Goalkeeper, 1976
La pittura è un tentativo di ottenere la fisionomia delle cose e dei volti attraverso la restituzione integrale della loro configurazione sensibile, è ciò che la natura fa senza sforzo in ogni momento. Ecco perché i paesaggi di Cézanne sono quelli di un mondo in cui non c’erano ancora uomini, egli sosteneva che il paesaggio dipinto deve emanare un profumo.
Percepiamo con il corpo, i sensi, la parola invece nasce dal pensiero e non ha forma. Ogni percezione è la materia che prende forma, il reale si distingue dalle nostre finzioni perché in esso il senso investe e penetra profondamente la materia attuando l’affermazione di di Hegel secondo cui il reale è razionale.
Quando l’artista sostituisce la parola alla forma, in pratica rinuncia all’arte plastica per richiamarsi al pensiero che è materia della filosofia.
Ma la filosofia è l’elaborazione del pensiero per arrivare al concetto,cioè alla sintesi, le poche parole che costituiscono l’opera non sono sintesi di nulla perché non precedute dalla elaborazione teorica, assumono quindi più che altro le caratteristiche di slogan.
Le opere di Isgrò,Ben Vautier,Chiari, per citare alcuni artisti che operano in questo modo, usano le parole come metafora, con richiami a significati che però non sono visibili nell’opera, dunque non hanno valenza estetica ma solo concettuale.
Al contrario, la fenomenologia dell’Arte è il percorso attraverso il quale avviene l’elaborazione della forma. Plinio il vecchio narra che la pittura ha avuto inizio quando un pastore ricalcò la sua ombra e la colorò.
L’arte non può essere solo immaginazione, ma è gnosi. Plutarco ha tramandato un frammento di Eraclito che potrebbe valere come motto dell’illuminismo: “Eraclito dice che unico e comune è il mondo per coloro che son desti, mentre nel sonno ciascuno si rinchiude in un mondo suo proprio e particolare”. Quali sono le regole e le leggi del mondo comune, del mondo della natura delle azioni umane così come si manifestano? Il mondo comune è quello della ragione, dunque della conoscenza.
Kant cita il motto di Eraclito nei sogni di un visionario chiariti con sogni della metafisica del 1776, nella fase in cui si vede risvegliato, grazie allo scettico Hume, dal sonno dogmatico e dai sogni della metafisica. Deve il filoso rassegnarsi e dire alla fine con Voltaire: “Fateci attendere alla nostra sorte , lasciateci andare in giardino a lavorare”. Significa cioè ritornare al significato originario del sostantivo Arte che implica fare.
Nel 1830 Algeri era diventata francese. Due anni più tardi Delacroix era in Marocco al seguito di una legazione francese. Nei disegni che ritraevano le sconfinate sabbie gialle del deserto e gli arabi nei loro burns bianchi sventolanti mentre cavalcavano nel bruciante calore, l’artista fissò una vivace libertà ricca di colore, sacrificandola nel quadro: come illustratore della conquista coloniale favoriva inconsapevolmente la riduzione della libertà degli algerini. Infatti la libertà naturale per gli algerini non era se non impulso, passione, erotismo, gelosia, non privo di una certa dose di violenza e crudeltà. Per Delacroix, e per i suoi scialbi epigoni, tigri e stalloni arabi rappresentavano nulla più che soggetti, involucri della libertà, nella stessa misura in cui lo erano i cavalieri marocchini con i loro lunghi moschetti d’argento.Sotto la pienezza dei colori africani il pittore subì una sorta di richiamo all’antichità, ai mitici tempi omerici, le stesse antichità religiosamente custodite nelle sale dell’Accademia di Parigi. Un amico del comandante del porto di Algeri, che era riuscito ad esaudire il vivissimo desiderio di Delacroix di visitare un harem, racconta che alla vista delle floride ospiti ammantate di seta l’impulsivo artista non cessava di esclamare: “ C’est beau! C’est comme au temp d’Homere ! L’antichità che l’artista scorge in quel luogo, non è quella fredda, cristallizzata, classica, ma piuttosto quella concreta della vita orientale nel suo abituale scorrere. La stessa antichità africana che gli svelava i corpi possenti delle tigri e il focoso temperamento selvaggio dei cavalli arabi da combattimento, come racconterà il suo biografo Silvestre. Erotismo della natura primitiva, intensità degli impulsi, “férocité e verve” : ecco le categorie che affascinavano il pittore il quale scriveva in una lettera a un amico, nelle vie di Algeri puoi vedere sfrecciare l’incarnazione del sublime e la realtà tangibile di questa visione è in grado di ucciderti. Strettamente connessi l’un all’altro, il sentimento romantico per l’Africa e l’occupazione politica. Delacroix rimane comunque uno dei precursori di quella grande migrazione di pittori, scrittori, intellettuali che furono attratti del fascino dell’Africa. L’entusiasmo lastricò le città dell’Africa di cattive intenzioni. Non solo l’arte fu in molti casi una coloritura romantica al bieco colonialismo, ma rappresentava un paradosso: artisti e scrittori che dovrebbero essere orgoglioso supporto alla civiltà che avevano contribuito a creare, freno per gli eccessi dell’ansia di conquista e sottomissioni di popoli africani, e non solo. Invece fuggirono dall’Europa, spinti dalla confusa ricerca dell’esotico, del “primitivo”, senza rendersi conto che dietro al folklore vi era un modo diverso di concepire l’esistenza, una civiltà nata dall’antica saggezza. I popoli africani tentarono, per quanto fu loro possibile, di sottrarsi al destino di essere fagocitati dall’occidente.
Percezione e intuizione sono attitudini importanti per l’artista perché gli consentono di avere contatto con la realtà che elabora e forma. E’ però necessario che queste attitudini siano integrate da acquisizione epistemologiche che gli consentano la pratica realizzazione dell’opera.
In questo ambito,la filosofia non offre soluzioni,da però un contributo alla riflessioni e consente, l’attribuzione di un razionale significato.
Nel suo progredire la riflessione rimuove se stessa, nel rinnovarsi riscopre una soggettività vulnerabile destinata a modificarsi nel tempo con l’esperienza e il pensiero.
L’arte, nella sua illusione ingenua di creare, supera l’evidenza apodittica di qua dell’essere del tempo ma questa ingenuità, o se si preferisce riflessione incompleta, si perde nella coscienza formale dell’oggetto che crea.
La coscienza del proprio cominciamento appare autentica creazione,un mutamento di struttura della coscienza di cui le opere sono il frutto. Ciò significa che non è possibile assimilare le percezione alla sintesi. Il campo percettivo è riempito di riflessi, scricchiolii, fugaci in impressioni tattili che non sempre l’artista è in grado di connettere in modo preciso al contesto percepito, quindi si perdono immediatamente in confuse farneticazioni.
L’artista sogna delle cose, immagina oggetti o persone la cui presenza non è necessariamente incompatibile con il contesto,anche se non si mescolano al mondo perché sono oltre il mondo, si muovono in un teatro dell’immaginario.
La pereidolia rappresenta il sintomo, quasi istintivo,del bisogno di ricercare il senso in ogni forma visibile, anche se la percezione autentica si esplicita nel distinguere a poco a poco dai fantasmi della immaginazione, e, attraverso un travaglio critico, dare ad essi un significato che li giustifichi..
Se fosse fondata solo sulla coerenza intrinseca della rappresentazione la realtà della percezione dovrebbe essere sempre esistente, affidata a congetture improbabili. In ogni momento, si dovrebbe poter disfare di sintesi illusorie e realtà immaginate per integrarle al presente.
