Goalkeeper, 1976
La filosofia di questi ultimi decenni sembra più impegnata a creare neologismi intorno ai quali radica a posteriori improbabili articolazioni teoriche, piuttosto che attuare un tentativo di orientamento in un’epoca nella quale domina la confusione. Il post-modernismo denunciando la ragione come fonte dei maggiori danni alla società, di fatto ha favorito la frammentazione personalistica e dato la stura al solipsismo che dilaga in ogni ambito sociale. Abbandonata la ragione l’uomo moderno si chiude nell’ossessione della propria (apparente) identità. Purtroppo non sono molti i filosofi ad avere preso coscienza della realtà, infatti continuano nel loro strabismo storico-filosofico che produce danni. Michel Onfray, nel libro “Decadenza” (Ed.Ponte delle Grazie), a pagina 171 si scaglia contro il concilio di Trento (1545- 1553!?!) reo di aver accettato l’esistenza del libero arbitrio. Inevitabilmente viene tirata in ballo l’omosessualità. Scrive Onfray:”…l’uomo che obbedisce alle pulsioni che lo rendono omosessuale..” Intanto andrebbe chiarito cosa significa “renderlo omosessuale?”. Un conto sono le pulsioni altra cosa è il libero soddisfacimento degli istinti. La sodomia e il lesbismo non sono pensieri, ma atti. Onfray evidenza l’approssimazione ontologica nella determinazione di ciò che è umano. Dovendo essere consequenziali, quando ci si schiera a favore dei cosiddetti “diritti individuali” si sostiene che ognuno deve essere libero di decidere dei propri comportamenti. Si pone la questione: come può decidere del proprio comportamento chi non si considera responsabile delle proprie azioni? Il libero arbitrio, questione discussa per secoli dalla filosofia, significa esattamente la capacità di rispondere responsabilmente delle proprie scelte. Si tratta di far uso della prerogativa più umana, l’esercizio della volontà, la capacità di saper decidere ciò che è bene, ciò che male. Grazie alla schiera di filosofi “post- moderni” come Onfray, la distinzione tra bene e male è stata abolita. Le conseguenze sono visibili nella società contemporanea nella quale è tutto permesso, senza assunzione di responsabilità. Basta accedere alla rete per vedere l’esibizioni di ogni perversione, inclusa la zoofilia. A questo punto appare chiaro che, nell’ansia di rimuove paletti etici, Onfray, con lui non pochi filosofi e intellettuali, riportano indietro di milioni di anni l’evoluzione umana, l’idea che molti intellettuali hanno degli esseri umani è che siano animali incapaci di dominare le proprie pulsioni, controllare i propri istinti. In questo modo, in nome della libertà assoluta, vengono giustificati agli aspetti peggiori, l’uomo zoologico ha il sopravvento sulle conquiste che l’evoluzione umana, ci riporta all’istinto animalesco nei suoi aspetti peggiori.
Prima che la modernità annullasse nella materia ogni sensibilità, la capacità creativa degli esseri umani si esprimeva attraverso faticosi ed entusiasmanti percorsi. Il passaggio tra l’arte romanica e l’arte gotica avvenne con l’accordo e la combinazione delle masse romaniche e della volta a costoloni dell’arte gotica. L’arte romanica appartiene a un ordine assai antico, legato a un lungo passato storico, mentre molto più tarde sono le invenzioni che hanno consentito ai costruttori dell’Ile-de-France da trarre dall’uso del costolone uno stile e le sue conseguenze., fino ai paradossi strutturali del gotico rayonnant. Tale considerazione riceve una singolare conferma dallo studio della scultura. L’immagine della vita umana, quale è rappresentata nelle cattedrali non è nulla oltre ciò che agevolmente possiamo riconoscere come nostro patrimonio. Quando l’uomo ritraeva se stesso e nel segno dell’uomo per l’uomo dava spazio alla speranza, non era necessario arricchire di metafore e concetti il segno. L’arte registra un paradosso mai sufficientemente sottolineato. Man mano che il “progresso” avanza, arretra la speranza, l’uomo è sommerso dalla abbondanza di ciò che produce, crede di avere un dominio sulla materia, si allontana dalla natura, perde la misura di se stesso. Pensiamo per un momento alla metastasi urbana che ha coperto buona parte del pianeta e paragoniamola all’umiltà degli antichi Germani i quali, prima di gettare un ponte tra le due rive di un fiume, attuavano riti propiziatori per chiedere preventivamente perdono per la violazione della integrità del territorio. Ciò che può essere liquidato come superstizione è prima di tutto rispetto della natura. Lo ricorda Hans Jonas nel suo interessante libro “Il principio responsabilità”. L’uomo contemporaneo, tutto preso dal proprio solipsismo che si riduce a pretendere diritti incivili, ignora del