Goalkeeper, 1976
Vagolando alla ricerca di idee e di successo, Duchamp, il figlio del notaio normanno, nel 1905 approdò a Montmartre e scoprì lo spirito burlone di un gruppo di personale che si definivano “Incoerenti”. Tra questi Emile Goudeau, il quale crea il circolo degli Hydropathes, patronimico per definire una comunità allergica all’acqua, e forse anche alla pulizia personale. Tra questo insolito raggruppamento spicca Jules Lèvy attorno al quale gravita l’accolita degli “Incoerenti”. Lèvy di professione fa il rappresentante di commercio. C’è un detto secondo cui : “Chi non ha ne arte ne parte, apre una galleria d’Arte”. Lévy organizza un’esposizione di disegni di persone che non sanno disegnare. Per 10 anni , dal 1882 al 1893 , lo spirito goliardico, le buffonate, gli scherzi sfrenati animano il gruppo che organizza mostre tenendo fede alla propria ragione sociale. Nel gruppo di Levy troviamo tutto quanto più tardi ritroveremo in Duchamp, giochi di parole, ready-made, monocromi, ed anche i concerti del silenzio che presenterà John Cage. In mezzo a questa fauna scatenata troviamo un altro normanno Alphonse Allais che nel 1883 espone una tela con il titolo: “ Prima comunione di giovani ragazze clorotiche in un giorno di neve”. In realtà si tratta di un monocromo bianco. L’anno successivo presenta: Cardinali apoplettici che raccolgono pomodori sulle rive del Mar Rosso”. E’ inutile dire che si tratta di un monocromo rosso. La stesso astruso surrealismo si ritrova in un altro artista del gruppo che espone:” Rissa notturna di negri in cantina” . In effetti gli “Incoerenti” hanno anticipato molti degli snodi del ‘900. Prima di Yves Klein, di Duchamp e di tutti gli apologeti che hanno marcato “l’Arte” del secolo scorso, inclusa la merda d’artista di Manzoni. Gli Incoerenti esibiscono secrezioni corporee ed esibiscono acquerelli di saliva. In breve, non solo buona parte della cosiddetta avanguardia ha esposte opere che costituivano spregio a tutto ciò che per secoli l’arte ha rappresentato, ma in queste loro esibizioni provocatorie non si imitavano a vicenda, senza ombra di originalità Tutto questo ha improntato buona parte dell’arte contemporanea che, tra ignoranza e carenza di capacità tecniche, continua sulla ripetitiva strada delle provocazioni senza costrutto.
Non pare che la cultura riesca a elaborare temi particolarmente innovativi. C’è un continuo ripescaggio di temi trattati in passato, una grande quantità di testi che riprendono i fili di un discorso interrotto e mai finito. Argomenti come rivoluzione, democrazia, giustizia sono affrontati in ottiche diverse, in astrazioni che alla fin fine risultano inconcludenti. Dopo attenta riflessione ci rendiamo conto che le teorizzazioni trascurano il punto centrale, lo snodo che è la radice del problema: pedagogia. Da qualche tempo è stata messa la sordina la tema della “società civile”, ci si è resi conto che in realtà la società civile non è migliore della politica, di tutto lo snodo nel quale si articola il potere, i cui rappresentanti provengono dalla società. Quando parliamo di società civile quale società ci riferiamo? Esistono due civiltà? Una civile e un’altra incivile? Basta porre la questione perché appaia chiara l’incongruenza di tematiche la cui astrazione non aiuta a risolvere i problemi di una società alla deriva. Quando assistiamo al penoso spettacolo di studenti che insieme agli antagonisti, sono sempre in prima fila in cortei vandalici, incuranti del fatto che sono oggettivamente parassitari della società che permette loro di seguire corsi di studio al termine del quale si aspetta di essere ripagata. La sinistra sostiene quasi sempre che le manifestazioni di piazza sono democratiche, salvo quando scendono in campo organizzazioni di destra. Ipotizzare che la democrazia è il migliore dei sistemi politici, si dice qualcosa di parzialmente vero. Democrazia significa una testa un voto. Ma cosa c’è dentro quelle teste? Sarà il caso di porci il problema? Non è necessario far ricorso a complicanti studi o indagini statistiche per sapere che intelligenza e cultura media sono piuttosto modeste, basta assistere a un programma tv di quiz. Persone che si dichiarano laureate, con parlantina sciolta, non sanno rispondere a domande su questioni elementari, non conoscono il significato delle parole che usano. Questo è il vero nocciolo del problema. L’ignoranza occulta che si nutre