Goalkeeper, 1976
Nel continuo borbottio che è oggi la cultura contemporanea, pare emergere una asettica accettazione della kantiana “cosa in sè” avversata da Hegel. Dove la cosa in sè si riduce a una serie di icone prodotte da chi, dopo aver messo in discussione i cosiddetti stereotipi della cultura e dell’arte, li ha semplicemente sostituiti con riferimenti iconici di basso profilo. Il profluvio di articoli e libri sull’arte sembrano seguire la coazione indicata nella “Colonia Penale” di Kafka che consiste nel continuare a parlare laddove nulla si può dire, così capovolgendo il monito di Wittgenstein. Il linguaggio dell’arte, un tempo detta figurativa, non sembra essere in grado di esprimere la propria narrazione. L’artista che intende imprimere il proprio segno sulla tela da sempre si affidato a una certa casualità. Si narra un aneddoto sul pittore Apelle, il quale, frustrato dalla impossibilità di dipingere la schiuma che usciva dalla bocca del cavallo rappresentato nell’opera che stava realizzando, al culmine dell’ira, gettò la spugna intrisa di colori contro il quadro incompiuto, ne ottenne con stupore l’effetto desiderato. Ecco dunque che le riflessioni logico-dialettiche sono spesso del tutto immaginifiche. L’idea espressa da Gadamer che l’arte esprima un attimo di verità andrebbe forse riconsiderata alla luce del caso che ha una parte non secondaria nella creazione artistica come nella scienza. La filosofia della natura e la biologia contemporanea hanno ampiamente dimostrato quanta parte abbiano il caso e la necessità come recita il libro di Jacques Monod pubblicato nel 1970. La voragine del non senso travolge anche Hegel. In un recente libro pubblicato da Einaudi, si arriva a ipotizzare che Hegel abbia in qualche modo profetizzato l’avvento di Andy Warhol, il celebre grafico pubblicitario, considerato dalla critica d’arte un artista.
Che ne è del concetto di simbolo espresso dall’opera d’arte? Schelling sintetizza l’inadeguatezza di talune forme allegoriche con le quali l’arte intende esprimere una coscienza mitica. Cassirer ha affrontato il tema in un ampio trattato sulla “Filosofia delle forme simboliche”. Il simbolismo estetico oggi non ha più diritto di cittadinanza in un’arte che ha ripudiato l’estetica, inconsapevole dell’abissale contraddizione con se stessa. L’arte non dovrebbe esprimere una rigida contrapposizione tra il concetto di simbolo come qualcosa che si è sviluppato all’interno di una cultura che conservava carattere antropologico, e l’allegoria associata a un freddo intellettualismo. La base dell’estetica dell’ottocento era la libertà dell’attività simbolica del sentimento, il che non significa esprimere verità, sia pur limitata alla tradizione mistico-simbolica, ma semplicemente stati d’animo, sensazioni, impulsi che però hanno alla base una maturazione culturale che consente un’apparente spontaneità e immediatezza. Dovremmo renderci conto che questi problemi costituiscono la base stessa dei concetti estetici rinunciando ai quali resta soltanto una sorta di navigazione a vista. L’ inoltrarsi su un terreno inesplorato senza capacità di reperire le tracce di un passato che costituisce ragione e materia culturale nella quale l’arte trova il proprio humus e la propria giustificazione d’essere. L’alternativa è attribuirsi una totale autoreferenzialità. E’ quanto è accaduto con le avanguardie storiche. Alla base di tali atteggiamenti vi è la presunzione di creare non solo l’opera, ma anche il contesto nel quale l’opera si radica. Il Paralogismo che ha ispirato l’operazione distruttiva ha portato al fallimento. Purtroppo il milieu culturale che costituisce il megafono del mercato non accetta, o forse non vede, come l’arte sia ridotta in gran parte a camp, affidata a tycoons avventurosi che la tengono in vita l’arte attraverso il mercato sicuramente senza porsi preoccupazioni di carattere estetico e/o filologico. Lo stesso concetto di coscienza estetica è diventato problematico, e quindi anche il punto di vista dell’arte da cui esso parte. Non credo si possa mettere in dubbio che la deriva dell’arte è stata provocata dall’abbandono della coscienza estetica .
