Goalkeeper, 1976
Il problema della critica e filosofia dell’arte è innanzi tutto il linguaggio, dovremmo chiederci preliminarmente a quali principi epistemologici si ispirano le singole filosofie dell’arte, se è attuata la distinzione tra logico e psicologico, l’oggettivo e il soggettivo. E’ necessario valutare accuratamente il significato delle parole e la loro coerenza con il contesto enunciato. E’ fondamentale aver sempre presente la distinzione tra concetto e oggetto. Non si raggiunge validità ermeneutica se si sovrappone psicologia all’inferire logico. La storia dell’arte ha una precisa funzione di ricostruire un percorso storico, con marginali incisi ermeneutici. Critica e filosofia dell’arte invece impostano le loro tesi su una sorta di autorefenzialità con la pretesa di descrivere non solo le opere, ma addirittura la struttura psicologica e motivazionale degli artisti. Evidentemente viene dato per scontato che le opere siano incomprensibili, quindi necessitino di un “manuale” con le istruzioni. Ne deriva l’implicita tesi che il linguaggio dell’arte non goda di autonomia espressiva. Chimica, ingegneria, medicina, letteratura, teatro, non sembrano necessitare di un supporto filosofico per la loro comprensione, solo l’arte sembra godere di questo privilegio. Perché indulgere in una pluralità di teorie ermeneutiche? Perché quando analizziamo le possibilità di comprensione di un’opera d’arte ci inoltriamo in una serie di richiami filosofici, non di rado incongruenti, quasi fossimo di fronte a un oggetto misterioso la cui comprensione è possibile a più livelli? Nell’elaborazione testuale perdiamo di vista l’essenziale: che cosa è? Che cosa significa? Vi è una netta distinzione tra l’analisi psicologica e l’ermeneutica dell’oggetto, anche se spesso vengono sovrapposti. Il risultato è confusione semantica, e la non coerenza dei fini, nel senso che non vi è interpretazione, ma attribuzione di significato, che a tutti gli effetti appare arbitrario. Come possiamo condurre un discorso nella logica dell’interpretazione e contemporaneamente attribuirci facoltà di dare significato all’opera? Se vogliamo arrivare a stabilire il senso dell’opera, dobbiamo rinunciare ai paludamenti verbali, arrivare alla sostanzialità semantica. La grammatica delle definizioni deve purgarsi dalle colorazioni emotive e soggettive, queste, se mai ,restano prerogative degli artisti. Va da se che, essendo l’opera d’arte sottratta alle regole logiche, diventa arduo definire errori e distorsioni. E’ in questo vallo epistemologico si incuneano le fantasiose divagazioni ermeneutiche. E’ necessario distinguere tra ragionamento effettivo e corretto dall’espressione del pensiero corrente, perché in tal caso, anche tesi infondate acquistano una parvenza di plausibilità. Le generalizzazioni sono frequentemente adottate proprio dagli ermeneuti che nutrono pretese innovative.
Vi sono molte ragioni che spiegano la frattura tra Islam e Occidente. Anche se la retorica ufficiale insiste sulla distinzione tra islamici moderati e fondamentalisti, non c’è dubbio che su entrambi i fronti la convivenza è difficile. Le ragioni sono, more solito, di pretese egemoniche dell’occidente ed economiche, a cui si aggiungono secoli di sfruttamento e sottomissioni dei popoli del M.O. da parte dell’occidente, in primis dell’impero britannico, dal quale gli Stati Uniti hanno raccolto il testimone. Non c’è dubbio che la stessa esibita volgarità dell’occidente, che fà leva sui sensi, può essere polo di attrazione per le giovani generazioni islamiche,questo spinge verso l’estremismo famiglie tradizionali ed autorità religiose. In questo clima di conflittualità si finisce per dimenticare che, nel campo dell’arte, ma non solo, l’occidente deve molto al mondo arabo. Gli algoritmi che consentono il funzionamento dei computer li dobbiamo agli studi di Muhammad ibn Müsä, sopranominato al-Muhammad , matematico persiano il cui libro di procedure matematiche, scritto nel IX secolo , fu tradotto in latino nell’XI da Adelardo di Bath e Roberto di Chester, i quali ne storpiarono il nome dando vita al neologismo algoritmo che è alla base di buona parte della sviluppo matematico dei secoli successivi. L’arte mussulmana si spinse fino alle frontiere dell’arte romanica, non soltanto nel regno franco di Gerusalemme, ma anche in Spagna, dove aveva determinato direttamente una forma composita, l’arte mozarabica e nella Francia del Sud- Est e del Sud –Ovest, dove la cupola a nervature d’Oloron Sainte-Marie riproduce le cupole di Toledo, dove alcuni portali della Vandea, del