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Principio di realtà e rappresentazione.  0

L’arroganza del presente non può opporsi al fatto che la coscienza filosofica debba ammettere la possibilità che la propria intuizione sia inferiore a quella di Platone, Aristotele,Leibniz, Kant, Hegel. Si può considerare un limite il fatto che essa pretenda di modificare il significato di un patrimonio culturale che ha costituito, costituisce, la base di ogni sapere. Una contraddizione ancora più grande è il rifiuto di confrontarsi con il patrimonio storico. Quando Danto usa l’espressione “marciume metafisico”  e afferma che la “La metafisica era priva di senso perché del tutto scollegata dall’esperienza”. Dimostra la propria incapacità di andare oltre a quella che definisce “esperienza”. Cosa significa esperienza? Ridurre la filosofia all’esperienza significa attuare una modificazione ontologica della filosofia in quanto percorso gnoseologico. L’esperienza è delimitata e soggettiva. L’interpretazione e la elaborazione del patrimonio storico non ha alcun nesso con l’esperienza. Il rifiuto del confronto con la tradizione riduce la filosofia nell’angustia di un pensiero isolato, soggettivo. La sostanza del pensiero filosofico passa attraverso la comprensione dei testi dei grandi pensatori il cui oggetto di ricerca è la verità che, se pur difficilmente raggiungibile, è pur sempre il riferimento, la stella polare dell’umano sapere.

Lo stesso vale per l’esperienza dell’arte  Lo studio scientifico della storia dell’arte è senza dubbio velleitario quando pretende di capire e sviscerare l’origine dell’opera d’arte. L’esperienza dell’arte è soggettiva, discutibile la tesi secondo cui, come sostiene Hegel: “l’arte è il pensiero che prende forma”. Oppure l’affermazione di Gadamer secondo il quale “ l’opera d’arte è esperienza di verità” Se anche Heidegger considera la verità dell’arte come evento, questo non ci esime dal considerare il fenomeno evenemenziale nella sua realtà.

Forse dovremmo ammettere che si è verificato un cortocircuito tra filosofia, scienza, arte. L’altare sul quale Gadamer pone l’arte ben più in alto della scienza, è rovinosamente caduto. Intanto perché gli artisti hanno scelto di adottare la tecnologia, figlia minore della scienza, gettando alle ortiche l’epistemologia dell’arte, ma soprattutto perché il venir meno della cultura filosofica e mitologica, ha trascinato l’arte al modesto livello degli artisti ricchi di presunzione,poveri di sapere. Se la scienza valuta se stessa in base agli esiti del proprio operato, l’arte non  può fare la stessa cosa. Se anche si tentasse questa strada, ci troveremmo il percorso sbarrato da rane crocifisse, barattoli di feci, crocifissi immersi nell’urina, orinatoi, tutto il ciarpame che  l’arte contemporanea è andata accumulando nelle case degli squilionari e nei musei.

Le capziose argomentazioni che tentano di dare un senso alla realtà  dell’arte contemporanea, non si basano su fondamenti filosofici degni di questa definizione, l’esperienza della filosofia è il più pressante ammonimento alla Conoscenza. E’ necessario riconoscere i limiti dell’arte sapendo che  la ricerca comincia con una serrata critica della coscienza estetica. L’esperienza di verità che tentiamo nell’incontro con l’arte, è contro la teoria estetica che si lascia dominare dal concetto di verità della scienza e trascura la verità dell’arte come realmente è. Dovremmo sviluppare su questa base un concetto di verità che corrisponda alla totalità della nostra esperienza ermeneutica,  ammettendo che questa ricerca oltrepassa di gran luna la conoscenza metodica della scienza. Ridimensionare le pretese universalistiche e totalizzanti dell’arte è forse il primo passo per ancorare l’arte a un principio di realtà.

 

Immagine: Martin Kippenberger, “Rana Crocifissa”, 1990rana crocifissa

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Spesso la filosofia più che interpretare immagina.  0

L’immagine metaforica che rappresenta un punto centrale della metodologia gadameriana è quella del circolo ermeneutico. Tale immagine si è diffusa a partire da Schleiermacher, ma si è imposta soprattutto con Gadamer che l’ha sviluppata prendendo le mosse da alcuni elementi proposti da Heidegger e le ha dato una configurazione che si può ormai considerare sotto molti aspetti come definitiva.

