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La forma della luce  0

La tematica della luce  è stata affronta da filosofi e studiosi. Intorno al 1200 d.C  il francescano Roberto Grossatesta scrisse un libro, pubblicato in Italia nel 1986, con il titolo “Metafisica della luce”. La luce è  stata la base stessa della pittura. I pittori dei Paesi Bassi, van Dyck, Rubens, van Eych, Rembrandt, fecero di necessità virtù dipingendo la luce delle candele, interni tenebrosi e suggestivi. Gli  Impressionisti dipinsero la luce che dà forma a paesaggi e figure. Ma dall’inizio della storia della pittura la luce è una componente fondamentale dell’arte. La luce che cade dall’alto e illumina la scena di Paolo di Tarso caduto da cavallo nell’opera di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. Episodio sul quale anche Pieter Bruegel aveva  realizzato un’opera dal titolo “La conversione di San Paolo”. La luce è ciò che dava significato alla pittura. Certo, la pittura cartellonistica di Warhol come di buona parte dell’arte contemporanea, non utilizza la luce, che forse non saprebbe neppure dipingere. Sono molti gli artisti che usano la luce fredda dei neon, più adatto ad insegne di locali commerciali che all’arte. Nel 1998 a Torino viene dato il via a una manifestazione denominata “luci d’artista” che consiste nel dare il nome di un artista a una luminaria costruita da un comune elettricista. La cosa non stupisce visto che il sindaco dell’epoca era Piero Fassino,  riuscito ad ottenere la laurea in scienze politiche alla tenera età di 49 anni, nonostante la ben nota tolleranza verso l’ignoranza delle Università italiane, ex comunista poi PDS, ora PD costui, per quanto insignificante, costituisce un sintomo del livello culturale della classe politica, la stessa che nomina direttori, per lo più direttrici, di musei, biennali, fiere e tutta la schiera di istituzione che non sono create per favorire davvero la conoscenza dell’arte, ma piuttosto, come dimostra il caso di Torino, per autopromozione dei politici. Non a caso, il compagno di partito di Fassino, il ministro della “cultura” Dario Franceschini, che in fatto d’ignoranza fa il paio con Veleria Fedeli ministro PD della Università, ha abolito l’accesso gratuito ai musei  per le persone oltre i 65 anni. In compenso, come abbiamo già segnalato,  finanzia cene e bagordi alla Biennale di Venezia del 2017, direttrice la francese  Macel, nomen omen. Ecco che in questo brevissimo escursus abbiamo tracciato la parabola discendente dell’arte grazie al  connubio  tra la modesta cultura degli artisti, ormai soggetti all’influenza USA, e la politica “culturale”. Per la cronaca  fin dagli anni ’60 del secolo scorso Sol LeWitt e Dan Flavin, due artisti USA,  realizzarono opere con i neon. Dunque dalla magia della luce, indagata da Roberto Grossatesta, usata dagli artisti fiamminghi  e dagli impressionisti, siamo approdati alla banalizzazione anche della luce, in un percorso di discesa dell’arte agli inferi  che non sembra avere fine. astratto-24