la Saintonge e del Poitou sono traforati e filigranati come stucchi di moschea, e molti capitelli accolgono una fauna esotica; si è visto che Notre-Dame di Le Puy è debitrice dell’arte mussulmana. Un ruolo importante ha avuto l’arte islamica anche nella elaborazione della scultura monumentale dell’Occidente che senza dubbio reca in sé molti temi del vasto repertorio del genio dell’antico Oriente, in parallelo con sopravvivenze ellenistiche. Gli arabi avevano la tendenza ad escludere forme di creature viventi, seguendo in questo le indicazioni coraniche. Il gusto orientale del geroglifico che anticipa di secoli, in forma molto più raffinata, la geometria astratta che ha avuto inizio in Europa solo all’inizio del ‘900. Purtroppo, più che la cultura e le raffinatezze artistiche, ha avuto la meglio il pragmatismo materialistico dell’occidente. Le armi hanno avuto il sopravvento sulla ragione.
Kant ha anticipato intuitivamente ciò che è stato realizzato da Hollywood : le immagini come strumento di propaganda. La stessa produzione secondo moduli apparentemente conformi al comune sentire, in realtà contenenti un surrettizio principio di devianza. L’arte è andata oltre. La logica è democratica, essa vale per gli umili come per i potenti. Rimuovere il principio logico è il primo passo verso l’arbitrarietà delle decisioni. “Tutto è arte” va esattamente in questa direzione. L’affermazione è apparentemente democratica, in realtà rimuove la regola e lascia libertà d’arbitrio. Se, come scriveva Kant, ricollegandosi a Haller, l’etica viene meno, allora l’intera società è travolta dal nichilismo. Sade e Mandeville sono celebranti dei vizi borghesi, Hobbes si limita a giustificarli. “Togliete al popolo che volete sottomettere il suo dio, e demoralizzatelo; finchè non adotterà altro dio che voi, non avrà altri costumi che i vostri….Lasciateli pure in compenso la più ampia facoltà di delinquere; e non puniteli mai…”(“Histoire de Juliette” del marchese de Sade) Sembra la descrizione della società di oggi. “Non può esserci altro equilibrio se non quello degli interessi e delle passioni” (Ibid). L’economia mercantile scatenata ha travolto anche l’arte. I progressisti- reazionari hanno capito che la libertà assoluta porta all’anarchia organizzata e strumentalizzabile dal potere. Foschi aedi del progresso reazionario, lo hanno ben compreso. Se la grande filosofia, Leibniz e Hegel, pur nei limiti delle astrazioni, avevano tentato un’istanza di libertà e di verità, l’ideologia borghese ha cancellato ogni slancio. Il pragmatismo odierno non lascia spazio all’arte come forma di conoscenza, depauperandola nel più bieco mercantilismo, con l’avvallo di filosofie dell’arte pregne di nichilismo. Il pensiero che ispira l’arte è ritenuto sensato solo se privato di senso. Preso atto della deriva mercantilistica dell’arte, si dovrebbe avere la coerenza di trarre le conseguenze, adottando le modalità con le quali si procede quando si vuole imporre un brand. Avviare un’indagine conoscitiva sugli artisti per comprendere la caratteristica socio- culturale dei produttori. Scegliere 100 tra i maggiori artisti contemporanei, indagare la loro provenienza geografica, corso di studi, classe sociale di appartenenza, credo religioso o atei, tendenze sessuali, genere, dove e come sono avvenuti gl’inizi dell’attività artistica, quali galleristi e critici li hanno sostenuti, in quale misura questi ultimi condividevano stesse propensioni e tendenze. Da questa indagine, ben più che dalle artificiose e decettive manipolazioni critiche-filosofiche, sarebbe possibile conoscere la reale natura del sistema dell’arte. Basterebbe stabilire in quale misura esiste uniformità o difformità tra i vari soggetti, aiuterebbe a capire se essi seguono il mail stream, ovvero mantengono una loro originalità di pensiero e azione. Va da sè che simile indagine non verrà mai attuata, i pretesti censori non mancano, la politically correct , il rispetto della privacy, l’idea che l’artista vada “giudicato” esclusivamente in base alle opere e non per le propensioni personali. Tuttavia non c’è dubbio che se l’80/90% degli artisti fosse omogenea, solleverebbe più di una perplessità sulla reale libertà della loro libera natura personale e artistica. Non resterebbe che continuare con l’ormai noioso mantra: cos’è l’arte. Si finirebbe per considerare scontata la schizofrenia tra la produzione di cultura e sensibilità, propria dell’opera d’arte, e il pensiero, cultura e originalità del produttore. Troverebbe conferma l’evidenza: l’arte è ridotta a prodotto commerciale.