I fenomeni della percezione non sempre si traducono nella evidenza formale. L’artista attua una sorta di selezione e annette i fenomeni più sorprendenti, mentre respinge altri aspetti della immaginazione, anche se più verosimili, anzi proprio perché più verosimili.
La percezione non è che una possibilità di approccio al reale, non è nemmeno un atto, ma una presa di posizione dalla quale scaturisce l’intuizione, uno sfondo sul quale si attuano gli atti. Da questi presupposti prende forma la soggettività della creazione. Tema sul quale ritorneremo.
La dimensione ontologica dell’arte è stata definita in vari modi ed esaminata nell’ambito di una conoscenza storica ed epistemologica fino all’avvento delle cosiddette avanguardie che hanno non modificato, ma eliminato ogni approccio di carattere culturale in omaggio ad aspetti di estemporaneità sociale e di mercato..
La matrice primitiva della conoscenza in cui la realtà del mondo esterno è già stata qualificata da termini di un dominio secondo una legge che regola o forma in ordine di successione che ignora la natura della visione nell’ottica della conoscenza scientifica propriamente detta. Questo approccio intuitivo viene detta : creatività.
L’artista costruisce e da la forma alla materia attraverso la sensibilità. Così facendo persegue inconsciamente un costante coefficiente di deformazione della realtà percepita soggettivamente senza preoccupazioni di un rispecchiamento che corrisponda alla natura delle cose.
Attuando questa deformazione, imposta da questo specchio imperfetto,l’immaginazione umana segue uno schema di percezione in termini di pura apparenza, restando nell’ambito della soggettività.
L’artista opera nello spazio e sulla materia utilizzando una epistemologia di tutt’altra natura di quella utilizzata dalla scienza.
Non si pone infatti il problema dello spazio nella stessa ottica posta, a esempio, dal francescano Roberto Grossatesta il quale nel suo testo “ Metafisica della luce”.aveva teorizzato un concetto di spazio il cui dettaglio concettualizzato apriva ampi spiragli di conoscenza scientifica, immaginando una estensione fittizia, priva di materia, supponendo potesse essere una fonte di energia. Tale ipotesi era stata approfondita da Hobbes, mentre Giordano Bruno avanzava un diverso schema di spazio,vuoto e infinito. Non è questa le sede per approfondire tale materia. La citazione serve a chiarire che la filosofia orienta alla conoscenza delle cose le cui proprietà possono essere acquisite a partire dalla percezione sensoriale, sottoposte ad articolazione analitica. Ecco perché Gassendi e Marsenne ipotizzarono l’impossibilità dell’uomo di comprendere la causa prima delle cose. Essi sostennero che siamo in grado di conoscere la struttura dei fenomeni, ma quasi mai la ragione per cui avvengono. Sappiamo, a esempio, che solo il 5% della materia dell’universo ci è nota, il resto è costituito da buchi neri, ma non conosciamo la ragione del loro formarsi.
L’arte non pone problemi di conoscenza, limita la propria sfera all’apparenza delle cose. Uno dei tanti truismi che costellano la storia dell’arte afferma: l’arte inizia dove la scienza si arresta. Questa affermazione conferma che l’arte rappresenta la più enfatica esaltazione antropocentrica, e porta a valorizzare oltre misura tutto quanto attiene agli esserti umani,secondo un propter quid la cui origine è la religione.
Non c’è dubbio che l’apporto gnoseologico dell’arte è modesto. Delle due forme del sapere, intuitivo e analitico, l’arte segue il primo. Forse dovremmo dire seguiva, in quanto l’arte contemporanea ha percorsi affidati alla estemporaneità mondana, realizza opere nelle quali si i limita all’apparenza senza preoccupazioni di significato.