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Accanimento terapeutico.  0

La storia della letteratura, filosofia, arte, sembrano orientate ad imprimere  una sequenzialità logica, quasi che ogni singolo autore  prosegua come la staffetta di chi l’ha preceduto. I testi sono infarciti di citazioni e richiami  a supporto della tesi che si vuole sostenere. Non c’è dubbio che la cultura si riferisce necessariamente al passato, dal momento che non si può far riferimento a ciò che non è stato. Accade che l’ermeneutica  contemporanea  di opere del passato, compia errori di prospettiva, arrivando a presumere di decifrare pensieri e intenzioni degli  autori. Se osservassimo con disincanto le opere realizzate nei secoli passati, ci renderemmo conto che il percorso verso il degrado, tecnico, iconologico, culturale, è stato costante. Non pochi artisti furono consapevoli di ciò. Intorno al 1830 nasce in Europa il romanticismo, un tentativo  di contrastare  l’ideologia  che  accompagna la rivoluzione industriale.  Nel 1905 si delineano  in Francia le prime avvisaglie di quella che sarà definita “avanguardia”, termine di matrice militare ridicolizzato da Roland Barthes. L’Impressionismo. Caillebotte, Corot, Coubet, Degas, Manet, Monet, per citare alcuni artisti dell’epoca, non facevano che rappresentare la borghesia, un piccolo mondo con i suoi  aedi come Baudelaire, Chamfleury, Zola. Tutto molto romantico e affascinante, ma non era altro che la rappresentazione di un piccolo mondo, l’arte come prassi, ipotizzata da  Georg W. Bertram, nel libro che ha appunto il titolo “L’arte come prassi umana”, pubblicato all’inizio del 2017, non tiene conto dei fattori reali.  Manet, Morisot, Caillebotte, ritraggono personaggi in redingote e cilindro e  il loro mondo.  Fare dell’arte prassi di vita, implica un processo di maturazione socio- culturale di cui non si vede traccia. Quando Cézanne descrive l’artista  come “ organo ricettivo, un apparecchio di registrazione per l’impressione sensibile”, per ciò stesso condanna l’arte all’estinzione. Oggi prevale  quello che Broch  chiama uomo/donna Kitsch, il rapporto con la prassi, o realtà sociale, si basa su forzature alle quali l’estetica è estranea. Alla Biennale di Venezia del 2017 la Macel, per dare senso allo slogan che dà titolo alla manifestazione “Viva l’arte viva”, non trova di meglio  che organizzare pranzi con e per artisti. Ospiti sono tra le altre  Kiki Smith,di cui si ricordano le sculture di donne defecanti.  Costei fa parte di una folta schiera di artiste femministe, Sherman, Abramavic, Renee, Cox,  Joana Vasconcelos  che alla Biennale del 2005 presentò come opera d’arte  un lampadario realizzato con tampax. A quale prassi si riferisce Bertram? Si è reso conto che gallerie come quella di Elizabeth A. Sackler  del Center for  Femminist  Art, stanno proliferando in tutto il mondo coadiuvate dal fatto che la maggior parte delle istituzione pubbliche dell’arte è affidata a donne?  La verità è che la borghesia ha escogitato un sistema trasversale, anche attraverso il femminismo, ha  creato un sistema dell’arte la cui base è il mercato, i cui alfieri sono critici e filosofi che si affannano per dare un senso a qualcosa di depravato, blasfemo, tenere in vita ciò che un tempo era indicato con il sostantivo arte e non appartiene più alla contemporaneità.  aaaaaaaaaaaaaa-RENEE-COX-2

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Antropologia dell’arte.  0

Se, come sostiene Jullien, l’essere umano è sopravvissuto  solo grazie alla bellezza, non c’è dubbio che  l’arte contemporanea è un sintomo di decadimento non solo culturale, ma di una vera e propria incapacità di percezione estetica. L’antico gioco dell’arte impegnato nella ricerca di proporzioni e dal confronto natura cultura, si è arenato nella tecnologia. Anche il riferimento cinese dello Yin e dello Yang, si è dissolto nella confusione dei sessi , dispersi in un’anonima ricerca di piacere. L’Occidente ha reso  vacuo ogni riferimento che possa avere un vago richiamo alla natura. L’esperienza estetica  ha abbandonato la prassi dell’Homo Sapiens  per rifugiarsi in un disorientante e superficiale edonismo fine a se stesso. E’ uno degli aspetti dell’ebbrezza della libertà. Non è più possibile il confronto con l’indeterminatezza del vivere. Il dettato di una antropologia filosofica che ha sempre tenuto conto dei limiti e fisici dell’essere umano, è, per così dire, tacitata dalla tecnica che sembra offrire soluzioni per tutto.  Il carattere autoriflessivo della rappresentazione  dell’eidos è superato dalla riconosciuta insignificanza del segno come tentativo di rappresentazione . Il riduzionismo contemporaneo si associa alla banalizzazione come approccio semplicistico alla pratica sociale. Il valore dell’oggetto estetico è determinato dall’arbitrio mercantile e supportato dalle tecniche della comunicazione propagandistica che include quella che nacque come critica d’arte. Il paradigma  ermeneutico di Danto traccia il percorso nel quale si decanta il senso dell’opera per lasciare spazio alla narrazione filosofica e critica. L’esperienza estetica è ridotta a consiglio per gli acquisti. Neppure Nietzsche, che pure aveva affrontato il tema dell’indeterminatezza umana, avrebbe potuto immaginare che la cosiddetta “autonomia dell’arte” si sarebbe arenata in suk nel quale i critici sono i commessi che consegnano l’opera con certificato di garanzia sulla valenza  estetica.    aaaaaaaaaaaaaaa-Punk