di luoghi comuni. Le stesse persone sono informatissime su attori, cantanti, protagonisti della vita mondana. Abbiamo una ministra dell’Università che presenta una laurea falsa e resta al suo posto, che si batte a favore della promiscuità dei generi, mentre non pare avere la stessa preoccupazione per il livello scolastico e soprattutto educativo della scuola. Nessuno si pone il problema del linguaggio, dell’abbigliamento, delle abitudini dei giovani. Le statistiche ci dicono che una gran maggioranza di studenti fa uso di stupefacenti, un gran numero non sa scrivere in modo decente. I giovani vengono istruiti male e non educati. Il mantra è : dobbiamo ascoltare i giovani. In realtà dovremmo semplicemente educarli. Certo, non è impresa facile, specie per una generazione che ha fatto della trasgressione un norma. Il femminismo si è battuto e si batte per la libertà sessuale senza chiedersi il senso e i fini di una promiscuità che pure difende a prescindere. L’arte è sulla stessa linea. Pittura cartellonistica, trovarobato, imitazioni spacciate per citazionismo. Il problema è che una società collassa quando prevalgono egoismi individuali e si incoraggia la stupidità collettiva. Si Continuerà a blaterale di democrazia, libertà, arte, mentre intorno a noi prosegue il degrado, l’insicurezza, la nefandezza socio politica. L’arte dovrebbe lasciare la cartellonistica ai pubblicitari e orientarsi alla sostanzialità semantica del segno. Ma forse pensare che questo sia possibile significa peccare di ottimismo.
Si dice che Marcel Duchamp abbia esitato tra la professione di pittore e quella di umorista. Alla fine pare abbia optato per la scelta di essere un pittore-umorista, certo nemmeno lui si sarebbe aspettato tanto successo. Duchamp nasce in Francia nel 1887 a Blaville- Crevon, figlio di un notaio. All’inizio della sua carriera dipinge con stile che emula gli impressionisti, opere di scarsa originalità e di modesta fattura. Nel 1905, a Montmartre,scopre lo spirito burlone di un gruppo di persone che si definiscono gli “Incoerenti”. Nel 1909 comincia a dipingere secondo lo spirito cinetico e bergsoniano e crea la sua prima opera “originale” che tuttavia si richiama a Boccioni, “Nudo che scende le scale”, realizzata nel 1912 ed esposta all’Armory Show a New York grazie all’l’appoggio della sua mecenate americana, Katherine Sophie Dreier. Nel 1917 acquista in un negozio di servizi igienici un comune orinatoio, modello Bedfordsgire , firma l’oggetto con lo pseudonimo “R.Mutt” e lo presenta in una mostra alla Stable Gallery. In precedenza aveva presentato “Ruota di bicicletta”, un ready-made che, a differenza dell’orinatoio, richiedeva un minimo di manualità. Come abbiamo indicato più sopra, prima della guerra 1915/1918, Duchamp dipinse opere di fattura classica, sia pure di non eccelso livello. Risalgono al 1902 “La chiesa di Blainville” , “Ritratto di Marcel Lefrancois, 1904. Ritratto di Yvonne Duchamp , 1909. “Nudo in calze nere” . 1910, dello stesso anno ritratto del padre dell’artista. Potremmo elencare altre opere dipinte fino al 1911. Va da se che tutte quelle opere passarono inosservate per la scarsa qualità pittorica. Su questo punto la critica d’arte dovrebbe chiarire le ragioni per cui un mediocre pittore, non appena si abbandona alla provocazione diventa immediatamente un maestro. Certo il sostegno della ricca americana Katherine Sophie Dreier ha avuto un peso non indifferente nell’introdurre Duchamp negli ambienti artistici newyorkesi in quegli anni alla ricerca di uno spazio nel panorama mondiale dell’arte. Gli squilionari statunitensi avevano scarsa cultura artistica e molto denaro da impiegare per imporre l’arte americana nel mondo. Duchamp, con la sua modesta dimensione artistica e la propensione alla provocazione era il giusto cavallo di Troia. E’ da notare che negli USA furono attive soprattutto le donne nel promuovere i fenomeni artistici emergenti, oltre alla Dreier sono numerose le donne che promossero l’arte di rottura. Anche il petroliere miliardario John D. Rockefeller diede appoggio ad un arte che, come poi si è visto, era propedeutica alla promozione degli artisti statunitensi. L’obiettivo di trasferire dall’Europa, in particolare da Parigi, il baricentro dell’arte a New York riuscì perfettamente. Oggi l’arte statunitense domina il mercato, peccato che nel frattempo cultura e arte abbiano subito una netta separazione.
