.
Feuerbach rappresenta la dissoluzione della filosofia hegeliana è il termine di passaggio dall’idealismo al positivismo. La filosofia, in tutto il suo percorso storico, gli appare come una consapevole o inconsapevole teologia,cioè un’alienazione dell’essenza dell’uomo nella essenza di Dio e quindi una mistificazione dell’uomo.
Anche la filosofia di Hegel, la più grandiosa e conseguente di tutte le filosofie tradizionali, è essa stessa un immensa teologia. E’ teologia razionalizzata, cioè l’inveramento e il coronamento del pensiero teologico.
Per Feuerbach invece la nuova filosofia è la risoluzione completa, assoluta, della teologia antropologica. Questo spunto verrà raccolto da Jacques Maritain nel suo capolavoro, “Umanesimo integrale”, pubblicato nel 1956, nel quale, anticipò Fukuyama che 56 anni dopo, nel 1992, pubblicherà il libro “Fine della storia”.
Il pensiero di Hegel si sviluppò nell’esame dei nessi società e cultura, e lo indusse ad affermare che l’arte non aveva più ragion d’essere nella società moderna.
Contrariamente alla previsione di Feuerbach secondo cui,l’uomo, liberato dal bisogno, si sarebbe dedicato alla cultura e all’arte. Profezia clamorosamente smentita dalla realtà.
Si deve alla scuola di Francoforte l’approfondimento del tema cultura, politica, società. Horkheimer, in “La società in transizione”, pubblicato nel 1972, tenta una silloge dei problemi che allora si profilavano e che, non sono mai stati risolti, tanto che oggi ci ritroviamo a fare i conti di situazioni di maggior gravità.
Come sosteneva Bertrand Russel. È molto più facile divertire che educare.
Il fallimento del pensiero libertario nato con l’Illuminismo al quale Adorno e Horkheimer mossero una dura e motivata critica in “Dialettica dell’illuminismo”, si trascina nella civiltà contemporanea. La quale sembra aver abbandonato le ragioni vere che motivarono la nascita della civiltà occidentale.
Nella società dell’apparenza, dello spettacolo, prevale tutto ciò che è ludico, e viene configurato nella vita sociale e nella comunicazione come il grembo in cui si feconda la libertà.
Kierkegaard aveva messo in guardia dal pericolo di abbandonarsi alla deriva estetica, alla superficialità senza pensiero.
Seguirà il pessimismo di Heidegger la cui filosofia tenta ancora domande destinate a restare senza risposta. In “Cosa significa pensare”. Heidegger tenta di metterci in guardia sull’essenza nascosta della tecnica moderna. Tema in parte ripreso in “L’origine dell’opera d’arte” , pubblicato nel 1950.
L’uomo concreto si è liberato dal bisogno materiale, almeno in occidente, per scoprirsi più vuoto e vulnerabile di quanto non fosse mai stato, ma nello stesso tempo, prigioniero della propria dipendenza da consumi e piaceri.
L’illusione di Feuerbach che un giorno la civiltà sara liberata dalla menzogna e nascerà un uomo libero capace di realizzarsi in armonia con se stesso, si è rivelata una cocente delusione.
L’arte ha scelto la tecnica, il ludico, l’estemporaneità di un pensiero superficiale e intimistico, di matrice sopratutto femminile. La Biennale di Venezia del 2022 vede una massiccia presenza femminile, più della metà degli espositori è donna. Va da se che la scelta non è stata fatta, avendo come riferimento la qualità delle opere, ma la politica, il privilegio di genere, quasi che l’arte possa essere una forma di risarcimento psicologico delle carenze di natura, cultura, sensibilità.
Arte femminista. Trace Emin, My Bed, 1998
È noto il detto: la matematica non è un’opinione. Ebbene, Hegel, nella fenomenologia dello spirito, afferma: la filosofia deve disprezzare la matematica.
Ovviamente l’affermazione va meditata e collocata nel contesto logico che la motiva. Anche la logica è stata messa in discussione. Interessante il libro pubblicato da Nikolaj Aleksandrovi Vasil’ev “ Logica immaginaria” , nel quale sviluppa interessanti teorie sulle modalità dei giudizi logici.
Non c’è dubbio che la logica, per così dire, riordina i pensieri, non li crea. Abitualmente la logica è associata all’idea di aridità di un pensiero razionale. Questo offre pretesto agli artisti per rifiutarla in quanto sarebbe contro la creatività.
Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che “realtà” e “verità” sono concetti creati dall’uomo, affidati a convenzioni. Possono quindi non solo essere sottoposti a critica, ma secondo l’evoluzione del pensiero e delle consuetudini, possono essere considerati concettualmente obsoleti.
I filosofi spesso fanno ricorso a metafore incomprensibili. Hegel, in “Fenomenologia dello spirito” usa la metafora dell’osso per definire i limiti di un pensiero che si arena nella materia.
Molto più rozzamente Danto definisce pattume la metafisica, anche se non rinuncia ai sofismi intorno a cui si radicano le argomentazione della sua filosofia.
Resta vero che la coscienza critica è forse l’unica fonte di creatività, essa è alla radice della filosofia e di ogni impresa intellettuale che abbia un significato.
Infatti il fallimento delle avanguardie è stato provocato da una finzione critica, che si è tradotta nella semplice sostituzione di procedure, e nella abolizione dei principi che ispiravano la epistemologia dell’arte, sostituendoli con un approccio parascientifico e adozione di procedimenti tecnologici. Questo ha comportato lo snaturamento della ontologia dell’arte. .
La provocazione come metodo ha portato a confondere creatività con impulso. Parafrasando la nota affermazione di Einstein secondo il quale il risultato della scienza è frutto di 95% di lavoro 5% di genio. Trasferire il concetto nel campo dell’arte ci aiuta a chiarire la ragione per la quale molta arte contemporanea è ciarpame.
Supporre che l’artista, o sedicente tale, abbia il dono della creatività che si manifesta per impulsi, significa inoltrarci in un deserto di senso nel quale, non è neppure chiaro chi possa essere considerato artista.
I pregiudizi sulla creatività e talune forme d’arte sono ormai evidenti a tutti. Se si mantiene lo status quo è perché interessi concreti tengono in piedi la finzione che mette la sordina alla coscienza critica.
Immagine: Renè Magritte. L’uomo con la bombetta, 1964