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Il problema è il linguaggio.  0

Forse il problema nasce dal linguaggio. Usiamo sostantivi che non sono più adeguati ad esprimere le realtà sottostante. Arte, filosofia, sociologia, politica, democrazia, cosa significano oggi? A prescindere dall’ analisi di dettaglio, esiste una sovrapposizione semantica  che finisce per incidere anche sulla epistemologia. La frammentazione del sapere produce disorientamento cognitivo  e lascia spazio a pregiudizi , leggende metropolitane, posizione settarie  e configurazioni neologiche che nascondono altrettanti pregiudizi  devianti. Il pluralismo confuso, non dà contributo alla ragione, ma rappresenta piuttosto una sorta di abdicazione dell’intelligenza. Sopravvive solo chi si mette in scena meglio. La menzogna come strumento di successo sociale e politico. Vittima di questa  falsificante rappresentazione è anche l’arte, nella sua  forma più vera. Peter Sloterdijk .segnala la corrispondenza tra cimitero e museo. La folla che affluisce ai musei, perché indotta dalla pubblicità è la stessa che si accalca nei concerti rock e nelle partite di calcio. Il difficile smaltimento culturale delle pulsioni indotte e rese difficile dal fatto che la montagna dei rifiuti cresce più rapidamente della montagna del sapere. Il museo contribuisce a smaltire le presunzioni di sensibilità. Scriveva Nietzsche: “ L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, un cavo sopra l’abisso”. La cifra dell’arte contemporanea  è l’arbitrio estetico che ha lo scopo di approssimarsi al valore più alto.  Per questo nelle Fiere, Biennali  e manifestazioni varie, la mondanità prevale sulla cultura. La cultura va capita, la mondanità è solo vissuta. “Le opere vengono esposte come azioni alla borsa estetica” (Sloterdijk) In questo bailamme mondano commerciale quale posto occupa la filosofia dell’arte? Quale potere ha di riesumare valori ormai cancellati dall’irruenza del mercato? Per quale ostinata ignoranza continuare ad utilizzare il sostantivo arte per manufatti dall’oscura semantica? Non sarà un caso se, alla Biennale d’Arte di Venezia del 2017 ai seminari sull’arte sono state sostituite le cene con artisti, per lo più artiste? perestroyka10

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A cosa serve la Biennale d’arte di Venezia?  0