Il pensiero unico mette in primo piano femminismo,immigrati, omosessuali. Un Governo viene giudicato in base al numero di donne che include. La scena internazionale da mesi è occupata dalle denunce di molestie. Il Festiva di Cannes ha visto un’altra manifestazione di potere femminile. In questi giorni, cercavo informazioni su Art Basel , ho scoperto che tutti i referenti sono donne. Fame nel mondo, criminalità e uso di stupefacenti da parte dei minori abbandonati a se stessi, situazioni drammatiche di salute e povertà degli anziani, crollo delle nascite. Tutte questo è appena accennato dai media. In questo momento i tg e giornali italiani mettono in primo piano le condizioni di locazione “Della casa delle donne” di Roma. Che il mondo dell’arte sia ormai di dominio femminile è un dato di fatto sul quale ci siamo soffermati più volte. L’arte al femminile ha sempre il corpo come protagonista, una sorta di svilimento ulteriore della già tristissima situazione dell’arte contemporanea. Il femminismo vuole riscrivere la storia spesso senza conoscerla. E’ breve l’elenco delle filosofe prima che il femminismo irrompesse sulla scena dando spazio a tematiche di genere, quasi sempre con risvolti sessuali come avviene nell’arte. Platone parla di Diotima, l’amante di Pericle, Aspasia la compagna di Cratete, Ippacchia nel giardino di Epicuro. Ipazia d’Alessandria che non ha lasciato neppure un rigo scritto. Tutte queste donne parlavano la lingua della pura emozione che, tradotto, si riduce al solipsismo del corpo, ieri come oggi caratteristica saliente femminile. La cultura sociale europea ha trasferito in ambito giuridico le ambizioni femminili. I privilegi dell’aristocrazia medioevale femminile sono tradotti oggi in codice di famiglia e agevolazioni sul piano penale e civile. Gli impulsi sessuali spesso si sublimano in opere letterarie. Jumel de Barneville, baronessa d’Aulnoy, con la sua favole dell’uccello azzurro. Mme de la Guette che teorizzò l’economia libertina rappresentata meglio da Ninon de Lenclos, centrata sul valore dell’emotività contro la ragione. Libera all’interno del proprio potere sociale, la donna può giocare su molti tavoli. La seduzione come strumento di conquista del potere è diritto acquisito, a prescindere dalla non dichiarata inadeguatezza intellettiva. Il dominio femminile si realizza facendo strame, quando è necessario, di consuetudini e norme etiche. Rousseau è estremamente critico nei confronti delle donne che dominano i salotti nel ‘700, luoghi nei quali si esercita il potere. Mme de la Fayette, Mme de Sévigné, Mlle de Scudèry, le cosiddette Preziose, precorrono il femminismo. Mme de Lambert, scrive un saggio sull’amicizia. Nell’elaborazione teorica della specificità femminile si azzera il valore dell’etica, in favore di una libertà soprattutto sessuale. La prima donna che ebbe la cultura come guida era l’allieva prediletta di Montaigne, Marie de Gournay. Anche l’ambiziosa Mme du Chàtelet, modello di egoismo ed egocentrismo individuale conduce i suoi giochi di potere all’interno di una società nella quale la donna domina senza apparire. Mme de Staèl sviluppa la passione per la filosofia di Sophie de Groucy, moglie di Condorcet, si richiama a Rousseau come a un maestro migliore dell’ambiguo Voltaire. Ma non esiste solo la conquista del potere con mezzi soft, la storia è ricca di episodi nei quali emerge a tutto tondo la natura femminile. Troppo numerosi gli episodi perché sia possibile farne anche solo l’ elenco , alcuni davvero esecrabili. Nel 775 d.c. Costantino V, detto il Copronimo, muore, suo figlio Costantino VI è ancora un bambino , sua madre Irene diventa imperatrice reggente. Quando il figlio reclama il potere lei lo allontana e gli fa cavare gli occhi. Quando l’imperatore Teofilo il 21 gennaio 842 muore, la moglie, Teodora, diventa reggente del figlio Michele III, lo seduce per mantenere il potere. Il figlio riuscirà a ottenere il trono ma sarà un uomo distrutto, verrà ricordato come Michele l’Ubriacone. La filosofa Ipazia, oggi icona del femminismo, riceve profferte amorose da un suo discepolo, non trova di meglio che rispondere esibendo un assorbente igienico usato. La storia dimostra che non vi è mai stata una reale sottomissione della donna, il problema si riduce, oggi come ieri, alla condizione sociale e di potere. Già prima di Cleopatra, ex prostituta divenuta regina, è folta la schiera di donne che hanno occupato i vertici del potere quasi sempre attraverso espedienti o usando strumentalmente la sessualità, sono cose talmente note che solo la faziosità femminista ha l’ardire di negare. Oggi non è cambiato nulla, salvo forse una maggior dose di arroganza e menzogne dovute in parte a malafede, ma più spesso a ignoranza.
