Goalkeeper, 1976
Non è sostenibile la tesi secondo cui esistono diverse realtà nell’esistenza di ciascuno di noi, privato, pubblico, professionale. Sembra più che altro un espediente retorico che porta alla frammentazione sociale. Diciamo piuttosto che gli umani fanno pace con le proprie colpevoli abitudini. “Le vite” del Vasari descrivono i dettagli della vita dei singoli artisti. Le loro vite incidono sulla loro arte.
Oggi è diventato tutto molto più difficile, attraverso la tecnologia siamo soggetti al furto dell’essere. Gradatamente rinunciamo al pensiero pensante per adagiarci sull’adeguamento alla funzionalità dello strumento che usiamo, inconsapevoli di essere prigionieri in una formalità operativa che condiziona il nostro agire. Il cedimento alla tecnologia ci porta all’aridità creativa.
Cosa ne è stato della filosofia che da Talete in poi ha formato il pensiero della civiltà occidentale? Iniziamo a capire cosa significa il fatto che le evidenze europee, insieme alle loro regole linguistiche, antropologiche, filosofiche, giudiziarie, valgono solo per l’’Occidente e non riflettono affatto il common sense dell’intera umanità.
Amiel ha collegato questo ritrarsi del pensiero occidentale al vuoto che si è venuto a crearsi per la rapidità con la quale è mutato il nostro mondo e la società. Siamo afflitti da cronofagia. L’attuazione di un opera d’arte che un tempo richiedeva mesi, anni, oggi, adottando le modalità della tecnologia, è pressoché istantanea. Ma il corpo umano è soggetto a propri tempi, il ciclo circadiano detta le proprie regole, la rapida modifica dei ritmi di vita non è senza conseguenze sull’intelletto e sul corpo. La nostra vita scorre suscitando nostalgia del mondo che non sappiamo più vedere, capita che la memoria ci metta di fronte al panorama di ciò che andato perduto. A poco serve una cultura velleitaria che tenta di fermare i rivoli di un esistenza che si disperde in suggestioni estemporanee. L’intelligenza solipsistica può esistere solo frammentando gli spazzi privati in una dilatazione di senso che includa esclusivamente forme di evasione dal pensiero consapevole. Il percorso della dissoluzione della ragione accompagna la decrescita e declino della civiltà.
Martin Lutero nel testo “Contro i profeti celesti”,scrive: “La ragione è la più grande delle puttane del diavolo, bisognerebbe metterla sotto i piedi e distruggerla”. Ci sarebbe quindi da supporre che la filosofia, principale frutto del pensiero raziocinante e immaginifico, sia esercizio vano. La volontà di Schopenhauer, ansia di potenza di Nietzsche, lo slancio vitale di Bergson, i flussi di Deleuze, sono tutti esercizi mentali che non approdano a nulla se non, qualche volta, alla pazzia.
L’arte esprime il proprio tempo a volte anche a prescindere dall’oggetto che raffigura. Tra il tardo Medioevo e il Rinascimento la pittura rappresentava soprattutto opere di carattere religioso. Con l’avvento della Borghesia e del cosiddetto Romanticismo , sono subentrati ritratti di borghesi, paesaggi, interni. Dalla fine del ‘900 le avanguardie hanno in pratica cancellato due millenni di arte imponendo un’arte rozza e volgare. La Modernità ha imposto il materialismo, il genere, la struttura, l’inconscio, la massa. Tutto questo era già in discussione sotto aspetti meno grossolani e dirompenti, Con il prevalere del dominio del cliente in un mercato deregolamentato del senso, le scelte erano à son goùt, senza impacci di carattere culturale.