Se è vero che la violenza è, in misura diversa, parte del DNA dell’’essere umano, è altrettanto vero che la violenza  è alimentata da larghi strati  della società  e dalla cultura contemporanea, cinema, tv , cronaca. Vi sono molti aspetti della violenza. La violenza fisica è quella più visibile, per questo più esecrata. Peter Sloterdijk  nel suo testo “L’imperativo estetico”  rileva come ”Il più perfetto matriarcato del mondo, sono gli  Stati matri-alimentari Uniti  d’America”.  In parallelo, in ragione della compulsione  femminile  al consumo, si attua quello che  Ernest Gellner ha definito: “L’internazionale dei consumatori  senza fede”.  Tale fenomeno ha da tempo investito il mondo dell’arte, non a caso, vede sempre più la dominanza femminile. Bourdieu ha definito questo meccanismo nei termini di  violenza simbolica. Violenza è anche l’imposizione di qualcosa di  iniquo, come le leggi di genere che  alterano ogni sana competizione meritocratica. L’accampare diritti di rivalsa, come fanno le femministe, è un espediente decettivo.  Che dire della violenza  estetica ?  Comportamenti volgari, sguaiati, osceni in luoghi pubblici e nelle strade, rappresentati in modo insistente  da tv e cinema. Quale  difesa può attivare chi si sente profondamente offeso da tali esibizionismi?  La violenza si manifesta in ambito socio-politico. Molte di queste iniquità sono elencate da Shakespeare nel monologo di Amleto. “… le offese e i torti che la virtù patisce conculcata dai tristi, della legge gli indugi..” . Lucrezio  suggerisce presa di distanza, e isolamento  in “La natura delle cose”. Purtroppo non sempre è possibile fuggire. Quando si vive in una società si è soggetti all’arroganza del potere, ai piccoli soprusi quotidiani di funzionari frustrati al servizio di oligarchie politiche ed  economiche, che inquinano la società . Anche il mondo dell’arte è soggetto a questi  virus. La Biennale dell’arte di Venezia è da anni dominata da un  certo Paolo Baratta (nomine omine) sotto la cui guida le manifestazioni  sono sempre più squallide e dominate da oligarchie mercantili/ mondane, con grande  riguardo a donne e arte statunitense. La Biennale dell’arte del 2005, affidata a certa Maria de Corral, passò alla storia come la Biennale dei Tampax, per un’opera, un lampadario fatto di Tampax, realizzata  della conterranea della curatrice, certa  Joana Vasconcelos. Quest’anno, 2017, un’altra donna Christina Macel, è stata designata da Baratta a dirigere la Biennale. Costei non trova di meglio che organizzare cene per e con artisti, ovviamente a spese dei contribuenti italiani. Per finanziare i festini di  pochi eletti, la Marcel non ha trovato di meglio che  negare l’accredito, cioè l’ingresso gratuito alla Biennale,  ai non iscritti all’ordine dei giornalisti. Significa escludere tutti coloro che, a vario titolo, curano siti e Portali web dedicati all’arte pur non essendo iscritti all’Ordine dei giornalisti, una delle tante caste nostrane. Voler burocratizzare l’arte è un atto di arroganza inaudita, affidata per lo più a oscuri funzionari  che attuano le direttive dei vertici. Anche questa è una forma subdola di violenza contro la quale è impossibile opporsi. Il potere ha concesso la delega  alla Macel, la quale detta le regole della Biennale che i contribuenti italiani pagano. Di questo è al corrente il sig. Franceschini  ministro pro tempore della cultura? Certo non è una tragedia, il sopruso ha il valore del costo del biglietto, ma  resta un sopruso, cioè un atto di violenza burocratica. Donne libere di..

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Il canone del disgusto.  0

Esistono ancora artisti o ci sono solo più geni? Quando l’insieme dei saperi si arena in un solipsismo cinico, la ricerca di miti diventa una sorta di virus mentale, una via di fuga dalla razionalità pensante. L’annuncio di una mostra di Maurizio Cattelan, rigorosamente in inglese “Be right back” , la locandina pubblicitaria precisa: “il Genio che ha rivoluzionato l’arte contemporanea”. Sorge spontanea la domanda: quanti sono i “geni” che hanno rivoluzionato l’arte contemporanea? A partire dai Futuristi, Dada, Fluxus, Pop Art, Arte Povera, Transavanguardia, Punk Art. Tutti geni? Tutti rivoluzionari? La mia opinione è che si tratti per lo più di mediocri soggetti esaltati dalla critica e sostenuti dalla propensione al kitsch delle masse contemporanee. Basta fotografare clochard ed esporli in mostra per riscuotere il plauso della critica. L’arte non dovrebbe essere sociologia, ma rappresentare, in forma metaforica, aspetti della realtà. Si resta perplessi nel leggere su quotidiani nazionali, di proprietà di capitalisti, con redazioni di giornalisti garantiti e lautamente retribuiti, che nella presentazione di una mostra al PAC di Milano scrivono: “ ..c’è sempre qualcosa di dignitoso in queste persone (accattoni) che non riescono ad essere funzionali all’interno di un sistema corrotto e sfruttatore..”. Così il capitale e suoi accoliti recitano due parti in commedia, mentre i veri derelitti, che non sono solo gli accattoni, ma molte vittime di un potere che, si autodefinisce democratico, favorisce, anzi impone, forme di disordine e disgregazione sociale. Siamo di fronte a saperi negati senza che siano stati davvero compresi nella loro complessità socio-etica. Abbandono spurie teorie e semplificazioni ideologiche che pretendono di attuare un’ermeneutica della realtà. Chi parla, chi agisce, chi risolve; chi paga il prezzo delle semplificazioni teoriche o, nel caso dell’arte, dell’ossequio al mercato. L’arte costituisce anch’essa un piccolo tassello di una molteplicità sociale che agisce nel profondo delle coscienze, qualsiasi cosa si intenda con “coscienza”. Come scrivevano Deleuze e Guattari in Rizoma, il libro è una piccola macchina da guerra. Il problema è che gli intellettuali non la sanno usare e sparano a casaccio. I libri di oggi in generale non descrivono né informano, non nutrono la coscienza collettiva. L’arte ha cessato da tempo di imitare la natura, la scrittura ha cessato di occuparsi della realtà, per quella che è, non vista attraverso l’immaginazione di bolsi soloni al riparo dalla conseguenze del loro teorizzazioni. L’elenco delle correnti artistiche, elencate sopra, è in parallelo con le mode, gonne lunghe, gonne corte, voile o jeans. La massa,suggestionata dai media, seguirà passivamente. Conformismo rassegnazione e disgusto sono le cifre della modernità. aaaaaaaaaaaaaaaa-6-giugno-2017