tutto la natura, convinto di dominarla. Così l’arte riflette questa follia. Abbandonata ogni utopia progettuale, si affida al segno tautologico di una realtà uguale a se stessa, producendo forme prive di significati simbolici. Esattamente come il “progresso” ha rimosso la fatica della vita quotidiana, l’arte, o ciò che ancora viene indicato con questo sostantivo, si affida alle effimere tracce del costruito, della tecnica. Sarebbe arduo cercare significati iconologici nell’arte di oggi. La qualitatività, la soggettività, e l’unità non sono caratteristiche differenti; sono invece aspetti di una sola caratteristica, questa caratteristica è la genuina essenza della coscienza di se, e del proprio rapporto con quello che sinteticamente e semplicisticamente viene chiamato “mondo”. L’artista non può produrre nulla se non partendo da ciò che ha dentro se stesso, cultura e sensibilità coltivata dentro di se. L’azione volontaria, semplicemente, ha un differente campo di coscienza rispetto a quello della percezione, ma nulla di ciò che penso e costruisco può essere in contraddizione con quello che sono. In questo senso non si può che prendere atto che tutte le cosiddette “cesure” nei confronti del passato, non nascono da un progetto, ma da un rifiuto. Il rifiuto della fatica della ricerca, l’umiltà che ispirava gli artisti del passato, inducendoli a far tesoro di ciò che i loro predecessori avevano realizzato. Mentre il passaggio dall’arte romanica all’arte gotica, dall’arte gotica al barocco sono stati graduali, meditati, d’un tratto l’arroganza dei moderni, ha tutto azzerato, assumendo a giustificazione bizzarre teorie sincretistiche, nel senso originario del termine. Hanno gettato sensibilità e l’arte, nel crogiuolo divorante della tecnica. Una confessione d’impotenza, nell’eccezione latina del termine “confessione” che significa testimonianza.
La storia dell’arte è del tutto incompatibile con la realtà dell’arte come è presentata oggi. La società contemporanea è condizionata da propensioni ludiche, compulsioni consumistiche. Per la loro sensibilità gli artisti subiscono influssi e condizionamenti in base ai quali producono le loro opere. A partire dalla Pop-Art , che non a caso ha avuto origine negli USA, è stata posta la parola fine a ogni idealità artistica. Neppure la distruttiva contestazione DADA era giunta a tanto. Non pare che critica e filosofia dell’arte abbiano preso coscienza di questa realtà, e ne siano consapevoli, o forse, per ragioni di bottega, preferiscono ignorarla. La Pop-Art, nata per esaltare il consumo, dare impulso alla pubblicità dei prodotti da supermarket, ha eseguito perfettamente la propria missione al punto da diventare essa stessa oggetto di consumo e realizzare una autoreferenzialità di tipo pubblicitario. Era l’inevitabile esito. Dopo il processo di pauperizzazione dell’arte, sono presi di mira anche i luoghi nei quali l’arte è esposta, che diventano oggetto di profanazione. Si moltiplicano le manifestazioni estemporanee, sfilate di moda, selfie, mondanità di varia natura. La Biennale di Venezia del 2017, diretta dalla francese Macel, nomine omine, ha aggiunto alle celebrazioni mondane anche i raduni conviviali per pochi intimi, rigorosamente scelti dalla zarina di turno. Alcuni artisti, forse consapevoli della fine dell’epifenomeno arte, prendono di mira i musei, anzi, creano essi stessi luoghi in cui raccolgono “opere”. Già alla fine degli anni ’60 del secolo scorso Claes Oldemburg , pioniere della Pop Art statunitense, creò un contenitore a forma di testa di Michey Mouse dentro cui accumulò centinaia di oggetti della più varia provenienza. Mike Kelly, altro artista statunitense, ha realizzato un luogo denominato “Harem”, nel quale ha raccolto oggetti inutili, alcune immagini pornografiche e altre cianfrusaglie. Jim Shaw per decenni ha accumulato materiale che egli considerava pedagogico, per lo più d’impronta religiosa. Molte altre iniziative dovrebbero essere citate. Marcel Broodthaers nelle sue installazioni ha messo in scena una parodia del Museo per ridicolizzarlo. Appare evidente che gli artisti, cioè coloro che dovrebbero essere produttori e cultori dell’arte, hanno perso ogni fiducia in quello che l’arte dovrebbe rappresentare e si accaniscono in azioni di demolizione. Ci troviamo di fronte a una chiara conferma della incompatibilità dell’arte con la società e la cultura contemporanee. Un museo di Marsiglia, il MUCEM, ha proposto come opere d’arte i rotocalchi femminili in voga tra gli anni ’40 e ’70 del XX secolo. Si continua a valorizzare simulacri, prodotti commerciali, ai quali pervicacemente viene associato , in modo del tutto improprio, il sostantivo arte.