Hans Sedlmayr denuncia la pratica della modernità, con la sopravvenuta perdita del centro. Nelle arti figurative dei secoli XIX- XX le questioni morali vengono ad assumere un valore irrilevante, prevale l’assioma secondo cui, l’arte essendo libera, non è legata a nessun tipo di condizionamento etico. L’arte è autonoma, anche dal proprio significato. L’assunto trascura un dettaglio, l’artista è inevitabilmente condizionato dal proprio contesto e dalla propria cultura. In questa situazione, l’arte getta il guanto di sfida al mondo reale, ma non si accorge di scivolare verso un materialismo ontologicamente squallido. Andy Warhol, accanto a Marilyn Monroe, dipinge Lenin e Mao, Escatologia dell’arte. Joana Vasconcelos presenta un lampadario fatto con tampax. E’ tutto un potpourri da vendere agli squilionari il cui cinismo e pari all’ignoranza.
In Italia diventa icona dell’avanguardia Piero Manzoni, Figlio di un produttore di carne in scatola, Mazotin. L’artista defeca in una bacinella e riempie dei propri escrementi novanta scatolette di metallo del peso di 30 grammi. Su ciascuna scrive “Merda d’artista. Contenuto netto gr.30. Conservata naturale. Prodotta e inscatolata nel maggio 1961”. Tutto viene rigorosamente numerato, etichettato e firmato. E’ l’ingresso ufficiale della merda nel mondo dell’arte occidentale.
L’operazione artistica di Manzoni è resa possibile dal precedente di Duchamp che nel 1913 presentò uno scola bottiglie come opera d’arte, seguito dal orinatoio nel 1917. Duchamp fu finanziato a sostenuto dalla ereditiera americana Katherine Sophie Dreier. Così l’Occidente unito ha creato un nuovo mondo dell’arte prontamente monetizzato dai mercanti ebrei. Castelli, Guggenheim, Sonnabend.
La fondazione della filosofia si proponeva la depurazione dell’intelligenza , suo compito fornire la chiave con cui armonizzare l’approccio alla realtà.
L’’Atlante Farnese è uno splendido esempio della possibilità del connubio della filosofia e dell’arte, entrambe le discipline impegnate nel dare significato al reale. L’opera ha ispirato una quantità di ipotesi ermeneutiche e considerazioni filosofiche. L’immagine del Titano gravato dal peso del globo di cui non sa nulla e che non può vedere. Era l’Epoca in cui gli artisti possedevano una base culturale e con essa potevano interpretare la storia. Attuavano la suggestiva tesi linguistico ontologica teorizzata da Heidegger, secondo la quale l’opera d’arte “erige un mondo”.
Tralasciando confronti imbarazzanti, è difficile negare che l’arte moderna abbia rinunciato ad esprimere la conoscenza del mondo, per quanto possa essere percepito dall’artista.
In passato sono state molte le opere pittoriche che hanno raffigurato filosofi. Esempi importanti : “La Scuola di Atene” di Raffaello Sanzio. “ I tre filosofi” di Giorgione, e altre. Quasi sempre la pittura si limita a rappresentare situazioni ed espressioni intorno alle quali si sono affollati tentativi ermeneutici. Franz Hals, volendo rappresentare l’epistemologia cartesiana, decide di non rappresentare il filosofo con un libro di filosofia, ma sullo sfondo oscuro di una biblioteca, quasi a indicare la difficoltà della conoscenza di accedere alla luce.
Nel momento in cui l’arte si è per così dire accartocciata nell’autoreferenzialità, la filosofia non è più stata necessaria, è subentrata la sociologia fatta propria dalla critica d’arte in una narrazione tautologica con pretese olistiche.
L’artista contemporaneo, immerso nella mondanità e nel consumo, non ha la capacità nè la volontà di sottrarsi a quello che Sartre definiva in un dramma: “L’infermo sono gli altri” , tema approfondito ancor meglio da Melville. Le tesi secondo cui l’arte è un percorso di liberazione, non più attuale. L’artista è “gli altri”, si limita a rappresentare ciò che gli altri vogliono, fanno, pensano, cronista passivo di una realtà che lo coinvolge al punto da privarlo della capacità di rappresentarla se non per insignificanti, ripetitivi dettagli.