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Inesistenza protratta.  0

Nelle lezioni di estetica di Hegel sono contenute queste affermazioni: “ Per noi l’arte non costituisce più il modo supremo in cui la verità giunge ad esistere” (WW.X,1 p.134) E prosegue: “ si può, certo, sperare che l’arte continui sempre più a elevarsi e a compiersi,ma la sua forma ha cessato di essere il supremo bisogno del Geist (ibid. p.135). “Rispetto a tutti questi rapporti,l’arte, colta in relazione alla sua vocazione suprema, è e rimane per noi un che di passato” (X 1 p.16). Nonostante il requiem di Hegel, l’agonia dell’arte si protrae da due secoli, ma, come sempre avviene in uno stato agonico, ha mutato volto. Da sempre allegoria e simbolo costituirono la prospettiva entro cui l’arte si realizza, l’artista compiva con le sue mani ciò che il suo pensiero aveva formulato. Se, come oggi avviene, l’operare dell’artista si riduce al solo pensiero, siamo di fronte a una incompletezza snaturante. Il percorso dell’arte è avvenuto dall’homo sapiens, attraverso l’homo faber fino all’homo aestheticus. L’artista non crea, semplicemente trasforma, assembla, costruisce. L’artista, il demiurgo, non ha altri poteri che la sensibilità formale e la capacità di realizzare il proprio pensiero. Utilizzando la propria epistemologia egli realizza l’ontologia. E’ forse eccessiva la narrazione che si realizzata intorno all’arte. Per Heidegger: “ L’arte è il mettersi in mostra della verità” . Ma ciò presuppone la risposta alla domanda: chi è l’artista? Da escludere che l’artista sia una sorta di unto del signore, ma semplicemente un demiurgo che dà forma alla materia. Per ciò stesso mette in mostra la verità? Cosa significa “verità”? Secondo Heidegger è l’essenza del vero. Ma cosa pensiamo quando diciamo “essenza”? Ecco dunque che il transito dalla forma alla parola, anziché aiutarci a capire crea un vuoto concettuale, ed è in questo vuoto che si è annidato il virus dell’arte contemporanea erodendo significati e cancellando forme in un progressivo allontanarsi dalla semplicità, verso un frammentarsi in una penosa autoreferenzialità. In questo percorso di funambolismo ideologico, irrompe la tecnica che sembra fornire una via d’uscita. In realtà è la mela avvelenata che aggrava la stato agonico. La paziente viene tenuta in vita, stimolata con allucinogeni, perché non è ancora chiaro chi è il beneficiario del suo testamento. I suoi rantoli sembrano allietare la mondanità cinica che la circonda. aaaaaaaaaaaaaaa11-aprile-2017