Il dono naturale dell’arte così detta bella, deve comunque avere una regola Di che genere potrebbe essere? Sappiamo che l’artista vive, oggi più di ieri, immerso nella realtà del mondo che apprenda la propria arte percepisco i propri stimoli dalla realtà che vive dal tipo di vita che conduce quindi l’artista potrà avere idee che però non nascono nel vuoto come abbiamo molte volte sottolineato i modelli della bella arte l’unico mezzo per trasmettere alla posterità non potrebbe essere diverso da ciò che consiste nel registrare la realtà che l’artista vive ora Il punto fondamentale dell’arte contemporanea non è soltanto che l’artista è eccessivamente forse immerso in una in un sistema che condiziona il suo operare non solo dal punto di vista tecnico il che sarebbe già di per sè piuttosto grave ma anche da un punto di vista sociale Cioè vi è forse un eccesso di mondanità che induce l’artista a seguire il mainstream del momento e cioè per seguire quella che ritiene essere una forma d’arte che intanto posso avere successo sul mercato e quindi debba essere funzionale a una certa idea che è a priori del Lavoro dell’artista celati sta In altre parole non è più colui che crea e che produce delle idee Ma è colui il quale tratta delle idee e le riproduce in modo più o meno omologato dalla realtà che si trova a vivere quindi il genio per fornire una materia dalla propria creatività dovrebbe forse sottrarsi alle cessioni condizionamenti dovrebbe dedicarsi a una ricerca personale oltre che è un perfezionamento tecnico tecnico nel senso che l’arte deve comunque essere prodotta mediante un’azione materiale citrato di scultura di pittura o di qualsiasi altra cosa ora l’artista sembra ignorare questi percorsi c’è la prossima Diva cultura che gli viene trasmessa nelle accademie diventa semplicemente un indirizzo di carattere generale Fermo restando che nelle accademie e vengono come dire celebrati artisti della modernità Cioè credo che coloro i quali il primo anno è l’indirizzo artistico generale siano i soliti americani Warhol Eccesso di condizionamenti che va di pari passo con la modesta preparazione culturale. Ebbi occasione di scrivere che l’artista oggi dovrebbe essere filosofo, non nel senso di pretendere di concretizzare in forma determinati concetti questo non solo fuori luogo ma avrebbe risultati negativi. In primo luogo fossilizzare un’idea. Eidos è per definizione estremamente mobili quindi si si modifica cambia. La pretesa di formalizzare un concetto che rimarrà stabile. L’artista e filosofo dovrebbe essere filosofo in quanto aspirazione in quanto a conoscenza in quanto riflessione che sia oltre la funzionalità della materia che lavora, ma nello stesso tempo non può, non dovrebbe dimenticare gli aspetti concreti del proprio mestiere. Ci troviamo in una situazione paradossale. C’è una sorta di sclerotizzazione sul tema dell’antropocentrismo, l’uomo al centro di tutto. Ma poi vediamo la realtà contemporanea nelle nostre vite e scopriamo il prevale di un cinismo edonistico, lo sfruttamento, anche nella sessualità. Procediamo per espedienti retorici. Nel Iibro “Decadenza” Michel Onfray sottolinea come le forme di depravazione e devianza, le unioni omosessuali, siano diventate una forma di riferimento civile. Si vuole capovolgere la realtà. Dopo un secolo di “avanguardie” restano presenti e attive le Accademia di Belle Arti, solo che le belle arti non ci sono più, non si insegnano più.