Percepire il mondo significa avere la capacità di decifrarlo “In principio era il verbo”.La parola come strumento di possesso della realtà. Dare il nome alle cose significa farle proprie. L’espressione ampliare gli orizzonti, non significa accumulare esperienza, ma piuttosto capire le esperienze che si vivono. La preparazione culturale è propedeutica a ogni scelta, la sequela di scelte esperenziali fa di noi quello che siamo. L’abbassamento del livello culturale non consiste solo nella limitazione del sapere, ma piuttosto nella scelta e natura del sapere, e della comprensione che abbiamo. Il disturbato mentale che impara a memoria i nomi di una guida telefonica non sa nulla delle persone di cui conosce i nomi. Questa è l’estremizzazione di un finto, inutile, sapere, ecco dunque che la funzione gnoseologica dell’arte non può consistere nel porre il colore su una tela, nel frammentare la realtà raffigurando oggetti e persone, o semplicemente mettere insieme colori. Il linguaggio dell’arte ha funzione di conoscenza, non di solo piacere, di riflessione, non di pura emozione. Quando i manieristi realizzarono le loro opere, per altro splendide sotto il profilo formale, veniva loro imputato di affidarsi alla maniera, di privilegiare il mestiere rispetto all’invenzione. Appare dunque un paradosso sostenere che la caduta casuale dei colori sulla tela costituisca una raffinata tecnica pittorica. C’è chi addirittura arriva a sostenere che Pollock sapeva indirizzare la caduta del colore in modo millimetrico. Affermazione falsa ed anche contraddittoria. Il linguaggio dell’arte, come quello verbale, ha una sua grammatica, non può ridursi a un borbottio, a gergalità, ciò costituisce regressione. Anche gli animali emettono suoni, versi, comunicano tra loro guidati dall’istinto non certo da regole grammaticali. L’immaginazione è prerogativa esclusiva dell’uomo, almeno alla stadio attuale delle nostre conoscenze. Quando l’artista si accinge a realizzare un’opera si suppone abbia in mente un’idea, un progetto. L’opera è già, per così dire, nella sua testa. Tecnica e immaginazione sono gli strumenti con i quali egli realizza il suo lavoro,attua una comunicazione attraverso la forma. L’opera è riuscita quando la comunicazione riproduce una realtà possibile, o una realtà semplicemente immaginata. Il dato gnoseologico si attua nella riuscita della comunicazione visiva. La forma è il messaggio
L’antica questione se l’essere umano sia naturalmente buono o cattivo, è già tratteggiata nella narrazione biblica nella quale appaiono i tre personaggi chiave. Adamo che cede alla lusinghe di Eva, a sua volta ingannata dal serpente, e per akrasia compromette il suo futuro. Abele, la cui bontà lo rende vittima predestinata. Caino, nostro progenitore, che per invidia e odio uccide il fratello. Anche per i non credenti, gli stereotipi umani rappresentati, non possono non avere un profondo significato simbolico. Certo in un epoca in cui sono i dentisti a occuparsi dei mali dell’anima, non c’è molto da essere ottimisti. Siamo sommersi dal déjà dit che tuttavia non sembra sia stato efficace per il miglioramento della nostra specie. In un lungo dialogo Socrate esorta Alcibiade ad avere cura di se, per prepararsi a gestire la cosa pubblica. Non c’è dubbio che l’educazione correttamente