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Verità e post-verità  0

Su Robinson di Repubblica, c’è stato una specie di confronto tra Alessandro Baricco e Maurizio Ferraris, sulla post-verità. Il tema, sicuramente importante, è trattato, specie dal “filosofo” Ferraris, in modo inadeguato. Considerato che Ferraris, sfortunatamente, è docente di filosofia teoretica all’Università di Torino. Vale la pena rilevare che anche Baricco è torinese. Verrebbe da dire: o parliamo di verità o di filosofia. Sembra che gli intellettuali, come i politici, la verità non la cercano, la creano. Per Heidegger “la verità è l’essenza del vero”. Espressione vagamente tautologica. Forse il detto : la storia la scrivono i vincitori, potrebbe essere esteso alla cultura giornalistica e alle pubblicazioni di libri in generale. L’esempio più evidente è il sistema dell’arte creato dalla critica e dalla filosofia dell’arte. Gli artisti, per ignoranza e/o convenienza, si sono accodati, creando la più colossale truffa che la storia possa registrare. Se è vera l’affermazione: la verità rende liberi, non siamo mai stati tanto prigionieri della menzogna come in questo nostro tempo. Quando Karl Popper scrisse “La società aperta e i suoi nemici” , testo nel quale sferrava un duro attacco a Platone, forse non era ben consapevole di come si sarebbe evoluta la cosiddetta società “aperta” . Basta prestare attenzione al linguaggio dei politici. E’ di oggi la notizia che Marine La Pen ha copiato pari pari un discorso del suo avversario politico. Sentire i discorsi di Trump, Bergoglio, Hollande, Renzi, c’è di che inorridire. Quando Ferraris afferma che sul web circolano falsità e idiozie, dovrebbe essere invitato ad ampliare lo sguardo a giornali e libri, inclusi quelli che scrivono le sue allieve. Ferraris sostiene anche che una democrazia non può esistere senza una verità condivisa e che il miglior correttivo alla post-verità è la verità. Costui è docente in una città la cui Università ha conferito la laurea honoris causa al “filosofo” statunitense Danto. Gli USA hanno inquinato il pianeta con post-verità costruite negli studi di Sodoma- Hollywood. L’inquinamento è tale che due filosofi, Pascal Engel e Richard Rorty hanno sentito il bisogno di scrivere un libro dal titolo: “ A cosa serve la verità”. La nota domanda di Pilato: Cos’è la verità, è stata adeguata ai nostri tempi di consumismo, dunque ci chiediamo a cosa serve. Sicuramente le verità costruite da intellettuali e giornali collaterali al potere, serve a mantenere le masse all’oscurità dei molti crimini commessi dal potere. Ricordo che prima dell’invasione dell’Iraq ebbi uno scambio di e- mail con Piero Ostellino, allora vice direttore del Corriere della Sera. Io sostenevo l’assurdità di una guerra contro; l’Iraq, Ostellino, mi accusava di non capire il pericolo costituito dalle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam. Sappiamo come è andata a finire. 200.000 morti, distruzioni di un patrimonio culturale. Dopo di che non è cambiato nulla. Bush si gode la vita come Ostellino, come tutti i disonesti imbecilli responsabili del disastro. Questa è la civiltà nella quale ci tocca vivere. E’ dunque chiaro che disquisire di verità e di post- verità è un esercizio futile, o forse semplicemente un ulteriore strumento di distrazione di massa. aaaaaaaaaaaaaaaaaa--critico-d'arte