Sappiamo cosa significa gnosi? Avere coscienza della pluralità dei punti di vista non significa che i livelli di conoscenza si equivalgano. ”Chi sapesse tutto e fosse trasparente a se stesso non avrebbe più niente da conoscere ed esperire, sarebbe morto” . E’ quanto sostiene Stefano Velotti in “Storia filosofica dell’ignoranza” . Quest’affermazione è icastica dimostrazione della psicogorrea di cui è preda la cultura dell’occidente. Intanto è assolutamente impossibile conoscere tutto, se non altro perché l’essenza della conoscenza è il divenire, quindi la conoscenza uscirebbe dal campo della cultura per sconfinare nel campo delle profezia, immaginando ciò che avverrà in futuro. Ma soprattutto il sapere è per lo più circoscritto in ambiti geografici e settori specifici di conoscenza. Non basterebbe una vita per conoscere e comprendere la filosofia cinese. Nel 1956 Mondadori ha pubblicato: “ Storia della filosofia cinese” di Fung Yu-Lan. Da allora leggo periodicamente questo libro e sono consapevole di non avere compreso interamente il pensiero che vi è esposto, troppe differenze nella forma mentale con i dotti cinesi. Può darsi che ciò dipenda dalla mia modesta intelligenza, certo la raffinatezza e profondità delle teorie filosofiche cinesi sono tali da assorbire il pensiero di menti molto più acute della mia. L’occidente è condizionato dal pragmatismo nel rapporto della realtà e linguaggio. Vi è una dispersione in domande retoriche che sembrano più tese ad attivare acquirenti di libri che affrontare davvero questioni importanti. In questo ambito colloco il libro pubblicato dal Mulino “ A cosa serve la verità”, autori Pascal Engel e Richard Rorty. Pilato pose la domanda: “cos’è la verità” , alla quale non è stata data ancora risposta. Il pensiero debole, ovvero il relativismo morale, ha tagliato il nodo della questione, assumendo che non esiste verità. In questa babele di dotta stupidità, spicca la filosofia dell’arte che nel solco del relativismo, crea illusionismi verbali il cui fine sembra essere soprattutto pro mercato. L’elenco di autori oggettivamente decettivi, sarebbe lunghissimo. Artur C. Danto, George Dikie, Tiziana Andina, Federico Vercellone, Nigel Warburton, sono alcuni dei filosofi che, partendo da ottiche diverse, hanno di fatto avvalorato la tesi: siccome l’arte è morta, tutto è possibile. Un modo infelice di parafrasare ciò che Dostoevskij fa dire a Ivan Karamazov: “ Se dio è morto tutto è possibile” . In realtà, come già sosteneva Pasolini, il senso di morte pervade da tempo tutta la società dell’occidente, volgare e materialista. L’arte si adegua essendo gli artisti imbevuti di una cultura che inneggia al mito della libertà di cui in realtà ignoriamo il significato. I media producono a ritmo costante nuovi idoli per incrementare e lucrare sulla dabbenaggine di massa, senza guardare troppo per il sottile. Qualche giorno fa giornali e tv hanno dato grande spazio a una poveretta che si è rifugiata nella scrittura. Amina Sboui autrice di “Il corpo mi appartiene” . Truismo povero come il bagaglio culturale di chi l’ha scritto. Per propagandare il libro l’autrice è apparsa nuda coperta di tatuaggi, la scritta “Fuck” a grandi caratteri sul seno. Questa è oggi la cultura di massa. Ogni commento è superfluo.