La filosofia di questi ultimi decenni sembra più impegnata a creare neologismi intorno ai quali radica a posteriori improbabili articolazioni teoriche, piuttosto che attuare un tentativo di orientamento in un’epoca nella quale domina la confusione. Il post-modernismo denunciando la ragione come fonte dei maggiori danni alla società, di fatto ha favorito la frammentazione personalistica e dato la stura al solipsismo che dilaga in ogni ambito sociale. Abbandonata la ragione l’uomo moderno si chiude nell’ossessione della propria (apparente) identità. Purtroppo non sono molti i filosofi ad avere preso coscienza della realtà, infatti continuano nel loro strabismo storico-filosofico che produce danni. Michel Onfray, nel libro “Decadenza” (Ed.Ponte delle Grazie), a pagina 171 si scaglia contro il concilio di Trento (1545- 1553!?!) reo di aver accettato l’esistenza del libero arbitrio. Inevitabilmente viene tirata in ballo l’omosessualità. Scrive Onfray:”…l’uomo che obbedisce alle pulsioni che lo rendono omosessuale..” Intanto andrebbe chiarito cosa significa “renderlo omosessuale?”. Un conto sono le pulsioni altra cosa è il libero soddisfacimento degli istinti. La sodomia e il lesbismo non sono pensieri, ma atti. Onfray evidenza l’approssimazione ontologica nella determinazione di ciò che è umano. Dovendo essere consequenziali, quando ci si schiera a favore dei cosiddetti “diritti individuali” si sostiene che ognuno deve essere libero di decidere dei propri comportamenti. Si pone la questione: come può decidere del proprio comportamento chi non si considera responsabile delle proprie azioni? Il libero arbitrio, questione discussa per secoli dalla filosofia, significa esattamente la capacità di rispondere responsabilmente delle proprie scelte. Si tratta di far uso della prerogativa più umana, l’esercizio della volontà, la capacità di saper decidere ciò che è bene, ciò che male. Grazie alla schiera di filosofi “post- moderni” come Onfray, la distinzione tra bene e male è stata abolita. Le conseguenze sono visibili nella società contemporanea nella quale è tutto permesso, senza assunzione di responsabilità. Basta accedere alla rete per vedere l’esibizioni di ogni perversione, inclusa la zoofilia. A questo punto appare chiaro che, nell’ansia di rimuove paletti etici, Onfray, con lui non pochi filosofi e intellettuali, riportano indietro di milioni di anni l’evoluzione umana, l’idea che molti intellettuali hanno degli esseri umani è che siano animali incapaci di dominare le proprie pulsioni, controllare i propri istinti. In questo modo, in nome della libertà assoluta, vengono giustificati agli aspetti peggiori, l’uomo zoologico ha il sopravvento sulle conquiste che l’evoluzione umana, ci riporta all’istinto animalesco nei suoi aspetti peggiori.