Per capire la singola parola di un testo occorre comprendere il contenuto in cui è collocata, il patrimonio linguistico dell’autore, il momento culturale dell’epoca cui l’autore appartiene; tale comprensione va fatta sia cercando di intendere il particolare in funzione dell’universale sia viceversa cercando di capire l’universale partendo dal particolare.

Scrive Schleiermacher : il senso di ogni parola in un determinato passo deve essere determinato secondo la sua coesistenza con quelle che la circondano. Il patrimonio linguistico di un autore e la storia della sua epoca costituiscono come il tutto a partire dal quale il suo iscritti così come ogni singolo elemento devono essere compresi e, inversamente, questo tutto deve essere compreso a sua volta a partire dal singolare. Ovunque il sapere compiuto si trova in questo circo apparente, per il quale ogni particolare può essere compreso solo a partire dalle universale di cui è parte e viceversa.

Questo movimento circolare ha come fine la comprensione del tutto,quindi si conclude con tale comprensione.

Ora, è noto che trasformazione del linguaggio segue e accompagna il pensiero. Spesso la nostra visione del mondo non è determinata dalla conoscenza, ma dalla abitudine.

La meticolosità di Gadamer nell’indagare gli sviluppi ermeneutici dell’arte, che con Heidegger diventerà ontologia, mal si conciliano con la prassi della critica e filosofia dell’arte contemporanea. Attribuire all’opera d’arte “esperienza di verità”, se mai è stato vero, oggi non è più così.

L’affermazione di Vattimo :“La trasmutazione in forma è trasferimento del reale sul piano della verità” risulta piuttosto azzardata di fronte a una rana crocifissa e/o un lampadario costruito con tampax. L’ipotesi che la filosofia si abbandoni a esercizi linguistici capaci al più di creare una realtà mentale, sembra plausibile.

William Blake - 500

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Il riflesso nell’occhio.  0

Sono stati necessari secoli di pittura prima che si vedesse sull’occhio quel riflesso senza il quale esso rimane spento e cieco come nei quadri dei primitivi. Il riflesso non è visto per se stesso, dal momento che ha potuto passare inosservato così a lungo, esso esprime la suo funzione nella percezione.  Osservando l’arte contemporanea si nota un evidente regresso. La decontestualizzazione degl’elementi di un opera, crea un effetto di estraniazione che raramente è davvero funzionale. Se di fronte a un paesaggio , assumiamo un atteggiamento critico isolando una parte dell’opera, il colore osservato muta senso. Il verde di un prato  perde il suo valore rappresentativo e diventa puro colore. Cézanne diceva che un quadro contiene persino l’odore del paesaggio. Egli intendeva dire  che la distribuzione del colore sulla tela, guida la fantasia dell’osservatore, ne stimola i  sensi sotto l‘effetto dell’emozione estetica. In ogni opera c’è un simbolismo che indirizza  e lega ogni qualità sensibile. Il colore si da all’esperienza come una specie di vibrazione. I dati sensibili sotto il nostro sguardo  costituiscono il linguaggio della pittura che si insegna da se, in cui il significato è secreto dalla struttura stessa dei segni. L’apparenza sensibile è ciò che rivela (kundgibt) , esprime ciò che essa stessa non è. La comprensione del linguaggio pittorico è ostacolata  dai pregiudizi del pensiero oggettivo al quale gli artisti contemporanei sembrano essersi arresi. Tale pensiero  ha la costante funzione di ridurre tutti i fenomeni, quindi anche l’arte, ad attestare l’unione del soggetto con il mondo, finisce quindi per sostituire l’utopia progettuale propria dell’arte, con la piatta razionalità assettata di definizioni. Come diceva Berkeley, anche un deserto inviolato se ha per lo meno un osservatore subisce l’esperienza mentale di recepirlo e quindi subisce le mutazioni del pensiero  che lo “interpreta”. Tale pensiero ha la funzione tradurre la visione in idea. Il “reale” è quel contesto in cui ogni momento è non solo inseparabile dagl’altri, ma in certo qual modo sinonimo  degl’altri, in cui gli “aspetti”  si significano vicendevolmente  in una equivalenza assoluta. E quindi un truismo basare un opera sul puro concetto anziché affidare alla chiave simbolica la dilatazione dei significati. Cézanne sosteneva che ogni pennellata deve “contenere l’aria, la luce, l’oggetto, il piano, il carattere, il disegno, lo stile”. Ogni frammento di un opera deve soddisfare un numero infinito di condizioni , la sua peculiarità consiste nel contrarre in ciascun tratto un’infinità di relazioni. Il quadro è da vedere e non da definire, esso è un piccolo mondo che si apre a una dimensione  sconosciuta allo stesso autore, il senso precede l’esistenza e si riduce a quel minimo di materia necessaria per compiere il prodigio. .De nittis 500