Piergiorgio Firinu
Il libro “Dopo la morte dell’arte” di Federico Vercellone, è scritto e argomentato molto bene. Peccato che le sue tesi ricalchino le teorie di Belting, Danto, Dickie, siano contraddittorie, smentite dalla realtà fenomenica dell’arte. Warhol, Oldenburg e gli altri artisti della PopArt, propugnatori dell’arte cosiddetta “vicina alla realtà”, sono diventati rapidamente icone, venerate e costosissime , ospitate nei musei. Esattamente come l’arte che loro contestavano assumendo di produrre “arte democratica” . E’ il destino di tutte le avanguardie il cui fallimento è certificato dalla loro “finta” contrapposizione alla status quo che non è mai modificato, solo sostituito dalle nuove teorizzazioni. E’ risibile il susseguirsi di libri sull’arte contemporanea, per lo più angiografie, testi che ricalcano i Medioevali dibattiti sul sesso degli angeli, in una sorta di metafisica immaginifica e decettiva, a favore del sistema dell’arte, ovvero dei mercanti, specie i mercanti USA dotati di cospicue risorse finanziarie. Trattasi di un “hortus clausus” gestito da una oligarchia finanziaria, di spacciatori d’arte per soddisfare le manie di feticisti del possesso. L’inganno si avvale dell’ assunto “tutto è arte”. Affermazione apparentemente democratica, che però serve a rimuovere i riferimenti di qualità e valore. Mentre prima era possibile una distinzione, avendo come riferimento la qualità dell’opera, oggi la scelta è esclusivamente demandata alla ristretta cerchia di chi domina il cosiddetto mondo dell’arte, ovvero essenzialmente il mercato. Risulta falsa la tesi di Belting, il quale sostiene che:”…qualsiasi cosa stesse all’interno del museo era privilegiato nei confronti di qualsiasi cosa stesse fuori…” Oggi in realtà non è cambiato nulla. Semplicemente nel museo sono entrati Brillo Box, scope, tavole apparecchiate, tubetti di dentifricio usato, prodotti multi seriali e cartellonistici. In breve, l’assoluta banalità si è fatta “arte”. Il Museo era una realtà inaccessibile alla maggioranza degli artisti ieri, esattamente come ai più è inaccessibile oggi. La differenza consiste nel decadimento qualitativo delle opere ospitate nelle sale. Essere collocate nel museo equivale ad una consacrazione, si leggono i curriculum degli artisti, oggi come ieri sono elencati i musei che li ospitano, prodromo all’accesso ad aste milionarie. Si è prodotto un frame eletti stico di basso livello, che seleziona in base a criteri oscuri. Caduta ogni distinzione stilistica e di contenuto, il problema dell’artista non è più produrre opere di qualità, ma riuscire ad accedere alla ristretta cerchia di coloro che hanno il potere d’inserire le sue opere nel circuito commerciale, primo passo per ottenere l’accesso al Museo e quindi l’“incoronazione” di artista di successo. Non è affatto vero che ad essere andata in crisi è la mentalità idealistica e platonica dell’arte. Semplicemente la differenza ontologica dell’oggetto artistico è il background culturale che ha accompagnato la creazione artistica ha perso valore,non è più il riferimento. Accostare a William Morris e la Bauhaus al processo disgregativo dell’arte prodotta da Warhol & C. è vera falsificazione della realtà. Morris produceva oggetti utili e curava meticolosamente il design. Non spacciava tubetti di dentifricio usati e cartelloni pubblicitari come opere d’arte.