intesa, è “contro natura”, nel senso che induce l’uomo a non abbandonarsi al proprio interesse e piacere. Nell’era moderna sembra che la tendenza sia esattamente contraria. Il principale bersaglio della filosofia moderna sembra essere l’etica, vista come ostacolo alla realizzazione dei propri desideri. Hume, nel trattato sulle passioni, arriva a definire la ragione schiava delle passioni. In realtà ragione e passione sono due aspetti spesso antitetici. Così pure è contraddetta dalla realtà la teoria secondo cui, unica ragione dell’agire sono i desideri. Quando un uomo si getta tra le fiamme o in acqua per salvare un suo simile, non desidera certo morire bruciato o annegare, agisce d’impulso mettendo a rischio la propria vita. Ma, se indagassimo il passato di colui che compie il gesto, quasi certamente scopriremmo che è stato educato a vincere l’egoismo. Il discorso sulla morale, qualunque cosa s’intende con questa parola, si occupa spesso di assoluti, ma trascura gli effetti pratici, proprio in una fase storica in cui sembra dominare il pragmatismo. Il solipsismo contemporaneo porta alla chiusura della mente, a una progressiva miopia. La cura di se parte dall’attenzione per l’altro. Il frutto delle nostre azioni è conseguenza di quanto abbiamo seminato dentro di noi. L’intelligenza, come tutte le funzioni che riguardano gli esseri umani, si sviluppa, migliora, cresce, quanto più siamo impegnati a utilizzare le nostre facoltà per capire. Il solipsismo, inducendo a concentrare l’attenzione su noi stessi, limita la nostra visione e riduce progressivamente la facoltà di capire la realtà fenomenica che ci circonda. Tutto ciò che avviene nella nostra mente, anche quando apparentemente è dimenticato, in realtà lascia un segno. Agiamo in base a ciò che abbiamo appreso. Esempio, se nelle Accademie vengono esaltate le combustioni di Burri, le tele bianche di Kazimir S. Malevic, le opere seriali di Warhol , non c’è da pensare che escano artisti capaci di usare il pennello per dar forma alla loro sensibilità, capaci di sottrarsi alle lusinghe della tecnica che sembra rendere più facile il loro lavoro. Certo, in nome del “progresso” ci si può arrendere all’inevitabilità degli eventi, cosi com’è avvenuto nel rapporto della produzione con l’eco-sistema, ma in questo modo sarà molto difficile modificare gli aspetti negativi della realtà in cui viviamo. L’ottimismo non può nutrirsi di sogni, ma deve far ricorso alla ragione, la più umana delle prerogative perché l’unica che può indurci a vedere oltre il contingente.Gli esseri umani hanno sempre cercato nei sogni l’evasione dal presente. Il l”Libro dei sogni” di Artemidoro, risale al II secolo d.C. e prima di lui Nicostrato di Efeso, Paniasi di Alicarnasso, Apollodoro di Telemesso, Febo di Antiochia, Dionisio di Eliopoli, e molti altri hanno scritto libri sui sogni. Non pare che nessuno di costoro abbia modificato il corso delle cose. La forma moderna del sogno è costituita dalle finzioni della tecnica. In certo senso la passività è uno degli effetti del solipsismo. L’uomo contemporaneo non riuscirebbe a sopravvivere senza l’aiuto degli strumenti che ha costruito. Non sembra una prospettiva rassicurante, così come l’illusione di dominare per intero la natura, mentre in realtà non sa controllare se stesso.