Se si ha la capacità di resistere alla depressione, può essere interessante considerare i comportamenti di taluni mostri sacri della cultura tutt’oggi celebrati. Massimo Gorky inneggiava ai Gulag comunisti. Nel 1943 Simone de Beauvoir viene cacciata dal ministero dell’educazione nazionale per aver trattenuto rapporti sessuali con una sua allieva. Con lungimiranza Rousseau, Schopenhauer, Nietzsche, Marinetti e molti atri intellettuali esprimono apertamente il disprezzo per la donna. Il 25 Giugno 1984 l’omosessuale Foucault muore di Aids. Nel 1972 Andy Warhol dipinge ritratti cartellonisti, secondo il suo stile, di Lenin e Mao. Cartier Bresson inaugura una serie di foto: “Godo per strada” “Godete qui e ora” . E’ in auge il motto:“vietato vietare”. Questi gli slogan dei “rivoluzionari” degli anni ’70 del secolo scorso. Alla Sorbona, tempio del sapere, circolano indicazioni del genere: “ Non dire più sig. professore, ma crepa stronzo”. Il sesso nelle aule universitarie e nelle scuole è prassi ordinaria. Non sapendo scrivere si ricorre all’affermazione:“L’ortografia è un mandarino”. E’ in atto un crescendo di parossismo “libertario”. La crema della cultura parigina firma una petizione da mandare in parlamento con la richiesta di abrogare la legge che vieta la pedofilia. I firmatari sono: Althuser (che assassinerà la moglie e finirà in manicomio), Aragon, Barthes, Beauvoir, Chatelet, Chèreau, Bory, Cuny, Deleuze, Derrida, Dolto, Jean Pierre Faye, Gavi, Gluckmann, Guattari, Daniel Guérin, Guyotat, Jacques Henric, Hocquenghem, Kouchner, Jack Lang, Lapassade, Leiris, Lyotard, Mascolo, Matzneff, Catherine Millet, Ponge, Olivier Revault, d’Allonnes, Robbe Grillet, Christiane Rochefort, Daniel Sallenave, Sarte, Schérer, Sollers…..Chi lo desidera può cercare le opere dei singoli autori. Ovviamente è solo l’elenco di intellettuali francesi che non sono dissimili dagli intellettuali del resto del mondo. Il manifesto citato è uno dei tanti “manifesti rivoluzionari” in auge negli anni ’60- ’70 che tutt’ora sono uno strumento di diseducazione di massa usato abitualmente dalla sinistra. Gli intellettuali elencati sono considerati grandi maitre a pense, i loro testi hanno “educato” le generazioni che oggi sono al potere, e continuano tutt’ora a influenzare le giovani generazioni. Nessuno ha più il diritto di stupirsi di ciò che accade. Il tramonto dell’occidente vaticinato da Oswald Spengler è pressoché compiuto.