Nell’approccio ermeneutico della critica e filosofia dell’arte vi è una incoerenza che non pare essere stata presa in esame. Epistemologia e ontologia dell’arte sono radicalmente cambiate. Colore, disegno,iconografia, non sono più gli elementi costitutivi dell’opera d’arte. Dunque su cosa si basa la valutazione critica dell’opera?
Il letto sfatto di Trace Emin, la rana crocifissa di Marin Kippenberger, il lampadario di tampax di Joana Vasconcelos, che tipo di approccio critico richiedono? La giustificazione sociologica, oltreché discutibile, non entra nel merito e nello specifico ontologico dell’opera stessa, ma si traduce in una narrazione parallela che non serve alla comprensione, ammesso ci sia davvero possibilità e necessità di capire.
L’ossessione dell’arte femminista per il corpo e l’organo sessuale,sono sintomi di un disagio della propria identità di genere che si traduce in eccessi. Questa realtà formale può essere interpretata attraverso la conoscenza del processo artistico, oppure basta un approccio socio culturale diverso,che tenta di decifrare una pseudocultura la cui cifra è il disagio mentale.
Vi è una sorta di pericoresi nel rifiuto dell’accettazione della propria condizione. Quando Cindy Sherman presenta l’immagine del un parto di una forma umana adulta,manifesta una sorta di disprezzo verso una funzione fondamentale della procreazione che permette la prosecuzione della specie. Lotario de Segni (1160 – 1216) diventato Papa con il nome di Innocenzo III affermò di provare “un sacro conato di vomito” quando immaginava il parto di un bambino. Sherman si pone sulla stessa linea?
A meno di non supporre una estemporaneità superficiale, le ragioni che motivano le opere sopra citate implicano considerazione che vanno oltre alla epistemologia dell’arte. Qual’è il significato del lampadario della Vasconcelos? La luce? O un monumento all’assorbente igienico? Quando Andrea Serrano presenta l’immagine di un crocifisso immerso nell’urina,intende dissacrare il simbolo cristiano per antonomasia,oppure desacralizzare la religione in quanto tale?
Non c’è dubbio che l’approccio critico alle opere che pretendono di avere la loro giustificazione in motivazioni di carattere socio-culturale, richiedono una preparazione diversa da quella che si può apprendere nelle accademie e facoltà di estetica delle università. Anche il percorso di formazione degli artisti non basta ad accreditali sul piano professionale, tale prerogativa finisce per essere di esclusiva competenza del mercato.
L’arte vera è, per così dire, una sorta di promanazione del sensibile tesa a stimolare le potenzialità umane. In qualche caso può arrotondare gli spigoli del reale. La religione usò l’arte per una pedagogia religiosa. Nicolò Cusano utilizzò un brutto ritratto realizzato da Rogier van der Weyden: “Immagine del tiratore multi vedente”. Come metafora dello guardo di Dio nella vita di ciascuno di noi.
Se ho gli occhi capaci di vedere, se percepisco il mondo, è perché concentro la visione sul particolare. Questo può avvenire soprattutto nell’opera d’arte. Imparare a vedere è esercizio utile, è attraverso la visione che arricchiamo conoscenza e sensibilità. Oggi siamo sommersi da immagini e comunicazione verbale, è pressoché compiuto lo Stato mondiale omogeneo come aveva teorizzato Marshall MacLuhan, con i suoi fantasmi pentecostali del villaggio elettronico globale. Diventa importante utilizzare un filtro per evitare che il pattume visivo intasi la nostra mente e crei una sorta di saturazione dell’inutile.
Non solo nell’arte plastica, anche nella letteratura il gioco della conoscenza che induce alla visione può essere deviante. In questo caso agisce solo sull’immaginazione. Stalin diceva che gli scrittori sono ingegneri dell’anima. Senza indulgere a metafore esagerate, non c’è dubbio che la letteratura ebbe una parte importante nel marcare i passaggi di civiltà. Purtroppo da oltre 50 anni anche la letteratura ha subito la stessa sorte dell’arte plastica, tracimando nel volgare e nell’ intimistico, per non dire pornografico, questo è avvenuto anche per il massiccio afflusso femminile nel settore.