Cosa significa “agire razionalmente”? Le costruzioni linguistiche della filosofia e letteratura si limitano a descrivere e rendere intelligibili a se stessi gli esseri umani, o si propongono lo scopo di migliorarli? Ovvero ci migliorano per il solo fatto di farci riflettere? L’uomo contemporaneo è migliore del suo antenato di 5000 anni fa? Domande che la filosofia si pone alle quali solo trova raramente risposte. E’ un fatto che osservando la realtà, non sembra che gli stimoli al pensiero, abbiano contribuito in modo determinate a modificare i comportamenti umani. Sembra prevalere l’atteggiamento di Mrs Grundy, celebre personaggio della commedia di Thomas Morton “Speed the Plough”, diventata proverbiale per indicare come la società si affidi alle abitudini di pensiero. C’è chi sostiene che qualsiasi teoria filosofica vada contro il senso comune deve essere rifiutata. Un tesi spuria che rende di fatto superflua la filosofia dal momento che proprio per superare il senso comune la filosofia è necessaria, non convince il punto di vista espresso da Reid sulla questione, e nemmeno le teorie che, riecheggiando le tesi di Reid esprimono G.E. Moore e J.L. Austin. La storia dimostra come sia abbastanza vera l’affermazione di Hume secondo cui l’uomo si affida più all’abitudine che all’intelletto. Heigegger sosteneva che la scienza è stupida. Di fatto è l’uomo ad essere molto più limitato di quanto crede. Tutta la storia della filosofia è il tentativo del pensiero di capire se stesso. Una sorta di psicogorrea i cui esiti sulla natura umana appaiono modesti. Ogni tentativo di “anticonformismo”, spesso costituito solo da aspetti esteriori, o
effimere teorie, si traduce nel creare un conformismo di segno opposto. Marx aveva proposto che i filosofi, che fino ad allora si erano limitati a descrivere il mondo, si adoperassero per cambiarlo. Non pare che ciò sia avvenuto. Tutti i tentativi di uscire dalle convenzioni si traducono nella creazione di nuove convenzioni. Le cosiddette “avanguardie” dell’arte moderna volevano abbattere le accademie, distruggere i musei, abolire l’istituzione dell’arte. Oggi le accademie sono occupate da ex avanguardisti, nei musei ci sono le loro opere, l’istituzione arte è più forte che mai, anche se i prodotti sono in troppi casi francamente orrendi. La pretesa di originalità si è tradotta nel suo contrario, la diffusione delle opere seriali. Scriveva Spinoza: “ Noi non desideriamo niente per il fatto che lo giudichiamo buono, ma viceversa diciamo buono ciò che desideriamo, e di conseguenza cattivo ciò che non ci piace”. E ancora: “L’uomo libero è colui che vive soltanto secondo il dettame della ragione”. Ecco spiegato il senso di morte nella società contemporanea di cui scriveva Pasolini. E’ la ragione che produce la differenza. Infatti vi è una tale contiguità tra le opere dei contemporanei che spesso è difficile distinguerle le une dalle altre. La filosofia è ridotta per lo più a frammentata esegesi del pensiero degli antichi. Mai come oggi è stata forte la pretesa di originalità, mai come oggi vi è omologazione. I giovani vivono in grappoli, pensano collettivamente, vestono in modo che vuole essere originale ed è solo trasandato, sciatto, però con il logo ben in vista, anche sui capi intimi. Esattamente come per l’arte, non conta la qualità ma la firma imposta da marketing e pubblicità. Insensibilità e ignoranza si trasformano facilmente in cinismo, un paradiso per politici e sedicenti artisti miliardari. E’ il denaro infatti, null’altro, il segno di distinzione. L’amore è della specie descritta da Sant’Agostino: “Ci amiano come si ama il cibo: per consumarci.