Prima che la modernità annullasse nella materia ogni sensibilità, la capacità creativa degli esseri umani si esprimeva attraverso faticosi ed entusiasmanti percorsi. Il passaggio tra l’arte romanica e l’arte gotica avvenne con l’accordo e la combinazione delle masse romaniche e della volta a costoloni dell’arte gotica. L’arte romanica appartiene a un ordine assai antico, legato a un lungo passato storico, mentre molto più tarde sono le invenzioni che hanno consentito ai costruttori dell’Ile-de-France da trarre dall’uso del costolone uno stile e le sue conseguenze., fino ai paradossi strutturali del gotico rayonnant. Tale considerazione riceve una singolare conferma dallo studio della scultura. L’immagine della vita umana, quale è rappresentata nelle cattedrali non è nulla oltre ciò che agevolmente possiamo riconoscere come nostro patrimonio. Quando l’uomo ritraeva se stesso e nel segno dell’uomo per l’uomo dava spazio alla speranza, non era necessario arricchire di metafore e concetti il segno. L’arte registra un paradosso mai sufficientemente sottolineato. Man mano che il “progresso” avanza, arretra la speranza, l’uomo è sommerso dalla abbondanza di ciò che produce, crede di avere un dominio sulla materia, si allontana dalla natura, perde la misura di se stesso. Pensiamo per un momento alla metastasi urbana che ha coperto buona parte del pianeta e paragoniamola all’umiltà degli antichi Germani i quali, prima di gettare un ponte tra le due rive di un fiume, attuavano riti propiziatori per chiedere preventivamente perdono per la violazione della integrità del territorio. Ciò che può essere liquidato come superstizione è prima di tutto rispetto della natura. Lo ricorda Hans Jonas nel suo interessante libro “Il principio responsabilità”. L’uomo contemporaneo, tutto preso dal proprio solipsismo che si riduce a pretendere diritti incivili, ignora del tutto la natura, convinto di dominarla. Così l’arte riflette questa follia. Abbandonata ogni utopia progettuale, si affida al segno tautologico di una realtà uguale a se stessa, producendo forme prive di significati simbolici. Esattamente come il “progresso” ha rimosso la fatica della vita quotidiana, l’arte, o ciò che ancora viene indicato con questo sostantivo, si affida alle effimere tracce del costruito, della tecnica. Sarebbe arduo cercare significati iconologici nell’arte di oggi. La qualitatività, la soggettività, e l’unità non sono caratteristiche differenti; sono invece aspetti di una sola caratteristica, questa caratteristica è la genuina essenza della coscienza di se, e del proprio rapporto con quello che sinteticamente e semplicisticamente viene chiamato “mondo”. L’artista non può produrre nulla se non partendo da ciò che ha dentro se stesso, cultura e sensibilità coltivata dentro di se. L’azione volontaria, semplicemente, ha un differente campo di coscienza rispetto a quello della percezione, ma nulla di ciò che penso e costruisco può essere in contraddizione con quello che sono. In questo senso non si può che prendere atto che tutte le cosiddette “cesure” nei confronti del passato, non nascono da un progetto, ma da un rifiuto. Il rifiuto della fatica della ricerca, l’umiltà che ispirava gli artisti del passato, inducendoli a far tesoro di ciò che i loro predecessori avevano realizzato. Mentre il passaggio dall’arte romanica all’arte gotica, dall’arte gotica al barocco sono stati graduali, meditati, d’un tratto l’arroganza dei moderni, ha tutto azzerato, assumendo a giustificazione bizzarre teorie sincretistiche, nel senso originario del termine. Hanno gettato sensibilità e l’arte, nel crogiuolo divorante della tecnica. Una confessione d’impotenza, nell’eccezione latina del termine “confessione” che significa testimonianza.