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Contraddizioni della ragione.  0

È necessaria una distinzione tra i concetti dell’intelletto e concetti della ragione. Nel primo caso la base dell’esperienza sensibile è soggettiva e prescinde dalla conoscenza dell’oggetto. Nel secondo caso si tratta di una elaborazione astratta della ragione che presuppone quantomeno un tentativo di conoscenza dell’oggetto. La ragione è la facoltà che  ci consente di agire in vista di un fine.

Se rapportiamo queste considerazioni alla prassi di critica e filosofia dell’arte, constatiamo che il processo analitico dell’opera, non solo non è mai  riferito all’oggetto, pittura, scultura, disegno, ma solo un ipotetico significato che non chiarisce la finalità, vale a dire il senso, di ciò che è rappresentato.

Se l’osservatore esprime un giudizio basato sulla sensazione, quindi soggettivo, non è ovviamente tenuto a fornire una motivazione della sensazione provata.

Al contrario chi pratica  critica e filosofia dovrebbe dare un riscontro logico convincente alle proprie teorie ermeneutiche.

Mentre la sensazione è appagante in se, la lettura razionale dell’opera si scontra con le difficoltà di superare le contraddizioni che la ragione ha con sé stessa.

In breve, mentre la critica d’arte quando si limita ad illustrare i dati oggettivi relativi all’opera potrebbe essere utile all’osservatore, la filosofia, nella sua pretesa di definizioni di significati indimostrati e indimostrabili,è  si riduce a una narrazione quasi sempre senza esito logico.

Le idee sul significato sono rappresentazioni riferite a un oggetto, ma non possono mai avere un contenuto di conoscenza dell’oggetto stesso. Esse sono frutto di una intuizione secondo un principio puramente soggettivo di immaginazione e intelletto.

Allo stesso modo una idea estetica non può diventare conoscenza, perché essa è un’intuizione dell’immaginazione. Un’intuizione empirica può essere provata con un esempio che dia  un risvolto logico alla intuizione. Ora, poiché  riportare una rappresentazione della immaginazione è necessario far ricorso ai concetti, l’l’idea estetica si può definire una ipotiposi non esponibile. Il gusto estetico ha un fondamento soggettivo a priori. Di conseguenza la pretesa di valore universale è infondata.

Dunque la narrazione filosofica dell’arte manca dei presupposti necessari a giustificare l’attribuzione di significato alle opere che prende in esame.

David Hume nella sua discussione sulla regola del gusto (1752), osserva che, se è vero che la grandezza di un’opera dipende da un’opinione, è anche vero che alcune opinioni sono più fondate di altre. Fondate su cosa? Visto che l’arte non è soggetta a logica, ne esiste metodo certo per definire le opinioni sul gusto, problema di fronte al quale si sono arresi  Kant, Hegel e tutti i filosofi che hanno affrontato il tema.

I filosofi statunitensi hanno allargano il campo, fitta la confusione di Howard S. Becker che  emerge da “I mondi dell’arte”, nel quale Becker teorizza, sulla scia di Cohen e Dickie, la commistione delle diverse espressioni artistiche, presumendo che tutte abbiano diritto ad essere considerate arte. Per sostenere tale tesi apodittica cita inevitabilmente Duchamp e tutti i suoi nipotini fino ad arrivare al Brillo di Warhol.

Il problema è che Becker, come lui altri filosofi dell’arte, usa come megafono una cattedra universitaria. Ciò gli conferisce titolo per sostenere truismi e anacoluti. In questo modo, anziché istruire i giovani che seguono i suoi corsi, si limita a suggestionarli. I risultati sono visibili nella opere  di gran parte degli artisti contemporanei.