La logica è un prodotto della filosofia scolastica ellenistica, una teoria che si richiama all’indagine filosofica del passato. Quando ci affanniamo a definire logico un determinato argomento spesso confondiamo logica con ciò che è stato accettato, con quello che per noi è un pensiero abitudinario. Per questo resta vago il concetto di intuizione. Cosa significa intuizione? Un concetto che presume qualcosa di cui manca la definizione semantica, intuisco qualcosa non su basi logiche. Kant lo dice con estrema chiarezza nell’introduzione alla logica. In ogni conoscenza bisogna distinguere materia e forma, solo in questo modo conosciamo l’oggetto. Essere significa essere definito, significa cioè una limitazione di quello che i Heidegger definisce l’Ente. La definizione offre una rappresentanza, che è compresa nel fondamento della possibilità affinché io sappia da dove proviene. La definizione in senso proprio è ciò che noi consideriamo reale. Nel Medioevo questa definizione reale si riferiva a delle questioni di carattere anche metafisico oggi ciò non è più condiviso, appartiene alla trascurata cultura del passato. Ciò che caratterizza e contraddistinguono ogni definizione, non gli unici, appartengono ad elementi che marcano la differenza specifica, tali elementi guidano la formazione del concetto che diviene praticabile. Porfirio, nella sua introduzione ad Aristotele, sostiene che la definizione attiene a cosa conosciuta, nel senso che l’uso del linguaggio non può non seguire un percorso di conoscenza acquisita. Boezio ha affrontato il tema in un libro diventato un testo canonico del Medioevo sulle questioni logiche, egli ha aperto la cosiddetta disputa sugli universali. Noi oggi procediamo utilizzando vecchi criteri adattandoli al presente però in modo estremamente improprio, trascurando origine e tradizione. Nel gergo scolastico i concetti sono nozioni, intenzioni, la nozione è il concetto che implica una determinata dimestichezza con la cosa che s’intende, con la quale abbiamo familiarità. L’intenzione implica di mirare a qualcosa, intendere qualcosa, volere qualcosa, esprimere qualcosa. La struttura essenziale del concetto è il termine che si manifesta nell’intenzione, quindi il concetto della cosa è inteso, in maniera tale che ciò che vi è in essa sia compreso e raccolto. Questo ovviamente non sempre avviene perché il nostro procedere per stereotipi linguistici spesso risulta deviante ai fini di una corretta manifestazione di un’idea, basta vedere ciò che avviene nell’arte. In assenza di una conoscenza che dovrebbe essere propedeutica all’arte stessa. Quando imparo qualcosa dispongo di qualcosa che è già dato, non invento nulla, mi approprio di un dato noto. Posso al più approfondire qualcosa che già esiste, già conosciuto. Moltissimi intellettuali sembrano avere la pretesa di inventare, in realtà procedono per rimasticature e luoghi comuni. Così per gli artisti, non inventano nulla non creano nulla, la cosiddetta l’intuizione è semplicemente ciò che lega i nessi di un sapere che già ha una forma concettuale e si manifesta, si mostra e ci mostra il senso di ciò che sappiamo, di ciò che riteniamo di avere capito.
Il processo economico e produttivo è nato dalla necessità e dello stimolo della sopravvivenza, perseguito per raggiungere una vita migliore. Per far questo è stato gioco forza l’appropriazione della natura e dello sviluppo produttivo con conseguenze nefaste per l’eco-sistema. L’evolversi del sistema produttivo ha inciso in misura notevole anche su comportamenti e la cultura. Il progresso della scienza ha eliminato superstizioni e tabù, ma ha anche impresso alla società una buona dose di spregiudicatezza, l’aspetto materiale ha assunto un ruolo dominante. L’istituzione politica ha esteso il controllo in ogni ambito sociale dando vita ad una sorta di democrazia “formale” . La produzione artistica ha subito l’influsso economicistico adattandosi sia nelle forme produttive che alle modalità del mercato divenuto deux ex machina del sempre più complesso sistema dell’arte. La critica, diventata megafono del mercato, è andata banalizzandosi nella misura in cui si espandeva con articoli su giornali ed un profluvio di pubblicazione libraria, si abbassato il livello generale dell’informazione dell’arte. L’arte ha per così dire, preso sempre più le distanze dal naturalismo, scimmiottandone alcuni aspetti, ha perso soprattutto le caratteristiche che la distinguevano dalla scienza. Attribuiamo alla scienza la proprietà di ’elaborazione del pensiero astratto in vista di un fine pratico. Al contrario l’arte si realizza attraverso un sapere pratico in vista di un fine astratto, cioè il significato dell’opera è necessariamente autoreferenziale, non porta alla concretezza di un fine. L’arte non si usa, si ammira. Da tempo l’arte ha perso la su caratteristica descritta da Kant nella Critica del Giudizio. Non è più realizzata senza fini di lucro, non è più volta a realizzare la mimesi della natura. Al contrario l’arte ha essenzialmente a fini di lucro. Gli artisti sono coinvolti in un vero e proprio processo produttivo per rispondere alle esigenze del mercato. Se anche è possibile che l’artista coltivi determinate idee originali, suo malgrado costretto a produrre opere che rientrano, per così dire, nella produzione seriale di massa. E’ surreale che artisti, pur consapevoli di essere imprigionati nella camicia di nesso del mercato, ritengano di realizzare opere che, nelle loro intenzioni, danno forma a concetti. Quando l’arte si avvale della tecnologia, è come se rinnegasse se stessa. In questo senso è paradossale che il l’industria cinematografica venga definita la settima arte. Il cinema è sempre più orientato a rinunciare alla recitazione di attori in carne e ossa, ricorrendo a cartoni animati, effetti speciali, strumenti tecnici di vario genere. La produzione della settima arte bastava una cinepresa, attori, regista. Oggi la produzione cinematografica è estremamente complessa e costosa. Produce a ritmo serrato per miliardi di persone che 24 ore su 24 seguono televisione, cinema, informazione documentata da immagini. In queste condizioni è possibile, anzi necessario, perfezionare la qualità tecnica, non vi è più tempo, e forse neppure interesse, a curare i contenuti, a mantenere la qualità della produzione. Il cinema si è piegato alle esigenze della produzione, come è accaduto per l’arte.