La storia dell’arte è del tutto incompatibile con la realtà dell’arte come è presentata oggi. La società contemporanea è condizionata da propensioni ludiche, compulsioni consumistiche. Per la loro sensibilità gli artisti subiscono influssi e condizionamenti in base ai quali producono le loro opere. A partire dalla Pop-Art , che non a caso ha avuto origine negli USA, è stata posta la parola fine a ogni idealità artistica. Neppure la distruttiva contestazione DADA era giunta a tanto. Non pare che critica e filosofia dell’arte abbiano preso coscienza di questa realtà, e ne siano consapevoli, o forse, per ragioni di bottega, preferiscono ignorarla. La Pop-Art, nata per esaltare il consumo, dare impulso alla pubblicità dei prodotti da supermarket, ha eseguito perfettamente la propria missione al punto da diventare essa stessa oggetto di consumo e realizzare una autoreferenzialità di tipo pubblicitario. Era l’inevitabile esito. Dopo il processo di pauperizzazione dell’arte, sono presi di mira anche i luoghi nei quali l’arte è esposta, che diventano oggetto di profanazione. Si moltiplicano le manifestazioni estemporanee, sfilate di moda, selfie, mondanità di varia natura. La Biennale di Venezia del 2017, diretta dalla francese Macel, nomine omine, ha aggiunto alle celebrazioni mondane anche i raduni conviviali per pochi intimi, rigorosamente scelti dalla zarina di turno. Alcuni artisti, forse consapevoli della fine dell’epifenomeno arte, prendono di mira i musei, anzi, creano essi stessi luoghi in cui raccolgono “opere”. Già alla fine degli anni ’60 del secolo scorso Claes Oldemburg , pioniere della Pop Art statunitense, creò un contenitore a forma di testa di Michey Mouse dentro cui accumulò centinaia di oggetti della più varia provenienza. Mike Kelly, altro artista statunitense, ha realizzato un luogo denominato “Harem”, nel quale ha raccolto oggetti inutili, alcune immagini pornografiche e altre cianfrusaglie. Jim Shaw per decenni ha accumulato materiale che egli considerava pedagogico, per lo più d’impronta religiosa. Molte altre iniziative dovrebbero essere citate. Marcel Broodthaers nelle sue installazioni ha messo in scena una parodia del Museo per ridicolizzarlo. Appare evidente che gli artisti, cioè coloro che dovrebbero essere produttori e cultori dell’arte, hanno perso ogni fiducia in quello che l’arte dovrebbe rappresentare e si accaniscono in azioni di demolizione. Ci troviamo di fronte a una chiara conferma della incompatibilità dell’arte con la società e la cultura contemporanee. Un museo di Marsiglia, il MUCEM, ha proposto come opere d’arte i rotocalchi femminili in voga tra gli anni ’40 e ’70 del XX secolo. Si continua a valorizzare simulacri, prodotti commerciali, ai quali pervicacemente viene associato , in modo del tutto improprio, il sostantivo arte.
Percepire il mondo significa avere la capacità di decifrarlo “In principio era il verbo”.La parola come strumento di possesso della realtà. Dare il nome alle cose significa farle proprie. L’espressione ampliare gli orizzonti, non significa accumulare esperienza, ma piuttosto capire le esperienze che si vivono. La preparazione culturale è propedeutica a ogni scelta, la sequela di scelte esperenziali fa di noi quello che siamo. L’abbassamento del livello culturale non consiste solo nella limitazione del sapere, ma piuttosto nella scelta e natura del sapere, e della comprensione che abbiamo. Il disturbato mentale che impara a memoria i nomi di una guida telefonica non sa nulla delle persone di cui conosce i nomi. Questa è l’estremizzazione di un finto, inutile, sapere, ecco dunque che la funzione gnoseologica dell’arte non può consistere nel porre il colore su una tela, nel frammentare la realtà raffigurando oggetti e persone, o semplicemente mettere insieme colori. Il linguaggio dell’arte ha funzione di conoscenza, non di solo piacere, di riflessione, non di pura emozione. Quando i manieristi realizzarono le loro opere, per altro splendide sotto il profilo formale, veniva loro imputato di affidarsi alla maniera, di privilegiare il mestiere rispetto all’invenzione. Appare dunque un paradosso sostenere che la caduta casuale dei colori sulla tela costituisca una raffinata tecnica pittorica. C’è chi addirittura arriva a sostenere che Pollock sapeva indirizzare la caduta del colore in modo millimetrico. Affermazione falsa ed anche contraddittoria. Il linguaggio dell’arte, come quello verbale, ha una sua grammatica, non può ridursi a un borbottio, a gergalità, ciò costituisce regressione. Anche gli animali emettono suoni, versi, comunicano tra loro guidati dall’istinto non certo da regole grammaticali. L’immaginazione è prerogativa esclusiva dell’uomo, almeno alla stadio attuale delle nostre conoscenze. Quando l’artista si accinge a realizzare un’opera si suppone abbia in mente un’idea, un progetto. L’opera è già, per così dire, nella sua testa. Tecnica e immaginazione sono gli strumenti con i quali egli realizza il suo lavoro,attua una comunicazione attraverso la forma. L’opera è riuscita quando la comunicazione riproduce una realtà possibile, o una realtà semplicemente immaginata. Il dato gnoseologico si attua nella riuscita della comunicazione visiva. La forma è il messaggio