 

Immagine: Ugo Nespolo: Al Museonespolo_ugo-new_york_met-500

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La scarpa di Camper.  0

Scrive Kant in “Critica del giudizio”. “La bellezza naturale è una cosa bella. La bellezza dell’arte è la rappresentazione di una cosa bella cosa”. Questa frase lascia capire le conseguenze di avere eliminato ogni residuo di naturalità, non solo nell’arte.

Procediamo per stereotipi falsi. La tesi che il bello abbia ricadute morali è falsa. Forse in pochi ambienti la depravazione è più diffusa che nel mondo dell’arte. La libertà senza freno non produce altro che stravaganza, l’arte esige, oltre alla immaginazione, cultura e gusto.

Altro pregiudizio è che l’amore dell’arte  sia disinteressato. La storia ci dice che l’arte è sempre stata usata come esibizione di ricchezza e potere. Machiavelli nel libro “ Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio” racconta come fin dai tempi dei romani l’arte veniva esibita nelle case dei patrizi e suscitasse invidia e ammirazione.

Sembra che anche gli artisti abbiano dimenticata la stessa etimologia della parola “arte” che significa fare. Elevando a status di arte il trovarobato del ready made, come Duchamp, non si fa arte.

Si dovrebbe chiamare arte  solo una produzione determinata dalla libera volontà della ragione. Vale per molti artisti ciò che Reinhard scrivera : “Camper descrive esattissimamente  come dovrebbe essere fatta un’ottima scarpa; ma certamente egli non la sa fare”.

Non vi è una scienza del bello, ma soltanto la critica di esso, non vi sono belle scienze, ma soltanto belle arti. Per questo l’arte tecnologica che adotta processi scientifici è la negazione dell’arte.

Il talento dell’artista è un dono naturale che crea la regola dell’arte. Si può imparare la scienza di Galileo che è codificata. Non si può imparare a creare opere come Raffaello, poetare come Dante e Shakespeare. Supporre, come accade oggi, che   basti frequentare l’Accademia per “diventare artisti” è la base del disastro che ha colpito il mondo dell’arte riducendola al livello in cui si trova, un incrocio di  opportunismo e mondanità. Creatività e cultura sono cose estranee al mondo dell’arte contemporanea.

Dunque la pauperizzazione culturale, l’inquinamento etico  hanno avuto ricadute tali da ostruire il percorso di risalita alla luce della verità e bellezza. Sguazziamo felici in un mondo artificioso e arido con crescenti enfatizzazioni antropocentriche.    Le Témoin di Man Ray 1971-500

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Prassi e teorie delle avanguardie.  0