Nel 1956 Sellars scrisse “Empirismo e filosofia della mente”. Un tentativo di caratterizzare gli eventi mentali come costrutti esplicativi che svolgono un ruolo nel nostro schema concettuale in virtù della loro utilità descrittiva. Sellars tentava di scalzare la tesi secondo cui la conoscenza dei propri eventi mentali è intrinsecamente privilegiata e pone un ostacolo alla scoperta empirica che gli eventi mentali sono neuronali. Il materialismo ha guadagnato larghi consensi negli anni Sessanta, le questioni sollevate dalle pretese ideologiche del naturalismo rimanevano fortemente controverse. Putnam sollevò una grave obiezione alla teoria dell’identità di tipo del genere reso popolare da Smart. Putnam rilevò come sia implausibile che una sensazione come il dolore sia identica a un unico stato neuronale in tutti gli organismi che provano dolore, considerata l’enorme diversità delle fisiologie. Egli inoltre osservava come sia altrettanto implausibile pensare che ogni dato tipo di pensiero, per esempio, il pensiero che tre x tre fa nove o che la situazione attuale è pericolosa, sia realizzato dallo stesso stato fisico in ogni essere pensante. La teoria dell’identità di tipo sembrava insostenibile non solo considerando la possibilità di esistenza su altri pianeti, le varietà di animali superiori, fino ad arrivare alla possibilità dei robot pensanti, ma soprattutto in ragione della plasticità del cervello. Gli stati mentali sembrano essere multirealizzabili, realizzabili cioè in modi diversi. Queste teorie filosofiche furono alla base dello sviluppo di alcune correnti artistiche. La body-art, con esperimenti sulle possibilità di reazione al dolore del corpo umano. L’effetto sulla stessa plasticità del corpo sottoposto a eventi che mettevano alla prova la resistenza fisica e la sopportazione di condizioni particolarmente critiche. L’ambiziosa pretesa di dare forma plastica a valori concettuali è stata in gran parte frustrata dalla approssimazione culturale dell’approccio. Così come il tentativo di usare il corpo umano come “oggetto artistico” in molti casi è stato travolto dalla deriva pornografica. Restano comunque validi tutti i presupposti anche se attendono chi sappia darne una convincente realizzazione. Per esempio l’esperimento effettuato in California, che consisteva nel tentativo di “smaterializzare” l’opera d’arte, e/o creare un’opera collettiva. L’esperimento avveniva in questo modo: un gruppo di non più di 10 artisti ascoltava la mia voce fuori campo che esponeva la dettagliata idea di un’opera d’arte. Ogni artista, partendo dall’imput ricevuto realizzava un’opera. Curioso osservare come, avendo lo stesso riferimento vocale, ogni artista realizzava un’opera diversa. L’opera non era costituita dal singolo lavoro, ma dall’insieme dei lavori, dal momento che tutti partivano dalla stessa idea da me suggerita. Mi era parso un modo efficace per realizzare un’opera collettiva, consentire un confronto diretto sui diversi modi di concepire una stessa indicazione teorica espressa in forma vocale diretta. In questi miei esperimenti alla UdC riscontravo una grande disponibilità mentale degli artisti a percorrere il tracciato di una utopia progettuale da me pensata e da loro realizzata in perfetta sintonia mentale. Ogni opera era frutto della creazione di forme che scaturivano da una sensibilità assolutamente individuale. Malauguratamente il fattore economico ha finito per prendere il sopravvento sulla ricerca teorica disinteressata. La materializzazione dell’arte, il logo personalizzato, erano condizioni richieste dal mercato per poter impostare le operazioni di marketing. Il risultato oggi lo abbiamo sotto i nostri occhi.