Tecnologia e superstizione
Nel periodo tra fine anno e inizio del nuovo sono particolarmente attivi aruspici, indovini e maghi. La nostra era tecnologica non ha eliminato la superstizione, presente in ogni civiltà fin dalla notte dei tempi. Babilonia fu la città in cui più ebbe sviluppo l’astronomia, di qui derivò la lettura delle stelle per oroscopi e divinazioni. Dione Cassio c’informa che Settimio Severo aveva fatto dipingere le stelle nelle volte delle camere del palazzo in cui amministrava la giustizia, fatta eccezione della parte del cielo in cui era possibile ricavare il suo oroscopo. Il Codice teodosiano proibiva magia e divinazioni, punite con pene severissime, fino alla pena di morte come per l’omosessualità e l’adulterio. Bastò l’accusa mossa ad Aristofane, di aver introdotto presso Parnasio, governatore d’Egitto, un indovino, per farlo sottoporre a tortura e correre il rischio di subire la pena di morte. Per inciso erano puniti severissimamente coloro che urinavano sulla statue, la pena poteva arrivare alla morte se la statua raffigurava l’imperatore. Apuleio, accusato di pratiche magiche, fu accusato di veneficium. Erano particolarmente perseguiti gli oroscopi che riguardavano l’imperatore. Ammiano Marcellino racconta la vicenda di Assiria, moglie di Barbazione che scrisse una lettera cifrata al marito, comandante di fanteria (pedestris militiae) dopo aver consultato un esperto di oroscopi. Nella lettera informava il marito che l’imperatore, Costanzo II, sarebbe morto ed egli sarebbe diventato il nuovo imperatore. Denunciata dalla serva, fu giustiziata e il marito con lei. A causa di una stupida donna fu provocata una tragedia. I romani giustificavano la persecuzione dei maghi accusandoli di voler conoscere ciò che non è lecito all’uomo conoscere. Al contrario dei greci che sostenevano che il dio Apollo proteggesse gli indovini. Anche Platone sosteneva che la divinazione era un facoltà concessa ad alcuni uomini dagli dei. Porfirio, nel III secolo d.C., era sulla stessa linea di pensiero per sostenerla scrisse “Filosofia degli oracoli” . Giamblico ebbe invece un atteggiamento critico, non solo contro la divinazione, ma anche contro la scienza. Vi era dunque disparità di opinioni, la caccia alle streghe non fu una scoperta dell’Inquisizione della Chiesa Cattolica, come vorrebbero far credere alcuni studiosi. Le streghe di Apuleio commettono maleficium, ovvero azioni magiche e cattive. Esse sono temute. Per benevolenza avverte Lucio, l’eroe della Metamorfosi, che la sua ospite è una maga famosa: se ne guardi bene! Apuleio parte per la Tessaglia alla ricerca di ricette magiche, per questo verrà punito. Anche l’Antico testamento interdice le pratiche divinatorie e magiche: “ non abbiate commercio con gli incantatori e non contaminatevi a causa loro” (Levitico 19.31) Nel Deuteronomio (18.10.12) “…Chiunque pratica queste cose è abominevole davanti a Jahvè…”. Ancora Origene ritiene inaccettabili gli argomenti avanzati dal pagano Celso. Ci sarebbe ancora molto da scrivere sull’argomento, questo breve cenno è solo indicativo di come, parafando Chamfort, gli esseri umani incapaci di vincere vizi e debolezze, hanno scelto di cancellarne nome e significato, in modo da poter fingere allegria anche nelle pratiche più sciocche.
piergiorgio Firinu
La filosofia può essere vista come una barriera che ci separa dall’abisso disorientante dell’inconsapevolezza. L’ansia di spiegare il mondo cade in mille contraddizioni e finisce per ridursi ad adattarlo ai nostri bisogni, se non ai nostri vizi. Le teorie di genere utilizzate per riscrivere la storia sono un esempio emblematico. Già Voltaire sosteneva che la filosofia è inutile, anche se a tratti se ne serviva. L’umanità non sa, non può, gestire consapevolezza, infelicità e virtù, chiama questa impotenza libertà, e se ne compiace. Arriva all’estremo con Sade, che trasforma la perversione in filosofia, capovolge le tesi di Cartesio e trasforma dio in un essere profondamente maligno. Adorno e Horkheimer collocano Sade in una posizione cruciale nella storia della filosofia, la dialettica dell’illuminismo si arena di fronte all’impossibilità, se non di eliminare, quanto meno ridurre il male del mondo. Come accadeva tre secoli fà in Europa durante la guerra dei 7 anni, gli Usa oggi celebrano i loro massacri. E’ ormai radicato lo scetticismo sulla capacità