Per Platone la filosofia è conoscenza di oggetti che sfuggono ai sensi,per Kant e conoscenza razionale per concetti puri, in questa prospettiva sembrerebbe senza senso consegnare riflessioni filosofiche a un’immagine. Questo scettico luogo comune suggerisce un’ermeneutica delle opere solo attraverso l’intuizione, lasciando da parte teorie, concetti, richiami filosofici. In realtà sappiamo che nei pittori del rinascimento, ad esempio nella Scuola di Atene di Raffaello, ai Tre filosofi di Giorgione, fino a Rubens, Goya, De Chirico, Magritte si sviluppa un originale percorso euristico attraverso le immagini.
Il tema, considerato sotto l’aspetto iletico contemporaneo suscita la domanda: ha ancora senso attribuire all’arte un contenuto o richiamo filosofico, vale a dire valenza universale?
Di certo molta acqua è passata nei fiumi del mondo da quando Occam proponeva che dall’incontro della logica con l’epistemologia, si deducesse la possibilità di dare un significato concettuale al segno, e alla narrazione linguistica volta a indagare il significato delle cose percepite sensibilmente, una sorte di cenegesi culturale con cui arricchire la forma. La percezione sensibile è punto di partenza, che non può considerarsi l’approdo gnoseologico relativo alla lettura di un opera d’arte.
La tradizione aristotelica e scolastica avevano accordato uno statuto sostanzialistico alla impostazione astratta e tutti gli schemi di generalità in funzione dei poteri di simbolizzazione della mente umana. L’arte rientra in questo ambito espressivo, perché riconducibile al potere di simbolizzazione, capacità propria della mente umana esercitata nella indagine logica.
Anche Zabarella, filosofo della Università di Padova effettuò studi per indagare la natura del significato ontologico dell’arte, prendendo in esame le tecniche e le procedure nelle arti avendo per oggetto i grandi pittori veneti ed emiliani della sua epoca. Frequenti i richiami a Hobbes e ad approfondimenti sul concetto di verità e falsità attraverso l’inferenza circa la proprietà non delle cose,ma del pensiero logico espresso attraverso le immagini.
Quando Danto archivia la metafisica, che presumibilmente non conosce, come inutile vecchiume, di fatto butta via, insieme al bambino, anche l’acqua e la bacinella che contiene entrambi, azzera cioè, non un bagaglio di conoscenze, ma un metodo mediante il quale si attua il percorso che indaga l’ontologia dell’arte.
I filosofi del tardo Medioevo, Occam, Hobbes, Zabarella, Grossatesta, affrontarono la questione se l’approccio al sapere dovesse privilegiare la sensibilità o la logica. Detto in altri termini, se dovesse prevalere il metodo naturale o l’artifizio logico costruito dall’uomo del quale si serve anche la scienza per indagare la natura delle cose. Oggi sembra prevalere l’opzione sensibile, cioè emotiva, che trascura il bagaglio di sapere a vantaggio della percezione immediata.
Nicola Cusano nel 1463 scrisse De ludo Globi, un testo di carattere pedagogico educativo in cui vengono affrontati i temi del gioco e di ciò che costituisce una sorta di temperante evasione del pensiero.
L’arte delle origini aveva anche questa funzione, nel senso di rappresentare la realtà nei suoi aspetti positivi e gioiosi, senza pretese universalistiche. Nella misura in cui si è preteso di attribuire all’arte significati escatologici, la natura essenziale dell’arte è mutata.
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Il personaggio diventato noto quale simbolo di generosità verso gli artisti Gaio Cilnio Mecenate, fu soprattutto generoso verso il letterati come Orazio e Virginio, aveva meno interesse nei confronti di pittori e scultori, questo perché pittura e scultura erano considerate attività artigianali senza particolare valore culturale.
La scrittura invece aveva capacità di creare personaggi e mondi nei quali il pensiero si perdeva in fantasie e si arricchiva di conoscenza.
Quando Goethe, nel 1808 creò Faust, eroe borghese, narrò la favola dell’alleanza tra il dotto avido di piaceri e il demone disposto a concederglieli. Ebbe grande successo nella società dell’epoca, perché metteva in risalto la corruzione che allora era sicuramente inferiore a quella della società contemporanea.