Il rapporto che intercorre tra l’opera di avanguardia e i metodi formali di teoria dell’arte  è stato stravolto con l’elusiòne dei tradizionali procedimenti  tecnici e uso dei materiali. Ciò tuttavia non ha modificato l’approccio ermenèutico  della critica d’arte, provocando una dicotomia tra oggetto e interpretazione con criteri classici, così come viene praticata tuttora da buona parte della critica.   Prassi e teoria dell’avanguardia hanno avuto, tra l’altro, l’effetto di diluire l’essenza significante in discipline diverse. Reinhard Brandt nel suo libro “Filosofia nella pittura”, ha analizzato opere di artisti classici con riferimenti filosofici. Appare evidente che le opere dei maestri del passato potevano essere apprezzate, indipendentemente dalla capacità d’interpretazione iconologia. L’arte d’avanguardia, avendo eliminato l’estetico, ha ridotto la forma a citazione concettuale, con la conseguenza che, l’osservatore non in grado di percepire il significato sottointeso, perde ogni possibilità di comprensione e godimento. Senza dubbio, non è ancora emersa con sufficiente chiarezza l’inutilità della critica d’arte oggi. Essa ha un approccio classico a  opere che sono la negazione di ogni espressione d’arte, intesa in senso tradizionale. La critica non è in grado di svolgere efficacemente la propria funzione interpretativa, in quanto la lettura dell’opera richiede il ricorso a varie discipline, psico – sociologiche, politiche, filosofiche, quant’altro serve a collocare l’opera nel contesto nel quale è possibile decifrarne il senso. L’analisi dell’opera non può  essere  attuata scientificamente, come ipotizza, tra gli altri,  Peter Burger nel suo saggio “Teoria dell’avanguardia”,  anche in ragione anche della voluta casualità di molte opere che si attuano tramite a un gesto gratuito, e/o si affidano a espressioni  d’ironia estemporanea. Le forzature ermeneutiche della critica, finiscono per costituire  anello di congiunzione con l’arte-arte, in questo modo accreditano una supposta concettualità, che forse era nelle intenzioni dell’artista, ma di cui non c’è traccia nell’opera. A ciò contribuisce il modesto bagaglio culturale degl’artisti, incapaci di adeguare l’apparato concettuale alla sintesi della forma. C’è il rischio concreto di nobilitare la pura dissacrazione a concetto. Condizione necessaria per una possibile sintesi tra procedimenti formali ed ermeneutici è rendersi conto che  nell’opera avanguardistica l’emancipazione del singolo elemento non raggiunge mai il distacco completo dalla totalità dell’opera. Anche dove la negazione della sintesi diventa principio strutturale, deve comunque rimanere la possibilità di pensare a una unità, sia pure precaria. Per quanto riguarda la ricezione, ciò significa che anche l’opera di avanguardia deve essere compresa in modo ermeneutico, vale a dire come totalità di senso, quel che cambia è solo il fatto che l’unità ha accolto in sé la contraddizione. Non è più l’armonia delle singole parti a costituire l’unità dell’opera, bensì il rapporto contraddittorio di elementi eterogenei. Per questo, dopo i movimenti di avanguardia non si può pensare né di sostituire semplicemente l’ermeneutica con procedimenti formalistici, né di continuare ad adoperarla come procedimento intuitivo di comprensione; essa dovrebbe adeguarsi alla mutata  situazione storica. Beuys 500

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L’arte da forma al pensiero.  0

Gli artisti che si richiamano all’intuizione fanno propri, forse inconsciamente, i principi dell’irrazionalismo. Bergson fu tra i maggiori esponenti di questa teoria filosofica che creo i prodromi per la nascita delle avanguardie.

La filosofia di Enrico Bergson è denominata  “intuizionismo”,  e si richiama all’ evoluzione creatrice, allo slancio vitale, mette in primo piano un sapere basato su un’attività alogica ed extraintellettuale che  si richiama ai romantici del primo Ottocento, in particolare Schelling .

Il centro propulsore della filosofia  di Bergson è costituito dalla teoria della durata, in quanto stato immediato della coscienza. L’introspezione psicologica è restituita al suo schietto significato filosofico e liberata dall’intellettualismo, considerato deformante, a favore di una visione metafisica della realtà universale.

Va da se che tali teorie sono insufficienti e arbitrarie. La psicologia cosiddetta positiva, o scientifica, del tempo nel quale Bergson pubblicava i suoi libri,  presumeva di ridurre l’io a una successione di stati psichici collegati tra loro secondo la legge di rapporti determinati.

Ben altra invece ci appare la realtà nella nostra esistenza se la si osserva e si tenta di coglierla nella sua essenza più profonda, non solo nelle sue manifestazioni esteriori, che possono essere paragonabili a foglie morte galleggianti alla superficie di uno stagno.

La  vita interiore ci appare come una corrente incessante di natura puramente qualitativa in questo modo cambia anche il significato della psicologia per la conoscenza della storia,  per Hegel e per qualsiasi esponente dell’illuminismo francese.

Gli impulsi e le passioni degli uomini sono le cause immediate di ciò che accade, gli uomini sono indotti ad agire. Poche persone hanno un sufficiente livello di conoscenza, un ‘idea generale dell’evenienza fenomenica che affrontano. Detto in altri termini, raramente è la logica a giustificare e motivare le nostre azioni quotidiane.

La posizione di Kant è stata notoriamente combattuta dai più svariati indirizzi filosofici, in primis da Hegel.

Schopenhauer giudica impossibile l’azione disinteressata e ritiene che la volontà abbia sempre un fine  pratico. Il principale motivo che muove la volontà è l’interesse nelle sue varie articolazioni dalla sopravvivenza al piacere. In fondo tale ragionamento chiama in ballo l’incipit della “La Ricchezza delle nazioni” di Andam Smith.