umana di migliorare se stessa. Le strade del progresso sono ingorgate da cadaveri prodotti dalla tecnologia applicata alle guerre. Nelle fenomenologia dello spirito Hegel descrive lo sviluppo della coscienza umana come un processo naturale, la storia ha dimostrato che aveva torto. Arte e cultura testimoniano il regresso, conseguenza dell’incapacità di gestire la libertà. Oggi nessuno saprebbe scrivere un Bildungroman, il modo in cui la saggezza popolare strutturava l’esperienza, attraverso una serie di prove con cui tentava di sondare la verità del mondo. Anche gli adolescenti oggi sono immersi nel pieno della realtà senza avere gli strumenti per comprenderla. Un tempo precedeva il passaggio la depurazione dalle scorie a cui provvedeva la famiglia che funzionava come filtro. Come può educare una generazione che non ha saputo educare se stessa. L’abolizione della schiavitù è solo apparente, ha mutato segno. Le notti delle città sono popolate da zombi che credono di esercitare la propria facoltà di essere liberi. Abbiamo disatteso il suggerimento di Seneca: la libertà comincia da noi stessi. In questo fertile humus crescono abbondanti i funghi della perversione. Adolescenti che si prostituiscono, pedofili che non hanno difficoltà a trovare le prede. Anche la tortura è tutt’ora presente, non solo nei paesi in guerra. Guantanamo e il carcere Abu Ghraib sono stati gestiti da un paese il cui presidente in carica ha ricevuto il Nobel per la pace. E’ dagli USA che si diffondono teorie di genere che hanno esasperato il confitto e hanno dato il colpo di grazia a quello che restava della famiglia. Nel “Capitale” Marx, non cita differenze di genere. Egli può non essere considerato un filosofo morale, in quanto non affronta in modo teorico il tema. Tuttavia nel primo libro del Capitale, cita fatti, luoghi, situazioni, dati, da cui emerge che a morire sull’altare del progresso le donne sono minoranza, tutte dei ceti proletari. Molti di più gli uomini e i bambini. Questi ultimi mandati in fabbrica dalle madri costrette dal bisogno. Il problema quindi, oggi come ieri, è la distinzione di classe, non di genere. C’è da supporre che chi elabora teorie di genere scelga con cura i testi per non avere distrazioni ideologiche. Gran parte della filosofia, soprattutto a partire dall’inizio del 19° secolo, è impegnata nel tentativo di rendere coerente una visione d’insieme del mondo e della collocazione dell’uomo. Tentativo fallito. Saint-Simon e Fourier sognarono un mondo di armonia e felicità. La storia scelse un’altra strada. La filosofia, rifiuta di prendere atto della propria impotenza, sceglie di frammentarsi . Quasi ogni filosofo immagina un evento da cui la sua disciplina ha avuto origine. Spurio tentativo di giustificare la ripetizione del già detto. Nel l’ermeneutica dell’arte la filosofia non sembra non avere altro scopo che inquinarla con paralogismi e truismi. Certe forme involute d’arte non avrebbero avuto lo sviluppo che hanno avuto senza il supporto di fanfaluche filosofiche che si perdono nel tentativo di spiegare gli effetti senza preoccuparsi di risalire alla cause. Alimentiamo le illusioni per paura della verità. La nostra società, purtroppo, riflette l’arte. Siamo ridotti a tale livello di artificiosità che anche i sogni sono artificiali, prodotti industriali forniti dalla chimica e dalla tecnologia.
Di questo passo il dibattito sull’arte si svolgerà negli obitori. I filosofi dell’arte, prendendo lo spunto da Hegel, dibattono sulla morte dell’arte. Gli artisti, quelli che sono in grado di condurre un dibattito con qualche costrutto, dichiarano la morte della filosofia. Di certo siamo a buon livello di paranoia che si manifesta in verbose insensatezze. Joseph Kosuth nel 1989 scrisse “L’arte dopo la filosofia. Significato dell’arte concettuale” . Nel libro delinea icasticamente la situazione come è vista da lui. Dal mio punto di vista, la pretesa dell’arte di dare “forma” alla filosofia approda ad un completo fallimento, sul piano epistemologico e ontologico. Premesso che l’impegno prevalente degli artisti sembra essere la provocazione, attuata in forme diverse. Il modo più grossolano avviene attraverso immagini shook , laidi espedienti, come, rane crocifisse, letti sfatti, vagine partorienti, simulazione di fellatio, sesso per denaro come opera d’arte e via imbruttendo. Questo tipo di provocazione è