La massa di cariatidi che reggono Il Portico del capitalismo, convinti di fruire di piena libertà nel momento in cui, il sistema del consumo compulsivo, ha aggiunto nel registro dei diritti, la trasgressione.
L’assioma di Nietzsche secondo cui le culture evolute si basano sulla schiavitù si esprime oggi attraverso una serie di condizionamenti imposti dalla civiltà che crea sempre nuovi bisogni e forme di dipendenza.
Le suggestioni di una cultura deviante, si esprimono attraverso una simbologia che ha valore d’uso psichico, e crea la realtà alienata descritta da Bloch.
L’Occidente, nella prospettiva di universi culturali diversi, di religioni e civiltà con diverse simbologie, è visto come l’impero della pornografia e parodia di un potere femminile che si limita ad annullare gradatamente le regole di civile convivenza che egli stesso si è date, a favore di un solipsismo che si traduce in darwinismo sociale.
Quando una civiltà è immersa in stati crepuscolari per il dissolversi del futuro, le masse si abbandonano alla corrente in una condizione di trance della normalità. Anche gli artisti, la cui creatività s’inaridisce, si affidano alla reiterazione della provocazione, riducendo l’opera d’arte a frammento privo di significato.
Richard Buckminster Fuller nel 1969 pubblicò il libro: “Operatting Manual for Spaceship Earth”, nel quale esprimeva all’idea che il pianeta terra non sarebbe molto più di una capsula all’interno della quale noi esseri umani dobbiamo sopravvivere.
La teoria di Fuller sembra aver costituito una delle fonti d’ispirazione dell’artista danese Olafur Eliasson, l’artista degli oggetti, le cui numerose installazioni e montages offrono la più lucida interpretazione del concetto di rivolgimento ambientale che si possa riscontrare nella produzione di arte contemporanea.
Soprattutto con la mostra “Surroundings surrounded”, realizzata in collaborazione con Peter Weibel nel 2001,.Eliasson si è candidato ad essere il primo artista di bordo di un isola assoluta in corso di costruzione. Nel titolo della mostra emerge in modo inequivocabile la svolta costruttivista; gli ambienti naturali mostrati dall’artista, interpretati grazie alla scienza e alla tecnica, non ci si trova di fronte a totalità eco-romantiche, ma a impianti di natura, spazi espositivi in laboratorio, vediamo imitazioni, pròtesi, esperimenti le cui presentazioni mettono sempre più luce allo stesso tempo la struttura naturale e l’effetto innaturale, in un all’ottica tecnico-scientifica.
Eliasson realizza anche la cascata artificiale,nel frattempo divenuta famosa, per lo straordinario frastuono. Dal punto di vista artistico,scientifico e tecnico, viene sfruttato anche l’effetto cornice della situazione museale. Qui la natura si rapporta al museo come il mondo della vita lo fa con il vuoto.
Resta la domanda di fondo: è arte tutto questo? O semplicemente la costruzione intelligente di effetti resi possibili dalla tecnologia, usata da un abile specialista in scenografia ed effetti speciali?
Per i critici sembra attuarsi in modo parossistico la nota frase di Ludwig Wittgenstein: “va bene così”.
Siamo oltre la profetica affermazione di Lissitzky secondo il quale il costruttivismo rappresentava il punto di passaggio dalla pittura alla architettura. Le costruzioni di Eliasson sono infatti costruzioni architettoniche in chiave tecnologica.
Assistiamo all’attuazione di una sorta di nemesi relativa al tendenza avviata dalle avanguardie del secolo scorso dell’uso del ready-made e del tutto è arte. Forse i teorici di simile teorie non avevano immaginato, previsto, che sarebbe stata la tecnica a sostituire il ready-made, in un capovolgimento di senso che non modifica però la questione di fondo: se tutto è arte si può fare arte con tutto
Questo conferma lo stato prefigurato da Elias Canetti di una “società in cui l’ogni uomo viene raffigurato che prega dinnanzi alla tecnica che lo condiziona.