Immagine del Lampadario fatto con Tampax di Vasconcelos
Nella società contemporanea ci sentiamo così evoluti da poter fare a meno di educare i nostri figli. Oggi l’educazione consiste generalmente nel sostenere l’assoluta libertà: “tutto è permesso”. Bambini sono educati a pensare che sia loro possibile ogni cosa, li esponiamo ad avere amare delusioni. L’89% del personale della scuola è femminile. Agli alunni non è impartita una guida ragionevole ed una educazione civica. E’ evidente l’incapacità delle insegnanti e dei genitori, la madre sempre prevalente, di inculcare sani principi ai propri figli, per la semplice ragione che loro stessi ne sono privi. Gli antichi, in particolare i greci, hanno affrontato il problema dell’educazione elaborando una cultura che prevedeva la cura di se, nel senso più ampio di dominio dei propri primordiali impulsi. Oggi vi è una sempre più evidente manifestazione di superficialità, incapacità pedagogica, il rifiuto di ogni riferimento etico, visto come un reazionario principio del passato. Platone nell’apologia di Socrate tenta di indicare le forme attraverso cui è possibile accrescere non solo la propria conoscenza ma il dominio di se. Tema ripreso e sviluppato dalla filosofia stoica. L’arte della politica non può consistere semplicemente nel condurre al pascolo i bipedi di una razza incrociata, sprovvisti di piume e di corna(?). Nella gestione del potere la tirannia è possibile quando viene meno la capacità di controllo di se, in quel caso ci si trasforma in gregge. Colti dall’ euforia di una libertà fittizia, liberi di abbandonarsi ad eccessi di ogni genere, privi della capacità di decidere il corso della nostra esistenza. Noi contemporanei, forti dei progressi della scienza e della tecnica, riteniamo di poter abolire ogni residuo riferimento naturale, ovvero, volgere al naturale gli aspetti particolari e secondari come ad esempio, la promiscuità sessuale. L’arte registra tutto questo. Per una puntuale constatazione non è necessario far ricorso a particolari ricerche, basta esaminare i cataloghi delle aste contemporanee dove trionfa la cosiddetta arte femminista. Vi sono esposti corpi che non lasciano nulla all’immaginazione. Vagine non proprio vergini, corpi esposti nelle forme che forse, artiste e modelle, considerano seducenti e accattivanti, ma che in realtà fanno il verso alle comuni macellerie. Ovviamente tutto avviene all’insegna della “libertà di espressione”. Non è chiaro se i corpi dovrebbero costituire critica a determinati comportamenti, ovvero esaltazione degli stessi. E’ una distinzione di lana caprina che non modifica e non facilità l’ermeneutica dell’oggetto. Quando si legge “l’arte è un momento di verità” (Gadamer) è difficile capire se si tratta di carenze informative e cos’altro.
Opera di Hermann Nitsch Senza Titolo 2001
Prima ancora di soffermarci su determinate teorie “filosofiche” , forse dovremmo interrogarci sul perché uomini e donne, che si suppongono dotati di intelletto e di cultura, siano attratti da quelle teorie. Altrettanto utile sarebbe approfondire da dove traggono la loro ispirazione personaggi come Donatien-Alphonse-Francois de Sade, Leopold von Sacher-Masoch, Bernard de Mandeville. Tutti soggetti che hanno ottenuto grande attenzione, in molti casi ammirazione e seguaci soprattutto tra gli intellettuali, ma non solo. Trascuriamo le forme estreme di depravazione teorizzata ed applicata, soffermiamoci brevemente su Bernard de Mandeville. Di origini olandesi, di professione medico la sua opera più nota è: “Favola delle api”. Pubblicata per la prima volta nel 1705 celebrava il self-liking, derivazione del self-love che verrà ripreso ed enfatizzato in forma diversa dalle filosofe femministe tre secoli dopo. L’obiettivo non dichiarato, verso il quale muove la critica Mandeville, è il moralista inglese Shaftesbury. Il significato dell’opera di Mandeville è quello di separare l’analisi della produzione di ricchezza dalla moralità. Si potrebbe dire che,molto più di Max Weber , Mandeville giustifica e incarna lo spirito del capitalismo.”Io ho chiamato predilezione per se stessi, dice Cleomene, portavoce del punto di vista di Mandeville nei dialoghi con Orazio, maschera di Shaftesbury, il grande valore che ogni individuo attribuisce alla sua persona, all’alta stima di se stessi. Ma Mandeville si riferisce esclusivamente alla sua classe, egli sostiene che i poveri vanno mantenuti ignoranti perché la conoscenza amplifica i desideri. I poveri devono accettare la loro vita, lavori duri un salario che impedisca loro di morire di fame. Nulla più Secondo Mandeville: “ l’uomo non ha bisogno di vincere le sue passioni, anche le più abiette, è sufficiente nasconderle”. “La favole delle api” con le brutali teorizzazioni che contiene, è stata ampiamente superata. Oggi non è più necessario nascondere le passioni più turpi, lo stesso potere si preoccupa di omologarle. Potremmo forse dire che Mandeville più che un filosofo è stato un profeta. La società di oggi realizza tutte le sue teorie,anche se rifiuta l’esplicita affermazione di Mandeville sui poveri, sostituendola con una serie di finzioni. Gli ultimi della scala sociale sono fintamente rispettati, ma il potere, con subdoli artifizi, crea le condizioni di precarietà e disagio. Favorire l’arrivo di disperati in singole nazioni, avvantaggia chi cerca manodopera a basso costo, rende più diffuse e quindi istituzionalizza povertà e disordine sociale. Il cinismo dell’essere umano ha trovato nel capitalismo la sua espressione più compiuta. Marx è stato solo un episodio della storia, sepolto dallo spesso strato di egoismo, in questo Mandeville ed Adam Smith, avevano ragione. Chi anima la società e muove il mondo oggi più di ieri sono il cinismo e il vizio.