L’antica questione se l’essere umano sia naturalmente buono o cattivo, è già tratteggiata nella narrazione biblica nella quale appaiono i tre personaggi chiave. Adamo che cede alla lusinghe di Eva, a sua volta ingannata dal serpente, e per akrasia compromette il suo futuro. Abele, la cui bontà lo rende vittima predestinata. Caino, nostro progenitore, che per invidia e odio uccide il fratello. Anche per i non credenti, gli stereotipi umani rappresentati, non possono non avere un profondo significato simbolico. Certo in un epoca in cui sono i dentisti a occuparsi dei mali dell’anima, non c’è molto da essere ottimisti. Siamo sommersi dal déjà dit che tuttavia non sembra sia stato efficace per il miglioramento della nostra specie. In un lungo dialogo Socrate esorta Alcibiade ad avere cura di se, per prepararsi a gestire la cosa pubblica. Non c’è dubbio che l’educazione correttamente intesa, è “contro natura”, nel senso che induce l’uomo a non abbandonarsi al proprio interesse e piacere. Nell’era moderna sembra che la tendenza sia esattamente contraria. Il principale bersaglio della filosofia moderna sembra essere l’etica, vista come ostacolo alla realizzazione dei propri desideri. Hume, nel trattato sulle passioni, arriva a definire la ragione schiava delle passioni. In realtà ragione e passione sono due aspetti spesso antitetici. Così pure è contraddetta dalla realtà la teoria secondo cui, unica ragione dell’agire sono i desideri. Quando un uomo si getta tra le fiamme o in acqua per salvare un suo simile, non desidera certo morire bruciato o annegare, agisce d’impulso mettendo a rischio la propria vita. Ma, se indagassimo il passato di colui che compie il gesto, quasi certamente scopriremmo che è stato educato a vincere l’egoismo. Il discorso sulla morale, qualunque cosa s’intende con questa parola, si occupa spesso di assoluti, ma trascura gli effetti pratici, proprio in una fase storica in cui sembra dominare il pragmatismo. Il solipsismo contemporaneo porta alla chiusura della mente, a una progressiva miopia. La cura di se parte dall’attenzione per l’altro. Il frutto delle nostre azioni è conseguenza di quanto abbiamo seminato dentro di noi. L’intelligenza, come tutte le funzioni che riguardano gli esseri umani, si sviluppa, migliora, cresce, quanto più siamo impegnati a utilizzare le nostre facoltà per capire. Il solipsismo, inducendo a concentrare l’attenzione su noi stessi, limita la nostra visione e riduce progressivamente la facoltà di capire la realtà fenomenica che ci circonda. Tutto ciò che avviene nella nostra mente, anche quando apparentemente è dimenticato, in realtà lascia un segno. Agiamo in base a ciò che abbiamo appreso. Esempio, se nelle Accademie vengono esaltate le combustioni di Burri, le tele bianche di Kazimir S. Malevic, le opere seriali di Warhol , non c’è da pensare che escano artisti capaci di usare il pennello per dar forma alla loro sensibilità, capaci di sottrarsi alle lusinghe della tecnica che sembra rendere più facile il loro lavoro. Certo, in nome del “progresso” ci si può arrendere all’inevitabilità degli eventi, cosi com’è avvenuto nel rapporto della produzione con l’eco-sistema, ma in questo modo sarà molto difficile modificare gli aspetti negativi della realtà in cui viviamo. L’ottimismo non può nutrirsi di sogni, ma deve far ricorso alla ragione, la più umana delle prerogative perché l’unica che può indurci a vedere oltre il contingente.Gli esseri umani hanno sempre cercato nei sogni l’evasione dal presente. Il l”Libro dei sogni” di Artemidoro, risale al II secolo d.C. e prima di lui Nicostrato di Efeso, Paniasi di Alicarnasso, Apollodoro di Telemesso, Febo di Antiochia, Dionisio di Eliopoli, e molti altri hanno scritto libri sui sogni. Non pare che nessuno di costoro abbia modificato il corso delle cose. La forma moderna del sogno è costituita dalle finzioni della tecnica. In certo senso la passività è uno degli effetti del solipsismo. L’uomo contemporaneo non riuscirebbe a sopravvivere senza l’aiuto degli strumenti che ha costruito. Non sembra una prospettiva rassicurante, così come l’illusione di dominare per intero la natura, mentre in realtà non sa controllare se stesso.