La storia dell’arte non sempre narra i fatti che portarono alla realizzazione di un’opera,anche se in alcuni casi sono molto significativi.
Marcel Duchamp trascorse le feste di Natale del 1919 dalla sua famiglia a Rouen. La sera del 27 dicembre contava di imbarcarsi a Le Havre a bordo del piroscafo La Touraine per raggiungere New York. Poco prima di partire si recò in una farmacia in rue Blomet dove convinse il farmacista a prendere un’ampolla di media circonferenza, ad aprirne il sigillo versare il liquido che conteneva, poi a chiudere questo recipiente bombato. Arrivato a New York Duchamp consegnò questa ampolla vuota che aveva portato con sé, alla coppia di collezionisti Walter e Louise Arensberg, come regalo del visitatore ai suoi ospiti, spiegando loro, che visto che i suoi fortunati amici possedevano già tutto, aveva voluto portar loro 50 centimetri cubi di Aria di Parigi.
Così un volume d’aria delle coste francesi entrava nella lista dei primi ready-mades.
Duchamp non si preoccupò minimamente del fatto che il suo oggetto di arte estemporanea costituisse di fatto una falsificazione, non era infatti riempito di aria di Parigi, ma con quella di una farmacia di Le Havre.
Non solo, nell’atto di designazione celò l’origine reale, ma quando, nel 1949 per un incidente l’ampolla di Aria di Parigi della collezione Arensberg, andò distrutta, Duchamp incaricò un amico di tornare nella stessa farmacia di Le Havre ed acquistare una stessa ampolla con la quale ripetè l’operazione che aveva computo nel 1919.
Dieci anni più tardi, nel 1959, nella hall di un hotel di New York, Duchamp spiegò al giornalista che lo intervistava: “l’arte un sogno che è diventato inutile” ; “Trascorro bene il mio tempo ma non saprei dirle cosa faccio… io sono un respiratore”.
Commenti e considerazioni sarebbero inutili come l’arte del sogno a cui fa riferimento l’artista, ma ciascuno può trarre le proprie conclusioni.
In che modo l’individualismo creativo dell’artista può essere catalizzatore del sentire collettivo? Come può l’arte rappresentare la totalità se la società contemporanea è frammentata e confusa? L’identità ridotta a una protesi dell’evidenza di se in una società della totale incertezza.
Le teorie dei filosofi che affrontano temi sociali sembrano attribuire alla massa la consapevolezza del proprio agire. La realtà smentisce simile ottimistica visione. La globalizzazione collide con la cultura, a partire dalla lingua. Secondo una ricerca UNESCO esistono 6700 linguaggi e un numero non censito di dialetti. Questi datti, se da un lato confermano la molteplicità culturale del passato, mettono in evidenziano la difficoltà di comprensione tra i popoli, considerato che ad ogni linguaggio corrisponde una cultura e una storia.
Vi è un’inevitabile estraneità tra creatività e storia. Ciò che ha da dire la storia dell’arte sul problema della prospettiva nella pittura, non tocca minimante il problema delle guerre di conquista dell’Europa e il commercio degli schiavi e tutte le evenienze di oggi.
L’arte tratta di universi simbolici separati, ciascuno può essere caratterizzato per se , non c’è comunicazione. Ovidio parla dei fieri dell’arte, della creazione dell’opera d’arte la cui epistemologia consente la realizzazione formale del pensiero sottostante. Vi è un’arte che esprime il significato dei fenomeni, questa è per così dire un’arte filosofica. Un’altra arte tenta di esprimere il confronto tra forma e realtà
La pretesa contemporanea di seguire esclusivamente la libertà, ci sottrae al determinismo che regola l’ambito fenomenico,che si applica la mera apparenza delle cose nello spazio in base alla ragione pratica. Nietzsche ritiene che sia necessaria una presa di distanza dalla confusione della massa e cercare di dal pensiero la capacità di agire.