Capita sempre più raramente di incontrare persone felici. Quasi tutti vorrebbero essere altro da ciò che sono. Vivere un vita diversa da quella che vivono. Forse non hanno consapevolezza che ciò che desiderano essere è spesso peggio di ciò che sono. Vi è una lunga schiera di filosofi, moralisti, libertini, ciascuno sembra avere la ricetta per una vita felice. Difficile essere all’altezza dei propri sogni, anche perché spesso quelli che consideriamo sogni sono in prevalenza desideri concreti, materiali. Prigionieri di noi stessi , concentrati su noi stessi, assorti su noi stessi. I greci hanno creato miti che sono altrettanto metafore dal valore perenne. La società contemporanea è posseduta da un conformismo desiderante la cui cifra è ben espressa dal mito di Tantalo. Nessuno è all’altezza dei propri sogni e così sceglie quella che considera concretezza ma in realtà è rassegnazione. Il mito di Sifilo esprime l’incapacità di sottrarci alla coazione a ripetere. Il masso rappresenta la materialità a cui non sappiamo sottrarci. La fatica di vivere finisce per essere la frustrazione che deriva dal non possedere. E’ lontanissimo da noi l’insegnamento di Diogene Sinope, inconcepibile accettare la povertà della sua esistenza. Cerchiamo scuse per la nostra infelicità. La nostra mente non ha altri limiti se non quelli della nostra sensibilità e intelligenza. Non è quindi la vera libertà che ci manca, piuttosto l’incapacità di realizzare noi stessi tenendo a bada gli impulsi del corpo per liberare i nostri sogni. Non è un caso che il sostantivo “spirito” sia pressoché espulso dal lessico moderno. Il mestiere di vivere del quale scriveva Cesare Pavese, e che lui non ha saputo apprendere ponendo fine alla propria vita, si è ulteriormente ingarbugliato per gli innumerevoli strumenti di distrazione che la contemporaneità ci offre. Non è più attuale l’affermazione di Shakespeare: “siamo fatti della stessa sostanza dei nostri sogni”. Semplicemente non abbiamo più sogni ma solo una continua ansia desiderante che giustifichiamo e coloriamo in vario modo.