Dostoevskij aveva concepito il personaggio dell’idiota come tentativo di rappresentare “l’essere umano perfettamente bello”, e il suo inevitabile naufragio sullo scoglio della bruttura umana. Nel suo testo polemico del 1888, “l’Anticristo”, Nietzsche ha tratto le conseguenze nel campo della psicologia della religione delineando la figura del decadente ante litteram. Rilke, nel 1937 scrisse un saggio sulla stupidità che non pare abbia contribuito a ridurre il problema.
Non c’è dubbio che, se la grande letteratura aveva lasciato un segno nella cultura dell’Occidente, tale traccia è stata in gran parte cancellata dalla marea di approssimazioni volgari del nostro tempo. La sottile psicologia di Dostoevslij in “Delitto e Castigo”, la ricostruzione della memoria in “A la recherche du temps perdu” di Marcel Proust. “Ulisse di James Joyce. “L’uomo senza qualità di Robert Musil, opere purtroppo molto citate poco lette, e ancor meno comprese.
Viviamo in un mondo in cui abbiamo bisogno della IA per dare ordine ai nostri pensieri, mentre proseguiamo il percorso che ci allontana sempre più da tutto ciò che è natura.
Rousseau è stato tra i primi a dare alla psicologia sociale e alla diversità scientifica la connotazione di disprezzo per l’essere umano. Anche l’arte moderna sembra inconsciamente richiamarsi a forme di denigrazione, salvo quando si affida a un tempo onirico della ragione in cui il possibile assorbe in se il reale.
Se cercassimo nei nostri tempi formulazioni di percorsi verso forme simboliche nel campo dell’arte, ci troveremmo di fronte all’arte fantastica dell’immagine , in cui i simboli psichici del profondo hanno preso la forma di formulazione visive. Un esempio sono le rappresentazioni di alberi di Renè Magritte, soprattutto nell’opera dal titolo “La reconnaissance infinie”. Del 1994. Una tempera di piccole dimensioni mostra un albero a forma di cuore. Il quadro può essere letto come un trattato ermetico sulla trasposizione fantastica di una realtà separata che richiama l’albero della vita.
Gaston Bachelard con la sua fenomenologia dell’immaginazione ci ha offerto una chiave di interpretazione sul percorso del surreale simbolico. La mano sognante che traccia il segno. Sembra che l’inconscio riconosca quale simbolo la duplicità dell’esistenza inconsapevole e tuttavia tesa alla ricerca della solidità di un pensiero che sia base di positività.
L’opera d’arte compiuta perpetua il ricordo della gratificazione e ha valore nella misura in cui contrappone il proprio ordine a quello della realtà, un ordine in cui è possibile intravedere ciò che può essere fatto per continuare a dare senso all’esistenza senza bisogno di sconvolgere lo spirito e i sensi, secondo definizione della vocazione poetica data da Rimbaud
E’ un luogo comune lo stereotipo dell’artista eccentrico ed eccessivo. L’arte necessità di intelligenza presente a se stessa. La tradizione latina usa l’espressione “trascendere” che ha fatto la storia del pensiero di cui l’arte è l’espressione visiva. Prima di trascendere è necessario scendere, approfondire, un minimo della conoscenza di ciò che s’intende superare attraverso una parafrasi creativa, in caso contrario tutto si riduce a un brancolare in un vuoto privo di significato.
Renè Magritte, La reconnaissance infinie, tempera, 1994
Weber sembra essere stato tra coloro che hanno proceduto al congedo dalla società. Oggi l’abbandono avviene con l’immersione nello spazio tecnologico. L’arte accompagna questo distacco cancellando gradatamente l’umano dalle sue rappresentazioni.