Cosa significa “agire razionalmente”? Le costruzioni linguistiche della filosofia e letteratura si limitano a descrivere e rendere intelligibili a se stessi gli esseri umani, o si propongono lo scopo di migliorarli? Ovvero ci migliorano per il solo fatto di farci riflettere? L’uomo contemporaneo è migliore del suo antenato di 5000 anni fa? Domande che la filosofia si pone alle quali solo trova raramente risposte. E’ un fatto che osservando la realtà, non sembra che gli stimoli al pensiero, abbiano contribuito in modo determinate a modificare i comportamenti umani. Sembra prevalere l’atteggiamento di Mrs Grundy, celebre personaggio della commedia di Thomas Morton “Speed the Plough”, diventata proverbiale per indicare come la società si affidi alle abitudini di pensiero. C’è chi sostiene che qualsiasi teoria filosofica vada contro il senso comune deve essere rifiutata. Un tesi spuria che rende di fatto superflua la filosofia dal momento che proprio per superare il senso comune la filosofia è necessaria, non convince il punto di vista espresso da Reid sulla questione, e nemmeno le teorie che, riecheggiando le tesi di Reid esprimono G.E. Moore e J.L. Austin. La storia dimostra come sia abbastanza vera l’affermazione di Hume secondo cui l’uomo si affida più all’abitudine che all’intelletto. Heigegger sosteneva che la scienza è stupida. Di fatto è l’uomo ad essere molto più limitato di quanto crede. Tutta la storia della filosofia è il tentativo del pensiero di capire se stesso. Una sorta di psicogorrea i cui esiti sulla natura umana appaiono modesti. Ogni tentativo di “anticonformismo”, spesso costituito solo da aspetti esteriori, o
effimere teorie, si traduce nel creare un conformismo di segno opposto. Marx aveva proposto che i filosofi, che fino ad allora si erano limitati a descrivere il mondo, si adoperassero per cambiarlo. Non pare che ciò sia avvenuto. Tutti i tentativi di uscire dalle convenzioni si traducono nella creazione di nuove convenzioni. Le cosiddette “avanguardie” dell’arte moderna volevano abbattere le accademie, distruggere i musei, abolire l’istituzione dell’arte. Oggi le accademie sono occupate da ex avanguardisti, nei musei ci sono le loro opere, l’istituzione arte è più forte che mai, anche se i prodotti sono in troppi casi francamente orrendi. La pretesa di originalità si è tradotta nel suo contrario, la diffusione delle opere seriali. Scriveva Spinoza: “ Noi non desideriamo niente per il fatto che lo giudichiamo buono, ma viceversa diciamo buono ciò che desideriamo, e di conseguenza cattivo ciò che non ci piace”. E ancora: “L’uomo libero è colui che vive soltanto secondo il dettame della ragione”. Ecco spiegato il senso di morte nella società contemporanea di cui scriveva Pasolini. E’ la ragione che produce la differenza. Infatti vi è una tale contiguità tra le opere dei contemporanei che spesso è difficile distinguerle le une dalle altre. La filosofia è ridotta per lo più a frammentata esegesi del pensiero degli antichi. Mai come oggi è stata forte la pretesa di originalità, mai come oggi vi è omologazione. I giovani vivono in grappoli, pensano collettivamente, vestono in modo che vuole essere originale ed è solo trasandato, sciatto, però con il logo ben in vista, anche sui capi intimi. Esattamente come per l’arte, non conta la qualità ma la firma imposta da marketing e pubblicità. Insensibilità e ignoranza si trasformano facilmente in cinismo, un paradiso per politici e sedicenti artisti miliardari. E’ il denaro infatti, null’altro, il segno di distinzione. L’amore è della specie descritta da Sant’Agostino: “Ci amiano come si ama il cibo: per consumarci.