appannaggio soprattutto femminile, per ovvie ragioni che sfruttano le consuetudini reazionarie, seguono il mainstream. Altro modo di provocare, più intellettualistico, consiste nel formulare teorie sottili e convincenti in modo diaappagare la propensione ai luoghi comuni sotto specie progressista. La sfida ad Hegel consiste semplicemente nel scegliere il bersaglio. Come i fantocci colpiti dalle lance nei tornei cavallereschi medioevali, certo non in grado di rispondere, consentivano ai cavalieri (filosofi) di esibire la loro abilità senza rischi. Qual è il senso di richiamarsi al “ruolo pubblico” dell’arte? L’arte, diciamolo con chiarezza, non ha mai avuto un ruolo pubblico,è sempre stata appannaggio di una minoranza, forse non la più informata, di sicuro benestante. Fanno eccezioni le immagini sacre nelle chiese. Le code agli ingressi dei musei, sono frutto di pubblicità e marketing. Lo si è visto con l’esposizione della “Ragazza con turbante, più nota come “La ragazza con l’orecchino” del pittore fiammingo Jan Vermeer. Kosuth definisce i filosofi contemporanei poco più che storici della filosofia, una sorta di Bibliotecari della Verità” . Tutto vero. Almeno riconosce ai filosofi un ruolo, mentre gli artisti si trovano estraniati da aporie ancipiti, né filosofi né artisti, solo produttori di oggetti e parole. Gli artisti che si considerano concettuali, trascurano un dettaglio, il concetto, ancor che difficilmente antologizzabile, presuppone una struttura lessicale logica che lo supporti. La logica contemporanea è frammentata in dettagli che ne diluiscono il senso. Kosuth approfitta della situazione d’ignoranza dei filistei, conduce un gioco in cui le parole si disperdono nel non senso. Operazione che finisce per essere controproducente, a meno che ci si accontenti dell’illusionismo delle parole fine a se stesse. In base all’empiria la forma deriva il significato dalla funzione. L’arte fa eccezione, estranea com’è ad ogni funzionalità. Da tempo ha rinunciato alla mimesi, non offre alcuna testimonianza storica. Eliminato l’aspetto morfologico connesso all’estetica, l’arte si riduce a valore oggettuale nel valutare il quale i procedimenti ermeneutici si equivalgono, sicuramente non sono di competenza del produttore. L’inutilità dell’arte è quindi un fatto certo. A renderla discutibile, spesso gradevole, si aggiungono i fantasiosi neologismi concettuali che tentano di darle valore, essendo spesso impossibile attribuirle significato.
piergiorgio firinu
L’invenzione dell’anima.
Platone, considerato erga omnes, il filosofo per eccellenza della ragione, poiché, per primo, l’ha stabilita al primo posto e ha insistito sulla funzione direttiva, è forse colui che nell’antichità ha parlato più diffusamente e con più sagacia dell’irragionevolezza e follia della umana spece. L’antica riflessione sull’universo mondo, parte dai quattro elementi primordiali: fuoco, acqua, aria, terra. L’anima è forse un’invenzione umana allo scopo di distinguere la nostra dalle altre speci animali. Platone parla dell’ardore dell’anima in vista dell’acquisizione della conoscenza. Talete scrisse: “per quanto cammini non raggiungerai mai i confine della tua anima”. E’ noto che Talete era criptico nelle sue enunciazioni. Platone è apparentemente più lineare e semplice. Egli parla dell’irragionevolezza ( anoia) che appare come la malattia fondamentale dell’anima, poiché privato della ragione, l’uomo piomba nell’ignoranza (amathia) che precede la follia (mania). La prima è la follia mantica (mantikà) che è un dono di Apollo. Per meglio chiarire il suo discorso Platone cita la profetessa di Delfi e la sacerdotesse Dodona e la Sibilla. L’altra forma della follia è telestica , dono di Dionisio. Solo la poesia, secondo Platone, ha il potere di sollevarci dall’angoscia che l’ignoranza produce in noi. Platone s’inserisce nella tradizione culturale e storica della antica Grecia. L’opinione giusta (orthé doxa), non è prodotta dalla scienza, non comporta dimostrazione e si rivela modificabile mediante la persuasione. Qui Platone apre la strada ai sofisti che pure condanna. Poiché non sono guidate dalla ragione, talune opinioni dell’uomo risultano fallaci e restano nell’ambito del possibile che si adatta al presente. Nel Fedro, Platone espone una classificazione dinamica che affronta e supera le apparenze e si colloca nel mito. Platone afferma