Mentre il papa urlante di Francis Bacon implica ancora un tentativo di esplorazione, gli autoritratti di Andy Warhol raggiungono lo stato dell’altruismo nella vendita di se stesso. Le due opere hanno ancora un posto,sia pure a margine , dell’arte espressiva, poiché sia la lacerazione che la pietrificazione del volto contengono ancora il principio dell’espressione. Un richiamo, forse inconscio, sicuramente disperato di resistenza al nichilismo che pervade la società fatta di volti inespressivi e anonimi, ma curatissimi, deformati dal successo, sorrisi statici, volti il cui riferimento non sono più altri esseri umani, bensì monitor, videocamere, mercati, giurie di valutazione.
I nuovi procedimenti dell’estetica facciale nelle arti plastiche sono simili ai cartelloni pubblicitari, non parlano al singolo, hanno come riferimento la massa, richiamo a follower, un mondo surreale in cui la menzogna dell’immagine e della parola, sono abituale merce di lucroso scambio, la realtà è mercato, in un confuso scambio d’identità messe in vendita. C’è il rischio che tutto ciò apra la strada alla pazzia.
Anche se, a questo sadismo spirituale, ben si adatta il montage Untitled #314C di Cindy Sherman dove il volto si dissolve in un paesaggio rugoso costituito da elementi della trama,malvagi e incontrollabili, con una bocca le cui labbra mostrano una apertura oscena. Non è rimasto nulla di ciò che Benjamin ha battezzato “sex appeal dell’inorganico”. La carne divenuta copia sintetica di se stessa. Sherman sembra accanirsi su quelli che sono gli attributi del potere sessuale femminile il sedere, i seni, la vulva, deforma, dilata, in un parto di adulto, esprime orrore della procreazione.
Nel libro “Sotto Il segno di Saturno”, Susan Sontag cita Artaud secondo il quale , il pazzo ha una doppia identità, vittima e portatore di saggezza. Infatti la pazzia accompagna molti artisti e filosofi costretti a fare i conti con gnosi e sensibilità. Come nelle opere citate, la sfida al reale può diventare un fardello troppo pesante, com’è stato per Hòlderlin, Nerval, Nietzsche, van Gogh e altri creatori di mondi,approdati una farneticazione liberatoria.
Può scaturire la creatività da una umana incompletezza? La nostalgia per un mondo aristotelico trovava il suo obiettivo nella parola Cosmo, degenerato nella globalizzazione sempre più avviata verso una ginecocrazia che domina masse infantili di paranoici tecnologici, persone che tendono a perdere la forza di mantenere il controllo del loro spazio psichico riducendosi a individui isolati.
Ci troviamo di fronte al paradosso che il progredire della conoscenza ci mette di fronte alla nostra impotenza. Nell’infanzia della civiltà era possibile coltivare l’illusione che la scienza avrebbe migliorato gli esseri umani e reso possibile un futuro luminoso, anche selezionando i migliori, cosa oggi non più pensabile, in ragione di un ipocrita formalismo democratico.
Secondo la tradizione Platone avrebbe affisso all’ingresso della Accademia un cartello nel quale si chiedeva di astenersi dall’entrare chiunque non fosse esperto di geometria. Tale disciplina è stata fatta propria dall’arte moderna, diventata gioco, tautologia, ed ha finito per ridimensionare l’illusione della spazialità e dell’arte. L’elegia dell’arte astratta fatta da Kandinsky e dal filosofo hegeliano Kòjève suo nipote, è stata presto sommersa da una folla di epigoni privi di estro.
La filosofia scinde la società tra quelli che ricordano e quelli che non ricordano. La cultura è memoria e consapevolezza, con effetti non sempre positivi. Secondo Peter Sloterdijk, ricerca e presa di coscienza hanno trasformato l’essere umano in un idiota del Cosmo. Un idiota ansioso che faceva esclamare a Pascal: “ L’eterno silenzio degli spazi mi spaventa”.