Nei fatti gli artisti non sono motivati da ragioni logiche, ma da interesse pratico e spesso anche da impulsi creativi.

Gli impressionisti hanno creata un proprio stile di pittura per ragioni pratiche, anche se poi si affidavano alla spontaneità del segno e del colore.

Vi è troppa enfasi e poche motivazioni serie nel definire talune opere rivoluzionarie. Cancellare, rifiutare l’estetica e il bello, per questione di principio, conduce ad esiti quasi mai riusciti, e in ogni caso dovrebbe essere verificato osservando le opere con maggior rigore di quanto accade abitualmente.

Nel destino dei singoli individui la realtà matura a prescindere dalla consapevolezza soggettiva. Così un artista che nel corso della vita non senta  il bisogno di modificare la propria tematica lascia perplessi. In ogni caso il valore dell’artista è in rapporto alla sua capacità di tradurre la realtà e dar forma il suo pensiero. Hegel afferma: “L’arte è il pensiero che prende forma”.

Parafrasando Wittgenstei che si poneva una provocatoria domanda: “ Compito della filosofia è indicare alla mosca come uscire dalla trappola?” . Compito dell’artista è dipingere la mosca?Camille-pissarro- 500

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La nostra natura animale e il pensiero etico.  0

Nel 1972 René Girard pubblicò “La Violence et le sacrè”, indagando tra l’altro la funzione del sacrificio come mediazione nei conflitti sociali nelle società primitive. Le teorie comportamentali  tendono a sottovalutare le influenze del corpo attraverso il quale viviamo le nostre sensazioni. La donna è da sempre particolarmente sensibile al predominio del corpo. Molte le opere d’arte femminili hanno il corpo come riferimento diretto o indiretto. Il lampadario fatto con assorbenti presentato da Joana Vasconcelos alla Biennale 2005 a Venezia, rientra nel vasto filone dell’evidenziazione di tutto ciò che attiene al corpo femminile. Opere che non sempre sono in coerenza con le giustificazioni teoriche che le accompagnano. Non è un caso che la body art sia declinata prevalentemente al femminile. Mona Hatoum mostra in un video i movimenti peristaltici del proprio intestino. La francese Orlan si è sottoposta a una serie di interventi chirurgici, effettuati in pubblico come performances. Mai come nella nostra epoca storica è imposta la centralità del corpo. Non a caso la nostra è l’era della prevalenza femminile. Quando si parla di emancipazione femminile in primo piano balza la libertà sessuale, il corpo. Anche le donne arabe focalizzano la loro richiesta di emancipazione  sul corpo. Un antologia di racconti firmati da autrici arabe ha per titolo “Parole di donna, corpo di donna”.  Una prova ulteriore di come la prevaricante cultura occidentale determini e condizioni anche il percorso verso l’emancipazione delle donne di altre culture. Da noi il linguaggio diseducativo della tv è costituito soprattutto d’immagini più o meno erotiche. Comportamenti sociali, sviluppo di strumenti tecnici modificano gradatamente la funzionalità del corpo, un recente studio di scienziati inglesi  sembra dimostrare che vi sono parti del corpo umano ormai assolutamente inutili, retaggio del passato. Ma se il corpo si modica, la natura umana, intesa nel senso di pensieri, comportamenti, sensibilità, di quanto è gia modificata?  Alla antica querelle tra Agostino, il quale sosteneva che l’uomo nasce orientato verso il male, si oppose il monaco cristiano Pelagio (360-420 d.c.)  il quale sosteneva che l’uomo nasce buono ed è corrotto dalla società, la stessa tesi riprese Rousseau, anch’egli convinto l’uomo nasca buono e venga corrotto dalla società. Queste ottimistiche argomentazioni sembrano non tener conto che  la società è costituita da uomini.