Forse non dovremmo stupirci se il mondo dell’arte si affida ormai a una sorta di trovarobato tra ready-made e recupero di oggetti strani di ogni genere. La trasformazione della realtà attraverso l’uso delle parole ha reso tutto possibile. Dopo il postmoderno e la post verità, siamo arrivati alla post ignoranza. Su riviste, libri, inserti culturali, si leggono sequele di truismi e banalità. Non c’è più spazio per lo stupore. Il professor Cipolletta, nel libro “Allegro ma non troppo”, segnalava che la popolazione aumenta, l’intelligenza resta costante. Per supplire, la scienza inventa l’intelligenza artificiale, forse per la difficoltà di sviluppare l’intelligenza naturale. I media costituiscono una rassegna di assoluta insignificanza e volgarità. Usiamo parole delle quali non conosciamo il significato. L’espressione cinismo ha assunto un significato esattamente contrario a quello della filosofia cinica da cui scaturisce. Antistene, Diogene Sinope, Epitteto erano i maggiori esponenti di quella corrente filosofica. Nell’uso comune, cinismo è qualcosa che concerne disinteresse delle persone mirare ai propri interessi. In realtà i cinici proponevano una vita semplice, essenziale. I Cinici anticiparono di 2300 anni le regole che saranno state adottate da alcuni ordini monastici. Avevano come unica proprietà un mantello che serviva anche da coperta quando dormivano dove capitava. Mangiavano ciò che trovavano. Perché si usa la denominazione di “cinico” in senso diametralmente opposto al significato? La manipolazione del linguaggio è lo strumento per divulgare tesi decettive, in coerenza con il pensiero unico. Il linguaggio verbale e visivo si presta alla creazione di mitologie fatue, icone che sono l’opposto di una vita sana. Tra l’altro è paradossale l’adozione del temine “Icona”, una immagine religiosa di origine bizantina, adottata anche dalla chiesa ortodossa russa. Oggi è una icona una attrice pornografica, un cantante omosessuale, un trans gender noto nell’ambiente mondano. Assistiamo a un decadimento umano e culturale davvero penoso. Nel nome della “libertà” dei così detti “diritti individuali” tutto è non solo accettato, ma celebrato. Gli effetti collaterali, sono disordine, maleducazione, violenza.
Nell’evoluzione, o involuzione, della cultura così com’è andata articolandosi nel corso dei secoli si è finito per perdere di vista ciò che costituisce l’essenzialità della nostra esistenza disperdendo significati e scopi in una quantità di rivoli che non nutriti dalla fluidità della fonte presto inaridiscono. Allora forse è utile ritornare agli antichi, quando la semplicità della vita rendeva tutto molto più semplice. Ogni tentativo di collegarsi a una linea evolutiva naturale finisce per scontrarsi sulla necessità di stabilire norme necessarie alla vita civile. L’insorgere della ragione nella coscienza attua in modo diverso il principio animale dell’autoconservazione, l’ equivalente dell’amore di sè non è detto si evolva in estensione progressiva in amore per gli altri ma può solo essere sostituito da una più consapevole e adesione a sè in quanto esseri razionali capaci di produrre criteri universalistici, dai quali scaturisce anche la giustizia. Su questa discontinuità, Zanone aveva fondato la preminenza normativa del saggio che si pone a confronto con la collettività. La sua politeia, scritta secondo i malevoli sulla coda del cane, cioè in odore di cinismo, poteva apparire paradossale, rivoltante solo a chi non comprendesse il rigore perfezionistico che la fondava. Incesto e cannibalismo non sono per natura, come non lo è qualunque norma confezionata dagli uomini. Solo dopo una valutazione razionale adeguata alle circostanze. In altre parole la fondazione di una civiltà presuppone delle regole che vanno osservate pena il ritorno alla condizione primitiva. In un mondo in cui tutto è precario, gli stessi piaceri sono ansiosi, inquietati da timori di ogni tipo, la saggezza si misura sulla garanzia di stabilità che riesce a dare, sulla capacità di tenere a freno gli innumerevoli modi di sprecare la vita che gli uomini inventano cedendo alle loro passioni. La felicità è un corollario, un fine che reca in sè la radice dei turbamenti. Più si ricerca con affanno la vita felice, più ci si perde nella nebbia di desideri confusi che inducono in errore. La ricetta di Seneca per la vita felice fa perno sulla virtù, secondo i canoni più rigorosi dell’autosufficienza stoica. Il sommo bene e l’esercizio della volontà che permette il controllo di sè, la possibilità di perseguire equilibrio che consente di vivere la vera libertà. Costruire la propria esistenza con un parziale dominio del tempo della nostra vita. Platone ci convince a pensare tutte le cose soggette ai sensi che si eccitano, ci attirano, non hanno una propria realtà è una conferma dei molti altri motivi per cui occorre cercare in sé il senso della vita. Seneca a un certo punto accetta l’idea platonica di uno spazio contemplativo. La dottrina Stoica vede il corpo come se fosse un involucro. Verrà il giorno che si staccherà. Il legittimo desiderio di felicità dovrebbe indurci a dare valore alla nostra vita nella sua interezza. Marco Aurelio si esprimeva su com’è importante imprimere bene nella mente la realtà. A proposito dei cibi delicati,di bevande raffinate, nutrirci di un cadavere di un pesce o di un uccello, di un porcello. A proposito dei rapporti sessuali diceva che non sono altro che lo sfregamento di un organo e l’eiaculazione un po’ di muco accompagnato da convulsione. Di fronte a questa realtà noi non dobbiamo rifiutare la vita, ma semplicemente cercare nella vita i valori che la arricchiscono, che danno un senso in primo luogo alla libertà vissuta in modo consapevole. Seneca ripete spesso che la libertà inizia dal controllo di noi stessi, non ricorrendo ad una esasperata razionalità, per la quale non tutti hanno sufficiente intelletto, molto più semplicemente auto- educarci all’esercizio della volontà. Sentimento del bene non significa necessario perseguire la virtù assoluta, semplicemente controllare la nostra vita,decidere coscientemente le nostre azioni.