Friedrich Nietzsche, ideatore di verità con le quali è difficile vivere, ma che l’onestà intellettuale ha difficoltà a ignorare, ho sostenuto che gli interpreti moderni di questo mondo hanno stabilito che vivere significa pagare il prezzo devastante della inadeguatezza umana. E’ perciò un bene che l’esistenzialismo abbia rivelato ciò che è essenziale per tentare di rompere il sigillo che la banalità pone all’intelligenza creativa. Quello che i filosofi contemporanei hanno chiamato oblio dell’essere, appare più che altro ostinata ignoranza, incapacità di superare la barriera dell’apparente.
L’arte non può nulla contro questa situazione. In ogni caso gli artisti, ormai massa, hanno rinunciato, non sono più in grado di dare forma al grido di disperazione che sale da masse spensieratamente ignare.
Edvard Munch “Ansietà” 1894
Il linguaggio dell’arte precede la scrittura e trae origine da un sistema di segni che rappresentavano eventi, sentimenti, cose. Quando Champollion riuscì a decifrare la pietra di Rosetta, scoprì che i geroglifici erano una scrittura che aveva radici ermetiche. L’interpretazione della scrittura geroglifica ha dominato la cultura dell’Occidente da Platone fino a Champollion il quale riuscì a dare significato ai simboli e allegorie di una forma di scrittura che può anche esprimere concetti astratti. La scrittura degli Egizi infatti non esprime concetti mediante sillabe aggiunte una all’altra , ma mediante il significato degli oggetti che sono stati copiati e mediante il loro significato figurativo che, per pratica, si è impresso nella memoria. Per esempio, gli Egizi tracciano il segno del falco, per loro significa tutto ciò che accade rapidamente dato che questo animale è la più rapida delle creature alate, il concetto dipinto è quindi trasferito, mediante appropriata metafora, a tutte le cose rapide a tutto ciò che ha proprietà di essere rapido. Il coccodrillo è simbolo di ciò che è male. Per significare il mondo viene rappresentato un serpente ravvolto su se stesso che si morde la coda. Indicano l’anno con il Sole e la Luna che misurano il tempo. Il mese viene rappresentato con ramo. Il fato con una stella, il leone per rappresentare il coraggio, Ibis per indicare il cuore, la fenice per indicare la vicissitudine delle cose. Essi avevano cura di non mostrare le teorie dei sapienti a uomini che giudicavano indegni, sottraevano agli ingegni volgari la comprensione delle cose perché non potessero farne cattivo uso, mentre i saggi potevano comunicare senza bisogno di parole – sine loquela – ma solo attraverso i simboli. Non c’è dubbio che tracciare simboli richiedeva un certa abilità manuale molto affine all’arte, tanto è vero che gli scrivani Egizi erano spesso gli stessi artisti a cui veniva affidata la creazione di sculture di carattere religioso e funerario. Appare evidente il paradossale accostamento, in tema di rappresentazione di segni e figure, tra due universi distanti. La Chiesa Cattolica, avendo rinunciato alla iconoclastia, ha reso possibile la pittura del Rinascimento italiano. Tuttavia la pittura, come tutta l’arte oggettivata, si presta al possesso del singolo, apre la strada al mercato che finisce per svilire l’arte, non solo perché la rende oggetto tra gli oggetti, ma anche perché finisce per affidare al gusto della massa l’evoluzione, o involuzione, della produzione artistica. Esattamente ciò che è avvenuto. La scrittura e l’arte egiziana ha permesso che arrivassero fino a noi le tracce e i simboli della più antica a importante civiltà africana. Mescolandosi all’idea di una filosofia scritta dagli antichi Egiziani sugli obelischi, di una riposta e segreta sapienza sacerdotale velata dalle immagini e comprensibile solo agli iniziati, connettendosi ai temi dell’ermetismo, del neoplatonismo, dell’allegorismo, della letteratura emblematica, alla interpretazione dei geroglifici attraverso gli scritti di Plotino, Orapollo, Marciano Capella, Marsilio Ficino, Francesco Colonna, Pierio Valeriano, Andrea Alciati fino a Athanasius Kircher, questa cultura esoterica, incomprensibile ai non preparati, arriva quasi inalterata fino al XVII secolo. Il riscontro nel mondo dell’arte di questa profonda cultura si riflette nella iconologia così ben indagata da Erwin Panofsky.