e”è filosofo colui che ama il sapere e ama il bello” Questa affermazione si discosta dal modello della città che Platone espone nella Repubblica in cui trattava dell’unione indissolubile di filosofi e re, per poi dissociarli nel Fedro. Tale apparente contraddizione deriva dalla tolleranza per le funzioni effettive che entrambe le figure esercitano. Su un punto Platone non cambia versione, è nel considerare il sofista la controparte del filosofo, l’artista, produttore di forme, un demiurgo, cioè un artigiano sullo stesso piano di falegnami, agricoltori, fabbri. L’artista infatti non si serve della ragione per produrre le sue opere, ma delle mani. La mancanza di ragione, oggi diremmo di razionalità, presenta due aspetti: ignoranza e follia. La funzione dell’artista è comunque importante poiché, non essendo l’intelletto di tutti atto a comprendere l’intelligibile, limitandosi al sensibile, compito dell’artista è di contribuire alla comprensione dando forma al sensibile. Qui si ampia il discorso antropologico. Per Platone solo la ragione può contribuire all’ispirazione (epipnoia) . Tuttavia la ragione, nel tramutarsi in forma/materia, rischia di cadere nella soggettività, di sottrarsi alla eudoxia, entra in gioco il supporto dei sofisti, perchè tali devono essere considerati i filosofi dell’arte che creano idola fori, teorizzando per fini pratici e per un lucro diretto e indiretto. Molti di essi creano miti effimeri e deteriori, abbandonano la filosofia per la critica d’arte, pagati un tanto a scritto. Platone, è stata profetico. I sofisti di oggi sono filosofi e critici dell’arte che monetizzano il loro sapere in modo non certo adamantino.
Il principio della scienza è totale estraneità da sè, concentrazione sul dettaglio. In una parola: riduttività. Ogni scienza si occupa di un particolare settore, un frammento della realtà. Cosa significa l’affermazione di Derrick de Kerckhove: i bambini imparano senza leggere. Imparano cosa? I contenuti reperibili sui motori di ricerca sono parte di una cultura precedente acquisita sui libri. Sono stati messi in rete da coloro che hanno studiato con metodi tradizionali. Non c’è altro modo di apprendere se non attraverso la lettura e lo studio. Sapere non è ancora capire. Il nozionismo aborrito dal ’68, è ora in auge tramite il web. Motori di ricerca ed enciclopedie del web, forniscono dati succinti. La storia è ignorata. La cultura contemporanea inventa neologismi privi di senso. Considerare la scoperta del tatto attraverso la tecnologia touch screen, è una stupidaggine madornale, quasi quanto l’affermazione che siamo nell’epoca della post scrittura. Forse siamo nell’epoca della post intelligenza umana a cui tenta di supplire la tecnica. E’ un’ illusione. La nuova narrativa è per lo più espressione di sesso, crimine e noia. Anche gli esordienti sembrano assorti nel descrivere esperienze negative, conseguenza di un vuoto interiore che è prodotto, oltre che dalla precocità di esperienze di ogni genere, quasi tutte negative, anche dalla dispersione mentale facilitata dalla tecnologia. Rimpiangere, disprezzare, decidere,credere, pregare, imparare, riflettere, valutare, far di conto, ricordare, amare, odiare, gioire, essere tristi, ottimisti, pessimisti, incerti, convinti, fiduciosi, tutte queste, e moltissime altre reazioni richiedono l’attivazione di stimoli, di valutazioni specifiche. Per questo il grande neurologo Gerard Edelman, sosteneva che noi viviamo in un presente ricordato, nel momento in cui ne diventiamo consapevoli è già trascorso. Immaginare i giovani annoiati, appare un ossimoro. E invece è realtà. Forse semplicemente non ci sono più giovani, ma individui con pochi anni. Neppure ai bambini è consentito di essere umani. Sfruttati dai media, in primis la tv di Stato alla quale paghiamo lo scotto di essere idiota. La breve esperienza dei bambini mette a rischio, oltre alla loro incolumità, anche nei confronti delle madri, la loro salute mentale. Le prime scorie che un tempo la famiglia filtrava,ora li compiscono direttamente. La famiglia non c’è più. Ho fatto un tentativo il cui esito è significativo. Inserendo su motori di ricerca la citazione di uno dei cardini della filosofia di Bergson: “Elan vital”, appaiono una quantità di link relativi a palestre e centri di massaggi. Questo è il mondo che la tecnologia ha in larga parte contribuito a creare.