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Codici e fantasia.  0

Quando si affronta il tema dell’arte, inevitabilmente, ci si scontra con una serie di contraddizioni le cui implicazioni vengono solitamente trascurate o aggirate con il ricorso ad apodismi. Da un lato si usano espressioni come “ispirazione”, si sostiene che un oggetto di uso comune assume lo status artistico semplicemente in base alla scelta dell’artista che lo considera arte. D’altro lato sappiamo che ogni anno Accademie e scuole di varia natura rilasciamo la patente di “artista” a migliaia di persone. Sorge dunque la domanda: cosa significata essere artista oggi? Come si diventa artista? In astratto dovrebbe valere il principio della conoscenza che riguarda ogni attività professionale. Sappiamo però che, per una convenzione unanimemente accettata, l’arte non è soggetta a codificazione. Ergo, mentre medici, ingegneri, avvocati e tutte le altre categorie professionali, devono obbligatoriamente seguire determinate prassi . Per l’artista non esiste prassi, regola, codificazione,prevale il privilegio della “creatività”, espressione per altro non ben definita. Dunque l’artista non è soggetto a vincoli di sorta. Se tale principio poteva avere una qualche giustificazione quando l’arte seguiva determinate regole, una scuola, cioè fino verso alla fine dell’800, con l’avvento delle avanguardie l’epistemologia dell’arte non è stata modificata, ma semplicemente rimossa. Non esistono linee guida, prassi, indicazioni di stili che possano orientare, costituire riferimento all’operare dell’artista. Egli è assolutamente svincolato da tradizioni, metodologia, naturalismo. Nel ‘600 il livello culturale dei pittori era tale da consentire loro di esprimere nella pittura non solo elevati valori estetici, ma concetti di grande valore scientifico. Non era l’arte che imitava la scienza, come accade oggi, ma l’arte spesso anticipava la scienza. E’ il caso, del pittore Adam Elsheimer che a 32 anni realizzò l’opera “Fuga in Egitto” Nella tela vi è rappresenta una scena notturna nella quale la luna e le stelle sono collocate secondo i dettami delle ultime scoperte astronomiche, prima che la scienza confermasse la mappa delle stelle. Un bellissimo esempio d’intuizione. Altro esempio è costituito dall’opera di Ludovico Cardi,detto il Cingoli, amico e compagno di Galileo con il quale compì gli studi alla scuola di disegno di Firenze. Nella sua opera, il Cingoli, rappresenta l’Assunta, sullo sfondo è raffigurato un cielo con la luna non bianca e liscia come era stata rappresentata fino ad allora. La pittura della luna rappresentava solchi, rilievi, tutto quanto sarebbe stato scoperto anni dopo da Galileo Galilei, attraverso la osservazione con il telescopio Dunque ci fu un tempo in cui l’intuizione dell’artista e la sua conoscenza dei fenomeni era rappresentata nelle opere. Oggi non accade nulla di questo, anzi, l’ansia d’innovazione, unita a una buona dose di ignoranza, producono opere nelle quali è arduo trovare un significato che le giustifichi. Sicuramente le opere non esprimono lo stesso livello di innovazione e conoscenza come avveniva con frequenza con gli artisti dei secoli passati. newletter-25-aprile-2017

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Una certa idea di arte.  0

aaanewslettereUn tema interessante che riguarda l’arte ed aiuta a  conoscere  artisti e opere, è  lo stimolo originario che induce un artista  a denominare un opera. Come sceglie il titolo?  Quando Robert Rauschenberg, presenta una scopa come opera d’arte, prendendo alla lettera l’affermazione di Leo Castelli: “ se un artista mi porta una scopa io la vendo come opere d’arte”. Il quel caso il titolo è quanto meno superfluo. Forse tutta l’arte contemporanea non è che un espediente commerciale.  Jacques Derrida, come molti filosofi, si è interessato di arte. Nel 1979 scrisse: “ Penser à ne pas voir” Sottotitolo “ Ẻscrits sur les arts du visible”. Stranamente si occupò di artisti non particolarmente noti.  Il libro  è un dialogo tra il filosofo e gli artisti, a volte con l’intervento di una terza persona. In buona sostanza il libro, 387 pagine, è costituito da divagazioni per il gusto della parola una sorta di autocelebrazione del proprio pensiero. Tredici pagine con filo conduttore “Dessous” ,  parola ambigua dei molti significati, fondo, rovescio, parte inferiore retroscena, Biancheria intima. Nell’intreccio delle parole e del senso, c’è spazio per l’esaltazione del mercato e la promozione della Fondazione Maeght che ha pagato il suo intervento. Quando Derrida parla della rarità assoluta di un opera d’arte è chiaro che, ad essere gentili, dice una cosa inesatta. Non è necessario richiamarsi a Walter Benjamin e la sua nota tesi sulla perdita d’aura dell’opera d’arte in epoca di riproducibilità. Oggi siamo ben oltre. E’ vero che l’arte viene oggi feticizzata e sacralizzata oltre misura, ma questo non avviene per amore dell’arte ma per la speculazione sull’arte che oggi ha raggiunto livelli stratosferici. La rilettura critica della filosofia dell’arte ci porta a disarmanti considerazioni. Jacques Derida non s’inoltra nella filosofia del’arte, in 387 pagine gira intorno all’argomento  con un lettura  di opere di alcuni suoi amici, tra i quali Valerio Adami, lettura dalla quale non si ricavano lumi sui singoli artisti, tanto meno sull’arte in generale. Quando afferma che dovrebbe essere proibito descrive un quadro, è chiaro che contraddice se stesso. Considerata la statura filosofica che viene riconosciuta a Derride francamente c’è da trarre sconfortanti conclusioni .

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