L’idea che abbiamo di noi stessi,ci vieta di considerare una terza ipotesi : l’uomo è un animale la cui intelligenza corregge solo in parte le sue tendenze naturali, di qui contraddizioni e differenze. Questo dato di fatto  induce, nella creazione dell’arte, letteratura, cinema, a mettere l’accento soprattutto sul concetto di libertà, sulla possibilità dell’uomo di scegliere il proprio destino. Purtroppo non è così. Nei fatti  con questa parafrasi decettiva, apodittica, finiamo per giustificare le nostre azioni peggiori.  Per secoli si sono confrontati deterministi e coloro che sostenevano il libero arbitrio. L’ambiguità delle posizioni, che tutt’ora permangono, consente a ognuno di sostenere la propria  tesi. Molte delle suggestioni, stimoli, spunti del dibattito sull’arte, trarrebbero vantaggio se venissero abbandonate posizioni basate sulla convinzione che la libertà consente tutto e il contrario di tutto. Se è vero, come sosteneva Pascal che l’uomo è una canna che pensa, per questo superiore a tutte le altre creature, è anche vero che l’uomo pensa soprattutto a se stesso e tenta di sublimare le proprie pulsioni, giustificarle, celebrarle, prima ancora di capirne le ragioni profonde che le determinano.

 

Immagine : Francesco Woodman – Body ArtFrancesca-Woodman

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Monetizzazione la bellezza.  0

Nel corso dei secoli si è andato accumulando in scritti, disegni, pittura, ciò che abitualmente viene definita cultura. Nonostante la gran mole di libri e di opere, al presente si è  accentuata la tendenza alla semplificazione. Non solo il linguaggio quotidiano, cosa che sarebbe accettabile,  anche la narrativa, la scrittura in generale fino alla massima semplificazione dei linguaggi dei network. Quale sia l’incidenza di questo processo linguistico sulla società in generale è riscontrabile nell’uso sempre più diffuso di stereotipi ripetuti continuamente.

 

La letteratura usa espressioni rozze, involute, con riferimenti sessuali non sempre necessari. Proviamo a immaginare cosa succederebbe se fosse applicata la boutade di   Oscar Wilde: “Chi chiama zappa una zappa dovrebbe essere costretto ad usarla”.

L’arte partecipa al processo di semplificazione, in molti casi lo anticipa. Le opere di Malevic e altri suprematisti russi ne sono un esempio. Alla nascita delle avanguardie, con le prime apparizioni dell’’arte astratta, molti artisti motivarono le ragioni delle loro scelte. Kandinskij, Mondrain, Malevic. In particolare Kandinsky seppe sviluppare una interessante teoria per la propria scelta tematica, che fu ulteriormente approfondita dal nipote, il filosofo hegeliano Alexandre Kojève.

Col tempo e l’accumularsi di opere degli epigoni, le spiegazioni non apparvero più necessarie, si dette per scontata la scelta dell’arte astratta. Per supplire alla mancanza di senso delle opere critica e filosofia attuarono una sovrapposizione verbale. In molti casi si ebbero esiti contradditori. Si leggono ampi saggi critici relativi a opere delle quali è arduo scorgere il nesso con il sostantivo”arte”.  In occasione dei mondiali di calcio in Corea, al calciatore coreano che con la sua bravura fece vincere la squadra, furono colorate le piante dei piedi per trarne impronte. Fotografate e riprese con calchi, furono vendute come opera d’arte a caro prezzo. Andarono  a ruba.

Questo non è un caso limite di confusione e paradossi della cultura contemporanea che celebra come capolavori i nani da giardino di Jeff Koons.

Come scritto in precedenti interventi, le cosiddette avanguardie storiche compirono una azione di rottura, forse consapevoli  di non riuscire ad uguagliare gli artisti del passato. La loro azione aveva quasi sempre come riferimento il rifiuto della cultura classica, motivato con argomenti speciosi, Intanto ammettevano implicitamente la differenza tra qualità e forme d’arte. La loro avrebbe dovuto essere arte di massa, quasi le masse potessero disporre dei milioni di euro che vale  una qualsiasi opera  prodotta dai maestri delle avanguardie.

Quando Marinetti dichiara “La guerra è l’igiene del mondo!”  cita Polibio, il quale si riferiva all’ascesa e declino degli Stati, individuando, secondo una visione stoica della storia, nella diffusione del benessere generalizzato, nel venir meno del “metus hostilis”, della paura del nemico, l’origine della decadenza dei popoli.