A tutti i livelli di civiltà, fin dai tempi più remoti, una delle preoccupazioni fondamentali dell’uomo è stata la ricerca delle proprie origini. Questa inclinazione a ritrovare il riflesso di se stessi nelle profondità del passato è stata solo in parte soddisfatta. Anche oggi, in gran numero di persone, non sapendo dove sono diretti, nutrono lo stesso desiderio dei loro antenati di sapere da dove provengono; bastano tuttavia brevi riferimenti al passato delle grandi scimmie perché in genere siano tranquillizzati. Questo bisogno di scendere alle radici è così forte che non può essere determinato solo dalla curiosità. La preistoria è considerata da molti studiosi quasi un fatto personale; essa è forse la disciplina che conta il maggior numero di dilettanti, quella che ognuno crede di poter praticare senza una conoscenza specifica, in questo simile all’arte, campo nel quale si è scritto il maggior numero di sciocchezze. E’ stato invece trascurato, specie negli ultimi cinquant’anni, un aspetto importante, l’orientamento degli artisti a presentare manufatti in cui è ridotto al minimo, quasi annullato, l’intervento manuale. E’ noto agli studiosi che il cervello dell’uomo ha potuto svilupparsi in modo tanto considerevole grazie alla conformazione della mano. Questo fatto è stato studiato da André Leroi-Gourhan che ha pubblicato nel 1964 “Le geste et la parole. Technique et Langage”. La mano degli esseri umani possiede duttilità e abilità che non è concessa a nessun altro animale. Il cervello dell’uomo concepisce un’idea che la mano traduce ed esprime creando un oggetto concreto e tangibile. L’oggetto realizzato stimola il cervello e il pensiero di chi osserva spingendolo al desiderio di comprensione. Il venir meno del rapporto creativo mano-cervello, si traduce in sorta di menomazione, la riduzione dell’arte a puro atto mentale. Una sorta di parodia della concettualità propria della filosofia. Non basta sostenere, come alcuni neo-conformisti, che l’opera d’arte è ormai disgiunta dal valore estetico, non si tratta infatti di valore estetico, anche se questo è un punto in cui prevale il procedimento apodìttico. Si tratta semplicemente del fatto che in tal modo l’arte è privata di uno dei suoi aspetti più caratterizzanti: l’intervento manuale. Anche nelle opere riprodotte procedimento seriale, all’origine vi è intervento manuale, la riproduzione è la ripetizione meccanica di un tracciato in precedenza realizzato dalla mano, a meno che si tratti di fotografie. Nei ready made, e nelle mastodontiche opere prodotte in stabilimenti industriali non vi è traccia d’interveto manuale, ed è scarsissima la traccia originale dell’idea dalla quale l’opera nasce. La ricerca del nostro passato sarebbe impresa impossibile se i nostri antenati avessero semplicemente utilizzato le forme rozze di uso quotidiano a livello artistico. Gli artisti dell’antica Grecia, com’è noto, erano considerati nulla più che artigiani, eppure hanno creato sculture di sublime livello, spesso in assoluto anonimato, le loro opere sono l’orgoglio della nostra civiltà e tutt’oggi le ammiriamo. Lo stesso sistema era in vigore nel Medio-Evo., nelle gilde costituite da artisti che hanno costruito, anche in quel caso per lo più in anonimato, i monumenti che costituiscono vanto della cultura dell’occidente. Vale la pena notare che, nella misura in cui l’artista ha assunto rilievo, la sua firma è diventata più importante dell’opera stessa, l’arte è andata declassandosi a merce ordinaria.