E’ in corso una mostra a Genova con la quale Germano Celant celebra se stesso. Nel sottotitolo dell’articolo che recensisce la mostra è scritto: “ Mezzo secolo fa un movimento rivoluziona l’Estetica. ≤ creare diventa un lavoro in cui ci si sporca le mani≥”. Intanto l’arte povera non rivoluziona nulla, semplicemente segue la scia di Dada e Fluxus , inoltre non vi è affatto l’utilizzo delle mani, sia perché abbondano i ready made e la fotografia, sia perché molte delle opere si avvalgono dell’ apporto di specialisti che non sono artisti, pensiamo all’uso abbondante di neon. L’arte povera quindi si limita a riprodurre le cifre dell’arte che hanno accompagnato la produzione artistica dell’ultimo secolo. L’arte contemporanea si riduce a produrre un dettaglio, ricorre al riciclo sotto specie di ready made. Esaminiamo le opere che illustrano l’articolo su citato. Opera di Jannis Kounellis, senza titolo, del 1960, costituita da una tela con segni indecifrabili e numeri. L’opera di Pino Pascali, titolo “coda di delfino” 1966, rappresenta una sagoma di pesce abbozzata. Giovanni Anselmo, titolo “Torsione” 1968, appare una croce rovesciata, simili a un piccone. Michelangelo Pistoletto,titolo “lui e lei” 1968, rappresenta un uomo e una donna di fronte che si guardano negli occhi. Di Mario Merz è presente il ben noto igloo con luci al neon, titolo “Object rache” 1968-1977. Luciano Fabro esibisce la classica immagine dell’Italia, titolo “Nazione Italica” 1969. Segue Pier Paolo Calzolari che espone un’opera in cui è raffigurata una sedia sovrastata da una scritta al neon,anno1970. Giulio Paolini presenta un nudo di donna in gesso, reperibile in qualunque gipsoteca, su di un cubo, titolo “1 e 2 come gli orienti sono due” 1970. Alighiero Boetti presenta una carta geografica, titolo “Mappa” 1989. Infine Giuseppe Penone, la cui opera raffigura quello che appare un albero secco con rami, titolo “Pelle di foglie” 2005. Mi sono dilungato nella descrizione, spero sufficientemente precisa, delle opere nell’impossibilità di presentare le immagini. Mi astengo dall’indicare le quotazione che sono indicate in calce alle opere stesse, il costo non costituisce una eccezionalità, tanto più dopo la quotazione esorbitante dello squalo in formaldeide di Damien Hirst, la rana crocifissa di Martin Kippenberger , il lampadario costruito con tampax di Joana Vasconcelos. Non mi pare oggi esistono più spazi per le provocazioni, anche se resta insuperato Piero Manzone con i suoi barattoli di merda quotati 20000,00€. Non resta che prendere atto che l’arte si è arenata in un cul-de-sac del non senso. Avendo puntato tutto sulla provocazione, l’arcinoto “épater le bourgeois” , in realtà non ha provocato nessuno, tutte le opere sono state prontamente assorbite dal mercato. All’arte non è rimasto spazio per ulteriori azzardi. In questi ultimi anni, a parte l’arte femminista che persiste nell’usare il corpo, la gran parte degli artisti, abbandonati gli schemi Dada, Fluxus, Arte Povera, si è rifugiata nel ludico tecnologico, nel citazionismo digitale. La lunga agonia dell’arte prosegue, tenuta in vita, per ragioni di lucro, dall’accanimento terapeutico del mercato.