Nel 1972 René Girard pubblicò “La Violence et le sacrè”, indagando tra l’altro la funzione del sacrificio come mediazione nei conflitti sociali nelle società primitive. Le teorie comportamentali tendono a sottovalutare le influenze del corpo attraverso il quale viviamo le nostre sensazioni. La donna è da sempre particolarmente sensibile al predominio del corpo. Molte le opere d’arte femminili hanno il corpo come riferimento diretto o indiretto. Il lampadario fatto con assorbenti presentato alla Biennale 2005 a Venezia rientra nel vasto filone dell’evidenziazione di tutto ciò che attiene al corpo femminile. Opere che non sempre sono in coerenza con le giustificazioni teoriche che le accompagnano. Non è un caso che la body art sia declinata prevalentemente al femminile. Mona Hatoum mostra in un video i movimenti peristaltici del proprio intestino. La francese Orlan si è sottoposta a una serie di interventi chirurgici, effettuati in pubblico come performances. Mai come nella nostra epoca storica è imposta la centralità del corpo. Non a caso la nostra è l’epoca della prevalenza femminile. Quando si parla di emancipazione femminile in primo piano balza la libertà sessuale, il corpo. Anche le donne arabe focalizzano la loro richiesta di emancipazione sul corpo. Un antologia di racconti firmati da autrici arabe ha per titolo “Parole di donna, corpo di donna”. Una prova ulteriore di come la prevaricante cultura occidentale determini e condizioni anche il percorso verso l’emancipazione delle donne di altre culture. Da noi il linguaggio diseducativo della tv è costituito soprattutto d’immagini più o meno erotiche. Comportamenti sociali, sviluppo di strumenti tecnici modificano gradatamente la funzionalità del corpo, un recente studio di scienziati inglesi sembra dimostrare che vi sono parti del corpo umano ormai assolutamente inutili, retaggio del passato. Ma se il corpo si modica, la natura umana, intesa nel senso di pensieri, comportamenti, sensibilità, di quanto è gia modificata? L’antica querelle tra Agostino, il quale sostiene che l’uomo nasce orientato verso il male. La tesi pelagiana secondo cui l’uomo nasce buono ed è guastato dalla società in cui vive. L’idea che abbiamo di noi stessi, ci vieta di considerare la terza ipotesi : l’uomo è un animale la cui intelligenza corregge in parte le sue tendenze naturali, di qui contraddizioni e differenze. Ma in questo come in altri casi l’arte, la letteratura, il cinema, sembrano mettere l’accento soprattutto sul concetto di libertà, sulla possibilità dell’uomo di scegliere il proprio destino. Tesi apodittica. Per secoli si sono confrontati deterministi e coloro che sostenevano il libero arbitrio. L’ambiguità della posizione che tutt’ora permane consente a ognuno di tirare la coperta dalla propria parte. Molte delle suggestioni, stimoli, spunti del dibattito sull’arte, trarrebbero vantaggio se venissero abbandonate posizioni basate sulla convinzione che la libertà consente tutto e il contrario di tutto. se è vero, come sosteneva Pascal che l’uomo è una canna che pensa, per questo superiore a tutte le altre creature, è anche vero che l’uomo pensa soprattutto a se stesso e tenta di sublimare le proprie pulsioni, giustificarle, celebrarle, prima ancora di capirne le ragioni profonde che le determinano.