La conoscenza umana può avanzare solo cautamente, un passo dopo l’altro. La realtà noumenica ci sfugge. La storico francese Henri-Irénée Marrou in un suo saggio racconta un aneddoto. “Mi trovavo sulla sommità di una roccia, posto in alto sulla riva di un lago alpino, seguivo i tentativi di un pescatore: scorgevo brillanti nell’acqua cristallina le belle trote, che egli agognava dalla riva, muoversi lontano dalla sua canna troppo corta:” Marrou trae una conclusione: “Una cosa del genere accade spesso: i mezzi limitati di cui disponiamo non ci permettono di raggiungere ciò a cui miriamo”. L’arte il cui sviluppo sta tra conoscenza e intuizione, ha bisogno per esprimersi di riflessione. L’artista dovrebbe “vedere” le trote senza l’ansia di catturarle ma rallegrare con la loro elegante argentee bellezza quante più persone possibili. Oggi purtroppo   l’artista si comporta come colui che ha fretta di catturare le trote per portarle al mercato e ricavarne denaro.

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Preistoria dell’estetica. Il Sublime.  0

Il tema del “sublime” fu teorizzato per primo dal filosofo Longino (213 273 d.c.) il suo trattato, insieme alla poetica di Aristotele fu tra le più importanti opere di estetica dell’antichità.

Il sublime è agli antipodi di tutto ciò che è mediocre, banale, laido, è espressione della suprema poesia della sua forma più incisiva sia nella pittura che nella letteratura.

Umberto Eco, nel suo romanzo più noto, “Il nome della rosa”, costruì una narrazione intorno alla fobia di un vecchio monaco cieco che odiava la poetica di Aristotele perchè poteva indurre al sorriso.

La storia dell’arte contiene il riferimento agli artisti che hanno tentato, immaginato, di esprimere il sublime. Tentativi raramente riusciti.

Dare una definizione del sublime presenta non poche difficoltà, rappresentarlo è impresa riservata a pochi grandi geni della poesia e dell’arte.

Vale per il sublime ciò che Agostino d’Ippona diceva del tempo;  quando penso al tempo so perfettamente cos’è, quando mi trovo a doverlo spiegare ho difficoltà.

Le avanguardie hanno cancellato non solo il sublime, ma anche il bello, con speciose argomentazioni.

Kant, in “Critica del giudizio”, sostiene che il giudizio sul bello è sempre soggettivo. Non sarebbe corretto affermare: questo oggetto è bello. Ma più corretto dire: questo oggetto mi piace. Significa abolire il canone di riferimento, ridurre tutto al  gusto soggettivo. Si finisce quindi per lasciare spazio ad ogni forma di devianza estetica, come le avanguardie hanno dimostrato.

Baumgarten (1743) coniò il neologismo “estetica” (sensibile) e tentò di creare una filosofia del bello, chiaramente divenne il principale bersaglio delle avanguardie.

Esiste un inscindibile legame tra attività conoscitiva e attività estetica che rischia di essere annullato da eccessi di  soggettività. Non pochi filosofi dell’arte,specie di matrice statunitense,hanno avvallato le scelte anti-estetiche, delle avanguardie. Per tentare di dare un senso alle loro argomentazioni hanno dovuto, non solo ripudiare duemila anni di storia dell’arte, ma anche i filosofi che hanno dato senso all’arte attraverso ermeneutiche con solide basi logiche e culturali.

Alla fine è subentrata una sorta di rassegnazione espressa nell’affermazione di Hegel: “ L’arte non vale più per noi come il modo più alto in cui la verità si da esistenza…”.

L’orientamento materialistico e consumistico contemporaneo ha confuso  e sovrapposto alla sensibilità spirituale il puro edonismo estetico. I risultati sono visibili nell’arte di oggi, anche perche,come sosteneva Shaftesbury: “ L’estetica ed etica sono una parte sistematica dell’arte,la chiave di tutta l’epistemologia artistica”.

Nietzsche, che non amava Kant,lo definì spregiativamente:“il cinese di Konigsberg”. Contro la sua teoria etica inventò lo slogan: “Riduzione della morale a estetica”!!!”.

Nel libro delle leggi degli ebrei vi è un comandamento”Tu non ti farai alcuna immagine o figura di ciò che è in cielo, o in terra, o sotto terra…”. Considerata la massiccia presenza ebraica nel mondo delle avanguardie artistiche del ‘900, il furore contro la rappresentazione della natura era inevitabile.

Caspar David Friedrixh Monaco in riva al mare 1809-1810

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