Hegel sosteneva: “L’arte non vale più per noi come il modo più alto in cui la verità si da esistenza”. Difficile immaginare che l’arte s’innalzi e si perfezione se abbiamo cessato di credere ai valori che l’ha esprimono. La storia d,
ell’arte è un regressivo percorso di rinuncia a tutto ciò che trascende la bieca realtà ontologica.
Il rapporto che intercorre tra l’opera di avanguardia e metodi formali di teoria dell’arte, è stato stravolto con l’elusione dei tradizionali procedimenti tecnici e uso dei materiali. Ciò tuttavia non ha modificato l’approccio ermenèutico della critica d’arte, provocando una dicotomia tra oggetto e interpretazione che avviene ancora con criteri classici da buona parte della critica. Prassi e teoria dell’avanguardia hanno avuto, tra l’altro, l’effetto di diluire l’essenza significante in discipline diverse. Reinhard Brandt nel suo libro “Filosofia nella pittura”, ha analizzato opere di artisti classici con riferimenti filosofici. Appare evidente che le opere dei maestri del passato potevano essere apprezzate, indipendentemente dalla capacità d’interpretazione iconologia. L’arte d’avanguardia, avendo eliminato l’estetico, ha ridotto la forma a citazione concettuale, con la conseguenza che, l’osservatore non sempre in grado di percepire il significato sottointeso, perde ogni possibilità di comprensione e godimento. Senza dubbio, non è ancora emersa con sufficiente chiarezza l’inutilità della critica d’arte oggi. Essa ha un approccio classico a opere che sono la negazione di ogni espressione d’arte, intesa in senso tradizionale. A prescindere da capacità e intenzioni, i critici raramente sono in grado di svolgere efficacemente la propria funzione interpretativa, in quanto la lettura dell’opera richiede il ricorso a varie discipline, psico – sociologiche, politiche, filosofiche, e quant’altro serve a collocare l’opera nel contesto nel quale è possibile decifrarne il senso. L’analisi dell’opera non può essere attuata scientificamente, come ipotizza, tra gli altri, Peter Burger nel suo saggio “Teoria dell’avanguardia”, anche in ragione della estemporaneità di molte opere. Le forzature ermeneutiche della critica, finiscono per costituire anello di congiunzione con l’arte-arte, in questo modo accreditano una supposta concettualità, che forse era nelle intenzioni dell’artista, ma non è ravvisabile nell’opera. A ciò contribuisce il modesto bagaglio culturale degl’artisti, spesso non in grado di adeguare l’apparato concettuale alla sintesi della forma. C’è il rischio concreto di nobilitare la pura dissacrazione a concetto. Condizione necessaria per una possibile sintesi tra procedimenti formali ed ermeneutici è rendersi conto che nell’opera avanguardistica l’emancipazione del singolo elemento non raggiunge mai il distacco completo nella totalità dell’opera. Anche dove la negazione della sintesi diventa principio strutturale, deve comunque rimanere la possibilità di pensare a una unità, sia pure precaria. Addurre la complessità dell’opera per giustificarne la difficoltà di fruizione, è un espediente non accettabile perché significherebbe sminuire autonomia ed efficacia del linguaggio dell’arte. L’opera deve esprimere la totalità di senso, anche se è stata raggiunta l’unità dopo aver accolto la contraddizione. In altre parole, non è più l’armonia delle singole parti a costituire l’unità dell’opera, bensì il rapporto contraddittorio di elementi eterogenei. Per questo, dopo i movimenti di avanguardia, non si può pensare né di sostituire semplicemente l’ermeneutica con procedimenti formalistici, né di continuare ad affidare la critica a procedimenti intuitivi, ma adeguarsi alla mutata situazione storica.
Pierpaolo Pasolini, Senza titolo, 1971 ca-